Omissione Dichiarazione e Dolo: il Disagio Personale Esclude la Responsabilità?
L’Omissione Dichiarazione fiscale è un reato che presuppone la precisa volontà di evadere le imposte. Ma cosa succede se chi commette il reato sta vivendo una situazione di grave difficoltà personale, sociale ed economica? Può questa condizione escludere la sua responsabilità penale? Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali su questo delicato equilibrio, confermando che il disagio personale, da solo, non basta a cancellare il dolo.
I Fatti di Causa
Il caso riguarda l’amministratore di una società di capitali condannato per il reato di omissione dichiarazione previsto dall’art. 5 del D.Lgs. 74/2000. L’imputato aveva omesso di presentare la dichiarazione fiscale annuale nonostante la società avesse realizzato, nello stesso anno d’imposta, due significative operazioni di cessione di beni per un valore complessivo di circa 544.000 euro, con un’IVA a debito ben superiore alla soglia di punibilità.
La difesa aveva basato il ricorso per Cassazione su un unico motivo: la manifesta illogicità della motivazione della sentenza d’appello. Secondo il ricorrente, i giudici di merito non avevano adeguatamente considerato le sue difficili condizioni di vita, salute e lavoro, che a suo dire avrebbero dovuto escludere l’elemento psicologico del reato, ovvero il dolo specifico di evasione.
La Decisione della Corte di Cassazione: il Ruolo dell’Amministratore
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo le argomentazioni della difesa come mere doglianze in punto di fatto, non ammissibili in sede di legittimità. I giudici hanno evidenziato come il ricorso fosse una semplice riproposizione di tesi già esaminate e respinte dalla Corte d’Appello, senza introdurre nuovi e validi elementi critici.
Le Motivazioni: la Consapevolezza nell’Omissione Dichiarazione
Il cuore della decisione risiede nell’analisi dell’elemento soggettivo del reato. La Cassazione ha smontato la tesi difensiva punto per punto.
In primo luogo, ha qualificato come generiche e semplicistiche le affermazioni sul disagio dell’imputato, ritenendole inidonee a provare una diminuita o assente capacità di intendere e di volere. Il ruolo di amministratore di una società di capitali comporta, per sua natura, un dovere di diligenza e responsabilità, tra cui rientra l’obbligo legale di presentare le dichiarazioni fiscali.
In secondo luogo, e questo è il punto cruciale, i giudici hanno ritenuto del tutto inverosimile che l’amministratore potesse non essere consapevole delle implicazioni fiscali di due operazioni così rilevanti. Aver gestito cessioni per oltre mezzo milione di euro, generando un debito IVA superiore al doppio della soglia penale, è un fatto che, secondo la Corte, dimostra inequivocabilmente la piena consapevolezza dell’obbligo di dichiarare tali somme al Fisco. L’omissione dichiarazione, in un simile contesto, non può che essere interpretata come una scelta volontaria finalizzata all’evasione.
Infine, la Corte ha notato come non fosse emerso alcun tentativo, neanche postumo, di saldare il debito tributario, un comportamento che, se avvenuto in tempi ragionevoli, avrebbe potuto essere valutato come un elemento a favore dell’imputato per escludere il dolo.
Le Conclusioni
L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale in materia di reati tributari: la responsabilità penale dell’amministratore non può essere facilmente elusa invocando generiche difficoltà personali. Il dolo nel reato di omissione dichiarazione si presume dalla combinazione tra la piena consapevolezza di aver posto in essere operazioni rilevanti ai fini fiscali e la successiva, volontaria omissione dell’adempimento dichiarativo. La portata delle operazioni economiche gestite diventa, quindi, un indicatore quasi inconfutabile della sussistenza dell’elemento psicologico del reato, rendendo particolarmente arduo per la difesa dimostrare il contrario.
Un amministratore può giustificare l’omissione della dichiarazione fiscale adducendo un grave disagio personale, sociale ed economico?
No. Secondo la Corte di Cassazione, una generica affermazione di disagio non è sufficiente a escludere il dolo (l’intenzione di commettere il reato), specialmente se l’amministratore ha compiuto operazioni economiche di rilevante entità che generano un chiaro obbligo dichiarativo.
Quale elemento è stato decisivo per dimostrare il dolo nel reato di omessa dichiarazione in questo caso?
L’elemento decisivo è stata la realizzazione di due operazioni di cessione di beni per un valore di circa 544.000 euro. La Corte ha ritenuto implausibile che un amministratore, dopo aver gestito transazioni di tale portata, potesse non essere consapevole della necessità di dichiarare i relativi proventi al Fisco.
