Onere di allegazione: Spiegazioni non credibili sul possesso di beni possono costare caro
Recentemente, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 20427/2025, ha affrontato un caso cruciale che chiarisce la differenza tra onere della prova e onere di allegazione. Questa distinzione è fondamentale nel diritto penale, specialmente in reati come la ricettazione. La Suprema Corte ha stabilito che l’incapacità di un imputato di fornire una spiegazione attendibile sulla provenienza di beni in suo possesso può essere un elemento decisivo per la sua condanna. Analizziamo insieme questa importante decisione.
I Fatti del Caso
La vicenda giudiziaria ha origine dal ricorso presentato da un individuo avverso una sentenza della Corte d’Appello di Bologna. Il ricorrente contestava la sua condanna, ma il suo appello è stato esaminato dalla settima sezione penale della Corte di Cassazione per valutarne l’ammissibilità. Il nodo centrale della questione non risiedeva tanto nei fatti materiali, quanto nell’interpretazione del comportamento dell’imputato riguardo al possesso di determinati beni.
L’Onere di Allegazione nel Processo Penale
Il cuore della decisione della Cassazione ruota attorno al concetto di onere di allegazione. È fondamentale non confonderlo con l’onere della prova. Nel processo penale, l’onere della prova grava sempre sull’accusa, che deve dimostrare la colpevolezza dell’imputato al di là di ogni ragionevole dubbio.
Tuttavia, all’imputato è richiesto un onere di allegazione. Ciò significa che, pur non dovendo provare la propria innocenza, egli ha il dovere di fornire elementi, argomentazioni e spiegazioni plausibili a sostegno della propria difesa. Se l’imputato viene trovato in possesso di beni di sospetta provenienza, non può semplicemente tacere o fornire versioni palesemente inverosimili.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda sul principio consolidato secondo cui, nel valutare l’elemento soggettivo del reato (ad esempio, la consapevolezza della provenienza illecita di un bene), il giudice può tenere conto anche del comportamento dell’imputato. L’omessa o non attendibile indicazione della provenienza di una cosa è considerata un forte indizio della volontà di occultamento, logicamente riconducibile a un acquisto in mala fede.
Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, a conferma della solidità della decisione dei giudici di merito.
Le Motivazioni della Sentenza
Nelle motivazioni, i giudici chiariscono in modo inequivocabile la portata dell’onere di allegazione. Non si chiede all’imputato di ‘provare’ da dove vengono i beni, ma di ‘fornire una spiegazione attendibile’ sulla loro origine. Questa spiegazione diventa un tema di prova che il giudice può valutare secondo il suo libero convincimento.
Citando precedenti sentenze (in particolare Cass. Pen., Sez. 2, n. 45256/2007 e Sez. Un., n. 35535/2007), la Corte sottolinea che la spiegazione fornita dall’imputato non è una prova in sé, ma un elemento che può essere valutato insieme a tutte le altre risultanze processuali. Una spiegazione vaga, contraddittoria o palesemente falsa non fa che rafforzare il quadro accusatorio, perché suggerisce un tentativo di nascondere la verità, compatibile con la consapevolezza dell’illecito.
Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza ribadisce un principio di grande importanza pratica. Chiunque si trovi in possesso di beni di cui non può o non vuole spiegare l’origine in modo convincente, si espone a un serio rischio penale. Non è sufficiente affermare di averli acquistati ‘da uno sconosciuto’ o fornire dettagli vaghi e non verificabili. Il giudice ha il potere di interpretare tale reticenza o falsità come un indizio grave di colpevolezza. La decisione insegna che, pur nel rispetto del diritto di difesa e della presunzione di non colpevolezza, la collaborazione logica e credibile nel chiarire i fatti è un dovere non scritto che può fare la differenza tra un’assoluzione e una condanna.
Qual è la differenza tra onere della prova e onere di allegazione?
L’onere della prova spetta all’accusa, che deve dimostrare la colpevolezza dell’imputato. L’onere di allegazione, invece, è il dovere dell’imputato di fornire elementi e spiegazioni plausibili a sostegno della propria difesa, senza doverne provare la veridicità.
Cosa succede se un imputato non fornisce una spiegazione credibile sull’origine di un bene in suo possesso?
Secondo la Corte, l’omessa o non attendibile spiegazione può essere considerata dal giudice un forte indizio della volontà di occultare la provenienza illecita del bene, e quindi un elemento a sostegno della sua colpevolezza per averlo acquistato in mala fede.
Il ricorso dell’imputato è stato accolto dalla Corte di Cassazione?
No, il ricorso è stato dichiarato inammissibile. La Corte ha ritenuto corretto l’operato dei giudici di merito e ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una multa di tremila euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 20427 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 20427 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: IMPERIALI COGNOME
Data Udienza: 04/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a LUGO il 09/07/1972
avverso la sentenza del 25/06/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME
ritenuto che l’unico motivo di ricorso, che deduce il difetto di motivazione in
ordine all’affermazione di responsabilità per il delitto di cui all’art. 648 cod. pe lamentando, in particolare, l’inidoneità degli elementi di prova valorizzati in
sentenza a dimostrare l’elemento oggettivo della condotta di ricettazione, è del tutto generico in ordine all’accertamento della responsabilità, mentre è
inammissibile per manifesta infondatezza laddove censura la mancata qualificazione del fatto come furto, atteso che nessun elemento ha offerto il
ricorrente per avvalorare la prospettazione della difesa secondo cui potrebbe essere l’autore della sottrazione della carta di credito oggetto dell’imputazione: la
Corte di appello si è correttamente conformata – quanto alla qualificazione giuridica del fatto accertato – al consolidato orientamento di questa Corte per il
quale, ai fini della configurabilità del reato di ricettazione, la prova dell’elemen soggettivo può essere raggiunta anche sulla base dell’omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede; d’altro canto (Sez. 2, n. 45256 del 22/11/2007, COGNOME, Rv. 238515); né si richiede all’imputato di provare la provenienza del possesso delle cose, ma soltanto di fornire una attendibile spiegazione dell’origine del possesso delle cose medesime, assolvendo non ad onere probatorio, bensì ad un onere di allegazione di elementi, che potrebbero costituire l’indicazione di un tema di prova per le parti e per i poteri officiosi del giudice, e che comunque possano essere valutati da parte del giudice di merito secondo i comuni principi del libero convincimento (in tal senso, Cass. pen., Sez. un., n. 35535 del 12/07/2007, CED Cass. n. 236914).
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 4 febbraio 2025.
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