Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 33536 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 33536 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato il DATA_NASCITA a Ascea;
avverso la sentenza del 23/01/2025 dalla Corte di appello di Salerno visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO COGNOME AVV_NOTAIO; udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che chiede che la sentenza sia annullata con rinvio; udito l’AVV_NOTAIO, il quale insiste per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte d’appello di Salerno assolveva, perché il fatto non sussiste, NOME COGNOME dal reato di cui all’art. 674 cod. pen. relativamente all’impianto di Mandia, contestato (capo D) per aver, come
Sindaco pro tempore del RAGIONE_SOCIALE di Ascea, in qualità di responsabile del settore lavori pubblici e impianti in luogo pubblico, versato acque torbide e maleodoranti nel suolo, e dal reato di cui all’art. 181-bis d. Igs. n. 42 del 2004, a lui contesta per aver, nella stessa qualità, alterato beni pubblici protetti per legge ovvero il suolo mediante illecito sversamento (capo C).
Rideterminava, di conseguenza, in otto mesi di reclusione la pena inflitta per il residuo delitto di omissione d’atti d’ufficio (art. 328 comma 1, cod. pen.), contestato (al capo F), per aver indebitamente rifiutato, nonostante fosse a conoscenza dell’assenza di depurazione delle acque e delle fogne comunali, un atto del suo ufficio che, per ragioni di sanità, avrebbe dovuto essere compiuto senza ritardo.
NOME COGNOME ha presentato ricorso, per il tramite dell’AVV_NOTAIO.
Dopo aver specificato che il procedimento concerne l’omessa adozione di provvedimenti a tutela della salute pubblica e, nella specie, la mancata adozione di idoneo trattamento di depurazione delle acque reflue fognarie (che avrebbe determinato una situazione di inquinamento ambientale), nell’atto di impugnazione si premette come il problema in oggetto abbia rilevanza nazionale e che l’obbligo di adeguamento non grava sui Comuni, vieppiù se piccoli e privi di mezzi nonché di autonomia impositiva (qual è il RAGIONE_SOCIALE di Ascea), bensì sullo Stato.
Si aggiunge che, ciò nondimeno, il RAGIONE_SOCIALE di Ascea si è virtuosamente dotato di ben cinque impianti di depurazione, garantendo un’elevata qualità delle acque.
Quindi, rilevato come la materia sia regolamentata a livello legislativo nazionale dal d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e, a livello regionale, dalla I. reg. n. 1 del 1990, che delimitava gli ambiti territoriali per la gestione al livel necessariamente sovracomunale, del servizio RAGIONE_SOCIALE del Cilento, si precisa che Ascea e i Comuni del Cilento erano collocati nell’RAGIONE_SOCIALE“, gestito dall’RAGIONE_SOCIALE, oggi RAGIONE_SOCIALE.
Quest’ultimo, e non il RAGIONE_SOCIALE, ormai privo di competenze in materia, affidò, in forza di convenzione, a RAGIONE_SOCIALE la gestione del servizio RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, la quale comprende in modo inscindibile acqua, fognatura e depurazione.
Di conseguenza, a partire dal 2011, RAGIONE_SOCIALE gestisce tutti gli impianti, coerentemente con la giurisprudenza amministrativa, che nega la competenza dei Comuni.
Dunque, soltanto a RAGIONE_SOCIALE possono ascriversi eventuali irregolarità nella gestione (le lettere con cui il RAGIONE_SOCIALE, a più riprese nel corso degli anni, invitava
RAGIONE_SOCIALE a prendere in consegna il depuratore di Mandia e quello di Catona erano meri solleciti).
Peraltro, le analisi in atti sono inattendibili in quanto svolte in violazio delle norme tecniche vigenti, sicché manca la prova del concreto effetto prodotto dallo scarico sul corpo RAGIONE_SOCIALE ricettore.
Tanto precisato, sono dedotti i seguenti due motivi di ricorso.
2.1. Violazione di legge con riferimento alle leggi regionali n. 17 del 1997 e n. 15 del 2015; agli artt. 143 ss. d. Igs. n. 152 del 2006; agli artt. 50, 54, 1 d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (TUEL); all’ art. 328 cod. pen. e alla convenzione.
Il Sindaco di Ascea non era tenuto ad intervenire.
Inoltre, è stata esclusa l’esistenza di danni al suolo, con conseguente assoluzione per le contestazioni di cui agli artt. 635 e 674 cod. pen. per l’insussistenza del pericolo.
Mancavano, dunque, i presupposti per l’emanazione di un’ordinanza di necessità ed urgenza, la quale implica l’insussistenza dei rimedi tipici e nominati per fronteggiare efficacemente il pericolo, come anche confermato dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 6, n. 33857 del 07/05/2014, Bruno, Rv. 262076).
Quanto ai contenuti, l’intervento sarebbe stato molto oneroso e quindi incompatibile con l’esercizio di poteri extra ordinem.
Ciò è peraltro dimostrato dal fatto che, per ovviare alla carenza strutturale degli impianti di depurazione che affligge vaste aree del territorio comunale, è stato necessario costituire un’apposita struttura commissariale, ed affidare il servizio a RAGIONE_SOCIALE: affidamento operato non dal RAGIONE_SOCIALE, bensì dall’RAGIONE_SOCIALE, che oltretutto incassa i canoni di depurazione che costituiscono il corrispettivo del servizio.
Né l’obbligo può essere desunto dall’essersi il RAGIONE_SOCIALE spontaneamente attivato per ovviare al malfunzionamento dell’impianto.
Infine, le tabelle che pongono i limiti di emissione delle sostanze inquinanti contenuti nei reflui urbani trovano applicazione con esclusivo riguardo ad impianti che servono più di 2000 abitanti, mentre vige una presunzione di ammissibilità e tollerabilità delle emissioni promananti da comunità che, come quella di Catona, siano invece composte soltanto da 124 abitanti.
2.2. Vizio di motivazione quanto al dolo.
Non è provato che l’imputato fosse a conoscenza della situazione di malfunzionamento della depurazione. Al contrario, nella sentenza impugnata si legge che le due ordinanze di ingiunzione emesse per lo sforamento dei limiti tabellari di emissione furono annullate dal Tribunale di Vallo della Lucania con sentenza del 28 settembre 2023, per difetto di comunicazione degli esiti delle
analisi al RAGIONE_SOCIALE e al Sindaco, il che dimostra l’assenza dell’elemento soggettivo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Al di là della formale deduzione del vizio di legge, i motivi di ricorso propongono una ricostruzione del fatto storico non del tutto coincidente con quella che emerge nei due gradi di giudizio di merito.
Premesso che il depuratore della frazione Catona versava in condizioni gravissime e che per esso il RAGIONE_SOCIALE di Ascea non realizzò il ripristino invece disposto per quello di Mandia, i Giudici insistono sul fatto che, per tale ragione, RAGIONE_SOCIALE si rifiutò di prendere in carico il primo, a differenza di quanto fece invece con il secondo.
Secondo tale prospettazione, non adeguatamente contestata dal ricorrente, verrebbe dunque meno lo stesso presupposto alla base dell’inesistenza dell’obbligo di attivarsi. In altri termini, l’obbligo, in mancanza di trasferimento dunque, di “presa in carico” da parte di RAGIONE_SOCIALE, al tempo dei fatti avrebbe continuato a gravare sul RAGIONE_SOCIALE.
Ciò detto, va tuttavia rilevato che l’esistenza di un obbligo ancora non integrerebbe la tipicità del rifiuto di atti d’ufficio (art. 328, comma 1, cod. pen la quale si compone di plurimi elementi costitutivi la cui configurabilità, nel caso di specie, non è stata compiutamente lumeggiata dalla Corte d’appello.
Dalla motivazione – come anche rilevato nella sua requisitoria dal AVV_NOTAIO Generale – non si evincono, in particolare, le ragioni specifiche per cui l’intervento del Sindaco sarebbe stato indifferibile, né i Giudici di merit precisano in che modo l’omissione avrebbe inciso sulle condizioni di igiene a sanità, la cui messa in pericolo viene, nelle sentenze, meramente asserita.
A monte, neppure viene chiarito in che cosa sarebbe consistito il rifiuto, essendo in proposito il caso di chiarire che la giurisprudenza di legittimità, sebbene non richieda a tal fine una manifestazione di volontà solenne o formale – ritenendo il reato configurabile anche in caso di inerzia omissiva che, protraendo il compimento dell’atto oltre i termini prescritti dalla legge, si risol in un rifiuto implicito (Sez. 6, n. 10051 del 20/11/2012, dep. 2013, Nolè, Rv. 255717) -, ciò statuisce in contesti fattuali ben definiti, sintomatici un’evidente nolontà di intervento (la sentenza citata, riguardava, ad esempio, la condotta di un curatore fallimentare che, dopo aver omesso di depositare la relazione e di compiere atti della procedura per oltre quindici anni, dapprima, ricevuta dal giudice delegato una diffida a relazionare, si era limitato a
presentare una richiesta di proroga motivata in termini generici, e, poi, una volta rigettata questa istanza, non aveva dato alcun riscontro a successivi solleciti e richieste di informazioni fino alla sua sostituzione).
Infine, e d’altronde, azzardata appare l’affermazione della Corte d’appello per cui, per risolvere i problemi legati al malfunzionamento del depuratore, il Sindaco avrebbe potuto far ricorso ai suoi poteri contingibili ed urgenti: essendo quantomeno dubbio che un’ordinanza contingibile ed urgente possa mettere riparo ad una situazione di protratta inottemperanza la cui soluzione richiede, per contro, interventi strutturati e articolati nel tempo (né, invero, come dedotto dal ricorrente, appare pertinente la citazione di Sez. 4, n. 58243 del 26 settembre 2018, T., Rv. 274950, che aveva riconosciuto la responsabilità di un Sindaco, a conoscenza della situazione di pericolo per l’incolumità e la sicurezza pubblica, in relazione ai reati di omicidio colposo e lesioni personali colpose cagionati dall’aggressione di un rilevante numero di cani detenuti da un cittadino in un terreno non recintato, e quindi in un contesto fattuale ben diverso da quello rilevante in questa sede).
La sentenza impugnata meriterebbe, quindi, di essere annullata con rinvio ai giudici dell’appello affinché questi chiariscano i profili innanzi indicati.
Ma tale annullamento è precluso nel caso di specie.
Infatti, pur con le precisazioni svolte sulla mancata definizione della condotta che avrebbe RAGIONE_SOCIALE il rifiuto, dal tenore delle sentenze di merito emerge che l’imputato, Sindaco di Ascea, era a conoscenza del disservizio relativo al malfunzionamento del depuratore della frazione Catona «sin dal 2015» e che – scrivono i Giudici dell’appello – avrebbe dovuto attivarsi «sin da subito».
Pertanto, ricordato che il rifiuto di atti d’ufficio (art. 328, comma 1, cod pen.) è un reato istantaneo (e non un reato di durata, come invece assunto nel capo di imputazione) e che, quindi, si consuma nel momento in cui viene manifestato il rifiuto (espresso o implicito, nei termini precisati) dell’atto dovuto il tempus commissi delicti è collocabile, al massimo, nell’anno 2015.
Da quel tempo decorre il termine prescrizionale: pari, nel massimo, a sette anni e mezzo (trattandosi di delitto per il quale la legge prevede la pena inferiore a sei anni).
Di conseguenza, pur computando sessanta giorni di sospensione per impedimento del difensore nel primo grado di giudizio, il reato risulta estinto per il decorso della prescrizione.
Va, dunque, disposto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.
Così deciso il 10/09/2025