Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 7383 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 7383 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/02/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a Mazara Del Vallo il 23/04/1950 COGNOME NOME nato a Mazara Del Vallo il 06/08/1961 COGNOME nato in Senegal il 04/01/1985 COGNOME NOME nato in Tunisia il 20/05/1960 COGNOME Alfonso nato a Roccapalumba il 14/09/1955 inoltre:
Associazione Gandhi Associazione progetto diritti onlus
avverso la sentenza del 01/12/2023 della Corte d’appello di Palermo Visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Presidente NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del l’Avvocato generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità dei ricorsi; NOME COGNOME in sostituzione, con delega orale, dell’Avv. NOME COGNOME difensore della parte civile RAGIONE_SOCIALE, nonché in sostituzione, con delega orale, dell’Avv. NOME COGNOME difensore della parte civile Associazione Gandhi, che ha chiesto la conferma della sentenza, depositando nota spese udito l’Avv. e conclusioni alle quali si riporta;
uditi i difensori dei ricorrenti, Avv. NOME COGNOME ed Avv. NOME COGNOME che, in esito alla discussione orale, hanno chiesto l’accoglimento dei motivi dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 1° dicembre 2023, la Corte d’appello di Palermo , in parziale riforma della sentenza del 9 dicembre 2020 del Tribunale di Agrigento, appellata, per quanto qui rileva, da NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, previo riconoscimento dell’equivalenza tra l’attenuante già concessa e la contestata aggravante a NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, nel confermare il giudizio di penale responsabilità per il reato di cui all’art. 1158, secondo comma, cod. nav. per tutti gli imputati, rideterminava la pena irrogata in 1 anno ed 8 mesi di reclusione ciascuno, revocando la pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici, riconoscendo il beneficio della sospensione condizionale della pena a NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME ed, infine, confermando nel resto la sentenza appellata, con condanna di NOME COGNOME alle spese processuali ed a quelle sostenute nel giudizio d’appello dalle parti civili costituite.
Avverso la predetta sentenza hanno proposto separati ricorsi per cassazione i difensori degli imputati, deducendo complessivamente cinque motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173, disp. Att. cod. proc. pen.
Ricorrenti NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME (difesi dagli avv.ti COGNOME e COGNOME).
3.1. Deducono i predetti ricorrenti, con un primo motivo, il vizio di motivazione quanto alla sussistenza del fatto e mancata assunzione di prove decisive.
In sintesi, la difesa dei ricorrenti lamenta la mancata assunzione delle prove decisive richieste all’udienza 15/11/2023 costituite, da un lato, da una perizia tecnica metereologica al fine di accertare le esatte condizioni meteo-marine presenti nella notte del 3 ottobre 2013 nelle acque teatro dell’evento in esame e, in subordine, l’esame del Col. COGNOME autore della relazione tecnica allegata alla consulenza del C.A. NOME COGNOME. Si censura la motivazione della sentenza impugnata che ha ritenuto tale adempimento istruttorio non necessario ai fini della decisione ai sensi dell’art. 603 cod. proc. pen., da considerarsi come superfluo e superato dagli accertamenti peritali svolti. Premesso che la richiesta istruttoria riguardava anche l’esame del Col. COGNOME autore della nota del 13/10/2022 prodotta dalla difesa degli imputati, si sostiene che l’esatta conoscenza di quali fossero le condizioni meteo-marine in quei momenti costituirebbe un elemento assolutamente ineludibile. La difesa avrebbe sempre contestato i dati utilizzati
dal consulente tecnico del pubblico ministero e poi fatti propri dal perito in quanto rappresentanti non già il risultato della constatazione di condizioni effettivamente verificatesi, bensì un mero modello previsionale. Non risponderebbe quindi al vero l’affermazione contenuta in sentenza secondo la quale al momento del fatto soffiasse un vento proveniente da sud-est di intensità di 10/15 nodi, atteso che la documentazione richiamata dalla difesa (ad esempio, i bollettini meteorologici della stazione Enav di Lampedusa), davano atto di come dalla serata del 2 ottobre vi era un’assoluta calma di vento e che un vento, con direzione est nord-est e con velocità di 8 nodi, era sorto solo a partire dalle 04:00, laddove i fatti sarebbero intervenuti tra le 3:00 e le 5:00 del mattino del 3 ottobre 2013. In sostanza, analizzando i dati prospettati dalla difesa si sarebbe giunti alla conclusione che nelle ore immediatamente precedenti il naufragio, il barcone dei migranti si trovava in un punto del tutto diverso da quello ipotizzato, talmente distante dalla rotta seguita dal motopeschereccio NOME da non consentire al suo equipaggio di scorgere il barcone, dunque un alibi sufficiente a dimostrare che il motopeschereccio non sarebbe in realtà identificabile in alcuna delle due imbarcazioni che i superstiti avrebbero dichiarato essersi loro avvicinate. Conclusivamente viene censurata, pertanto, l’illogicità della motivazione delle sentenze di merito in quanto fondata su un travisamento di fatto, ossia l’aver assunto, contrariamente al vero, che le condizioni meteo-marine presenti al momento del fatto avrebbero corroborato l’assunto che il motopeschereccio tra le 3:00 e le 5:00 del 3 ottobre 2013 venne a trovarsi a distanza tale dal barcone dei migranti da potersi avvedere gli imputati della situazione di pericolo in cui lo stesso versava, laddove distinte e diverse emergenze tecniche certificherebbero che tale distanza non fu mai inferiore a 1200 mt., e tale comunque da impedire ogni possibile avvistamento. Accanto a tale vizio motivazionale, viene poi aggiunta l’omessa assunzione delle prove sollecitate dalla difesa con atto del 15 novembre 2013, reputate assolutamente necessarie per accertare le effettive condizioni meteo-marine al momento del fatto, costituendo esse necessaria ed indispensabile premessa di fatto al fine di verificare se i ricorrenti furono mai nelle condizioni di poter avvistare il barcone dei migranti e rendersi conto delle condizioni di pericolo in cui versava.
3.2. Deducono, con un secondo motivo comune a tutti i predetti ricorrenti, il vizio di violazione di legge ed il correlato vizio di mancanza di motivazione con riferimento all’art. 1158, comma 2, cod. nav.
