Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 26845 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 26845 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 16/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 06/02/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di TRENTO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto procuratore generale NOME, che ha concluso chiedendo l’annullamento del provvedimento impugnato, con rinvio per nuovo giudizio.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa in data 06 febbraio 2024 il Tribunale di sorveglianza di Trento ha respinto il reclamo proposto da NOME contro il provvedimento con cui il magistrato di sorveglianza ha dichiarato inammissibile la sua richiesta di un permesso premio, per avere ella in espiazione una pena pari a otto anni e otto mesi di reclusione, riferibile a reati ostativi di cui all’art bis Ord.pen.
Il Tribunale ha ritenuto corretta la valutazione del magistrato di sorveglianza perché la detenuta, anche nel reclamo, ha sostenuto la concedibilità del beneficio solo perché ella, pur non essendo collaborante, avrebbe dimostrato di non avere più collegamenti con la criminalità organizzata, tenendo una condotta regolare in carcere e partecipando al percorso riabilitativo, tanto da ottenere la liberazione anticipata. L’art. 4-bis, comma 1, Ord.Pen., e già la sentenza Corte Cost. n. 253/2019, richiedono però che il detenuto fornisca elementi diversi ed ulteriori rispetto a questi, dai quali possa accertarsi l’inesistenza sia di tali attual collegamenti, sia l’impossibilità di un loro ripristino, e la istante non ha soddisfatto tale suo onere di allegazione.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso RAGIONE_SOCIALE, per mezzo del suo difensore AVV_NOTAIO, articolando due motivi
2.1. Con il primo motivo denuncia la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod.proc.pen., in relazione all’art. 4-bis, commi 1, 1-bis e 2, Ord.pen.
L’ordinanza richiama la procedura di cui all’art. 4-bis, comma 2, Ord.pen., ma afferma erroneamente che la ricorrente non ha allegato gli elementi richiesti. Tale norma si riferisce, con evidenza, a soggetti diversi dal difensore, che ha limitati poteri di indagine. La ricorrente è detenuta da molti anni, e tale prolungata detenzione, senza ricevere visite e con contatti telefonici controllati, è elemento di per sé sufficiente per formulare una prognosi favorevole circa il venir meno dei contatti con la criminalità organizzata. Il Tribunale di sorveglianza non ha dato alcun rilievo al suo corretto comportamento intrannurario, ma secondo la giurisprudenza di legittimità il giudice è tenuto a verificare in concreto la permanenza o meno dei contatti illeciti.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso deduce la mancanza di motivazione, con violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod.proc.pen.
L’omessa valutazione del comportamento intramurario comporta la carenza di motivazione, ed il richiamo alla gravità del reato è errato, perché è una valutazione estranea ai poteri del giudice di sorveglianza. La detenuta ha già
scontato quasi sei anni di detenzione e le residuano circa nove mesi relativi al reato ostativo, è stata ammessa al lavoro esterno, ha indicato la persona, ben identificata, che la ospiterebbe durante il permesso premio, ma il Tribunale ha omesso di valutare tutti questi elementi.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto l’annullamento del provvedimento, con rinvio per un nuovo giudizio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato in entrambi i suoi motivi, e deve essere rigettato.
L’ordinanza si è conformata al dettato dell’art. 4-bis, comma 1-bis, Ord.pen. come modificato dal d.l. n. 162 del 31/10/2022, conv. dalla legge n. 199 del 30/12/2022, e ulteriormente modificato dal d.l. n. 20 del 10/03/2023, conv. dalla legge n. 50 del 05/05/2023.
La norma, vigente già al momento della presentazione della domanda da parte della ricorrente, prescrive che i benefici previsti dall’art. 4-bis, comma 1, Ord.pen. possono essere concessi ai detenuti condannati per uno dei reati previsti da detto comma anche in assenza di una loro collaborazione con la giustizia, introducendo così una presunzione di pericolosità solo relativa, ma impone agli stessi di dimostrare l’avvenuto adempimento delle obbligazioni civili e di riparazione nascenti dai reati, o la sua mpossibilità, e soprattutto di allegare «elementi specifici, diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria, alla partecipazione del detenuto al percorso rieducativo e alla mera dichiarazione di dissociazione dall’organizzazione criminale di eventuale appartenenza, che consentano di escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata … e con il contesto nel quale il reato è stato commesso, nonché il pericolo di ripristino di tali collegamenti».
Il detenuto non collaborante che chiede la concessione di uno dei benefici previsti dall’art. 4, comma 1, Ord.pen. è tenuto, quindi, ad allegare alla sua domanda degli elementi idonei a dimostrare l’insussistenza di collegamenti attuali con il contesto associativo in cui ha agito, e l’insussistenza del pericolo di un loro ripristino, elementi che il legislatore stesso impone debbano essere diversi dalla mera buona condotta carceraria.
2.1. Tali elementi devono essere allegati dal detenuto stesso, e non sono sostituibili dagli accertamenti che il giudice della sorveglianza è tenuto ad effettuare, acquisendo i pareri dei vari organi di polizia indicati all’art. 4-bis,
comma 2, Ord.pen. Il testo di questa norma, anch’esso novellato dal d.l. n. 162 del 31/10/2022, conv. dalla legge n. 199 del 30/12/2022, rende evidente la necessità dell’immediatezza di tale allegazione, dal momento che stabilisce che «nei casi di cui ai commi 1-bis e 1-bis.1, il giudice acquisisce, anche al fine di verificare la fondatezza degli elementi offerti dall’istante, dettagliate informazioni» in merito all’attuale situazione del contesto criminale in cui il detenuto ha operato, al suo profilo criminale, ad eventuali nuove imputazioni o violazioni disciplinari. L’obbligo investigativo del giudice di sorveglianza non sostituisce, pertanto, l’onere di allegazione attribuito al detenuto che formula l’istanza di concessione di un beneficio, essendo finalizzato anche alla verifica della veridicità degli elementi da lui allegati.
Questa Corte ha infatti stabilito, in applicazione della norma novellata, che le allegazioni richieste dalla nuova normativa costituiscono condizioni indispensabili, perché solo «una volta che si accerti la ricorrenza delle menzionate condizioni, il Tribunale è chiamato ad una complessa attività istruttoria», consistente nell’acquisizione delle dettagliate informazioni di cui al secondo comma della norma (Sez. 1, n. 38278 del 20/04/2023, Rv. 285203, in motivazione). La sussistenza dei requisiti per la concessione del beneficio richiesto è subordinata, quindi, anche al rispetto dell’onere di allegazione introdotto dal legislatore.
Peraltro, già in precedenti sentenze, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 253/2019 di parziale illegittimità dell’art. 4-bis, comma 1, Ord.pen., si era ritenuta necessaria l’allegazione, da parte del detenuto, di elementi anche solo fattuali, idonei a contrastare la presunzione di pericolosità prevista dalla legge penale (vedi Sez. 1, n. 33743 del 14/07/2021, Rv. 281764). Correttamente, poi, l’ordinanza impugnata ha sottolineato che tale onere di allegazione era stato ribadito anche dalla indicata sentenza della Corte costituzionale, che richiamava, sul punto, la giurisprudenza di legittimità maturata in tema di dimostrazione della impossibilità della collaborazione.
2.2. Dall’istanza presentata al magistrato di sorveglianza, allegata al ricorso, risulta evidente che la ricorrente non aveva allegato alcun elemento idoneo a dimostrare il suo allontanamento da contesti criminali e l’assenza di un pericolo del ripristino di collegamenti con esso, essendosi limitata a motivare la sua domanda di permesso-premio con l’affermazione di «avere sempre tenuto regolare condotta», tanto da beneficiare della liberazione anticipata e di un ulteriore sconto di pena. Nessun ulteriore elemento è stato fornito successivamente, con il reclamo e all’udienza di trattazione dello stesso, «a parte la generica affermazione di non avere collegamenti con la criminalità organizzata o ambienti criminali», secondo quanto riportato nell’ordinanza impugnata.
Il Tribunale di sorveglianza ha inoltre affermato, con argomentazione logica e non censurabile, che l’allegazione di elementi e circostanze specifiche a sostegno dell’asserita assenza di tali collegamenti o del pericolo del loro ripristino era particolarmente necessaria nel caso della ricorrente, perché condannata per un delitto che, per la sua natura e per le modalità esecutive accertate nella sentenza di merito, presupponeva il collegamento con un gruppo criminale organizzato, impegnato in attività delittuose in ambito transnazionale.
L’insufficienza, per una decisione favorevole, della generica affermazione di una buona condotta intramuraria è stata dunque motivata, con argomentazione logica e coerente, non solo con riferimento al chiaro dettato della norma come novellata, ma anche sulla base delle caratteristiche del delitto commesso e della condotta tenuta, all’epoca, dalla ricorrente.
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve pertanto essere respinto, e la ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 16 maggio 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente