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Onere prova etilometro: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7209/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un automobilista condannato per guida in stato di ebbrezza. La Corte ha ribadito che l’onere della prova del malfunzionamento dell’etilometro grava sull’imputato, il quale deve fornire allegazioni specifiche e concrete. Una generica contestazione sulla mancata prova delle revisioni periodiche non è sufficiente a invalidare il test.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Guida in stato di ebbrezza: chi deve provare il malfunzionamento dell’etilometro?

In materia di guida in stato di ebbrezza, una delle questioni più dibattute riguarda l’affidabilità dell’etilometro e, di conseguenza, a chi spetti l’onere della prova etilometro in caso di presunto malfunzionamento. Con la recente sentenza n. 7209 del 2024, la Corte di Cassazione è tornata sul punto, offrendo un chiarimento fondamentale che consolida un orientamento giurisprudenziale ormai stabile. La decisione sottolinea come una semplice e generica contestazione da parte della difesa non sia sufficiente a far scattare l’obbligo per l’accusa di dimostrare la perfetta funzionalità dell’apparecchio.

Il caso in esame

Un automobilista veniva condannato in primo e secondo grado per il reato di guida in stato di ebbrezza, aggravato dall’aver commesso il fatto in orario notturno (tra le 22:00 e le 07:00). La condanna si basava sui risultati di due test alcolemici, effettuati a breve distanza l’uno dall’altro, che avevano rilevato un tasso alcolemico superiore al limite di legge, rientrante nella fascia più grave prevista dall’art. 186 del Codice della Strada. La pena inflitta era di nove mesi di arresto, 4000 euro di ammenda e la sospensione della patente per due anni.

La strategia difensiva e l’onere della prova sull’etilometro

L’imputato, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, lamentando un vizio di motivazione nella sentenza d’appello. La tesi difensiva sosteneva che la Corte territoriale avesse erroneamente posto a carico della difesa l’onere di dimostrare il malfunzionamento dell’etilometro. Secondo il ricorrente, sarebbe spettato alla pubblica accusa fornire la prova non solo dell’omologazione iniziale dello strumento, ma anche della sua sottoposizione alle verifiche periodiche di taratura, elementi essenziali per garantirne l’affidabilità nel tempo. La difesa, quindi, non contestava un guasto specifico, ma la mancanza di prova della corretta manutenzione dell’apparecchio.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza, confermando integralmente le sentenze dei precedenti gradi di giudizio. Gli Ermellini hanno ribadito un principio di diritto già consolidato, richiamando una precedente pronuncia (Cass. n. 33978/2021).

Le motivazioni

La Corte ha spiegato che, in tema di guida in stato di ebbrezza, i risultati dell’alcoltest costituiscono prova della colpevolezza. L’affidabilità dello strumento, una volta omologato, si presume fino a prova contraria. Tale ‘prova contraria’, tuttavia, non può consistere in una mera richiesta generica di esibire la documentazione relativa alle revisioni periodiche.

Per invertire l’onere probatorio e far sorgere in capo alla pubblica accusa il dovere di dimostrare la corretta funzionalità dell’apparecchio, l’imputato ha un preciso onere di allegazione. Deve, cioè, contestare il buon funzionamento dell’etilometro in modo specifico, adducendo elementi concreti che possano far sorgere un dubbio ragionevole sulla sua affidabilità (ad esempio, anomalie procedurali durante il test, condizioni particolari del soggetto, ecc.).

Nel caso specifico, la difesa si era limitata a lamentare la mancanza di prova delle revisioni periodiche, senza però allegare alcun elemento concreto che facesse dubitare della correttezza dei risultati ottenuti dall’apparecchio modello 7110 MKIII, regolarmente omologato. Di conseguenza, la Corte ha ritenuto corretta la decisione dei giudici di merito di considerare provata la responsabilità penale sulla base dei due test effettuati.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale per la difesa nei processi per guida in stato di ebbrezza: non è sufficiente una contestazione astratta per invalidare la prova dell’alcoltest. L’imputato che intende sostenere il malfunzionamento dello strumento deve farsi parte attiva, fornendo al giudice elementi specifici e circostanziati che supportino la sua tesi. In assenza di tali allegazioni, i risultati dell’etilometro omologato sono considerati pienamente validi e sufficienti a fondare una sentenza di condanna. La decisione, pertanto, condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende, a causa dell’inammissibilità del ricorso.

A chi spetta l’onere di provare che un etilometro non funziona correttamente?
Secondo la Corte di Cassazione, l’onere di provare il malfunzionamento dell’etilometro spetta all’imputato. L’affidabilità dello strumento, una volta omologato, è presunta. Spetta quindi alla difesa fornire elementi concreti e specifici che facciano sorgere un dubbio ragionevole sul suo corretto funzionamento.

È sufficiente contestare la mancata esibizione dei certificati di revisione periodica dell’etilometro per invalidare il test?
No. La sentenza chiarisce che una generica contestazione o la semplice richiesta di visionare la documentazione relativa alle revisioni periodiche non è sufficiente a invalidare la prova, né a far scattare l’obbligo per l’accusa di dimostrare la funzionalità dello strumento.

Cosa succede quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato ‘manifestamente infondato’?
Quando un ricorso è dichiarato manifestamente infondato, viene respinto senza un’analisi di merito approfondita perché privo di basi giuridiche evidenti. Come conseguenza, la sentenza impugnata diventa definitiva e il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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