Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 37514 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 37514 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/10/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a REGGIO CALABRIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 04/12/2024 della CORTE APPELLO di BRESCIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso e condannarsi il ricorrente al pagamento delle spese processuali e un’ulteriore somma a favore della cassa delle ammende.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 29 aprile 2024, il Tribunale di Brescia dichiarò la penale responsabilità di COGNOME NOME in ordine al reato di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 74/2000. L’imputazione contestava al COGNOME, nella sua qualità di legale rappresentante della società “RAGIONE_SOCIALE” dal 25 aprile 2016 al 6 ottobre 2017, di aver omesso la presentazione della dichiarazione ai fini IVA per l’anno di imposta 2016, con un’imposta evasa pari a € 423.693,00. Per tali fatti, veniva condannato alla pena di anni 1 e mesi 8 di reclusione, oltre pene accessorie e confisca.
La Corte di appello di Brescia, con sentenza del 4 dicembre 2024, ha confermato la decisione ritenendo infondata la tesi difensiva secondo cui l’imputato sarebbe stato un mero prestanome e si sarebbe trovato in una situazione di impossibilità ad adempiere per causa di forza maggiore, legata al suo stato di restrizione cautelare. In particolare, la Corte d’appello, per confutare la tesi del ruolo di “semplice prestanome”, ha affermato che lo stesso imputato, in sede di interrogatorio delegato del 10 aprile 2019, “aveva dichiarato di avere amministrato la società prima di venire attinto da misura cautelare”. Ha giudicato, inoltre, irrilevante la circostanza, provata documentalmente dalla difesa, che in altro procedimento penale un terzo soggetto, tale COGNOME NOME, fosse stato individuato e condannato quale amministratore di fatto della medesima società, rilevando che la ricostruzione era relativa a un’ipotesi di reato del tutto disomogenea.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l’imputato, a mezzo del difensore, deducendo tre motivi.
3.1 Con il primo motivo, si lamenta la violazione di cui all’art. 606, comma 1, lett. e) c.p.p., per contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in punto di accertamento del dolo specifico di evasione. Il ricorrente sostiene che la Corte territoriale avrebbe erroneamente equiparato la volontà omissiva con il dolo specifico di evasione, senza considerare che la posizione dell’imputato, mero prestanome, e la presentazione tardiva della dichiarazione da parte del nuovo amministratore escludevano la sussistenza dell’elemento soggettivo richiesto dalla norma. Si richiama, ancora, l’art. 13 del d.lgs. n. 74/2000.
3.2 Con il secondo motivo, si deduce il vizio di cui all’art. 606, comma 1, lett. e) c.p.p., per contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione risultante da altri atti del processo specificamente indicati. Si eccepisce, in particolare, un palese travisamento della prova con riferimento al contenuto del verbale di interrogatorio del 10 aprile 2019, nel quale l’imputato avrebbe dichiarato l’esatto contrario di quanto asserito dalla Corte d’appello, e cioè di non aver potuto esercitare le funzioni di amministratore. Si censura, inoltre, l’illogica svalutazione della sentenza che aveva accertato l’esistenza di un amministratore di fatto in capo alla medesima società.
3.3 Con il terzo motivo, si denuncia l’erronea applicazione dell’art. 533, comma 1, c.p.p., e la violazione della regola di giudizio dell’ “al di là di ogni ragionevol dubbio”. Secondo il ricorrente, la presenza di una ipotesi alternativa dotata di razionalità e plausibilità concreta, fondata su elementi probatori certi (il ruolo di prestanome e l’esistenza di un amministratore di fatto), avrebbe dovuto condurre a una pronuncia assolutoria, stante la non certezza della colpevolezza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile in quanto articolato in motivi non proponibili in sede di legittimità o, comunque, manifestamente infondati.
Il primo motivo contesta la sussistenza del dolo specifico di evasione valorizzando a tal fine anche la dichiarazione tardiva che sarebbe stata presentata il 24/7/2017 da COGNOME NOME, soggetto succeduto il 24/7/2017 a COGNOME nella carica di amministratore della RAGIONE_SOCIALE
Tale argomento, tuttavia, non si rinviene nella sintesi dei motivi di appello, essendo stati i motivi del gravame, che contestavano il giudizio di responsabilità, fondati sull’impossibilità per l’imputato di adempiere l’obbligo dichiarativo a seguito della’ restrizione della libertà personale e sull’adempimento del predetto obbligo, sia pur tardivamente, da parte del nuovo amministratore della società.
