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Onere di allegazione e reato: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza del Tribunale che negava il riconoscimento del reato continuato a una condannata. Il motivo del rigetto era una presunta mancata osservanza dell’onere di allegazione. La Suprema Corte ha chiarito che sul condannato non grava un onere probatorio, ma solo un interesse a indicare elementi sintomatici della continuazione. La decisione è stata annullata per motivazione apparente, in quanto il giudice non aveva esaminato concretamente i fatti, limitandosi a enunciazioni generiche.

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Pubblicato il 19 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Onere di allegazione nel reato continuato: la Cassazione traccia i confini

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sentenza n. 1566/2024) ha offerto chiarimenti cruciali sull’onere di allegazione che grava sul condannato quando richiede il riconoscimento del reato continuato in fase esecutiva. La Corte ha annullato un’ordinanza di un tribunale per motivazione carente, sottolineando che il giudice non può respingere l’istanza basandosi su un presunto inadempimento probatorio dell’interessato. Questo intervento ribadisce l’importanza di una motivazione concreta e ancorata ai fatti specifici del caso.

I fatti del processo

Il caso nasce dal ricorso di una donna condannata per diversi reati. La difesa aveva presentato un’istanza al Giudice dell’esecuzione per ottenere il riconoscimento della continuazione tra i reati, anche solo per gruppi omogenei. L’obiettivo era ottenere una rideterminazione della pena in senso più favorevole, unificando le varie condanne sotto il vincolo di un unico disegno criminoso.

Il Tribunale, in funzione di giudice dell’esecuzione, aveva respinto la richiesta. Secondo il giudice di merito, la richiedente non aveva adempiuto al proprio onere di allegazione, non fornendo alcuna ragione logico-giuridica o fattuale a sostegno della sua pretesa. La semplice omogeneità dei reati o la loro vicinanza temporale non erano state ritenute sufficienti a provare l’esistenza di un’unica ideazione e programmazione. Di conseguenza, la richiesta era stata rigettata.

La questione dell’onere di allegazione in fase esecutiva

Contro questa decisione, la difesa ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando una motivazione manifestamente illogica e carente. La ricorrente sosteneva che il giudice avesse completamente ignorato gli elementi sintomatici della continuazione che erano stati evidenziati nell’istanza, come il breve lasso di tempo tra i reati, la somiglianza delle norme violate e il modus operandi. Pertanto, la censura di mancata allegazione era, a suo dire, infondata.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, ritenendolo fondato. Il punto centrale della decisione è la critica radicale alla motivazione del provvedimento impugnato, definita come “formata quasi esclusivamente da massime giurisprudenziali, senza agganci alle concrete vicende”.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha stabilito che la motivazione del Tribunale era talmente laconica da rasentare l’apparenza. Il giudice di merito si era limitato a un generico rimprovero sulla mancata osservanza dell’onere di allegazione, senza entrare nel merito degli elementi concreti del caso. Non erano stati indicati i titoli di reato, né l’oggetto delle condotte, impedendo così di comprendere se si trattasse di fatti estemporanei o, al contrario, di episodi che potevano far presumere una certa preordinazione.

La sentenza chiarisce un principio fondamentale, già espresso in precedenti pronunce (in particolare la n. 12914/2022): il condannato che invoca l’applicazione della continuazione in executivis ha un mero interesse all’allegazione di elementi sintomatici, ma non un onere giuridico di natura probatoria. La mancanza di una dettagliata allegazione non può, quindi, essere “valorizzata negativamente dal giudice”. Il giudice dell’esecuzione ha il dovere di esaminare d’ufficio gli atti e le sentenze per verificare la sussistenza dei presupposti della continuazione.

Inoltre, la Corte ha sottolineato che la motivazione è uno strumento essenziale per il controllo dell’attività giurisdizionale. Il giudice deve dare conto in maniera chiara, comprensibile e controllabile di aver considerato tutte le ragioni proposte dalle parti. Nel caso di specie, il Tribunale non solo ha omesso di valutare gli indici presentati dalla ricorrente, ma non si è nemmeno pronunciato sulla richiesta subordinata di applicare la continuazione almeno per gruppi di reati.

Le conclusioni

In conclusione, la Cassazione ha annullato l’ordinanza con rinvio al Tribunale, che dovrà procedere a un nuovo esame in diversa composizione. La sentenza rappresenta un importante monito per i giudici dell’esecuzione: non è sufficiente trincerarsi dietro formule di stile o massime giurisprudenziali per respingere un’istanza. È necessario un esame approfondito e concreto degli atti, fornendo una motivazione che dia conto delle ragioni specifiche che portano a negare (o a riconoscere) l’esistenza di un medesimo disegno criminoso. Viene così riaffermato il diritto della parte a essere ascoltata e a ricevere una risposta giudiziaria non apparente, ma effettiva e comprensibile.

Qual è l’onere del condannato che chiede il riconoscimento della continuazione in fase esecutiva?
Secondo la sentenza, il condannato non ha un onere probatorio in senso stretto, ma un mero interesse all’allegazione di elementi specifici e sintomatici (come vicinanza temporale, modus operandi, omogeneità dei reati) che possano indicare l’esistenza di un unico disegno criminoso.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza del Tribunale?
La Corte ha annullato l’ordinanza perché la sua motivazione era estremamente laconica e apparente. Il giudice di merito si era limitato a enunciare massime giurisprudenziali senza alcun collegamento con i fatti concreti del caso, omettendo di esaminare gli elementi forniti dalla ricorrente e di pronunciarsi sulla richiesta subordinata.

Cosa si intende per motivazione “apparente”?
Una motivazione è “apparente” quando, pur essendo formalmente presente, non soddisfa il requisito minimo di spiegare le ragioni della decisione. Ciò accade quando è talmente generica, illogica o priva di riferimenti ai fatti specifici da non permettere di comprendere l’iter logico-giuridico seguito dal giudice, risultando di fatto in una mancata motivazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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