Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 26398 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 26398 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Esanatoglia (Mc) il 4/6/1948
avverso la sentenza del 3/10/2024 della Corte di appello di Ancona; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiarare inammissibile il ricorso;
lette le conclusioni del difensore del ricorrente, Avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso, anche con memoria
RITENUTO IN FATI -0
Con sentenza del 3/10/2024, la Corte di appello di Ancona, in parziale riforma della pronuncia emessa il 18/3/2022 dal Tribunale di Macerata, dichiarava non luogo a procedere nei confronti di NOME COGNOME quanto al delitto di cui all’art. 5, d. Igs. 10 marzo 2000, n. 74, limitatamente all’annualità 2011, perché estinto per prescrizione, e rideterminava nella misura del dispositivo la pena irrogata quanto alle ulteriori annualità contestate con riguardo allo stesso reato.
Propone ricorso per cassazione il COGNOME deducendo i seguenti motivi:
mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. La Corte di appello avrebbe steso una motivazione viziata in ordine all’elemento oggettivo del delitto, in quanto il perito avrebbe proposto due ipotesi contabili diverse, ed una di queste (la prima) avrebbe individuato solo un modesto superamento della soglia di punibilità, quanto al 2013, peraltro in misura compatibile con l’applicazione dell’art. 131-bis cod. pen.; ebbene, la sentenza avrebbe optato per la differente ipotesi, senza tuttavia fornire alcuna indicazione al riguardo. In particolare, avrebbe affermato corretti principi giurisprudenziali in tema di valutazione della prova, ma poi non li avrebbe seguiti, in tal modo non rispondendo alle doglianze sollevate dall’appellante quanto alla mancanza dello stesso elemento oggettivo del reato. La medesima pronuncia, peraltro, sosterrebbe l’inverosimiglianza dei costi accertati dalla Guardia di Finanza, senza tuttavia indicarne le ragioni e, dunque, confermando una motivazione sostenuta soltanto da mere ipotesi. La Corte di appello, pertanto, non avrebbe rispettato il principio in forza del quale il giudice penale non può condannare sulla base di semplici presunzioni tributarie, dovendo piuttosto accertare in concreto l’imposta evasa, anche in ragione dei costi effettivamente sostenuti, con quantificazione di tutti gli elementi necessari ad individuare l’eventuale superamento della soglia di punibilità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso risulta manifestamente infondato.
Il Collegio, in particolare, rileva che la motivazione redatta dalla Corte di appello non appare viziata nei termini indicati, contenendo, piuttosto, una ragionata ed adeguata valutazione di tutti gli elementi disponibili per verificare l’eventuale superamento della soglia di punibilità prevista per il delitto di cui all’a 5, d. Igs. n. 74 del 2000, la cui consumazione, peraltro, non è contestata.
In particolare, e ribadito che lo stesso Giudice di secondo grado aveva disposto una perizia contabile, la sentenza impugnata ha dato atto della correttezza di alcuni rilievi sollevati dalla difesa con il gravame, evidenziando che dal computo dei ricavi non dichiarati, ma adeguatamente accertati, dovevano essere escluse tutte le operazioni riferibili ad entrate personali del ricorrente, “nonché una serie di operazioni la cui natura, in uno con la mancanza di ulteriore documentazione, può indurre a nutrire dubbi sul fatto che corrispondano ad un effettivo ricavo”.
5.1. Con riguardo, poi, ai costi sostenuti, la sentenza ha sottolineato che la documentazione prodotta in primo grado non consentiva di individuarne di ulteriori
rispetto a quelli considerati dal perito; ciò, peraltro, anche in ragione “dell inverosimiglianza dei costi accertati dalla Guardia di Finanza rispetto al ben maggiore volume dei ricavi e dell’entità delle movimentazioni bancarie verificate, comprensive anche di prelevamenti di rilevante ammontare”. Nessuna illazione od affermazione apodittica, dunque, come invece denunciato, ma adeguata lettura dei documenti prodotti, per come esaminati e letti dal perito. Ancora sui costi, la sentenza ha poi considerato anche gli indici di redditività lorda di settore individuati dall’ISTAT, e li ha applicati all’importo complessivo dei ricavi non dichiarati; sulla base dell’ultimo bilancio depositato dalla società, ancora, la Corte ha determinato l’incidenza dei costi sui ricavi, così infine individuando, per ciascun anno, un reddito netto (pagg. 8-9). Infine, analitici calcoli – concreti, non presuntivi – son stati compiuti per l’accertamento dell’IRES e dell’IVA evase (pagg. 9-10), con indicazioni che il ricorso non contesta specificamente.
5.2. La sentenza, pertanto, ha fatto corretta applicazione del costante principio – qui da ribadire – in forza del quale, qualora l’imputato lamenti la mancata deduzione di costi inerenti a ricavi, deve provarne l’esistenza o, comunque, allegare i fatti dai quali questa può essere desunta e che, pur offerti al giudice, non sono stati invece valutati (per tutte, Sez. 3, n. 2383 del 3/12/2024, Montoya, secondo cui ai fini della verifica del superamento delle soglie di punibilità previste con riguardo ai reati tributari, i costi non contabilizzati sostenuti da contribuente per il conseguimento dei maggiori ricavi egualmente non contabilizzati concorrono alla determinazione dell’imposta evasa ex artt. 1, comma 1, lett. f) e 4 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, nel caso in cui il reddito imponibile s ricostruito incrociando la contabilità di impresa con quella “in nero”, sennpreché siano offerte allegazioni fattuali da cui risulti la certezza probatoria, diretta indiziaria, o anche solo il ragionevole dubbio circa la loro esistenza).
A fronte di questo più che analitico e congruo argomento, peraltro, l’unica censura proposta dal ricorrente attiene alla motivazione della sentenza in tema di perizia contabile, di cui non sarebbe stata valutata una delle ipotesi proposte dal professionista, quella più favorevole all’imputato stesso.
6.1. Questa affermazione non risulta fondata.
6.2. La Corte di appello ha affermato (pag. 6) che “con riferimento ai versamenti effettuati sui c/c per gli anni 2011-2014, può dirsi che, in mancanza di allegazioni di segno contrario, sia pienamente giustificata la considerazione di essi come ricavi non dichiarati, sebbene vadano escluse dal computo le operazioni riferibili a entrate personali nonché una serie di operazioni la cui natura, in uno con la mancanza di ulteriore documentazione, può indurre a nutrire dubbi sul fatto che corrispondano ad un effettivo ricavo” (come da specificazione successiva). Ebbene, con queste parole il Collegio ha dunque espressamente fatto propria la
seconda ipotesi formulata dal perito che, a differenza della prima, “riguarda i versamenti sui conti correnti bancari ingiustificati dalla parte e considerati ricavi
non dichiarati”; dal che, il corretto esame dell’elaborato peritale ed una motivata adesione alla seconda delle ipotesi formulate, contrariamente a quanto affermato
nell’impugnazione.
6. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella
fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità»,
alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616
cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente
fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 4 giugno 2025
Il Cw)sigliere estensore
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