In sintesi, si censura la sentenza impugnata nella parte in cui i giudici non avrebbero spiegato sulla scorta di quali elementi dimostrativi fosse addebitabile all’equipaggio del motopeschereccio il successivo ribaltamento del barcone ed il conseguente annegamento di 366 migranti. I giudici di merito avrebbero totalmente obliterato la questione, da qui il vizio di mancanza assoluta di motivazione su un punto decisivo, vizio reso ancora più evidente ove si considerino una serie di decisivi elementi
emergenti dalle sentenze. In particolare, si evidenzia come le sentenze concordano sul fatto che l’incontro tra l’Aristeus e il barcone dei migranti sarebbe avvenuto tra le 3:00:05 e le 03:21. La sentenza d’appello, in particolare, specifica che il momento di arrivo del barcone sarebbe da indicare intorno alle 3:00 e che i suoi occupanti avrebbero avvistato l’Aristeus a quell’ora, aggiungendo che il barcone sarebbe rimasto alla deriva per circa due ore e mezza. Numerosi superstiti avrebbero riferito che il naufragio del barcone era avvenuto un’ora e mezza – due ore dopo il loro arrivo sul luogo, e che ciò sarebbe accaduto a seguito della improvvida iniziativa dello scafista che, a scopo di segnalazione, aveva dato fuoco a degli stracci, generando un incendio a bordo, provocando a quel punto lo spostamento dei naufraghi su di un lato del barcone, in quanto impauriti, ciò che avrebbe provocato il ribaltamento dell’imbarcazione. Tali eventi sarebbero collocabili almeno un’ora e mezza dopo il momento di massima vicinanza tra le due barche, anzi in un momento successivo a quello i n cui l’Aristeus era già ormeggiato nella banchina del porto di Lampedusa, ossia alle 04:18. In definitiva, il ribaltamento del barcone sarebbe avvenuto non solo dopo parecchio tempo rispetto all’avvicinamento del motopeschereccio, ma soprattutto a causa di una sequenza di eventi del tutto imprevedibili e privi di qualunque collegamento causale con la condotta omissiva degli imputati. Tenuto conto della previsione normativa dell’art. 1158, secondo comma, cod. nav., occorre la sussistenza di un nesso di derivazione tra la supposta omissione e l’evento morte, senza che l’evento possa farsi derivare automaticamente dall’omissione. Il naufragio, nel caso di specie, non sarebbe automaticamente derivato dalla iniziale condizione di deriva del barcone che imponeva all’equipaggio del motopeschereccio di prestare soccorso, ma semmai da una nuova imprevedibile situazione di pericolo determinata dalla improvvida iniziativa dello scafista, senza la quale il naufragio non si sarebbe verificato. In sostanza, l’azione dello scafista avrebbe dato avvio ad una nuova serie causale non prevedibile da chi prima, ma in condizioni del tutto diverse, aveva omesso di dare soccorso. Sarebbe stato quindi obbligo ineludibile del giudice di merito motivare sulla sussistenza del nesso causale tra condotta omissiva ed evento letale in presenza, soprattutto, dell’interferenza derivata dall’improvvisa ed imprevedibile condotta dello scafista.
3.3. Deducono, con un terzo motivo parimenti comune a tutti i predetti ricorrenti, il vizio di violazione di legge e il correlato vizio di mancanza della motivazione in relazione all’art. 1158, comma 2, cod. nav. anziché del comma 3, che prevede un’ipotesi di responsabilità colposa.
In sintesi, si sostiene che alla luce delle emergenze processuali, si sarebbe potuto ritenere a carico degli imputati di essere stati negligenti nel valutare la situazione, non rendendosi conto del pericolo, ovvero di essere stati imprudenti nel valutare le conseguenze di un atteggiamento omissivo, di talché gli stessi al più avrebbero dovuto rispondere a titolo di colpa. Su tale questione i giudici di appello non avrebbero fornito
alcuna motivazione: si trattava di spiegare sulla base di quali elementi era possibile affermare che gli imputati avessero realmente percepito la situazione di pericolo e, quindi, avessero dolosamente omesso di intervenire in soccorso, ovvero che i medesimi imputati fossero incorsi in colpa per avere negligentemente e imprudentemente sottovalutato la situazione di pericolo.
3.4. Deducono, infine, con un quarto motivo, limitatamente alla posizione dei ricorrenti COGNOME, COGNOME e COGNOME, il vizio di violazione di legge ed il correlato vizio di mancanza e manifesta illogicità della motivazione in relazione all’art. 1081, cod. nav.
In sintesi, si osserva che l’art. 1081 cod. nav. non integra una forma di responsabilità oggettiva ma una forma di responsabilità concorsuale, che richiede un apporto causale di ogni agente, singolarmente considerato. Erroneamente i giudici di merito avrebbero affermato la responsabilità di tutti i componenti dell’equipaggio sul presupposto che, come ammesso da alcuni di essi nei rispettivi interrogatori, tutti quanti avrebbero avuto la possibilità di vedere fuori e, quindi, una possibilità di sguardo verso l’esterno. In realtà, si osserva, nessuno degli imputati avrebbe mai detto di aver visto, e lo stesso comandante del motopeschereccio avrebbe detto che tutti potevano vedere e non che tutti avevano visto. Si tratterebbe, quindi, di una conclusione arbitraria in termini di certezza, in quanto muoverebbe da una base probabilistica, senza considerare le mansioni cui ciascuno dei marinai era in quel momento impegnato. Anche ad ammettere che ciascuno dei componenti l’equipaggio avesse effettivamente visto l’imbarcazione su cui si trovavano i migranti e ne avesse percepito adeguatamente la condizione di pericolo, non sarebbe emerso tuttavia alcun elemento probatorio idoneo a dimostrare che ognuno degli imputati, individualmente considerato, avrebbe avuto un ruolo causale nella scelta di omettere il dovuto soccorso, ancorché solamente psichico. In sostanza, i giudici avrebbero inammissibilmente optato per una responsabilità collettiva ritenendo indiscriminatamente colpevoli tutti gli imputati per il sol fatto che si trovassero a bordo del motopeschereccio, senza chiarire quale sia stato il predetto contributo e quali gli elementi da cui sia stata ricavata la pretesa adesione alla condotta omissiva propria del comandante. L’opzione generalizzatrice adottata dai giudici di merito non si sarebbe, dunque, confrontata con le regole giuridiche che, per espressa previsione del codice della navigazione, disciplinano la vita di bordo e definiscono in maniera piramidale le attribuzioni e le responsabilità di ogni singolo componente l’equipaggio, attribuendo al comandante in modo esclusivo la responsabilità. Vi sarebbe una sola ipotesi in cui il potere decisionale del comandante è subordinato alla previa consultazione dell’equipaggio, ossia l’abbandono della nave: in tutti gli altri casi, il comandante avrebbe un potere assoluto, e l’inosservanza dei suoi ordini esporrebbe ciascun membro dell’equipaggio a pesanti sanzioni. In tale quadro normativo, ed in assenza di elementi che permettessero di sapere chi tra i componenti dell’equipaggio avesse fatto cosa, qualunque addebito di responsabilità a carico di ciascuno di essi si rivelerebbe del tutto
apodittico e fondato su mere congetture. In altri termini, occorreva che la sentenza spiegasse, posto il loro ruolo subordinato, quale fosse stata la condotta contributiva del Di COGNOME e del COGNOME e quale fosse stata quella di COGNOME che, da semplice marò , è posto in fondo alla scala gerarchica.
