Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 14821 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 14821 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 11/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato in Venezuela il 16 gennaio 1971 avverso la sentenza del 19/12/2V3 della Corte di appello di Bologna; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 19 dicembre 2023, la Corte di appello di Bologna ha confermato la sentenza del 24 gennaio 2022, con la quale il Tribunale di Rimini aveva condannato COGNOME NOME in relazione al reato di cui all’art. 5 del d.lgs. n.74 del 2000, per avere, quale titolare di una ditta individuale, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, pur essendovi obbligato, omesso di presentare per l’anno di imposta 2014, la relativa dichiarazione annuale dei redditi,
a fronte di ricavi ricostruiti per un importo di euro 184.637,59, evadendo le imposte per un importo IRPEF pari ad euro 72.564,00 (Rimini, 30 settembre 2015).
Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, lamentando, con un unico motivo di doglianza, vizi della motivazione in relazione alla sussistenza dell’elemento oggettivo e soggettivo del reato, anche in riferimento al superamento della soglia di punibilità prevista dalla medesima norma. Vi sarebbe un’omessa risposta alle specifiche doglianze contenute nell’atto di appello e dotate del requisito della decisività, perché il giudice di appello s sarebbe limitato a motivare richiamando per relationem la séntenza di primo grado, senza rispondere ai motivi dedotti nell’atto di appello, e in particolare: 1) circa l’acritico affidamento del Tribunale sulle conclusioni della Guardia di Finanza, che aveva determinato in modo induttivo l’ammontare IRPEF evasa, senza tenere conto della mancata acquisizione dell’avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate né dei costi connaturati all’attività imprenditoriale, e degradando a mere · ipotesi 12,conclusionf del consulente tecnico dott. COGNOME 2) sull’esistenza di costi passivi dell’impresa, quali le spese di trasferta, testimoniate da COGNOME, nonché dei costi standardizzati, ricostruiti in parte dalla documentazione in possesso dell’imputato, in parte con il metodo induttivo, utilizzato anche dalla Guardia di Finanza e argomentato nella consulenza del dott. COGNOME; 3) quanto all’omessa considerazione dei rilievi della consulenza tecnica di parte, contrari alla ricostruzione della Guardia di Finanza, con riguardo al governo dei principi contabili applicabili per la determinazione del reddito, e desumibili dalle fatture, nonché alla ripartizione dei ricavi dei fatturati su un periodo dei quattro anni precedenti; 4 circa le osservazioni e conclusioni tecniche del consulente, svalutate dal Tribunale per l’inattendibilità dello stesso, dovuta alle vicende giudiziarie che lo hanno attinto. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, perché formulato in modo non specifico quanto alla motivazione del provvedimento impugnato e, comunque, diretto ad ottenere una rivalutazione fattuale, preclusa in sede di legittimità ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen.
1.1. Deve rilevarsi, in ogni caso, che, dalla lettura del provvedimento di appello, il quale rimanda all’esaustiva motivazione di primo grado, si evince un’autonoma valutazione della Corte territoriale nel disattendere le doglianze difensive. In particolare, si è correttamente ritenuto che la soglia di punibilità
prevista dalla norma incriminatrice, sia stata superata, dovendo gli importi evasi essere riferiti tutti all’annualità 2014, anziché al quadriennio 2010-2014. Il reddito dell’impresa è stato, infatti, ricostruito in base agli accertamenti della Guardia d Finanza, mentre la mancata acquisizione dell’avviso dell’Agenzia delle Entrate risulta irrilevante, essendo chiara la determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa. Il Tribunale e la Corte d’appello, hanno condiviso tale valutazione, opportunamente disattendendo le osservazioni proposte dal consulente tecnico dott. COGNOME in quanto basate su criteri per la ricostruzione del reddito del tutto infondati e irrealistici; né il ricorrente deduce per quale ragione, invece, l osservazioni del suo consulente avrebbero dovuto essere seguite, con la conseguenza che la doglianza appare inevitabilmente assertiva e generica.
