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Onere della prova: la revoca dell’archiviazione negata

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un soggetto che chiedeva la revoca di un decreto di archiviazione per particolare tenuità del fatto, a seguito di una parziale depenalizzazione del reato di omesso versamento di ritenute. La decisione si fonda sulla mancata dimostrazione, da parte del ricorrente, di un interesse concreto e attuale alla rimozione e, soprattutto, sul non aver soddisfatto l’onere della prova riguardo la riconducibilità della sua specifica condotta alla fattispecie non più penalmente rilevante.

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Pubblicato il 17 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Onere della Prova: Perché la Cassazione ha Negato la Revoca di un’Archiviazione

Cosa accade quando un fatto, precedentemente archiviato per la sua lieve entità, viene successivamente depenalizzato dalla legge? Si può chiedere la cancellazione di quel provvedimento? La recente sentenza n. 9933/2025 della Corte di Cassazione fa luce su un aspetto fondamentale di questa complessa situazione: l’onere della prova. La Corte ha stabilito che non basta invocare la nuova legge; chi chiede la revoca deve dimostrare attivamente che la sua specifica condotta rientra nella fattispecie depenalizzata. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti del Caso: Dalla Tenuità del Fatto alla Richiesta di Revoca

Un contribuente era stato indagato per il reato di omesso versamento di ritenute d’imposta, previsto dall’art. 10-bis del D.Lgs. 74/2000. Il procedimento si era concluso con un decreto di archiviazione per “particolare tenuità del fatto”, provvedimento che, tuttavia, viene iscritto nel casellario giudiziale.

Successivamente, una sentenza della Corte Costituzionale (la n. 175 del 2022) ha dichiarato parzialmente illegittima la norma, depenalizzando l’omesso versamento quando la debenza delle ritenute risulta esclusivamente dalla dichiarazione annuale del sostituto d’imposta (Modello 770) e non anche dalle certificazioni rilasciate ai dipendenti.

Ritenendo che la sua condotta rientrasse in questa nuova area di non punibilità, il contribuente ha presentato un’istanza al Giudice dell’Esecuzione per ottenere la revoca del decreto di archiviazione, sostenendo che la sua permanenza nel casellario fosse un pregiudizio ingiustificato. Il Giudice ha però dichiarato l’istanza inammissibile, portando il caso di fronte alla Corte di Cassazione.

L’Onere della Prova e la Decisione della Cassazione

La Suprema Corte ha confermato la decisione di inammissibilità del ricorso, basando la sua argomentazione su due pilastri fondamentali.

In primo luogo, ha evidenziato la mancanza di un “interesse concreto e attuale” alla rimozione del provvedimento. Secondo un orientamento consolidato, l’iscrizione di un’archiviazione per tenuità del fatto nel casellario ha una funzione di mera memorizzazione per il circuito giudiziario e non costituisce di per sé un pregiudizio effettivo per l’interessato, non comparendo nei certificati richiesti da privati o pubbliche amministrazioni.

Ma il punto cruciale, che ha determinato l’esito del ricorso, è stato il mancato assolvimento dell’onere della prova. La Cassazione ha chiarito che l’abolitio criminis introdotta dalla Corte Costituzionale è stata solo parziale. Il reato continua a esistere se l’omesso versamento è attestato, oltre che dalla dichiarazione, anche dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti. Pertanto, spettava al ricorrente dimostrare che la sua specifica condotta ricadeva nell’ipotesi depenalizzata, ovvero che le ritenute omesse derivavano solo dalla dichiarazione fiscale e che non erano state rilasciate le relative certificazioni ai dipendenti.

Le Motivazioni della Corte

I giudici di legittimità hanno spiegato che la semplice riproduzione del vecchio capo di imputazione, in cui si menzionava solo il Modello 770, non era una prova sufficiente. Prima della sentenza della Consulta, infatti, per la pubblica accusa era sufficiente e strategicamente vantaggioso basare la contestazione sulla sola dichiarazione per semplificare il carico probatorio. Di conseguenza, l’assenza di un riferimento alle certificazioni nell’atto d’accusa non implica, di per sé, che queste non fossero mai state rilasciate.

Il ricorrente avrebbe dovuto allegare elementi concreti per ricondurre la sua posizione all’interno dell’area depenalizzata. Non avendolo fatto, ha fallito nel suo onere della prova, rendendo impossibile per il giudice verificare se la pronuncia di incostituzionalità fosse effettivamente applicabile al suo caso. Questa lacuna probatoria ha reso il ricorso inammissibile.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Sentenza

La sentenza ribadisce un principio processuale cardine: chi intende beneficiare degli effetti favorevoli di una modifica legislativa, come una depenalizzazione, ha l’onere della prova di dimostrare che la sua situazione rientra pienamente nella nuova disciplina. Non è sufficiente una generica allegazione, ma è necessaria una dimostrazione puntuale e documentata. Questa decisione serve da monito: in sede di esecuzione, le istanze devono essere fondate su elementi specifici e prove concrete, altrimenti il rischio di una dichiarazione di inammissibilità è molto elevato. La richiesta di revoca di un provvedimento, anche se non formalmente una sentenza, richiede lo stesso rigore probatorio di un processo nel merito.

È possibile chiedere la revoca di un decreto di archiviazione per ‘tenuità del fatto’ se il reato viene successivamente depenalizzato?
Sì, in linea teorica è possibile attraverso l’incidente di esecuzione. Tuttavia, la Corte di Cassazione ha chiarito che il richiedente deve dimostrare un interesse concreto alla rimozione e, soprattutto, deve assolvere l’onere della prova, dimostrando che la sua specifica condotta rientra nell’ambito della depenalizzazione.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile nonostante la depenalizzazione parziale del reato?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché il ricorrente non ha soddisfatto l’onere della prova. La depenalizzazione riguardava solo i casi in cui l’omesso versamento di ritenute risultasse dalla sola dichiarazione fiscale. Il ricorrente non ha fornito alcuna prova che dimostrasse l’assenza di certificazioni rilasciate ai dipendenti, un elemento che avrebbe mantenuto la rilevanza penale del fatto.

L’iscrizione nel casellario di un’archiviazione per tenuità del fatto costituisce un pregiudizio sufficiente per chiederne la rimozione?
No. Secondo la sentenza, l’iscrizione di tale provvedimento assolve a una funzione interna al sistema giudiziario e non viene menzionata nei certificati del casellario rilasciati a richiesta dell’interessato o di terzi. Pertanto, non costituisce di per sé un pregiudizio concreto e attuale che giustifichi un’istanza di rimozione, a meno che non venga allegato un danno specifico.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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