Deduce, infine, il ricorrente COGNOME (difeso da ll’ avv. COGNOME, un unico, articolato motivo eccependo il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 1081 e 1158, comma 2, cod. nav. nonché in relazione agli artt. 62bis , 157 e 175, cod. pen.
In sintesi, il ricorso richiama per larga parte gli argomenti già sviluppati nei primi tre motivi di ricorso, comuni agli altri quattro ricorrenti ed illustrati in precedenza (segnatamente, evidenziando il ruolo del ricorrente, analogo a quello di Ndong, in quanto anch’egli semplice marò ), soffermandosi, invece, in via autonoma, a censurare la sentenza impugnata per quanto concerne il trattamento sanzionatorio, la mancata concessione del beneficio della non menzione e la mancata declaratoria di prescrizione. In particolare, si sostiene, anzitutto, che i giudici d’appello avrebbero dovuto dichiarare l’estinzione del reato per prescrizione, in quanto, essendo stata ritenuta l’attenuante di cui all’articolo 1081 cod. nav., ritenuta implicitamente prevalente sull’aggravante contestata, la pena massima era di anni due e non di anni 8, per come erroneamente indicato dal tribunale. Si aggiunge, poi, che al ricorrente avrebbero dovuto essere riconosciute le circostanze attenuanti generiche, tenuto conto dello stato di incensuratezza e della condotta serbata nel corso del processo. I giudici d’appello non avrebbero tenuto conto del ruolo avuto da ciascun soggetto e, in particolare, dal ricorrente, chiamato a rispondere di una condotta nonostante la sua modesta qualifica di marò ; le circostanze attenuanti generiche, dunque, avrebbero peraltro potuto essere ritenute prevalenti sulla contestata aggravante. Censurabile sarebbe l’affermazione del tribunale che ha negato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche per evitare una riduzione della pena, non potendo infatti essere le circostanze attenuanti generiche negate solo perché l’obiettivo finale del giudice è quello di irrogare una pena esemplare. Al ricorrente, infine, ben avrebbe potuto essere concesso il beneficio della non menzione della condanna, ricorrendone le condizioni oggettive e soggettive e non ricorrendo alcun motivo ostativo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi, trattati in presenza a seguito di richiesta di discussione orale, accolta dal Presidente titolare, sono inammissibili.
Muovendo dall’ordine seguito di illustrazione dei motivi, la Corte esaminerà anzitutto i quattro motivi di ricorso proposti da NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME
3. Il primo motivo è inammissibile.
3.1. Premesso che è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che nel dibattimento del giudizio di appello, la rinnovazione di una perizia può essere disposta soltanto se il giudice ritenga di non essere in grado di decidere allo stato degli atti (tra le tante: Sez. 2, n. 36630 del 15/05/2013, Rv. 257062 -01, la quale ha precisato che, in caso di rigetto della relativa richiesta, la valutazione del giudice di appello, se logicamente e congruamente motivata, è incensurabile in cassazione, in quanto costituente giudizio di fatto), deve rilevarsi come i giudici di appello, nel motivare il rigetto della richiesta di perizia tecnica meteorologica, hanno argomentato alle pagg. 36/39 le ragioni per le quali non vi era alcuna necessità, ai fini della decisione, di tale mezzo istruttorio integrativo, ritenendolo superfluo e superato dagli accertamenti peritali svolti, il tutto con motivazione del tutto immune dai denunciati vizi. Né potendosi, del resto, qualificare il giudizio svolto dai giudici territoriali quale frutto di un travisamento che, a ben vedere, non sarebbe probatorio ma ‘fattuale’, esulando quindi dal vizio di motivazione ex art. 606, lett. e), cod. proc. pen., essendo infatti ormai consolidato l’orientamento secondo cui nel giudizio di legittimità non è deducibile il vizio di travisamento del fatto inteso come ipotesi di contrasto tra le argomentazioni del contesto motivazionale e gli atti processuali, sicché il controllo demandato alla Corte di cassazione ha ad oggetto l’accertamento della mancanza e della illogicità manifesta della motivazione risultanti dal testo del provvedimento impugnato e non può esplicarsi in indagini extratestuali dirette a verificare se i risultati dell’interpretazione delle prove, costituenti i dati fondanti della decisione, siano effettivamente corrispondenti alle acquisizioni probatorie risultanti dagli atti del processo (Sez. 1, n. 94 del 10/01/2000, Rv. 215336 -01).
