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Onere allegazione: no permesso premio senza prove

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di una detenuta che chiedeva un permesso premio. La richiedente, condannata per un reato ostativo ai sensi dell’art. 4-bis Ord. pen., non aveva adempiuto al suo onere di allegazione, ovvero non aveva fornito elementi concreti e specifici per dimostrare la rottura dei legami con la criminalità organizzata. La Corte ha stabilito che la sola buona condotta carceraria e la partecipazione a percorsi rieducativi sono insufficienti per superare la presunzione di pericolosità sociale legata a tali reati.

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Pubblicato il 3 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Onere di Allegazione: la Cassazione chiarisce i requisiti per i permessi premio

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale per la concessione dei benefici penitenziari ai detenuti per reati ostativi: la necessità di un preciso onere di allegazione. Questa pronuncia sottolinea come la sola buona condotta non sia sufficiente a superare la presunzione di pericolosità. Il detenuto non collaborante deve fornire prove concrete della sua dissociazione dal mondo criminale. Analizziamo insieme la decisione per comprenderne la portata e le implicazioni pratiche.

I fatti del caso: la richiesta di permesso premio negata

Il caso riguarda una detenuta che sta scontando una pena di oltre otto anni per un reato ostativo, ovvero uno di quei delitti di particolare allarme sociale per cui la legge prevede un regime più severo per l’accesso ai benefici. La persona aveva richiesto un permesso premio, ma il Magistrato di Sorveglianza prima e il Tribunale di Sorveglianza poi avevano respinto la sua istanza. La motivazione del diniego risiedeva nel fatto che la detenuta, pur non essendo una collaboratrice di giustizia, non aveva fornito elementi sufficienti a dimostrare l’assenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata e, soprattutto, l’impossibilità di un loro ripristino. La difesa sosteneva che la lunga detenzione, l’assenza di visite e i contatti telefonici controllati fossero già di per sé elementi sufficienti, ma i giudici di merito non sono stati dello stesso avviso.

La decisione della Cassazione sull’onere di allegazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, confermando la decisione del Tribunale di Sorveglianza. Il punto centrale della sentenza ruota attorno all’interpretazione dell’articolo 4-bis dell’Ordinamento Penitenziario, come modificato di recente. La norma stabilisce che il detenuto non collaborante, per accedere ai benefici, deve adempiere a un preciso onere di allegazione. Non basta più affermare di aver tenuto una condotta regolare in carcere o di aver partecipato al percorso rieducativo. È necessario fornire “elementi specifici, diversi e ulteriori” che dimostrino in modo credibile la rescissione dei legami con l’ambiente criminale di provenienza.

le motivazioni della Corte

La Corte ha spiegato che le recenti riforme legislative hanno introdotto una presunzione di pericolosità “relativa” e non più “assoluta” per i condannati per reati ostativi. Questo significa che la pericolosità può essere superata, ma la prova contraria spetta al detenuto. L’onere di allegazione è, quindi, una condizione indispensabile. Solo una volta che il detenuto ha fornito questi elementi specifici, il giudice di sorveglianza è tenuto ad avviare un’attività istruttoria complessa per verificarne la fondatezza, acquisendo informazioni dettagliate dagli organi di polizia. L’attività del giudice, quindi, non sostituisce l’iniziativa probatoria del richiedente, ma la segue.

Nel caso specifico, la ricorrente si era limitata a richiamare la sua buona condotta, il beneficio della liberazione anticipata e una generica affermazione di non avere più legami con la criminalità. Questi elementi sono stati ritenuti insufficienti, soprattutto considerando la natura del reato commesso, che presupponeva un collegamento con un gruppo criminale organizzato a livello transnazionale. La Corte ha concluso che l’argomentazione del Tribunale era logica e coerente: la generica affermazione di buona condotta non basta per ottenere una decisione favorevole.

le conclusioni

La sentenza consolida un orientamento rigoroso ma chiaro: chi è stato condannato per reati di particolare gravità e non collabora con la giustizia ha la responsabilità di dimostrare attivamente e con prove concrete di aver cambiato vita e di aver reciso ogni legame con il passato criminale. L’onere di allegazione non è una mera formalità, ma il presupposto essenziale per poter accedere ai percorsi di reinserimento sociale previsti dalla legge. Questa decisione serve da monito: la strada verso i benefici penitenziari, per questi soggetti, passa necessariamente attraverso una dimostrazione fattuale e credibile di un definitivo allontanamento dal crimine.

Per un detenuto non collaborante condannato per reati ostativi, la buona condotta in carcere è sufficiente per ottenere un permesso premio?
No. Secondo la sentenza, la sola buona condotta, la partecipazione al percorso rieducativo o una generica dichiarazione di dissociazione non sono sufficienti a superare la presunzione di pericolosità e a ottenere il beneficio.

Cosa deve dimostrare un detenuto non collaborante per accedere ai benefici penitenziari?
Deve adempiere a un onere di allegazione, fornendo elementi specifici, diversi e ulteriori rispetto alla condotta carceraria. Tali elementi devono consentire al giudice di accertare l’assenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata e il contesto criminale, nonché l’impossibilità che tali legami vengano ripristinati in futuro.

Chi ha l’obbligo di fornire queste prove, il detenuto o il giudice?
L’obbligo di fornire gli elementi iniziali (onere di allegazione) ricade sul detenuto che presenta la richiesta. Il giudice ha poi il compito di avviare un’istruttoria per verificare la veridicità di quanto allegato, ma la sua attività investigativa non sostituisce l’onere probatorio che grava in primo luogo sul richiedente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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