Omissione redditi gratuito patrocinio: non basta la dimenticanza per evitare la condanna
L’accesso al patrocinio a spese dello Stato è un diritto fondamentale, ma richiede la massima trasparenza da parte del richiedente. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 12518/2024) ribadisce un principio cruciale: l’omissione redditi gratuito patrocinio nella dichiarazione sostitutiva costituisce reato, e invocare una semplice dimenticanza non è sufficiente a escludere la responsabilità penale. Vediamo nel dettaglio la vicenda e le importanti conclusioni dei giudici.
I fatti di causa
Il caso ha origine dalla condanna, confermata in primo e secondo grado, di un soggetto per il reato previsto dall’art. 95 del d.P.R. 115/2002. L’imputato, nel presentare l’istanza per essere ammesso al gratuito patrocinio, aveva omesso di dichiarare alcune entrate reddituali percepibili all’interno del proprio nucleo familiare. Nello specifico, non aveva menzionato il trattamento economico assicurato dal figlio della compagna, persona inserita a tutti gli effetti nel nucleo familiare convivente. I giudici di merito avevano ritenuto che tale omissione integrasse pienamente gli estremi del reato contestato.
I motivi del ricorso in Cassazione
L’imputato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione lamentando un vizio di motivazione. La difesa sosteneva che la decisione della Corte d’Appello fosse viziata per un’errata valutazione della prova relativa all’elemento soggettivo del reato, ovvero il dolo. In sostanza, si affermava che non vi fosse stata la volontà cosciente di frodare lo Stato, ma piuttosto una leggerezza o una dimenticanza nel non includere i redditi del familiare convivente.
La decisione della Corte sull’omissione redditi gratuito patrocinio
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. I giudici hanno chiarito che le argomentazioni della difesa non erano altro che una sterile ripetizione di quanto già esaminato e correttamente respinto dalla Corte d’Appello. La sentenza impugnata, secondo la Cassazione, presentava una motivazione logica, coerente e giuridicamente ineccepibile.
Le motivazioni
Il cuore della decisione risiede nell’analisi dell’elemento soggettivo, il cosiddetto “dolo generico”. La Corte ha spiegato che per la configurazione di questo reato è sufficiente la coscienza e la volontà di presentare una dichiarazione falsa o incompleta, senza che sia necessario dimostrare un fine ulteriore di arrecare un danno allo Stato.
Secondo gli Ermellini, il dolo è stato ampiamente dimostrato dal fatto che il ricorrente non poteva non essere a conoscenza del reddito percepito da un membro del suo nucleo familiare convivente. Per escludere la responsabilità, non è sufficiente affermare di aver agito con “leggerezza” o di aver “dimenticato”. Al contrario, la normativa sul gratuito patrocinio (in particolare gli artt. 76 e 79 del T.U. Spese di Giustizia) impone al dichiarante un preciso dovere di verifica.
L’imputato avrebbe dovuto accertarsi dell’esistenza di tutti i redditi che, per legge, concorrono a formare il reddito complessivo del nucleo familiare. La mancata verifica di tali redditi, stante il chiaro tenore delle norme, non può essere considerata una semplice negligenza, ma integra la volontarietà della condotta omissiva richiesta per la sussistenza del reato.
Le conclusioni
Questa pronuncia della Cassazione ha importanti implicazioni pratiche. Chiunque presenti un’istanza per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato deve prestare la massima attenzione alla completezza e veridicità dei dati forniti. La sentenza chiarisce che la responsabilità non è limitata ai soli redditi personali, ma si estende a quelli di tutti i componenti del nucleo familiare convivente. Il messaggio è inequivocabile: non sono ammesse scorciatoie o superficialità. L’onere di verificare e dichiarare correttamente tutti i redditi è un presupposto inderogabile per accedere al beneficio, e l’omissione consapevole di tale dovere di controllo conduce a una sicura condanna penale, oltre al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
Cosa succede se si omettono dei redditi nella domanda per il gratuito patrocinio?
Si commette il reato previsto dall’art. 95 del d.P.R. 115/2002, che punisce le falsità o le omissioni nell’autocertificazione. Come stabilito in questo caso, ciò comporta una condanna penale, oltre al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
Affermare di aver ‘dimenticato’ di dichiarare un reddito è una scusa valida?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che invocare una semplice dimenticanza o una leggerezza non è sufficiente a escludere il dolo (l’intenzione). Sul richiedente grava un preciso dovere di verifica di tutti i redditi del nucleo familiare, e l’omissione di questo controllo integra la volontarietà della condotta illecita.
Quali redditi devono essere inclusi nella dichiarazione per il gratuito patrocinio?
Devono essere dichiarati tutti i redditi previsti dalla legge (artt. 76 e 79 del Testo Unico sulle spese di giustizia), non solo quelli personali del richiedente ma anche quelli di tutti i familiari conviventi. Nel caso specifico, anche il trattamento economico percepito dal figlio della compagna, in quanto convivente, doveva essere obbligatoriamente dichiarato.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 12518 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 12518 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a PAGANI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 19/09/2023 della CORTE APPELLO di L’AQUILA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di L’Aquila ha confermato la decisione del Tribunale di Sulmona che aveva riconosciuto COGNOME NOME colpevole del reato di cui agli artt. 79 e 95 d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
2.COGNOME, per mezzo del proprio difensore, ricorre per la cassazione della sentenza della Corte di appello per due distinti motivi:
Con due motivi di ricorso il ricorrente lamenta vizio di motivazione del provvedimento che non risulta coerente con il canone valutativo obbligatoriamente prescritto dall’art. 533 c.p.p. e vizio di motivazione per travisamento della prova relativa alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 95 d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
2.1 II ricorrente ha depositato memoria difensiva con la quale, a integrazione dei motivi di ricorso evidenzia la insussistenza dell’elemento psicologico.
I motivi del ricorso sono manifestamente infondati, in quanto si risolvono in doglianze in fatto, che costituiscono una pedissequa reiterazione di motivi già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte di merito, dovendosi pertanto gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, COGNOME e altri, Rv. 24383801). Contrariamente a quanto dedotto, infatti, la pronunzia impugnata reca appropriata motivazione, basata su definite e significative acquisizioni probatorie ed immune da vizi logico-giuridici, circa il profilo della penale responsabilità del prevenuto. La corte territoriale ha invero precisato che il dolo generico risulta dimostrato dal fatto che il ricorrente aveva omesso di autocertificare entrate reddituali di cui era sicuramente a conoscenza quali il trattamento economico assicurato dal figlio della compagna, il quale pure era stato inserito nel nucleo familiare.
Orbene per escludere la ricorrenza dell’elemento soggettivo non è sufficiente affermare la ricorrenza di una dimenticanza o di una leggerezza sulla norma extra penale (art.76 e 79 TU spese di giustizia che valgono a integrare il precetto penale di cui al successivo art.95, ma è necessario fornire dimostrazione di una falsa rappresentazione della realtà sulla ricorrenza di alcune entrate reddituali, laddove nella specie per stessa ammissione del ricorrente, si sarebbe trattato di una mancata verifica dell’esistenza di tali redditi, verifica che ovviamente era doverosa, stante il chiaro tenore delle disposizioni sopra richiamate con particolare riferimento ai redditi che devono essere compresi nella dichiarazione autocertificativa.
4.Per tali ragioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, che va determinata come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 21 febbraio 2024
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