3.2. Quanto sopra, si noti, vale anche per l’ulteriore mezzo istruttorio richiesto in via integrativa, costituito dall’esame del col. COGNOME (come anche del Col. COGNOME), posto che la sentenza impugnata si prende carico di esaminare anche i relativi profili di superfluità, evidenziando come le tavole provenienti da Comet (ritenute dalla difesa utili a ricostruire diversamente le condizioni meteomarine presenti nel momento e luogo del tragico evento), non fossero idonee a scalfire la ricostruzione operata dal consulente tecnico del pubblico ministero, poi condivisa dal perito d’ufficio nominato dalla Corte territoriale. Invero, con riferimento alle predette tavole (su cui avrebbe dovuto fondarsi l’esame dei testi indicati nella ric hiesta integrativa istruttoria ex art. 606, cod. proc. pen.), il perito COGNOME ha precisato come le stesse non potessero prendersi a base dell’accertamento, in quanto contenenti una mappatura troppo estesa e comprendente tutto il bacino del Mediterraneo e lo stretto di Sicilia, evidenziando comunque che dalle
stesse tavole emergeva che il mare era poco mosso, con un’onda di circa mezzo metro, che il vento seguiva una direzione rotatoria da est/sud/est verso ovest/nord/ovest e che, in ogni caso, anche ammettendo un’intensità di vento pari a 7-8 nodi, ciò non avrebbe modificato le sue conclusioni, in quanto questa lieve maggiore intensità avrebbe potuto spostare il barcone dei migranti, nell’arco temporale di due ore considerato, soltanto di qualche metro.
3.3. Accanto a tali elementi, del resto, i giudici territoriali valorizzano gli ulteriori elementi indiziari indicati nella sentenza di primo grado, costituiti dalle buone condizioni del mare e di visibilità nella notte del 3 ottobre 2013, attestate dagli imputati COGNOME e COGNOME, nonché dagli occupanti della COGNOME, COGNOME COGNOME che ricordava del mare tranquillo e fermo, COGNOME NOME, che ricordava della bonaccia del mare, calmo e piatto collimanti con l’accusa in quanto, come affermato dal primo giudice, compatibili con il ritenuto avvistamento del barcone da parte dell’equipaggio del motopeschereccio, non solo con il radar, ma anche ad occhio nudo, a seguito dell’avvicinamento e dell’avvenuto indirizzamento di fari di bordo; ancora la propagabilità della voce in mare aperto, laddove il teste COGNOME aveva riferito che una voce in mare può dirsi anche a 500-1.000 m di distanza con motori spenti, vento assente e voce elevata di chi richiede soccorso, e tenuto altresì conto che gli occupanti della Gamar avvertivano in effetti le grida dei migranti a dispetto della notevole distanza e sebbene l’imbarcazione da diporto si trovasse ormeggiata nei pressi dell’isola dei Conigli; ancora, la circostanza che il motopeschereccio aveva rallentato notevolmente la propria navigazione sino a fermarsi, in tal modo risultando perfettamente raggiungibile dalle richieste di soccorso dei migranti; ancora, l’avvenuto spegnimento dei motori da parte del medesimo motopeschereccio sulla scorta dei tracciati AIS del peschereccio medesimo, spegnimento peraltro sconsigliato da motivi di sicurezza, di tal che lo stesso avrebbe potuto giustificarsi solo a fronte di una grave ragione, quale l’avvistamento del barcone dei migranti, e che avrebbe consentito alle loro richieste d’aiuto di raggiungere nitidamente l’equipaggio giacché non sovrastate o disturbate dal rumore dei motori; ancora, le dichiarazioni del giornalista COGNOME che contestava i tracciati AIS che attestavano la presenza del motopeschereccio in prossimità del luogo di affondamento del barcone dei migranti ad alcuni degli appellanti che lo negavano, laddove vi erano delle parziali ammissioni provenienti subito dopo dall’Asfoun e ritrattate su impulso della moglie; ancora, le contraddizioni degli interrogatori degli imputati laddove al Gancitano si contestavano divergenze tra l’orario di ingresso al porto indicato tra le 3:00 e le 03:30 e quello registrato dalla locale Capitaneria, ossia le 04:14, chiedendogli spiegazioni sulle insolite manovre rispetto alle quali lo stesso rimaneva silente al pari degli imputati COGNOME, COGNOME e COGNOME, mentre le spontanee dichiarazioni scritte degli imputati COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME, oltre a essere sprovviste di valore probatorio, erano risultate idonee a superare le contraddizioni segnalate; ancora, le incongruenze tra gli
orari di trasbordo del pescato e la notizia del naufragio rispetto alla comunicazione della Gamar alla Guardia costiera, laddove il COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME dichiaravano di aver appreso del naufragio nel corso delle operazioni di a bordo del pescato una volta giunti sulla banchina portuale di Lampedusa da alcuni soggetti ivi presenti, COGNOME indicava l’orario delle 06:15, COGNOME asseriva che raggiungeva il porto tra le 3:00 e le 4:00 e lo scarico del pesce durava due ore all’esito delle quali sapeva del naufragio, mentre COGNOME indicava le 06:30- 7, informato da COGNOME che lo aveva saputo da un lampedusano, a fronte di quanto dichiarato dal COGNOME che indicava le 05:30- 5:45 da alcuni astanti, nell’impugnata sentenza era stato correttamente sottolineato che tali dichiarazioni apparivano inconciliabili con le tempistiche del soccorso alla cui stregua la prima chiamata della nave da diporto Gamar alle autorità costiere avveniva via radio, infatti alle successive 07:01, ciò che confermerebbe il personale avvistamento; ancora, il mancato utilizzo della radio di bordo da parte dell’COGNOME, sul punto non fornendosi alcuna spiegazione in merito da parte degli imputati né venendo altrimenti accertata, risultando al contrario che l’COGNOME riceveva diverse chiamate da parte della Capitaneria di porto di Lampedusa a cui non rispondeva, delegando le comunicazioni all’autorità portuale, afferenti all’ingresso e uscita dalla banchina, ad altre due imbarcazioni della stessa flotta, trattandosi in definitiva di una condotta anomala ed incongruente che non poteva che andare ad infoltire il già nutrito novero dei comportamenti irrituali tenuti dall’equipaggio dell’Aristeus la notte dei fatti; infine, la pregressa esperienza di salvataggio di migranti da parte del Gancitano, donde l’attesa di quattro ore dei soccorsi quale possibile movente del reato in esame, nel senso di non sprecare tempo prezioso ai fini del tempestivo scarico del pregiato pescato di quella notte.
