Guida in stato di ebbrezza: a chi spetta l’onere della prova sull’etilometro?
La questione dell’affidabilità dell’etilometro è un tema centrale nei processi per guida in stato di ebbrezza. Molti si chiedono se sia sufficiente contestare genericamente il funzionamento dell’apparecchio per evitare una condanna. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa chiarezza, definendo con precisione su chi ricade l’onere della prova etilometro quando se ne contesta la regolarità. L’esito positivo dell’alcoltest, secondo i giudici, costituisce piena prova, a meno che la difesa non riesca a dimostrare il contrario con elementi concreti.
I fatti del caso
Un automobilista veniva condannato in primo grado e in appello per guida in stato di ebbrezza, con una pena di tre mesi di arresto e 1.200 euro di ammenda. La condanna si basava sui risultati di un test effettuato con etilometro. L’imputato decideva di ricorrere in Cassazione, sostenendo un vizio di motivazione e una violazione di legge, incentrando la sua difesa sulla presunta irregolarità dello strumento utilizzato per l’accertamento.
La questione dell’onere della prova etilometro
Il punto cruciale della controversia legale riguardava la distribuzione dell’onere probatorio. L’imputato, tramite la sua difesa, sollevava dubbi generici sull’affidabilità degli etilometri in uso alle forze di polizia, senza però fornire prove specifiche a sostegno di un effettivo malfunzionamento dell’apparecchio utilizzato nel suo caso. La Corte si è quindi trovata a dover ribadire un principio consolidato in materia.
La decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando le sentenze dei precedenti gradi di giudizio. I giudici hanno sottolineato che l’esito positivo dell’alcoltest è di per sé una prova sufficiente dello stato di ebbrezza. Questo perché lo strumento è considerato affidabile in virtù dei controlli periodici di omologazione e taratura a cui è sottoposto.
L’onere della prova a carico della difesa
La conseguenza diretta di questa presunzione di affidabilità è che l’onere della prova etilometro si inverte: non è l’accusa a dover dimostrare il perfetto funzionamento dello strumento, ma è la difesa dell’imputato a dover fornire la prova contraria. Per farlo, non bastano affermazioni generiche. La difesa deve dimostrare attivamente l’assenza o l’inattualità dei controlli prescritti, ad esempio richiedendo l’esame del dirigente del reparto addetto ai controlli o producendo in giudizio una copia del libretto metrologico dell’etilometro.
Il valore delle percezioni dirette degli agenti
Oltre ai dati strumentali, la Corte ha valorizzato anche le prove fattuali raccolte dagli agenti operanti. Nel caso specifico, le risultanze dell’etilometro coincidevano con la percezione diretta dei poliziotti, i quali avevano constatato nell’automobilista l’occhio lucido, un’andatura a zig-zag e reazioni anomale al momento del fermo. Questi elementi, uniti al dato numerico, hanno rafforzato il quadro accusatorio, rendendo le contestazioni della difesa ancora più deboli.
Le motivazioni
Le motivazioni della Corte si fondano su un principio di affidabilità presunta dello strumento tecnico. L’etilometro, essendo soggetto a omologazione e tarature periodiche, offre una garanzia di corretto funzionamento. Pertanto, il suo risultato positivo costituisce una prova legale dello stato di ebbrezza. La Corte ha specificato che le argomentazioni difensive erano mere deduzioni generiche, finalizzate a screditare lo strumento in astratto, ma prive di qualsiasi fondamento oggettivo o prova concreta relativa al caso specifico. Spetta all’imputato, e non all’accusa, l’onere di superare questa presunzione, fornendo prove specifiche e documentate, come l’assenza delle revisioni periodiche. Inoltre, le osservazioni dirette degli agenti (guida a zig-zag, occhi lucidi) hanno fornito un riscontro fattuale che coincideva con i risultati del test, rafforzando ulteriormente la decisione.
Le conclusioni
Questa ordinanza conferma un orientamento giurisprudenziale consolidato e fornisce un’importante indicazione pratica: per contestare efficacemente l’esito di un alcoltest non è sufficiente sollevare dubbi generici. È necessario intraprendere un’azione difensiva proattiva, volta a dimostrare con prove documentali o testimoniali specifiche che quel determinato apparecchio, in quel preciso momento, non era affidabile perché non sottoposto ai controlli di legge. In assenza di tale prova contraria, il risultato del test, specialmente se corroborato da altri elementi indiziari, rimane una prova pienamente valida per una sentenza di condanna.
L’esito dell’etilometro è una prova sufficiente per una condanna per guida in stato di ebbrezza?
Sì, la Corte di Cassazione ha stabilito che l’esito positivo dell’alcoltest costituisce prova dello stato di ebbrezza, data l’affidabilità presunta dello strumento derivante dai controlli periodici.
Chi deve dimostrare che l’etilometro non funziona correttamente?
L’onere di fornire la prova contraria, ovvero dimostrare l’assenza o l’irregolarità dei controlli sull’etilometro, spetta alla difesa dell’imputato. Non è sufficiente una contestazione generica.
Le osservazioni dei poliziotti hanno valore se c’è già il test dell’etilometro?
Sì, la Corte ha evidenziato che le percezioni dirette degli agenti (come occhi lucidi, guida a zig-zag, reazioni anomale) sono importanti perché, se coincidono con i risultati del test, rafforzano ulteriormente il quadro probatorio a carico dell’imputato.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 4551 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 4551 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a ROMA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 06/07/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale di Roma del 3 marzo 2023, con cui COGNOME NOME NOME stat condannato alla pena di mesi tre di arresto ed euro milleduecento di ammenda in relazione al reato di cui all’art. 186, comma 2-bis e 2-sexies, lett. b), C.d.S.
Il COGNOME ricorre per Cassazione avverso tale sentenza per violazione di leg vizio di motivazione in relazione alla ritenuta regolarità dell’etilometro adopera verificare lo stato di ebbrezza.
3. Il ricorso è inammissibile.
Con riferimento all’unico motivo di ricorso, va ricordato che, in tema di guida stato di ebbrezza, l’esito positivo dell’alcoltest costituisce prova dello stat brezza – stante l’affidabilità di tale strumento in ragione dei controlli periodic a verificarne il perdurante funzionamento successivamente all’omologazione e all taratura – con la conseguenza che è onere della difesa dell’imputato fornire la p contraria a detto accertamento, dimostrando l’assenza o l’inattualità dei pres controlli, tramite l’escussione del dirigente del reparto addetto ai controlli o l zione di copia del libretto metrologico dell’etilometro (Sez. 4, n. 1167 15/12/2020, dep. 2021, Ibnezzayer, Rv. 280958).
La Corte territoriale sul punto ha disatteso le generiche deduzioni difensive rette essenzialmente a screditare lo strumento dell’alcoltest – generalmente u dalle forze di Polizia italiane nella valutazione delle condizioni di ebbrezza alcoli conducenti di autoveicoli – e contenente affermazioni in fatto prive di fondamen oggettivo e non comprovate da ulteriori elementi.
Peraltro, la Corte territoriale ha dato atto che le risultanze dell’etilometro devano con quelle emerse dalla diretta percezione degli operanti di P.G., i quali vano potuto personalmente constatare nella persona del COGNOME l’occhio lucido, percorso a zig-zag e le sue reazioni inconsulte all’alt.
Per le ragioni che precedono, il ricorso va dichiarato inammissibile con cons guente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non suss stendo ragioni di esonero – al versamento della somma di euro tremila in favore de Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila alla Cassa delle ammende. Così deciso in Roma il 17 gennaio 2024.