1.2. In particolare, la Corte d’appello ha rilevato in sentenza che gli elementi passivi a cui la difesa si richiama sono basati su stime e dati incompleti, mentre il ricorso per cassazione è, ancora una volta, generico sul punto.
1.2.1. Con riguardo ai costi dell’impresa, deve richiamarsi, in ogni caso, l’insegnamento secondo cui, in tema di reati tributari, al fine di determinare l’ammontare della imposta evasa, il giudice deve operare una verifica che, pur non potendo prescindere dai criteri di accertamento dell’imponibile stabiliti dalla legislazione fiscale, subisce le limitazioni che derivano dalla diversa finalità dell’accertamento penale e dalle regole che lo governano, con la conseguenza che i costi deducibili non contabilizzati vanno considerati solo in presenza, quanto meno, di allegazioni fattuali da cui desumere la certezza o comunque il ragionevole dubbio della loro esistenza (ex multis, Sez. 5, n. 40412 del 13/06/2019, Rv. 277120; Sez. 3, n. 8700 del 16/01/2019, Rv. 275856; Sez. 3, n. 37094 del 29/05/2015, Rv. 265160). In altri termini, i costi indicati possono essere ritenuti credibili se è dimostrata la loro consistenza; tuttavia, se tale consistenza si basa su mere asserzioni congetturali, prive di collegamento a concreti elementi istruttori, è corretto ritenere che tali costi siano inesistenti.
1.2.2. Nel caso di specie, l’esistenza di spese di trasferta e delle spese standardizzate dell’impresa, invocata dalla difesa, non è risultata credibile al giudice del merito, che ha ritenuto inattendibili le affermazioni del COGNOME; né avrebbe potuto ritenersi decisiva la testimonianza di COGNOME circa la ricezione di danaro contante per le spese di trasferta, in quanto essa non fornisce alcuna certezza circa l’effettiva provenienza di quel danaro dai fondi dell’impresa. Con riguardo a questi aspetti, la difesa si limita a riportarsi alla propria prospettazion rispetto ai costi, proponendo nuovaménte una doglianza del tutto generica. Correttamente, dunque, i giudici di primo e secondo grado hanno ritenuto che non ci fossero costi capaci di abbattere i ricavi, i quali, in base alle emergenze processuali, risultavano riferibili all’annualità 2014.
1.3. Sotto quest’ultimo profilo, è stata correttamente disattesa l’osservazione difensiva, secondo cui, a fronte dell’indicazione, contenuta nelle fatture, del
compimento delle operazioni prima dell’anno 2014, tali costi andavano spalmati sul quadriennio, 2010-2014. A fronte della genericità di tale prospettazione, la
Corte d’appello ha evidenziato come non vi fosse alcuna certezza circa l’effettivo compimento delle operazioni nel periodo precedente; mentre la difesa avrebbe
dovuto indicare nel ricorso perché tali fatture costituissero un indice univoco in tal senso. Al contrario, deve darsi rilievo al fatto che, se l’imputato avesse percepito
provvigioni in anni precedenti, le avrebbe fatturate in detti anni; né lo stesso imputato ha mai sostenuto di avere proceduto in tal modo, con la conseguenza
che la tesi del consulente risulta basata su una mera ipotetica asserzione puntualmente smentita dagli atti.
1.4. Con riguardo, infine, alla valutazione della prova tecnica, il Tribunale e la
Corte di merito hanno correttamente ritenuto inattendibile il COGNOME perché la sua consulenza risultava basata su mere ipotesi, stime congetturali e dati
incompleti. Non ha consistenza, dunque, la doglianza difensiva secondo cui la consulenza tecnica di parte sarebbe stata disattesa, per le significative vicende giudiziarie del COGNOME, che risultano solo incidentalmente riportate, dopo la compiuta analisi della manifesta infondatezza degli argomenti da questo addotti.
Il ricorso, per tali motivi, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sdssistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 12/12/2024.