3.4. Se, infine, a ciò si aggiungono gli ulteriori elementi valorizzati dalle sentenze di merito, è di palese evidenza l’assoluta superfluità delle richieste di rinnovazione istruttoria ex art. 603, cod. proc. pen.
In particolare, il riferimento è: a) ai risultati delle intercettazioni telefoniche e ambientali intercorse tra gli imputati e propri familiari ed amici qualche giorno prima della convocazione degli stessi, all’epoca quali indagati, da parte della Procura della Repubblica di Agrigento, conversazioni captate da cui emerge come gli stessi imputati avevano raccontato di avere visto la barca dei migranti immediatamente prima del naufragio e di non avere prestato soccorso, trattandosi dunque di dichiarazioni auto ed etero accusatorie registrate nel corso di attività di intercettazione regolarmente autorizzata che hanno piena valenza probatoria, non necessitanti di elementi di corroborazione previsti dall’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen., come affermato da Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263714 -01; b) ai verbali di sommarie informazioni testimoniali acquisiti con il consenso delle parti e le altre prove raccolte nel corso della istruttoria dibattimentale, in particolare costituiti dalle dichiarazioni di numerosi migranti, sopravvissuti al naufragio del 3 ottobre 2013, i quali hanno testimoniato che nel periodo
in cui, dopo l’arrivo nei pressi dell’isola di Lampedusa, avevano atteso l’arrivo dei soccorsi, due imbarcazioni avevano notato il barcone fermo con le numerose persone a bordo, e che, in particolare, un grosso peschereccio di colore blu si era avvicinato ed aveva girato attorno a loro e dopo una breve sosta, si era allontanato, peschereccio successivamente identificato nell’Aristeus sulla base degli accertamenti cartografici e delle dichiarazioni del teste COGNOME, ed in esito al confronto tra i consulenti di parte; c) agli interrogatori di alcuni degli imputati, da cui emergono elementi di prova a sostegno della prospettazione accusatoria secondo cui gli uomini presenti sul motopeschereccio COGNOME si erano accorti del barcone con a bordo i migranti, si erano fermati ad esaminare la situazione, confrontandosi anche sul da farsi, e – poiché avevano a bordo 450 cassette di pesce (interrogatorio COGNOME, pag. 5) che, entro le 7,00, dovevano trasbordare su un camion da imbarcare sul traghetto diretto a Porto Empedocle in partenza alle ore 8,00, altrimenti sarebbero aumentati i costi e sarebbe diminuito il prezzo di vendita del pescato -, era evidente che sapevano che se avessero dato l’allarme via radio l’Autorità amministrativa competente avrebbe loro intimato di rimanere s ul posto fino all’arrivo dei soccorsi, come già successo qualche anno prima restando bloccati per oltre 4 ore (interrogatorio COGNOME, pagg. 12 e 13), decidendo così di entrare in porto e scaricare il pesce.
Il secondo motivo è invece inammissibile in quanto non dedotto con i motivi di appello da alcuno dei ricorrenti.
4.1. Ed invero, la censura di mancanza della motivazione e di erronea applicazione dell’art. 1158, comma 2, cod. nav. avrebbe reso necessaria l’espressa deduzione del motivo di appello davanti alla Corte territoriale. Il doveroso accesso agli atti operato dal Collegio al fine di verificare se la questione giuridica fosse stata sottoposta preventivamente al vaglio del giudice di merito ha, tuttavia, consentito di appurare che nessuno dei motivi di appello dedotti dalla difesa degli imputati conteneva espressamente tale censura. Non l’atto di appello depositato in data 20 gennaio 2021 nell’interesse degli imputati COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME (né tantomeno l’atto di appello contenente motivi nuovi depositato dai predetti imputati in data 20 gennaio 2022), e nemmeno quello depositato dalla difesa dell’imputato COGNOME in data 19 gennaio 2021.
4.2. È pacifico, del resto, nella giurisprudenza di questa Corte, che non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunziarsi perché non devolute alla sua cognizione (tra le tante: Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017, Rv. 269745 -01).
4.3. Né, peraltro, ricorr ono le condizioni per l’esercizio dei poteri ufficiosi di questa Corte ai sensi dell’art. 609, comma 2, cod. proc. pen.
Ed infatti, la facoltà attribuita alla Corte di cassazione dall’art. 609, comma secondo, cod. proc. pen., di decidere anche le questioni non dedotte nei motivi di appello la cui deducibilità sia divenuta possibile solo successivamente, si riferisce esclusivamente
a questioni di solo diritto che sorgano per ” ius superveniens ” ovvero in relazione a circostanze non emerse prima, che però siano pur sempre di diritto (Sez. 4, n. 4853 del 03/12/2003, dep. 2004, Rv. 229374 -01).
Nel caso di specie, pur trattandosi di questione di diritto nota alle difese in quanto non seguente né a ‘ ius superveniens ‘ né a circostanze non emerse prima (in quanto risultanti dall’istruttoria dibattimentale svolta in primo grado, in particolare, come lo stesso ricorrente evidenzia a pag. 10 del ricorso, dalle ‘deposizioni di numerosi superstiti’), ben la stessa avrebbe potuto e dovuto essere proposta davanti al giudice di merito nei motivi di appello.
5. Il terzo motivo è inammissibile per genericità.
5.1. La Corte d’appello esami na, seppur sinteticamente, la censura in esame, riproposta senza alcun apprezzabile elemento di novità critica dinanzi a questa sede di legittimità, alla pag. 42 della sentenza impugnata, che, nel richiamare sostanzialmente quanto già illustrato dal tribunale sul punto, osserva come gli allora appellanti si sarebbero limitati ad addurre nuovamente, in contrasto con quanto compiutamente accertato, che l’Aristeus non si sarebbe mai trovato ad una distanza dal barcone dei migranti tale da poter percepire le loro richieste di aiuto e di constatare visivamente una situazione di pericolo che imponesse loro di prestare assistenza o soccorso.
