Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 30768 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 30768 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a OSTUNI il 01/01/1961
Oggi,
IL FUNZIONARI
avverso la sentenza del 11/12/2024 della CORTE APPELLO di TORINO
SET, 2D25
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo annullarsi il provvedimento impugnato, con rinvio alla Corte di Appello competente, in relazione alla confisca e dichiararsi inammissibile il ricorso nel resto.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 11/12/2024 la Corte d’appello di Torino ha confermato la sentenza del Tribunale di Alessandria del 12/5/2022 con cui NOME NOME era stato ritenuto responsabile dei reati di occultamento di scritture contabili e omesse dichiarazioni Irpef, per gli anni d’imposta 2013, 2014 e 2015, e IVA, per l’anno 2015, meglio descritti in imputazione, e condannato, concesse le
attenuanti generiche e unificati i reati ex art. 81 cod. pen., alla pena di an e mesi uno di reclusione, oltre pene accessorie, con pena sospesa. E’ stata anc confermata la statuizione con cui il Tribunale aveva disposto la confisca dei be che costituirono il profitto o il prezzo del reato per un importo di C 310.127 ovvero la confisca per equivalente fino alla concorrenza di tale importo.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, che, con il primo motivo, deduce “la violazione di le ex art. 606 lett. b) c.p.p. in relazione agli artt. 125, 192 e 546 co. 1 lett. nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata…”.
2.1 In relazione all’art. 10 d. Igs. 74/2000, si deduce che non vi era “p certa ed inconfutabile della condotta di occultamento”, essendo emerso dalla deposizione di COGNOME che i “registri” relativi agli anni di imposta ogget indagine, non erano stati proprio “istituiti”. Si contesta, altresì, la suss dell’elemento soggettivo, essendo emerso dall’esame di COGNOME e della deposizione della figlia NOME che l’imputato venne a trovarsi in una situazi di “difficoltà economico finanziaria, nonché personale e familiare”, per cui non in grado di “gestire una corretta contabilità”. Tale ipotesi, secondo la difesa, conferma nel fatto che tutta la documentazione di cui l’imputato disponeva venne trovata dalla Guardia di Finanza presso la sede della ditta.
2.2 In relazione ai reati di omessa dichiarazione, si sostiene che il reddit impresa era stato determinato attraverso la “banca dati spesometro integrato per cui non vi era prova che le fatture fossero state saldate dai clienti né tenuto conto dei costi sostenuti dall’azienda che avrebbero dovuto essere detra per determinare il reddito d’impresa. Si deduce che:
COGNOME, nel corso dell’escussione dibattimentale, non era stato in grado precisare quanti e quali dei clienti della ditta individuale, interpellati tra richiesta di informazioni dell’anagrafe tributaria, avevano dichiarato alla Guar di Finanza che avevano saldato le fatture emesse dall’imputato;
la teste COGNOME aveva dichiarato che era stato espletato un accertamento induttivo in quanto non era stata prodotta tutta la documentazione;
la figlia dell’imputato aveva ricordato le difficili condizione economiche in la famiglia si era trovata negli anni di cui all’imputazione.
Con il secondo motivo, si denuncia la “violazione di legge ex art. 606 lett b) c.p.p. in relazione all’art. 133 c.p., nonché mancanza, contraddittorie manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata di cui all’art. 6 lett. e) c.p.p.”.
Si lamenta che la sentenza, in punto di trattamento sanzionatorio, non er sufficientemente motivata, non avendo “ad esempio” la Corte territoriale tenuto conto “delle precarie condizioni economiche e dei problemi di natura personale e familiare che attanagliavano il ricorrente”.
Con il terzo motivo, si deduce “la violazione di legge ex art. 606 lett. c.p.p. in relazione all’art. 12 bis del D.LGS n. 74/2000, nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della senten impugnata di cui all’art. 606 lett. e) c.p.p.”. Si assume che, non essendovi “pi continuità normativa tra la fattispecie di cui all’art. 12 bis D.Lvo n. 74/2000 previgente fattispecie prevista dall’art. 322 ter c.p.”, la confisca per equiva non poteva trovare applicazione ai reati commessi prima dell’entrata in vigore dell’art. 12 bis.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è inammissibile, in quanto ripropone le stess questioni già esaminate e respinte dalla Corte territoriale senza sostanzialmen confrontarsi con la motivazione che sorregge la decisione.
1.1 Va, anzitutto, precisato che le censure relative all’integrazione dei r contestati al capo b) dell’imputazione afferiscono al superamento della soglia punibilità, non essendo in discussione né la materiale omissione dell dichiarazioni a fini IVA e IRPEF né l’emissione delle fatture che erano sta computate dagli accertatori al fine di ricostruire la base imponibile.
1.2 La sentenza impugnata, inoltre, risulta aver fatto corretta applicazione d principi giurisprudenziali relativi alla utilizzabilità, in sede penale, degli esi accertamenti operati in sede tributaria che, nel caso in esame, contrariamente quanto affermato dalla difesa, per la determinazione dell’attivo, risultano fond su una ricostruzione analitica delle operazioni.
1.3 La Corte territoriale ha, infatti, sottolineato che la Guardia di Finanza av proceduto a verificare le fatture attive rilevate tramite il cd. “spesome attraverso i dati trasmessi dai clienti della ditta individuale che avevano risp ai questionari loro inviati. L’ammontare dei ricavi conseguiti, quindi, era st
determinato tramite un accertamento avente un contenuto “materiale”, essendo fondato su dati “reali” e non meramente presuntivi, relativi alle fatt commerciali trasmesse all’Amministrazione tributaria che risultano saldate dai clienti.
1.4 La sentenza, ancora, valorizza le dichiarazioni dell’imputato, che avev ammesso di aver concretamente svolto l’attività di autotrasportatore utilizzand i numerosi mezzi a lui intestati.
1.5 A fronte del descritto apparato argomentativo, la difesa assume che le fatture non erano state saldate senza però fornire elementi puntuali, precisi e immediata valenza esplicativa in tale senso. Va anche rimarcato che la Corte d’appello ha sottolineatol clienti interpellatili “per le vie brevi” avevano dichi di aver pagato le prestazioni ricevute e il dato non è contrastato da elementi segno contrario, non essendovi prova, ad esempio, di azioni giudiziarie intentat per ottenere coattivamente il pagamento di crediti rimasti insoluti.
1.6 Anche in relazione agli elementi negativi che avrebbero abbattuto l’attivo le allegazioni difensive sono del tutto generiche, non fornendo contegg alternativi, fondati su documentazione verificabile idonea a provare spese i misura superiore a quelle considerate dall’Agenziale delle Entrate sulla base studi di settore. In proposito, si ricorda che, in tema di reati tributari, il per determinare l’ammontare dell’imposta evasa, deve effettuare una verifica che, pur non potendo prescindere dalle specifiche regole stabilite dal legislazione fiscale per quantificare l’imponibile, risente delle limitazioni deri dalla diversa finalità dell’accertamento penale, con la conseguenza che occorr tenere conto dei costi non contabilizzati solo in presenza, quanto meno, d allegazioni fattuali, da cui desumere la certezza o, comunque, il ragionevol dubbio della loro esistenza (Sez. 3, n. 8700 del 16/01/2019, Rv. 275856; Sez. 3, n. 37094 del 29/05/2015, Rv. 265160).
1.6 Generiche, in quanto non si confrontecon la motivazione della Corte territoriale, risultano anche le doglianze relative al reato contestato al capo
La Corte territoriale, in relazione al motivo del gravame afferente all’elemen oggettivo del reato, ha sottolineato che, anche a voler ritenere che le scrit contabili non fossero state istituite, comunque la fattispecie obiettiva integrata dalla distruzione o occultamento delle fatture emesse, rientrando ta documenti fra quelli di cui è obbligatoria la conservazione.
A tale motivazione, il ricorso oppone le difficoltà economiche e personali dell’imputato, allegazione che potrebbe spiegare la mancata elaborazione ai fin
fiscali dei dati portati dalle fatture ma non l’omessa custodia dei documenti emessi.
Quanto all’elemento soggettivo, le censure di natura meramente contestativa articolate dalla difesa non risultano idonee a superare il dirimente rilievo che la ricostruzione della base imponibile è avvenuta utilizzando le fatture reperite presso i clienti. Muovendo dal rilievo secondo cui l’occultamento o la distruzione della documentazione giustificatrice delle operazioni commerciali poste in essere dal contribuente non può che essere finalizzata, impedendo la ricostruzione e comunque la verifica dei redditi prodotti e del volume di affari, a intenti elusivi nei confronti del Fisco, ne deriva che l’elemento soggettivo del delitto può desumersi, secondo quanto già reiteratamente affermato da questa Corte, in base a norme di “comune esperienza, anche dal fatto che l’agente sia titolare di un’attività commerciale che aveva prodotto redditi significativi (Sez. 3, n. 51836 del 03/10/2018, M, Rv. 274110; Sez. 3, n. 20786 del 18/04/2002, Russo, Rv. 221616).
2. Non consentito in sede di legittimità risulta il secondo motivo del ricorso. Va ricordato che nell’individuazione del trattamento sanzionatorio, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli pur sempre indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME Rv. 271269; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899). Nel caso di specie non soltanto la pena irrogata per il reato ritenuto più grave coincide con il minimo edittale e l’aumento per i reati satelliti è estremamente contenuto, ma la Corte ha adeguatamente motivato la dosimetria contestata valorizzando la gravità dei reati, la pluralità delle imposte evase e la negativa personalità dell’imputato, gravato da tre precedenti condanne per omesso versamento delle ritenute previdenziali. Sono, quindi, inammissibili le censure difensive che, senza individuare vizi logici nella motivazione, mirano sostanzialmente a una ‘nuova valutazione della congruità della pena (Sez. 2, n. 39716 del 12/07/2018, COGNOME, Rv. 273819, in motivazione; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243; Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259142; Sez. 1, n. 24213 del 13/03/2013, COGNOME, Rv. 255825; da ultimo v. Sez. 2, n. 1929 del 16/12/2020, dep. 2021, COGNOME, non mass.).
3. Manifestamente infondato risulta l’ultimo motivo del ricorso. Va osservato che l’identità della lettera e la piena continuità normativa tra la disposizione di
cui all’art. 12-bis del d.lgs. 74/2000 (introdotta dal d.lgs. 24 settembre 2015, n.
158) e la previgente fattispecie prevista dall’art. 322-ter cod. pen., richiamato dall’art. 1, comma 143, I. 24 dicembre 2007, n. 244, abrogata dall’art. 14 del
citato d.lgs. n. 158 del 2015, fanno sì, per giurisprudenza pacifica, che la nuova previsione possa trovare applicazione ai delitti oggetto della sentenza impugnata,
essendo i medesimi giunti a consumazione in epoca successiva al 1/1/2008 (Sez.
3, n. 50338 del 22/09/2016, COGNOME, Rv. 268386; conf. Sez. 3, n. 23737 del
28/04/2016, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 267383).
Inconferente è poi, per quanto appena detto, il precedente richiamato dal ricorrente, risultando la confisca disposta in base a una norma vigente al
momento di consumazione del reato.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso conseguono la sterilizzazione, ai fini della prescrizione, del decorso del tempo successivo alla data della pronuncia impugnata e, ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna della parte privata che lo ha proposto al pagamento delle spese del procedimento, nonché, avvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, considerati i profili di inammissibilità rilevati, si stima equo determinare in euro tremila.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 a favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 23/5/2025