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Omissione redditi: la Cassazione conferma la condanna

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per il reato di falsa dichiarazione finalizzata all’ammissione al gratuito patrocinio. L’imputato aveva omesso di indicare nella sua autocertificazione i redditi di un familiare convivente. La Corte ha stabilito che l’omissione redditi, anche se attribuita a una semplice dimenticanza, integra il dolo generico richiesto dalla norma, poiché sul dichiarante grava un preciso dovere di verifica. Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile.

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Pubblicato il 9 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Omissione redditi gratuito patrocinio: non basta la dimenticanza per evitare la condanna

L’accesso al patrocinio a spese dello Stato è un diritto fondamentale, ma richiede la massima trasparenza da parte del richiedente. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 12518/2024) ribadisce un principio cruciale: l’omissione redditi gratuito patrocinio nella dichiarazione sostitutiva costituisce reato, e invocare una semplice dimenticanza non è sufficiente a escludere la responsabilità penale. Vediamo nel dettaglio la vicenda e le importanti conclusioni dei giudici.

I fatti di causa

Il caso ha origine dalla condanna, confermata in primo e secondo grado, di un soggetto per il reato previsto dall’art. 95 del d.P.R. 115/2002. L’imputato, nel presentare l’istanza per essere ammesso al gratuito patrocinio, aveva omesso di dichiarare alcune entrate reddituali percepibili all’interno del proprio nucleo familiare. Nello specifico, non aveva menzionato il trattamento economico assicurato dal figlio della compagna, persona inserita a tutti gli effetti nel nucleo familiare convivente. I giudici di merito avevano ritenuto che tale omissione integrasse pienamente gli estremi del reato contestato.

I motivi del ricorso in Cassazione

L’imputato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione lamentando un vizio di motivazione. La difesa sosteneva che la decisione della Corte d’Appello fosse viziata per un’errata valutazione della prova relativa all’elemento soggettivo del reato, ovvero il dolo. In sostanza, si affermava che non vi fosse stata la volontà cosciente di frodare lo Stato, ma piuttosto una leggerezza o una dimenticanza nel non includere i redditi del familiare convivente.

La decisione della Corte sull’omissione redditi gratuito patrocinio

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. I giudici hanno chiarito che le argomentazioni della difesa non erano altro che una sterile ripetizione di quanto già esaminato e correttamente respinto dalla Corte d’Appello. La sentenza impugnata, secondo la Cassazione, presentava una motivazione logica, coerente e giuridicamente ineccepibile.

Le motivazioni

Il cuore della decisione risiede nell’analisi dell’elemento soggettivo, il cosiddetto “dolo generico”. La Corte ha spiegato che per la configurazione di questo reato è sufficiente la coscienza e la volontà di presentare una dichiarazione falsa o incompleta, senza che sia necessario dimostrare un fine ulteriore di arrecare un danno allo Stato.

Secondo gli Ermellini, il dolo è stato ampiamente dimostrato dal fatto che il ricorrente non poteva non essere a conoscenza del reddito percepito da un membro del suo nucleo familiare convivente. Per escludere la responsabilità, non è sufficiente affermare di aver agito con “leggerezza” o di aver “dimenticato”. Al contrario, la normativa sul gratuito patrocinio (in particolare gli artt. 76 e 79 del T.U. Spese di Giustizia) impone al dichiarante un preciso dovere di verifica.

L’imputato avrebbe dovuto accertarsi dell’esistenza di tutti i redditi che, per legge, concorrono a formare il reddito complessivo del nucleo familiare. La mancata verifica di tali redditi, stante il chiaro tenore delle norme, non può essere considerata una semplice negligenza, ma integra la volontarietà della condotta omissiva richiesta per la sussistenza del reato.

Le conclusioni

Questa pronuncia della Cassazione ha importanti implicazioni pratiche. Chiunque presenti un’istanza per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato deve prestare la massima attenzione alla completezza e veridicità dei dati forniti. La sentenza chiarisce che la responsabilità non è limitata ai soli redditi personali, ma si estende a quelli di tutti i componenti del nucleo familiare convivente. Il messaggio è inequivocabile: non sono ammesse scorciatoie o superficialità. L’onere di verificare e dichiarare correttamente tutti i redditi è un presupposto inderogabile per accedere al beneficio, e l’omissione consapevole di tale dovere di controllo conduce a una sicura condanna penale, oltre al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

Cosa succede se si omettono dei redditi nella domanda per il gratuito patrocinio?
Si commette il reato previsto dall’art. 95 del d.P.R. 115/2002, che punisce le falsità o le omissioni nell’autocertificazione. Come stabilito in questo caso, ciò comporta una condanna penale, oltre al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

Affermare di aver ‘dimenticato’ di dichiarare un reddito è una scusa valida?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che invocare una semplice dimenticanza o una leggerezza non è sufficiente a escludere il dolo (l’intenzione). Sul richiedente grava un preciso dovere di verifica di tutti i redditi del nucleo familiare, e l’omissione di questo controllo integra la volontarietà della condotta illecita.

Quali redditi devono essere inclusi nella dichiarazione per il gratuito patrocinio?
Devono essere dichiarati tutti i redditi previsti dalla legge (artt. 76 e 79 del Testo Unico sulle spese di giustizia), non solo quelli personali del richiedente ma anche quelli di tutti i familiari conviventi. Nel caso specifico, anche il trattamento economico percepito dal figlio della compagna, in quanto convivente, doveva essere obbligatoriamente dichiarato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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