5.2. Con particolare riferimento alla riferibilità ‘dolosa’ del fatto al comandante del motopeschereccio e degli altri membr i dell’equipaggio, infatti, una ampia motivazione, immune da vizi logico -argomentativi, è contenuta in particolare alle pagg. 126/128 della sentenza di primo grado, in cui si illustrano le ragioni per le quali, sulla base dei dati fattuali emersi, fosse ascrivibile la responsabilità penale agli attuali ricorrenti a titolo di dolo generico, avendo l’equipaggio dell’Aristeus posto in essere la condotta omissiva a ciascun componente dell’equipaggio ascritta, con coscienza e rappresentazione (sussisteva la conoscenza della situazione di pericolo, percepita sensorialmente dagli imputati per le ragioni indicate al punto 2) dell’illustrazione contenuta a pag. 126 della sentenza di primo grado; ricorreva la consapevolezza del dovere di salvataggio, non differenzia bile in capo ai componenti dell’equipaggio, dotati di pluriennale esperienza della navigazione marittima che, in orario notturno, si imbattano in un natante di fortuna stracolmo del proprio ‘carico umano’ come descritto nella sentenza d’appello, alla deriv a, in mare aperto, in un braccio di mare caratterizzato da eventi migratori non infrequentemente dall’esito infausto; quanto emerso dall’istruttoria, soprattutto alla luce delle dichiarazioni di alcuni degli imputati e gli esiti delle operazioni captative, dimostrano come l’equipaggio dell’COGNOME avesse assunto la decisione di non prestare soccorso al barcone dei migranti, così omettendo di compiere l’azione doverosa).
5.3. Si legge, in particolare, nella sentenza di primo grado, come le localizzazioni rispettive del motopeschereccio e del barcone dei migranti in avaria, quali emergenti dagli
accertamenti tecnici e peritali svolti, avevano consentito di pervenire all’approdo che proprio l’Aristeus era l’imbarcazione che per prima avrebbe dovuto attivarsi, sulla base del rilievo che la stessa era la più vicina al luogo dell’imminente naufragio e, quindi, quella che aveva maggiori probabilità di portare positivamente a conclusione il salvataggio.
5.4. In sostanza, secondo i giudici di merito, con motivazione non manifestamente illogica, il motopeschereccio Aristeus era in condizioni di potere e dovere tentare il salvataggio e ciò, peraltro, prima ancora che analoga iniziativa venisse presa dalla nave da diporto Gamar, intervenuta a naufragio già tragicamente consumato.
5.5. A fronte del dovere di soccorso, per sua natura caratterizzato dall’urgenza, ed a fronte del rischio per la vita e l’incolumità personale dell’equipaggio in pericolo di naufragio, non rileva, né potrebbe rilevare -costituendo, anzi, un elemento rafforzativo della sussistenza del dolo normativamente richiesto -la circostanza che l’equipaggio dell’Aristeus non avesse provveduto a prestare il doveroso soccorso per l’urgenza di dover provvedere al trasbordo del pescato fresco che la notte del 3 ottobre 2013 il motopeschereccio trasportava all’esito di una battuta proficua, ciò che avrebbe imposto per esigenze di tipo patrimoniale il rientro tempestivo del motopeschereccio al porto dell’isola di Lampedusa. E’ stato già affermato, infatti, da q uesta Corte che il reato di cui all’art. 1158 cod. nav., omissione di assistenza a navi o persone in pericolo, ha natura di reato di pericolo, che si consuma con il fatto stesso dell’omissione di assistenza o del tentativo di salvataggio, giustificato dal dovere di adempimento delle funzioni di cosiddetta solidarietà marittima (nell’occasione la Corte ha ulteriormente affermato che in materia non possono avere efficacia scriminante esigenze di carattere patrimoniale: Sez. 3, n. 568 del 23/11/2005, dep. 2006, Rv. 233013 -01).
Il quarto ed ultimo motivo presta il fianco, al pari del precedente, ad un giudizio di inammissibilità per genericità dovuta ad aspecificità.
6.1. La Corte d’appello si sofferma sulla questione giuridica prospettata alle pagg. 39/42, cui fa eco quanto argomentato dal primo giudice alle pagg. 128/132 della sentenza di primo grado che, attesa la natura di doppia conforme, comporta la reciproca integrazione delle giustificazioni logico -giuridiche svolte dai giudici con le rispettive sentenze. E’ stato infatti affermato che ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Rv. 257595 -01).
6.2. Tanto premesso, i giudici di appello, richiamando le puntuali argomentazioni svolte dal primo giudice sulla questione della estensione della responsabilità penale ai
concorrenti del comandante dell’imbarcazione ex art. 1081, cod. nav., richiamano, anzitutto, la giurisprudenza di questa Corte sul rapporto intercorrente tra la generale previsione dell’art. 117, cod. pen. e la fattispecie speciale e derogatoria prevista dall’art. 1081, cod. nav., secondo cui il problema del concorso di persone estranee nel reato proprio, e esplicitamente risolto dall’art 1081 del codice della navigazione, sulla considerazione della natura unitaria del reato, che trae origine dalla compartecipazione criminosa, stabilendosi che, fuori del caso regolato dall’art 117 cod. pen. (concernente solo il mutamento del titolo del reato rispetto ai vari concorrenti), quando la esistenza di un reato previsto dal detto codice e richiesta una particolare qualità personale, coloro che senza rivestire tale qualità sono concorsi nel reato, ne rispondono, se hanno avuto conoscenza della qualità personale inerente al soggetto essenziale.
6.3. Come si desume dal tenore dell’art. 117 cod. pen., l’effetto estensivo del concorso criminoso, previsto da questa norma, si verifica solo quando rispetto ai vari concorrenti si ha un mutamento del titolo del reato, e ciò significa che nel fatto della persona che non possiede la qualità richiesta per il reato proprio, devono tuttavia ricorrere gli estremi di un reato, sia pure diverso. In tal caso le persone che concorrono con un soggetto qualificato alla commissione di un reato proprio ne rispondono anche se non hanno conoscenza della qualifica del soggetto predetto. L’art 1081 del codice della navigazione (che fa salva la norma dell’art. 117 cod. pen.) prevede, invece, l’altro caso di concorso, quello di persona estranea ad un reato proprio, quando il fatto materiale di per sé non costituisce reato per l’estraneo concorrente; e lo risolve stabilendo la responsabilità penale dello estraneo, a condizione che questi sia a conoscenza della qualità del soggetto essenziale del reato proprio (Sez. 3, n. 1104 del 01/04/1964, Rv. 099110 -01), ossia del comandante della nave.