L’argomento è, quindi, inammissibile in quanto incentrato su una doglianza che non risulta proposta in sede di gravame tanto è vero che nella sentenza impugnata non se ne fa alcuna menzione ed il ricorrente non ne contesta il punto, come sarebbe stato suo onere se rilevava la non corretta sintesi dei motivi di appello.
Secondo l’orientamento di questa Corte, condiviso dall’odierno Collegio, in tema di ricorso per cassazione, la regola ricavabile dal combinato disposto degli artt. 606, comma terzo, e 609, comma secondo, cod. proc. pen. – secondo cui non possono essere dedotte in cassazione questioni non prospettate nei motivi di appello, tranne che si tratti di questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado de giudizio o di quelle che non sarebbe stato possibile dedurre in grado d’appello trova la sua “ratio” nella necessità di evitare che possa sempre essere rilevato un difetto di motivazione della sentenza di secondo grado con riguardo ad un punto del ricorso, non investito dal controllo della Corte di appello, perché non segnalato con i motivi di gravame ( Sez. 4, n. 10611 del 04/12/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 256631 – 01; Sez. 3, n. 16610 del 24/01/2017, COGNOME, Rv. 269632 – 01 ; Sez. 2, n. 8890 del 31/01/2017, COGNOME, Rv. 269368 – 01).
Oltre che tardivo, non essendo stato proposto con i motivi di appello, risulta manifestamente infondato anche il secondo argomento proposto con il primo motivo del ricorso, incentrato sulla previsione dell’art. 13 d.lgs. 74/2000 la cui applicazione postula non soltanto la presentazione della dichiarazione ma anche l’integrale pagamento dei debiti tributari, circostanza che non risulta neppure dedotta dal ricorrente.
Generico risulta il secondo motivo del ricorso.
A fronte del dedotto travisamento dell’interrogatorio incombeva sul ricorrente l’onere di allegare il verbale dell’atto istruttorio asseritamente travisato o, comunque, riprodurlo nella sua interezza così da consentire la valutazione complessiva della prova contestata verificando se il suo contenuto sia stato o meno frainteso dai giudici di merito. Invero il giudice di legittimità, lungi dal pot procedere ad una rivalutazione del fatto e del contenuto delle prove il cui apprezzamento spetta solo al giudice di merito essendo inammissibile invece nella presente fase del giudizio, deve essere messo in grado di esaminare gli elementi di prova risultanti dagli atti per verificare se il relativo contenuto è stato o meno trasfuso e valutato, senza travisamenti, all’interno della decisione, tanto più che nella sentenza impugnata risulta riportata una sintesi delle dichiarazioni rese da COGNOME. In difetto di tale preliminare adempimento il ricorso non può ritenersi autosufficiente ed incorre perciò nella censura di inammissibilità sotto il profilo del difetto di specificità, il quale comporta non solo l’onere di dedurre le censure che l’imputato intende muovere su punti circoscritti della decisione, ma altresì, allorquando sia dedotto il vizio di manifesta illogicità e/o contraddittorietà della motivazione rispetto ad atti specificamente indicati, quello di curarne l’integrale trascrizione o allegazione al fascicolo trasmesso al giudice di legittimità, così da rendere lo stesso autosufficiente con riferimento alle relative doglianze, anche provvedendo a produrli in copia nel giudizio di cassazione (ex multis Sez. 4, n. 34704 del 14/10/2025, COGNOME; Sez. 4, n. 3937 del 12/01/2021, COGNOME, Rv. 280384 – 01; Sez. 4, n. 46979 del 10/11/2015 (dep. 2015), RAGIONE_SOCIALE, Rv. 265053, Sez. 2, n.26725 del 01/03/2013, COGNOME, Rv. 256723).
Stesso deficit presenta l’argomento incentrato sulla sentenza del Tribunale di Brescia, non essendo stata allegata al ricorso la pronuncia, di cui, comunque, il ricorrente lamenta una non adeguata valutazione, cosicché la critica, più che vertere sulla logicità e coerenza della motivazione, si incentra sul peso significativo attribuito alla sentenza nel ragionamento probatorio.
Devono, pertanto, essere richiamati gli incontrastati orientamenti di questa Corte, da lungo tempo consolidati ( Sez. 6, n. 1354 del 14/04/1998, Kurzeja, Rv. 210658 – 01) secondo cui il controllo sulla motivazione demandato al giudice di legittimità resta circoscritto, in ragione dell’espressa previsione normativa dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), al solo accertamento sulla congruità e coerenza dell’apparato argonnentativo, con riferimento a tutti gli elementi acquisiti nel corso del processo, e non al suo contenuto valutativo, non potendo risolversi in una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o dell’autonoma scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in termini più favorevoli per il ricorrente, magari altrettanto logici ma comunque significativamente diversi (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Rv. 205621). Va infatti ancora una volta chiarito
che il controllo di legittimità concerne il rapporto tra motivazione e decisione, non già il rapporto tra prova e decisione; sicché il ricorso per Cassazione che devolva il vizio di motivazione, per essere valutato ammissibile, deve rivolgere le censure nei confronti della motivazione posta a fondamento della decisione, non già nei confronti della valutazione probatoria ad essa sottesa, che, in quanto riservata al giudice dì merito, è estranea al perimetro cognitivo e valutativo della Corte di cassazione. Il vizio di cui all’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., in altri termini ravvisabile solo quando il tessuto argomentativo del provvedimento presenti fratture logiche insanabili, tali da renderlo palesemente viziato da irrazionalità o basato su premesse fattuali inesistenti o travisate, così da collidere con il modo di ragionare comune, quasi sorprendendo il lettore per la sua insensatezza, ma non quando il ricorrente proponga una lettura alternativa, per quanto plausibile, del materiale probatorio. Esula dai poteri della Cassazione, relativamente al controllo della motivazione del provvedimento impugnato, quello di una nuova e diversa valutazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, giacché tale attività è riservata esclusivamente al giudice di merito a (anche Sez. U, n. 47289 del 24/9/2003, COGNOME, Rv. 226074; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794; Sez. 7, ord. n. 34457 del 10/9/2025, COGNOME; Sez. 6, n. 27429 del 4/7/2006, COGNOME, Rv. 234559; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, COGNOME, Rv. 265482 vedi).
Non consentito risulta l’ultimo motivo del ricorso che sotto la denuncia della violazione di legge ripropone una lettura alternativa del compendio probatorio.
Non sono coltivabili nella sede di legittimità – e sono dunque inammissibili – i motivi, con i quali si lamenta violazione della regola di giudizio di cui all’art. 533, fondata sul canone di cui al comma 2 dell’art. 192 cod. proc. pen., oltre alla manifesta illogicità della motivazione in punto di valutazione delle prove, per pervenire, magari, come nel caso in esame, attraverso una lettura parcellizzata e atomistica degli elementi indiziari, ad una diversa ricostruzione del fatto, pur a fronte di una valutazione priva di evidenzi vizi motivazionali operata dai giudici di merito.
Le possibili diverse ipotesi in ordine al concatenarsi logico posto a fondamento della decisione impugnata assumono rilevanza in materia di ricorso per Cassazione, permettendo di ravvisare un vizio di motivazione, solo quando la ricostruzione difensiva sia inconfutabile, ovvia e non rappresentare solamente un’alternativa a quella ritenuta in sentenza (Sez. 1, n. 22240 del 17/4/2024, COGNOME; Sez. 2, n. 37876 del 12/9/2023, COGNOME; Sez. 6, n. 11194 del 8/3/2012, Lupo, Rv 252178; Sez. 1, n. 13528 del 11/11/1998, COGNOME, Rv. 212054).
A fronte dell’apparato argomentativo che sorregge la decisione, il tentativo di sminuire la portata indiziaria degli elementi probatori valorizzati dai giudici di
merito mediante le deduzioni opposte dal ricorrente prospettanti il mancato superamento del dubbio ragionevole mirano a sollecitare una diversa valutazione del compendio probatorio, operazione che, a fronte del preciso ancoraggio alle emergenze processuali e del rigore logico giuridico che connota le scansioni dell’iter argomentativo della decisione impugnata, è, come già osservato, preclusa al giudice di legittimità cui non è attribuita la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, 4 COGNOME, Rv. 283370; Sez. 2, n. 9106 del . 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747; Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601; Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217).
Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende, esercitando la facoltà introdotta dall’art. 1, comma 64, I. n. 103 del 2017, di aumentare oltre il massimo la sanzione prevista dall’art. 616 cod. proc. pen. in caso di inammissibilità del ricorso, considerate le ragioni dell’inammissibilità stessa come sopra indicate.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende
Così deciso il 16/10/2025