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Onere della prova: Cassazione su frode informatica

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per frode informatica. La Corte stabilisce che, una volta provato l’accredito di somme illecite su una carta prepagata intestata all’imputato, scatta un’inversione dell’onere della prova. In base al principio di ‘vicinanza della prova’, spetta all’accusato fornire una giustificazione plausibile per la transazione, non potendo limitarsi a contestare la ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito.

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Pubblicato il 9 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Onere della Prova nella Frode Informatica: l’Imputato Deve Giustificare i Fondi

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio cruciale in materia di frode informatica e gestione dell’onere della prova. Quando una somma di provenienza illecita viene accreditata su una carta prepagata, a chi spetta dimostrare la natura di quella transazione? La Suprema Corte chiarisce che, una volta che l’accusa ha provato il collegamento tra l’imputato e lo strumento di pagamento, spetta a quest’ultimo fornire elementi a sua discolpa.

I Fatti del Caso: un Accredito Sospetto

Il caso trae origine da una condanna per frode informatica (art. 640-ter c.p.) emessa dalla Corte d’Appello. Un soggetto era stato ritenuto responsabile per aver ricevuto su una propria carta prepagata una somma di 3.000 euro, frutto di un’attività delittuosa.

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo un’errata applicazione della legge penale. Tuttavia, la sua difesa si è concentrata sulla contestazione della ricostruzione dei fatti e della valutazione delle prove, piuttosto che su una vera e propria violazione di legge.

La Decisione della Cassazione e l’Onere della Prova

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, evidenziando come l’imputato stesse tentando di ottenere un nuovo giudizio sui fatti, attività preclusa in sede di legittimità. Il fulcro della decisione, però, risiede nella disamina dell’onere della prova.

I giudici hanno affermato che la difesa non può limitarsi a contestare genericamente le conclusioni investigative. Una volta che l’accusa ha dimostrato un elemento oggettivo e grave come l’accredito di una somma illecita sulla carta intestata all’imputato, la palla passa a quest’ultimo.

Il Principio di “Vicinanza della Prova”

La Corte ha richiamato il consolidato principio della “vicinanza della prova”. Secondo tale principio, l’onere della prova di un determinato fatto deve gravare sulla parte che è nella posizione migliore per fornirla. Nel caso di specie, chi meglio dell’intestatario di una carta può spiegare la provenienza di un accredito?

Di fronte all’evidenza dell’accredito, l’imputato non ha fornito alcuna giustificazione o spiegazione alternativa. Questo silenzio, unito all’elemento oggettivo dell’accredito, ha rafforzato il quadro accusatorio, rendendo la condanna legittima.

Le Motivazioni della Corte

La Corte ha motivato la sua decisione sottolineando che il ricorso non era fondato su una violazione di legge, ma mirava a una riconsiderazione del merito della vicenda. I giudici di primo e secondo grado avevano già valutato in modo concorde le prove, ritenendo che l’intestazione della carta prepagata fosse un elemento sufficiente a integrare la condotta delittuosa, in assenza di spiegazioni alternative. L’imputato, pur avendo la possibilità di farlo, non ha mai fornito elementi concreti ed oggettivi per sostenere una tesi difensiva diversa, come ad esempio lo smarrimento della carta, il suo utilizzo da parte di terzi a sua insaputa o la natura lecita della transazione. La Corte ha quindi concluso che, di fronte a un quadro probatorio chiaro fornito dall’accusa, spetta all’imputato allegare elementi a proprio favore, in applicazione del principio di vicinanza della prova.

Conclusioni

Questa ordinanza offre un’importante lezione pratica: nei reati informatici e finanziari, la passività difensiva non paga. L’intestazione di uno strumento finanziario (come una carta prepagata) su cui transitano fondi illeciti costituisce un indizio forte di colpevolezza. Se l’imputato non fornisce una spiegazione credibile e documentata per giustificare tale transazione, rischia che quell’indizio si trasformi in una prova piena della sua responsabilità. La decisione riafferma che il processo penale non consente di rimanere inerti di fronte a prove concrete, ma richiede una partecipazione attiva della difesa per smontare l’impianto accusatorio.

In un caso di frode informatica, a chi spetta l’onere della prova una volta dimostrato che il denaro è finito su una carta intestata all’imputato?
Una volta che l’accusa ha provato l’accredito illecito sulla carta dell’imputato, l’onere di fornire una spiegazione alternativa o una giustificazione plausibile si sposta sull’imputato stesso, in base al principio di ‘vicinanza della prova’.

È sufficiente essere l’intestatario di una carta prepagata su cui viene accreditata una somma illecita per essere ritenuti responsabili?
Secondo la Corte, la condotta di essere l’intestatario della carta su cui viene accreditata la somma è di per sé idonea a integrare il delitto, specialmente se l’imputato non fornisce alcuna giustificazione per tale accredito.

Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché, pur lamentando formalmente una violazione di legge, in realtà mirava a contestare la valutazione dei fatti e delle prove compiuta dai giudici di merito, un tipo di esame che non è consentito in sede di legittimità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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