6.4. In relazione a quanto sopra, dunque, trattandosi di concorso dell’extraneus nel reato proprio del comandante e, in applicazione delle coordinate ermeneutiche di cui sopra alla luce della previsione derogatoria di cui all’art. 1081, cod. nav., è senz’altro possibile estendere la responsabilità penale per il delitto, proprio del comandante della nave, di cui all’art. 1158, cod. nav., ai membri dell’equipaggio, proprio in forza della clausola di e stensione della responsabilità di cui all’art. 1081, cod. nav.
6.5. Come, infatti, già affermava la prima sentenza, tutti i membri dell’equipaggio, coimputati con il comandante del motopeschereccio COGNOME erano indubbiamente a conoscenza della qualità personale di quest’ultimo.
Si aggiunge, poi, sotto il profilo sogge ttivo, che tutti i membri dell’equipaggio erano svegli al memento dell’avvistamento del barcone dei migranti, accingendosi il motopeschereccio a fare rientro in porto per scaricare il pescato, attività per la quale era necessaria la cooperazione del personale di bordo nella sua interezza, circostanza ulteriormente riprovata dalla lunga pausa di 51 minuti nel corso della quale l’NOME aveva pressoché arrestato la propria navigazione per decidere il da farsi, lasso di tempo
all’esito del quale tutti hanno aderito alla decisione di omettere qualsivoglia forma di assistenza o salvataggio, optando per un commodus discessus alla volta di Lampedusa. A conforto di tale assunto, peraltro, la Corte territoriale richiama anche quanto riferito in sede di interrogator io dell’8/03/2017 del Cusumano nonché da quanto dichiarato sempre in sede di interrogatorio in data 6/03/2017 dal comandante del motopeschereccio COGNOME, il quale aveva confermato la circostanza che tutti i membri dell’equipaggio fossero svegli e che tu tti erano a poppa via con possibilità di sguardo verso l’esterno.
6.6. Quanto sopra argomentato, a giudizio del Collegio, priva dunque di qualsiasi spessore argomentativo le doglianze difensive che rimproverano ai giudici di merito di non aver accertato q uale fosse stato il contributo ‘causale’ di ognuno rispetto alla realizzazione del reato proprio di volontà comune, in ciò, tuttavia, non tenendo conto di quanto più volte affermato dalla giurisprudenza di questa Corte secondo cui, perché si configuri la fattispecie del concorso di persone nel reato, non è necessario che il contributo di ciascuno si ponga come condizione, sul piano causale, dell’evento lesivo.
Infatti, la teoria causale del concorso – fatta propria dalla relazione al Codice penale – contrasta con il dettato dell’art. 110 cod. pen. e la funzione estensiva cui la normativa del concorso adempie, consentendo di attribuire tipicità a comportamenti, che di per sé ne sarebbero privi, quando abbiano, in qualsiasi modo, contribuito alla realizzazione collettiva, mentre, d’altro canto, lo stesso codice, con la previsione dell’attenuante della minima partecipazione al fatto, ammette la possibilità di condotte non condizionali, non potendosi certo considerare condizione indispensabile per la realizzazione del reato una attività di minima importanza. In questa ottica, ai fini della sussistenza del concorso deve ritenersi sufficiente che la condotta di partecipazione si manifesti in un comportamento esteriore che arrechi un contributo apprezzabile alla commissione del reato, mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l’agevolazione dell’opera degli altri concorrenti e, in sostanza, che il partecipe per effetto della sua condotta, idonea a facilitarne l’esecuzione, abbia aumentato la possibilità della produzione del reato, perché in forza del rapporto associativo diventano sue anche le condotte degli altri concorrenti (Sez. 1, n. 7513 del 11/03/1991, Rv. 187981 -01).
6.7. E, nel caso di specie, sia la Corte d’appello (pag. 41) che il Tribunale (pag. 131/132), affermano in maniera chiara che la condotta di tutti gli imputati, comandante ed equipaggio, assumeva rilievo penale anche ai sensi dell’art. 110, cod. pen., avendo gli stessi concorso tanto moralmente quanto materialmente nella commissione del delitto, essendosi posto il contributo fornito da ciascuno rispettivamente quale contributo agevolatore in relazione alla condotta tipica della fattispecie incriminatrice addebitata in concorso ai prevenuti. Ne discende, pertanto, l’inammissibilità del motivo anche per ragioni di manifesta infondatezza oltre che per la già richiamata genericità.
Resta, infine, da esaminare il ricorso COGNOME, che non si sottrae al giudizio di inammissibilità, al pari di quelli proposti dagli altri ricorrenti.
7.1. Per quanto concerne il motivo con cui viene dedotto il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 1081 e 1158, comma 2, cod. nav. valgano le considerazioni già svolte in precedenza con riferimento agli analoghi motivi di ricorso proposti nell’interesse degli altri ricorrenti, da intende rsi in questa sede integralmente richiamati per esigenze di economia motivazionale.
7.2. Devono, quindi, essere affrontate le residue censure afferenti, invece, al trattamento sanzionatorio, in relazione alle quali il Collegio osserva quanto segue.
7.3. Q uanto alla eccezione relativa all’asserita estinzione del reato per prescrizione (in quanto, essendo stata ritenuta l’attenuante di cui all’articolo 1081 cod. nav., ritenuta implicitamente prevalente sull’aggravante contestata, la pena massima era di anni due e non di anni 8, per come erroneamente indicato dal tribunale), i giudici di appello hanno già, sinteticamente ma adeguatamente, fornito risposta all’eccezione alle pagg. 46/47 della sentenza impugnata, evidenziando come, tenuto conto della pena massima prevista per il reato contestato di cui all’art. 1158, cod. nav., non rilevando all’uopo ex art. 157, comma 3, cod. pen. il giudizio formulato di bilanciamento delle circostanze (la cui asserita incostituzionalità è stata oggetto di declaratoria di manifesta infondatezza da parte di questa Corte: Sez. 2, n. 9539 del 13/02/2008, P.G. in proc. NOME, Rv. 239550 -01), il termine di prescrizione prorogato a tutti gli imputati, andava calcolato al 3/10/2023, cui si aggiungono, a seguito di ricalcolo rispetto a quanto indicato nella sentenza impugnata, gg. 354 di sospensione dei termini di prescrizione, cause di sospensione verificatesi nel giudizio di primo grado e nel corso del giudizio di appello, con conseguente maturazione del termine finale alla data del 18/09/2024, successiva alla sentenza d’appello, ciò che rende irrilevante l’intervenuta maturazione di tale termine alla data di pronuncia della presente sentenza alla luce dell’inammissibilità del presente ricorso (per tutte: Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, Rv. 217266 -01).
