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Onere probatorio terzo: basta l’allegazione lecita

La Corte di Cassazione annulla la confisca di beni a una figlia, terza interessata in un procedimento di prevenzione contro il padre. La sentenza chiarisce che l’onere probatorio del terzo non richiede una prova piena della liceità dei fondi, ma una mera allegazione di fatti plausibili e riscontrabili. Il giudice di merito aveva errato nel non valutare adeguatamente la ricostruzione finanziaria proposta dalla ricorrente, che dimostrava la capacità economica per gli acquisti.

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Pubblicato il 9 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Onere probatorio terzo: la Cassazione alleggerisce il carico della prova

In materia di misure di prevenzione patrimoniali, la posizione dei terzi che vedono i propri beni confiscati è estremamente delicata. Una recente sentenza della Corte di Cassazione fa luce su un aspetto cruciale: l’onere probatorio del terzo. Il caso riguarda una donna che si è vista confiscare beni immobili e quote societarie nell’ambito di un procedimento a carico del padre. La Corte ha annullato la confisca, stabilendo che per un terzo non è necessaria una prova schiacciante, ma è sufficiente allegare in modo plausibile la provenienza lecita dei fondi usati per l’acquisto.

I fatti del caso

La vicenda trae origine da un decreto della Corte d’Appello che aveva confermato la confisca di due immobili e delle quote di una società immobiliare di proprietà della figlia di un soggetto sottoposto a misura di prevenzione. La donna, ritenuta una prestanome del padre, aveva impugnato il provvedimento, sostenendo di aver acquistato i beni con risorse lecite, proprie e della madre.

Per dimostrare la sua tesi, aveva fornito una dettagliata ricostruzione della capacità economica del suo nucleo familiare (composto da lei e dalla madre, da tempo separata dal proposto), che includeva redditi dichiarati, risparmi accumulati in anni precedenti, il ricavato della vendita di un altro immobile e l’accensione di un mutuo. La Corte d’Appello, tuttavia, aveva rigettato le sue argomentazioni, ritenendole non sufficienti a superare la presunzione di illecita provenienza dei beni.

La decisione e l’onere probatorio del terzo

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della donna, annullando il decreto di confisca e rinviando il caso a un nuovo esame della Corte d’Appello. Il cuore della decisione risiede nella corretta interpretazione dell’onere probatorio del terzo interessato, come delineato dalla celebre sentenza “Spinelli” delle Sezioni Unite.

Secondo la Suprema Corte, la presunzione di illecita provenienza dei beni del proposto è relativa e non assoluta. Per superarla, il terzo non è gravato di un vero e proprio onere della prova, ma di un più leggero onere di allegazione. In pratica, è sufficiente che il terzo indichi fatti, eventi e circostanze specifiche, verificabili e plausibili, che dimostrino la provenienza lecita delle risorse impiegate. Una volta fornita questa allegazione, spetta all’accusa dimostrarne l’infondatezza.

Le motivazioni

La Cassazione ha individuato due errori fondamentali nel ragionamento della Corte d’Appello.

Il primo riguarda la valutazione della capacità economica per l’acquisto degli immobili. I giudici di merito avevano sminuito la ricostruzione difensiva, senza analizzarla nel dettaglio e senza spiegare perché il nucleo familiare della ricorrente non avrebbe potuto, nel corso degli anni, accumulare i risparmi necessari. La Corte ha ribadito che il giudice deve valutare l’intera storia economica del soggetto e non può scartare a priori le prove documentali e le allegazioni fornite.

Il secondo errore concerne la confisca della società. La Corte d’Appello aveva disposto la confisca totale dell’impresa sulla base di finanziamenti di dubbia provenienza effettuati a partire dal 2005, ovvero dopo l’acquisto delle quote societarie. La Cassazione ha censurato questo approccio, chiarendo che la confisca totale di un’azienda è legittima solo se la natura illecita delle risorse è “assoluta o prevalente” sin dalla sua costituzione. Se, come nel caso di specie, si allega che l’acquisto iniziale sia avvenuto con fondi leciti e che solo successivamente siano intervenuti capitali illeciti, il giudice deve distinguere gli apporti. La confisca deve essere limitata alle quote di valore o di patrimonio riferibili ai soli capitali di provenienza illecita, senza travolgere l’intero compendio aziendale.

Le conclusioni

Questa sentenza rafforza le tutele per i terzi in buona fede coinvolti in procedimenti di prevenzione. Stabilisce un chiaro limite al potere dello Stato di confiscare beni, imponendo ai giudici un’analisi rigorosa e puntuale delle allegazioni difensive. Non si può pretendere dal terzo una “probatio diabolica”, ossia la prova di un fatto negativo (che i soldi non provengano dal proposto), ma una prova positiva e circostanziata della propria capacità economica. La decisione promuove un giusto equilibrio tra la lotta alla criminalità economica e la salvaguardia del diritto di proprietà, evitando che misure pensate per colpire i patrimoni illeciti si trasformino in uno strumento ingiustamente punitivo per i familiari o i soci estranei alle attività criminali.

Qual è l’onere probatorio a carico di un terzo che subisce una confisca di prevenzione?
Il terzo non deve fornire una prova piena e incontrovertibile della provenienza lecita dei beni. È sufficiente che alleghi fatti, situazioni ed eventi riscontrabili che siano ‘ragionevolmente e plausibilmente’ idonei a indicare l’origine lecita delle risorse utilizzate per l’acquisto.

Se una società viene finanziata con capitali illeciti dopo la sua costituzione, deve essere interamente confiscata?
No, non necessariamente. La confisca integrale è disposta solo se la natura illecita delle risorse impiegate è assoluta o prevalente. Se l’acquisto iniziale delle quote è avvenuto con fondi leciti, il giudice deve distinguere gli apporti leciti da quelli illeciti e sottoporre a confisca solo le parti o quote di valore riferibili a questi ultimi.

L’accensione di un mutuo è di per sé sufficiente a dimostrare la liceità di un acquisto?
No. La Corte chiarisce che il ricorso al credito bancario crea un onere finanziario (il rimborso delle rate) che deve essere sostenibile con risorse lecite. Pertanto, la valutazione della capacità economica deve tenere conto non solo dell’ottenimento del prestito, ma anche della capacità del soggetto di ripagarlo nel tempo con entrate legittime.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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