Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 1974 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 1974 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a NOVARA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 05/05/2023 della CORTE APPELLO di TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Presidente NOME COGNOME; letta la requisitoria del Procuratore generale, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Torino, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la pronuncia con la quale il 16/12/2021 il Tribunale di Novara aveva dichiarato COGNOME NOME responsabile dei reati a lui ascritti ai sensi dell’art.189, commi 1, 6 e 7, d. Igs. 30 aprile 1992, n. 285 e, previa applicazione delle attenuanti generiche, ritenuta la continuazione, lo aveva condanNOME alla pena di mesi otto giorni 15 di reclusione in relazione a un fatto commesso in Momo il 31 ottobre 2014 applicando la sanzione amministrai:iva accessoria della sospensione della patente di guida per la durata di anni uno e mesi sei con la sospensione condizionale della pena e dichiarando l’improcedibilità in relazione al reato di cui all’art. 590 cod. pen. per remissione di querela.
Con il secondo motivo deduce inosservanza dell’art. 131 bis cod. pen., carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine al mancato riconoscimento della particolare tenuità del fatto. In costanza di conseguenze dannose certamente circoscritte non si sarebbe potuto argomentare sulla base di una valutazione di carattere ipotetico circa le conseguenze che si sarebbero potute verificare per negare la tenuità della condotta.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non supera il vaglio di ammissibilità.
Il fatto è stato così ricostruito, sulla base della deposizione di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME: NOME COGNOME, tra le 19 e le 20, mentre stava tornando a piedi a casa lungo una via priva di marciapiede, era stata urtata al braccio sinistro dallo specchietto retrovisore destro di un’autovettura; dopo l’impatto, era andata a sbattere con il braccio contro la finestra di una casa ed era caduta a terra facendosi male al braccio destro e riportando ecchimosi su entrambe le gambe; avendo udito l’urto dalle finestre della cucina antistanti la strada, era sopraggiunta la signora COGNOME, la quale si era diretta correndo verso l’autovettura, nel frattempo arrivata all’altezza della curva, e aveva chiesto al conducente di fermarsi, ma la macchina si era allontanata; la COGNOME aveva denunciato il fatto, consegnando ai Carabinieri lo specchio caduto in seguito all’urto; i Carabinieri avevano successivamente individuato l’autovettura rinvenendo, a poche centinaia di metri dal luogo dell’evento, un’autovettura parcheggiata, dello stesso colore e dello stesso modello di quella indicata dalla persona offesa e dalla teste COGNOME, con lo specchietto retrovisore destro danneggiato e privo dello specchio raccolto dalla COGNOME e consegNOME agli agenti; gli agenti avevano accertato da COGNOME NOME, padre dell’imputato, che l’autovettura, di proprietà di terzi, era usata da lui e dal figlio e che la sera dei fatti il figlio era rientrato a casa all’ora di cena.
Le dichiarazioni rese da NOME COGNOME sono state considerate intrinsecamente attendibili e, peraltro, rese da persona che non si era costituita parte civile e che, anzi, aveva rimesso la querela. La versione dei fatti resa dalla COGNOME era corroborata dalle dichiarazioni rese dai testi, dalle quali è stato desunto altresì
che l’imputato si fosse reso conto dell’urto, avendo inizialmente arrestato la marcia dell’autovettura ma essendosi allontaNOME una volta rincorso dalla COGNOME.
Il primo motivo di ricorso tende a ottenere una rivisitazione delle acquisizioni istruttorie, non consentita in fase di legittimità, peraltro reiterando argomenti già sottoposti all’esame del giudice di appello ; il quale ha sottolineato che la COGNOME non aveva riportato un semplice trauma contusivo al ginocchio, ma diversi graffi e lividi, tenendo il braccio immobilizzato per cinque giorni; che il fatto era avvenuto lungo una strada del centro abitato illuminata; che l’urto era stato talmente violento che la vittima, dopo aver sbattuto contro la finestra (provocando un rumore così forte da destare l’attenzione di una persona ivi residente), era rovinata a terra; che l’impatto era stato di tale intensità da divellere lo specchietto retrovisore destro dell’autovettura; che l’imputato aveva inizialmente rallentato la marcia per poi allontanarsi, dopo essere stato raggiunto dalle grida della donna, senza prestare soccorso.
3.1. La Corte territoriale ha preso in esame anche il fatto che il rallentamento, secondo la difesa, potesse essere determiNOME dalle caratteristiche della strada e dalla necessità di imboccare una curva stretta, ritenendo tuttavia tale ricostruzione contraddetta sul piano logico e fattuale dalla circostanza che la donna intervenuta avesse visto l’autovettura investitrice ancora nei pressi della curva quando era uscita dall’abitazione per prestare soccorso; la donna, inoltre, aveva rivolto all conducente la richiesta di arrestare la marcia.