7.4. Quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche, la motivazione dei giudici di appello non può essere considerata affetta dai denunciati vizi (nel senso, prospettato dal ricorrente, che i giudici di merito avrebbero negato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche per evitare una riduzione della pena, non potendo infatti essere le circostanze attenuanti generiche negate solo perché l’obiettivo finale del giudice è quello di irrogare una pena esemplare), in quanto -come reso palese dall’argomentazione sviluppata alle pagg. 47/48 della sentenza impugnata , che richiama quanto argomentato alle pagg. 132/133 della prima sentenza -in realtà, il diniego risulta rigorosamente ancorato al criterio direttivo indicato d all’art. 133, primo comma, nn.ri 1), 2) e 3), cod. pen., avendo chiarito in maniera puntuale la Corte territoriale come il diniego era motivato in ragione della oggettiva gravità della condotta delittuosa accertata, rimarcando l’enormità degli eventi scaturiti dall’intempestivo soccorso dei naufraghi, in
cui l’omessa assistenza da parte dell’NOME si pone quale dirimente antecedente causale, che ha determinato la morte di 366 uomini, dando luogo alla più grave tragedia mai verificatasi nel canale di Sici lia, sottolineando le modalità concrete dell’azione, rivelatrice di estrema insensibilità ai doveri di solidarietà, umana oltre che marittima; ancora, viene valorizzata in chiave negativa, la gravità del danno arrecato, di vastità e diffusività disastrose, stante che l’intempestività dei soccorsi ha cagionato la morte di 366 persone; ancora, infine, è stata richiamata l’intensità del dolo e la negativa personalità degli imputati, evincibile dalla turpe deliberazione di omettere di prestare soccorso ad una moltitudine di migranti stipati in condizioni di evidente difficoltà e sovraffollamento in un natante alla deriva e di dimensioni inidonee al loro trasporto sicuro in mare.
Concludono, pertanto, i giudici di appello osservando come a fronte di quanto sopra , nessuno degli imputati, tra cui l’attuale ricorrente, aveva offerto un concreto e specifico elemento favorevole di maggior valenza valutabile a norma dell’art. 133, cod. pen., essendosi gli stessi limitati a richiamare il buon comportamento processuale con la rinuncia a numerosi testi ed il consenso all’acquisizione di atti prestati nel corso del dibattimento, nonché l’incensuratezza, di per sé non sufficiente al riconoscimento delle invocate attenuanti ex art. 62bis , ultimo comma, cod. pen., trascurando -si legge in sentenza -di considerare la non collaborativa condotta in precedenza tenuta, come emersa dalle conversazioni intercettate.
Trattasi, all’evidenza, di motivazione del tutto immune dai denunciati vizi che rende, perciò, inammissibile la relativa doglianza, atteso che la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai fini dell’art. 62bis cod. pen. è oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, non sindacabile in sede di legittimità, purché non contraddittoria e congruamente motivata, neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Rv. 242419 -01). Circostanza, nel caso di specie, non rilevabile, atteso il puntuale richiamo dei fattori attenuanti prospettati dalla difesa, ciascuno dei quali espressamente confutato.
7.5. Quanto, infine, al mancato riconoscimento del beneficio della non menzione della condanna, a pag. 49 della sentenza impugnata si fornisce una adeguata giustificazione del mancato riconoscimento, avendo la Corte d’appello precisato come nulla di concreto e specifico risultava essere stato adottato dall’allo ra appellante, richiamandosi soltanto genericamente la ricorrenza delle condizioni oggettive e soggettive di legge, ritenendo peraltro la Corte territoriale ostativi gli indici altamente negativi ex art. 133, cod. pen. già sopra rimarcati.
Anche in relazione a tale punto, dunque, la motivazione dei giudici di appello non merita censura, né, si osserva, può ritenersi rilevante a contrario la circostanza
dell’intervenuto riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena, essendo pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che il beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale persegue finalità diverse rispetto a quello della sospensione condizionale della pena perché, mentre quest’ultima ha l’obiettivo di sottrarre alla punizione il colpevole che presenti possibilità di ravvedimento e di costituire, attraverso la possibilità di revoca, un’efficace remora ad ulteriori violazioni della legge penale, il primo ha lo scopo di favorire il ravvedimento del condannato mediante l’eliminazione della pubblicità quale particolare conseguenza negativa del reato, sicché non è contraddittoria la decisione che neghi uno dei due benefici e conceda l’altro (da ultimo: Sez. 3; n. 51580 del 18/09/2018, Rv. 274106 -01).
Ne discende, dunque, l’inammissibilità del motivo.
I ricorsi devono, conclusivamente, essere dichiarati inammissibili, con condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della Cassa delle Ammende, non potendosi escludere profili di colpa nella loro proposizione.
All’inammissibilità dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti alla rifusione delle spese del grado sostenute dalle parti civili costituite RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, liquidate, a norma del D.M. 55/2014 recante “Determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense ai sensi dell’art. 13 comma 6 della legge 31 di-cembre 2012 n. 247”, aggiornati al D.M. n. 147 del 13/08/2022, in complessivi 3.686,00 euro per ciascuna parte civile, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge, somme da distrarsi in favore dei rispettivi procuratori, dichiaratisi antistatari (avv. NOME COGNOME per RAGIONE_SOCIALE; avv. NOME COGNOME per RAGIONE_SOCIALE).
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Condanna, inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili che liquida in complessivi euro 3.686, per ciascuna di esse oltre accessori di legge in favore dei rispettivi procuratori antistatari. Così è deciso, 13/02/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME