Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 15530 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 15530 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
IBOI GODDAY (CUI 03LIGGF) nato il 01/01/1978
avverso la sentenza del 20/11/2024 del GIUDICE COGNOME di AREZZO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
I
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Premesso che, con la sentenza in epigrafe il Giudice di pace di Arezzo ha condannato NOME COGNOME alla pena di euro 8.000 di ammenda in relazione al reato di cui all’art. 10-bis del d. Igs. 25 luglio 1998, n. 286, per aver fatt ingresso ed essersi trattenuto nel territorio nazionale in violazione della disciplina in materia di immigrazione.
Rilevato che ricorre per cassazione l’imputato, articolando tre motivi di impugnazione.
Ritenuto che il primo motivo di ricorso – con cui il ricorrente deduce la mancata assunzione di una prova decisiva e la manifesta illogicità della motivazione – si rivela manifestamente infondato, in quanto il Giudice di pace ha adeguatamente esaminato e valutato le risultanze istruttorie, ritenendo dirimente la deposizione del teste dell’accusa, agente NOME COGNOME il quale ha riferito come l’imputato, al momento del controllo, fosse sprovvisto di documenti validi e risultasse privo di permesso di soggiorno, avendo esibito un vecchio titolo ormai scaduto; circostanza questa che, unitamente alla mancata allegazione da parte della difesa di elementi idonei a dimostrare l’esistenza di una richiesta di rinnovo pendente, ha legittimamente condotto a ritenere integrata la condizione di irregolarità sul territorio dello Stato.
Considerato, altresì, che in merito alla mancata assunzione della prova richiesta, in assenza di elementi concreti offerti dalla difesa volti a suffragare la sussistenza di una procedura amministrativa pendente in favore dell’imputato, alcun obbligo incombeva sul Giudice di disporre d’ufficio ulteriori verifiche, non potendo ritenersi sufficiente la mera istanza di parte a giustificare un’integrazione probatoria in tal senso.
Considerato che il secondo motivo di ricorso si rivela riproduttivo di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal Giudice di pace, il quale ha motivato il rigetto della richiesta di rinvio del procedimento avanzata dal P.m., cui il difensore si era associato – finalizzata a consentire all’ufficio immigrazione della Questura di verificare l’eventuale esistenza di procedure amministrative pendenti per la regolarizzazione della posizione dell’imputato – sulla base del principio secondo cui è onere dell’imputato allegare fatti, circostanze e documenti a sé favorevoli; principio che si pone in linea con l’orientamento secondo cui nell’ordinamento processuale
penale non è previsto un onere probatorio a carico dell’imputato, ma è pur sempre prospettabile un onere di allegazione, in virtù del quale egli è tenuto a
fornire le indicazioni e gli elementi necessari all’accertamento di fatti e circostanze ignoti che siano idonei, ove riscontrati, a volgere il giudizio in suo
favore (Sez. 2, n. 6734 del 30/01/2020, Bruzzese, Rv. 278373; Sez. 4, n. 12099
del 12/12/2018, dep. 2019, Fiumefreddo, Rv. 275284).
Considerato che il terzo motivo, in quanto inerente al trattamento
sanzionatorio, non è censurabile in sede di legittimità essendo tale trattamento sorretto da sufficiente e non illogica motivazione e da un adeguato esame delle
deduzioni difensive, atteso che il Giudice di pace, nel determinare la pena inflitta all’imputato in misura superiore al minimo edittale e nel giustificare il diniego
delle circostanze attenuanti generiche, ha correttamente valutato il disinteresse mostrato da quest’ultimo nel regolarizzare la propria posizione, come desunto
dalla relazione di servizio della Questura, che ha evidenziato come l’imputato avesse esibito un permesso di soggiorno scaduto e risultasse privo di richiesta di
rinnovo pendente; né può assumere rilievo la doglianza difensiva relativa alla distinzione tra condizione di “clandestinità” e di “irregolarità”, atteso che, ai fin della configurabilità del reato di cui all’art. 10-bis del d.lgs. 25 luglio 1998, 286, è sufficiente la permanenza sul territorio nazionale in assenza di valido titolo di soggiorno, circostanza, questa, pacificamente accertata in giudizio.
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere complessivamente dichiarato inammissibile, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 3 aprile 2025.