3.2. Limitandosi a reiterare argomenti già sottoposti con atto di gravame all’esame della Corte di appello, la censura risulta aspecifica in quanto trascura di confrontarsi con tale motivazione. I giudici di appello hanno, in ogni caso, correttamente ritenuto sussistente la condotta omissiva anche in presenza di una «situazione di difficoltà indicativa del pericolo che dal ritardato soccorso potrebbe derivare per la vita o l’integrità fisica della persona», secondo consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità.
3.3. Giova rimarcare che il percorso argomentativo adottato è in generale coerente con i principi di diritto elaborati sul tema oggetto del processo. Secondo il consolidato insegnamento della Corte di legittimità, affinché il precetto dell’obbligo di fermarsi sia rispettato, occorre che l’agente effettui una fermata che, per le concrete modalità, gli consenta di rendersi conl:o dell’accaduto ed eventualmente mettersi in condizione di prestare assistenza ai feriti e, comunque, di essere identificato ai fini della compiuta ricostruzione dell’accaduto e di eventuali azioni risarcitorie (ex plurimis Sez. 4, n. 9212 del 11/2/2020, .COGNOME NOME, Rv. 278606). Il reato di fuga previsto dall’art. 189, comma 6, cod.
strada, invero, è reato omissivo di pericolo che impone all’agente di fermarsi in presenza di un incidente che sia riconducibile al suo comportamento e che sia concretamente idoneo a produrre eventi lesivi, non essendo necessario che si debba riscontrare l’esistenza di un effettivo danno alle persone, peraltro non accertabile immediatamente nella sua sussistenza e consistenza (Sez. 6, n. 21414 del 16/02/2010, COGNOME, Rv. 247369; Sez. 4, n. 34335 del 03/06/2009, COGNOME, Rv. 245354; Sez. 4, n. 3982 del 12/11/2002, dep. 2003, COGNOME, Rv. 223499). Il reato di omissione di assistenza presuppone, poi, quale antefatto non punibile, un incidente stradale da cui sorge l’obbligo di assistenza anche nel caso di assenza di ferite in senso tecnico, essendo sufficiente lo stato di difficoltà indicativo del pericolo che dal ritardato soccorso possa derivare per la vita o l’integrità fisica della persona (Sez. 4, n. 21049 del 6/4/2018, COGNOME, Rv. 273255), posto che l’elemento psicologico sussiste quantomeno nella forma del dolo eventuale nel momento in cui l’agente, per effetto del suo allontanamento, rifiuti di accertare la sussistenza degli elementi in presenza dei quali la condotta costituisce reato.
Ed è proprio in considerazione della natura di reato di pericolo che il secondo motivo di ricorso deve ritenersi manifestamente infondato. Il giudice di primo grado aveva indicato nelle conseguenze lesive riportate dalla COGNOME le ragioni per le quali l’offesa al bene giuridico non potesse considerarsi particolarmente tenue; la Corte di appello ha avuto riguardo al pericolo derivante dall’omesso soccorso in considerazione delle modalità del fatto, indicative di un pericolo di ben più gravi pregiudizi per la salute della persona investita. Contrariamente a quanto allegato dalla parte ricorrente, la motivazione è coerente rispetto al bene giuridico protetto dalla norma violata. Si tratta, infatti, di reati di pericolo, in quanto richiedono che la condotta dei consociati, in presenza di un sinistro stradale da cui possano essere derivate lesioni personali, sia rispettosa di un obbligo di solidarietà e di intervento che ha come fulcro l’assistenza del consociato in difficoltà; l’ordinamento è, infatti, interessato a garantire l’adempimento di doveri di solidarietà sociale, da preservarsi soprattutto quando siano in gioco i beni della vita e dell’incolumità personale, mediante la tutela – anticipata degli interessi ritenuti rilevanti dal legislatore, esonerando l’agente dal procedere alla valutazione in ordine alla concretezza del pericolo e imponendo nell’immediato di conformarsi alla condotta prescritta.
Per tali ragioni il ricorso deve dichiararsi inammissibile. Alla declaratoria d’inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della
Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa n determinazione della causa di inammissibilità», il ricorrente va condanNOME pagamento di una somma che si stima equo determinare in euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento dell spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa dell Ammende.
Così deciso il giorno 11 gennaio 2024
e estensore Il