Il pagamento tardivo dell’imposta evasa può escludere la responsabilità penale per omessa dichiarazione?
La Corte menziona che il pagamento postumo dell’imposta, se effettuato in tempi ragionevoli, potrebbe, a determinate condizioni, essere considerato un elemento idoneo a escludere il dolo finalizzato all’evasione. Tuttavia, nel caso specifico esaminato, tale pagamento non è avvenuto.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 18752 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 18752 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a MILANO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 02/10/2023 della CORTE APPELLO di MILANO udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
NOME.
Rilevato che, con un unico motivo di ricorso, COGNOME NOME, ha dedotto il vizio di manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata per aver fatto discendere dalla mera qualifica rivestita la responsabilità penale per il reato tributario ascrittogli, senza alcun accertamento in ordine alla sussistenza in ordine all’elemento psicologico del reato, nemmeno tenendo conto RAGIONE_SOCIALE condizioni di vita, di salute e sociali del ricorrente per come documentate nel corso del giudizio di primo grado che confermavano come l’imputato stesse vivendo all’epoca dei fatti una situazione di disagio personale, sociale, economico e lavorativo);
Ritenuto che tale unico motivo deve essere dichiarato inammissibile in quanto proposto per motivi non consentiti dalla legge sia perché costituito da mere doglianze in punto di fatto, sia perché riproduttivo di profili di censura gi adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici in sede di merito e non scanditi da specifica critica RAGIONE_SOCIALE argomentazioni a base della sentenza impugnata sia, infine, perché volto a prefigurare una rivalutazione e comunque un’alternativa rilettura RAGIONE_SOCIALE fonti probatorie, per definizione estranea al sindacato di questa Corte ed avulso da pertinente individuazione di specifici travisamenti di emergenze processuali valorizzate dai giudici di merito (si v., in particolare, quanto argomentato a pag. 3 dell’impugnata sentenza, in cui la Corte territoriale, esclusa la qualità di prestanome del contribuente – imputato, evidenziava come la difesa avesse proposto l’identica doglianza, replicata in sede di legittimità senza alcun apprezzabile elemento di novità critica, fondandola sul disagio dell’imputato derivante dal suo precario stato di salute mentale, sottolineandone, per ciò solo, la genericità e il semplicismo RAGIONE_SOCIALE affermazioni a discarico inidonee ad escludere la sussistenza dell’elemento soggettivo; la Corte d’appello, esclusa la sussistenza di elementi atti a ritenere provata una diminuita o esclusa capacità di intendere e di volere, ha rimarcato l’esistenza di un dovere di presentare la dichiarazione fiscale, soprattutto in situazioni come quella in esame che vede imputato il ricorrente quale amministratore di una società di capitali, obbligo da adempiersi ex lege e la cui inosservanza determina il dolo richiesto dall’art. 5, d. Igs. n. 74 del 2000; a sostegno di tale affermazione, peraltro, i giudici territoriali ricordano come l’imputato, nella qualità, non avrebbe potuto certo ignorare l’attuazione di ben due operazioni di cessione di .e’ beni, da lui effettuate nel medesimo anno di imposta per circa 544.000 euro, con gettito Iva assai superiore al doppio della soglia di punibilità normativamente richiesta per la punibilità del reato contestato; altrettanto inattendibilmente, prosegue la Corte d’appello con affermazione parimenti immune da vizi logici, l’imputato avrebbe potuto non rappresentarsi la Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
necessità di esporre al Fisco il ricavato di dette operazioni, a mezzo del deposito della dichiarazione fiscale annuale);
Ritenuto, pertanto, che tali elementi siano di per sé idonei ad escludere la fondatezza della tesi difensiva per come correttamente argomento da parte dei giudici territoriali, non emergendo del resto nemmeno il pagamento postumo dell’imposta evasa in tempi ragionevoli che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, ricorrendone le condizioni, potrebbe essere considerato come idoneo ad escludere il dolo finalizzato all’evasione (si v., da ultimo, Sez. 3, n. 44170 del 04/07/2023, Rv. 285221 – 01);
Ritenuto, conclusivamente, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della RAGIONE_SOCIALE, non potendosi escludere profili di colpa nella proposizione del ricorso.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa RAGIONE_SOCIALE ammende. Così deciso il 10 marzo 2024
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Il Presidente