Onere della Prova nella Bancarotta: l’Amministratore Deve Giustificare i Beni Spariti
Nel complesso scenario del diritto fallimentare, una delle questioni più delicate riguarda l’onere della prova nella bancarotta fraudolenta patrimoniale. Chi deve dimostrare cosa è accaduto ai beni di una società fallita? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 39448 del 2024, offre una risposta chiara e in linea con un consolidato orientamento giurisprudenziale: la responsabilità di giustificare la sorte dei beni aziendali ricade sull’amministratore. Se non lo fa, la sua colpevolezza può essere presunta.
Il Contesto del Ricorso: Dalla Condanna alla Cassazione
Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un’amministratrice di società, condannata in primo e secondo grado per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale. La Corte d’Appello aveva parzialmente riformato la prima sentenza, limitandosi a ridurre la durata delle sanzioni accessorie ma confermando la responsabilità penale.
L’imputata ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando una violazione di legge e un vizio motivazionale nella sentenza d’appello. Sostanzialmente, offriva una lettura alternativa dei fatti, dichiarandosi estranea alla sparizione dei beni societari e tentando di attribuire la responsabilità all’amministratore che le era succeduto. Il suo ricorso, tuttavia, è stato giudicato generico e, in ultima analisi, inammissibile.
L’Onere della Prova nella Bancarotta secondo la Cassazione
Il punto cruciale della decisione risiede nel principio relativo all’onere della prova nella bancarotta. La Corte ha rigettato la difesa dell’imputata, sottolineando che, a fronte della sparizione di beni entrati nel patrimonio sociale durante il suo mandato, era lei a dover fornire la prova della loro destinazione. La sua incapacità di dimostrare le ragioni della mancanza di tali beni al momento del fallimento è stata considerata un elemento decisivo.
I giudici hanno evidenziato che l’imputata non poteva limitarsi a negare il suo coinvolgimento, ma doveva attivamente provare che i beni non erano stati distratti o occultati per scopi illeciti. Questo approccio si fonda su una logica stringente: l’amministratore è il soggetto che, per definizione, ha il controllo e la conoscenza della gestione aziendale e, pertanto, è l’unico in grado di fornire spiegazioni plausibili sulla movimentazione del patrimonio.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile per indeterminatezza, in violazione dell’art. 581, comma 1, lett. c) del codice di procedura penale. Secondo i giudici, il ricorso non contestava specificamente le argomentazioni logiche della sentenza impugnata, ma si limitava a proporre una ricostruzione dei fatti favorevole all’imputata, operazione non consentita in sede di legittimità.
La motivazione della sentenza d’appello, pur sintetica, non era considerata manifestamente illogica. Essa si basava sul ruolo centrale dell’amministratrice e sulla sua mancata dimostrazione della sorte dei beni. La Cassazione ha quindi confermato la validità del ragionamento dei giudici di merito, richiamando la propria giurisprudenza consolidata. La prova della distrazione o dell’occultamento dei beni, in tema di bancarotta fraudolenta, può essere desunta proprio dalla mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, della loro destinazione.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche per gli Amministratori
Questa ordinanza ribadisce un monito fondamentale per chi ricopre cariche amministrative in società di capitali. La gestione del patrimonio sociale richiede non solo diligenza, ma anche una tracciabilità e una documentazione rigorosa. In caso di fallimento, l’amministratore non potrà semplicemente negare le accuse, ma dovrà essere in grado di ricostruire e giustificare ogni operazione che ha interessato i beni aziendali. L’inversione dell’onere della prova nella bancarotta patrimoniale rende la posizione dell’amministratore particolarmente delicata: la sua passività probatoria può trasformarsi in una prova a suo carico, con conseguenze penali molto gravi. La corretta tenuta delle scritture contabili e la capacità di documentare ogni scelta gestionale diventano, quindi, non solo un obbligo civile, ma una vera e propria salvaguardia processuale.
In caso di bancarotta fraudolenta patrimoniale, chi deve dimostrare dove sono finiti i beni della società?
Secondo la Corte di Cassazione, l’onere di dimostrare la destinazione dei beni aziendali mancanti al momento del fallimento ricade sull’amministratore. La sua incapacità di fornire tale prova può essere considerata un elemento a sostegno dell’accusa di distrazione o occultamento.
Perché il ricorso dell’amministratrice è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché generico e indeterminato. Invece di contestare vizi logici specifici della sentenza impugnata, l’imputata si è limitata a proporre una propria versione dei fatti, tentando una rilettura del merito della vicenda, attività non permessa nel giudizio di legittimità.
Cosa succede se un amministratore non riesce a giustificare la mancanza di beni al momento del fallimento?
Se l’amministratore non fornisce la prova della destinazione dei beni, la sua omissione può essere interpretata come un indizio grave, preciso e concordante della loro distrazione o occultamento. Questo, secondo la giurisprudenza consolidata, è sufficiente per fondare una pronuncia di condanna per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 39448 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 39448 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 25/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a CRISPANO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 17/11/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
R.g. 21172-2024 – COGNOME!. COGNOME – Ud. 25.09.2024 –
Rilevato che COGNOME NOME ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di Napoli che, riducendo la durata delle sanzioni accessorie, ha parzialmente riformato la pronunzia di primo grado con la quale era stata ritenuta responsabile del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale;
Considerato che il primo ed unico motivo di ricorso – con cui la ricorrente denunzia violazione della legge e vizio motivazionale in ordine alla affermazione della sua responsabilità penale – è generico per indeterminatezza perché privo dei requisiti prescritti dall’art. 581, comma 1, lett. c) cod. proc. pen. in quanto, a fronte della ricostruzione del suo effettivo ruolo nell’ambito della vicenda, che si deve alla sentenza di primo grado, e a fronte di una motivazione della sentenza impugnata non manifestamente illogica, propugna una propria, alternativa lettura degli atti processuali, che la vede incolpevole della sparizione dei beni, a dispetto del suo ruolo centrale nella società, ancorché i beni fossero entrati nel patrimonio della società quando era amministratrice e benché l’imputata non avesse fornito la dimostrazione delle ragioni della loro mancanza al momento del fallimento (anche per attribuire la responsabilità della sparizione al successivo amministratore); il Collegio accede, a questo riguardo, alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui, in tema di bancarotta fraudolenta, la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società dichiarata fallita può essere desunta dalla mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, della destinazione dei beni suddetti (Sez. 5, n. 8260 del 22/09/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 267710; Sez. 5, n. 11095 del 13/02/2014, COGNOME, Rv. 262740; Sez. 5, n. 22894 del 17/04/2013, COGNOME, Rv. 255385). Ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende; Corte di Cassazione – copia non ufficiale
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 25 settembre 2024.