Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 5669 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3   Num. 5669  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 09/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Bettona il DATA_NASCITA; avverso la sentenza del 20/05/2022 della Corte di appello di Perugia; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME AVV_NOTAIONOME COGNOME, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 20 maggio 2022, la Corte d’appello di Perugia ha confermato la sentenza del 15 febbraio 2021, con la quale il Tribunale di Perugia ha condannato COGNOME NOME, in relazione a reati di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 74 del 2000, per avere, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto e con superamento delle soglie di punibilità, omesso la presentazione delle dichiarazioni relative agli anni 2011 e 2012, quale titolare di ditte individuali.
 Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. Con un primo motivo di doglianza, si lamentano l’erronea applicazione della disposizione incriminatrice e il vizio di motivazione, per avere la Corte di appello ritenuto sussistente il fatto, basandosi sull’assenza di risultanze dimostrative dell’effettivo sostenimento di costi realmente deducibili a livello fiscale. Non si sarebbe tenuto conto delle argomentazioni difensive relative ai criteri di calcolo dell’imposta ai fini della verifica della soglia di punibilità, sec cui il giudice del merito avrebbe tratto la propria conclusione sulla base dell’accertamento presuntivo tipico dell’ordinamento tributario, contro i principi enucleati dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui l’accertamento del reato dovrebbe basarsi sulla situazione reale del contribuente, tenuto conto anche degli elementi negativi del reddito. Né sarebbe ammissibile, nell’ordinamento penale, un’inversione dell’onere della prova circa l’effettiva ricorrenza di costi deducibili livello fiscale.
2.2. In secondo luogo, si denunciano la violazione dell’art. 42 cod. pen. e il vizio di motivazione, sul rilievo che la Corte d’appello avrebbe ritenuto sussistente l’elemento soggettivo del dolo specifico di evasione relativo al superamento della soglia legale, senza considerare la mancanza di risultanze probatorie in tal senso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile. La difesa censura solo formalmente violazioni di legge delle quali non precisa la portata effettiva, ma in realtà sottopone a critica, su un piano sostanziale, la motivazione della sentenza impugnata, rispetto alla quale non individua, neanche in via di mera prospettazione, lacune o profili di contraddittorietà o illogicità censurabili ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen.
3.1. Tali considerazioni valgono per il primo motivo di doglianza, riferito al computo dell’imposta evasa anche in relazione alla sottrazione di eventuali costi. La prospettazione difensiva rimane ancorata a mere affermazioni, prive di riferimenti agli atti di causa o alla motivazione della sentenza impugnata.
Non si considera, in particolare, quanto evidenziato dalla Corte d’appello e dal giudice di primo grado, con conforme valutazione, da cui emerge come la difesa non abbia concretamente prodotto né sostanzialmente prospettato la ricorrenza di costi realmente deducibili a fini fiscali, in presenza di una contabilità dalla qual non emerge il modo in cui i pagamenti siano effettuati. La sentenza impugnata non ha, dunque, applicato alcuna inversione dell’onere della prova, essendosi
limitata a verificare la sostanziale genericità della prospettazione difensiva quanto alla sussistenza di pretesi costi non documentati.
3.2. Analoghe considerazioni valgono per il secondo motivo, riferito al dolo specifico di evasione. La prospettazione difensiva è del tutto astratta, perché non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, che correttamente valorizza, a favore della prospettazione accusatoria, l’effettuazione di pagamenti a mezzo contanti o con modalità non precisate e la mancanza di documentazione relativa agli esborsi effettivamente sostenuti, non essendo stato esibito alcun documento di costo.
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 3.000,00. 
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 09/11/2023