Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 23932 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 23932 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: AMOROSO NOME COGNOME
Data Udienza: 14/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME nato in Cina il DATA_NASCITA;
avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze del 6/10/2022;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; lette le conclusioni del AVV_NOTAIO che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza del 27/09/2019, il Tribunale di Firenze, all’esito del giudizio ordinario, assolveva l’imputato NOME COGNOME, ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen. dal reato attribuitogli, con la formula “perché il fatto non sussiste”.
All’imputato era stato contestato il reato di cui all’art. 5 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, perché, nella qualità di titolare della ditta individuale “RAGIONE_SOCIALE“, con sede a Firenze, al fine di evadere le imposte sul valore aggiunto, non presentava, essendovi obbligato, la dichiarazione annuale IVA della ditta relativa al periodo d’imposta 2012, con imposta IVA evasa superiore alla soglia penalmente rilevante.
L’esclusione del delitto contestato si fondava sul non raggiungimento della prova circa il superamento della soglia di punibilità dell’ammontare dell’IVA evasa, attesa l’inidoneità, a tal fine, dell’accertamento di tipo induttivo svolto dall’RAGIONE_SOCIALE dell’entrate, e non essendo stata fornita dalla accusa la prova della insussistenza del paventato regime di esenzione IVA e della strumentalità dell’omessa dichiarazione al fine di evasione della stessa.
Avverso la sentenza assolutoria proponeva appello il Pubblico Ministero. Evidenziava che l’istruttoria dibattimentale aveva messo ulteriormente in luce la persistente omissione di deposito, da parte dell’imputato, delle scritture contabili richieste in quanto necessarie al calcolo dell’IVA e la palese inattendibilità dell’impianto contabile da lui proposto e che l’accertamento dell’organo finanziario era correttamente avvenuto per via induttiva prendendo in considerazione gli unici elementi di cui l’ufficio aveva la disponibilità (la comunicazione annuale iva presentata dal contribuente) posto che il NOME si era consapevolmente sottratto alle richieste di produzione documentale avanzate dell’ufficio stesso.
Osservava, dunque, che, a differenza di quanto ritenuto dal giudice di primo grado, le evidenze processuali erano idonee a sostenere il giudizio di responsabilità.
La Corte d’appello, accogliendo l’impugnazione, in riforma della decisione di primo grado, ha dichiarato l’imputato NOME COGNOME responsabile del reato ascrittogli, condannandolo, per l’effetto, alla pena di anni uno di reclusione e alle pene accessorie di legge.
2.Avverso tale decisione NOME COGNOME, tramite difensore, propone ricorso per cassazione articolato nei seguenti motivi.
3.Nel primo motivo si deduce il vizio di violazione di legge lamentando che il ribaltamento del verdetto assolutorio di primo grado sarebbe avvenuto senza procedere alla rinnovazione della pur richiesta prova dichiarativa decisiva consistente nel nuovo esame testimoniale di NOME COGNOME, funzionaria dell’RAGIONE_SOCIALE delle entrate, già escussa in più udienze nel corso del giudizio di primo grado.
4.Nel secondo motivo si lamenta il vizio di violazione di legge e di motivazione in ordine alla riconosciuta sussistenza del dolo specifico di evasione in capo al ricorrente: la Corte d’appello avrebbe omesso di considerare che l’imputato era incorso in errore rispetto alla consapevolezza del superamento della soglia a causa della complessità della situazione contabile determinata dal compimento di attività sottoposte a diversi regimi fiscali, avendo l’imputato posto in essere sia
operazioni commerciali soggette ad IVA sia operazioni esenti ai sensi dell’art. 8 co. 1 del D.P.R. n. 633 del 1972, nei limiti del plafond di 60.000 euro riservatogli nella sua qualità di contribuente esportatore abituale e sulla base del volume delle esportazioni o cessioni intracomunitarie conseguito nel periodo d’imposta precedente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è inammissibile.
Va, in premessa, ribadito l’insegnamento secondo il quale il giudice d’appello che procede alla “reformatio in peius” della sentenza assolutoria di primo grado, ai sensi dell’art. 603, comma 3-bis cod. proc. pen., non è tenuto alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale nel caso in cui si limiti a una diversa valutazione in termini giuridici di circostanze di fatto non controverse, senza porre in discussione le premesse fattuali della decisione riformata. (Sez. 4, n. 31541 del 22/06/2023, COGNOME, Rv. 284860-01; Sez. 2, n. 3129 del 30/11/2023, Casoppero’, Rv. 285826-01).
Nel caso in esame, il Tribunale è pervenuto all’assoluzione dell’imputato perché ha ritenuto che quanto dichiarato dalla teste COGNOME in ordine alle carenze documentali ed alla inattendibilità della documentazione contabile esibita dall’imputato non fosse sufficientemente chiaro ed univoco per ritenere dimostrati gli elementi costitutivi dei delitti contestati e che residuassero dubbi in ordine alla sua colpevolezza.
Diversamente la Corte di appello, a fondamento della contraria decisione di condanna, emessa in accoglimento dell’appello del Pubblico ministero, ha valorizzato le suddette dichiarazioni attenendosi alla ricostruzione della vicenda compiuta dal Tribunale stesso, e ha riformato la sentenza di primo grado perché, valutando il medesimo compendio probatorio, ne ha tratto conseguenze divergenti in punto di diritto.
Ne consegue che la mancata riassunzione delle prove testimoniali non ha inciso in alcun modo sulla diversa decisione adottata dalla Corte di appello e di tale mancata riassunzione la difesa non ha ragione di dolersi.
Il secondo motivo di ricorso non merita accoglimento in quanto volto ad una riconsiderazione fattuale delle conclusioni cui è pervenuta la Corte d’appello non ammissibile in sede di legittimità.
Con motivazione non manifestamente illogica e esente dai vizi lamentati, nel provvedimento impugnato si dà conto delle ragioni per le quali si è ritenuto sussistente il dolo specifico in capo al ricorrente.
Si è enfatizzata, a tal fine, la condotta tenuta dallo stesso che si è ripetutamente rifiutato di produrre la documentazione che avrebbe potuto essere vàlorizzata a supporto della propria tesi difensiva.
Nel corpo della decisione, a pag. 14 e seguenti, i giudici territoriali, riportando il contenuto delle dichiarazioni rese in sede di dibattimento della teste COGNOME, danno conto delle plurime inevase richieste di esibizione della documentazione contabile utile a suffragare la dedotta qualifica di esportatore abituale che avrebbe consentito all’imputato la detraibilità dell’IVA sugli acquisti.
Alla luce di tali elementi, la Corte d’Appello ha, dunque, correttamente addotto a supporto della sussistenza del dolo richiesto dalla disposizione contestata, con ragionamento non manifestamente illogico, la mancata produzione delle allegazioni essenziali al fine di provare il regime di sospensione di imposta evocato dalla difesa nel corso del giudizio.
3.Per questi motivi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile ed il ricorrente condannato alle spese processuali ed al pagamento di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, in data 14/03/2024
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Il Consigliere estensore
Il Presi nte