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Omissione atti d’ufficio: dovere di risposta sempre

La Corte di Cassazione conferma la condanna per omissione atti d’ufficio a carico di un Comandante della Polizia Municipale per non aver risposto a una richiesta di accesso a un documento. La sentenza stabilisce che l’obbligo di rispondere entro 30 giorni sussiste indipendentemente dalla qualificazione della richiesta, sia essa un’istanza di accesso amministrativo (L. 241/90) o una richiesta nell’ambito di investigazioni difensive (art. 391-quater c.p.p.). Il diritto di accesso è autonomo e la sua violazione integra il reato, anche se esistono altri rimedi processuali.

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Pubblicato il 12 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Omissione atti d’ufficio: quando il silenzio della PA diventa reato

L’omissione atti d’ufficio è un tema cruciale nel rapporto tra cittadini e Pubblica Amministrazione. Il dovere di rispondere a un’istanza non è una mera formalità, ma un principio cardine che garantisce trasparenza, imparzialità e il corretto funzionamento delle istituzioni. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito con forza questo principio, condannando un Comandante della Polizia Municipale per non aver dato seguito a una richiesta di accesso a documenti. La decisione chiarisce che l’obbligo di rispondere sussiste a prescindere dalla qualificazione giuridica dell’istanza, sia essa amministrativa o legata a indagini difensive.

I Fatti del Caso

Un cittadino, tramite il proprio legale, presentava una richiesta di accesso a una relazione redatta dalla Polizia Municipale in riferimento a una contravvenzione. La richiesta, datata 19 giugno 2009 e sollecitata il 13 luglio 2009, mirava a ottenere documentazione utile per un’eventuale azione di revisione di una precedente sentenza di patteggiamento. Nonostante il sollecito, il Comandante della Polizia Municipale non forniva alcuna risposta né rilasciava la documentazione richiesta. Solo dopo oltre un anno, il 15 ottobre 2010, la relazione veniva trasmessa alla Procura della Repubblica e resa disponibile. Per questo ritardo ingiustificato, il Comandante veniva condannato in primo grado e in appello per il reato di omissione di atti d’ufficio ai sensi dell’art. 328, comma 2, del codice penale.

La Difesa dell’Imputato e le Argomentazioni in Ricorso

La difesa del pubblico ufficiale ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su due argomenti principali:

1. Errata Qualificazione della Richiesta: Secondo il ricorrente, l’istanza non doveva essere considerata una semplice richiesta di accesso documentale ai sensi della Legge 241/90, ma una richiesta correlata a investigazioni difensive disciplinata dall’art. 391-quater del codice di procedura penale. Questa norma prevede un percorso procedurale specifico che, a detta della difesa, escluderebbe l’applicazione della norma penale sull’omissione.
2. Mancanza di Interesse del Richiedente: La difesa sosteneva che il cittadino fosse privo di un interesse concreto all’ostensione del documento, poiché la relazione era già presente nel fascicolo del processo conclusosi con il patteggiamento.

Omissione Atti d’Ufficio: la Decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendo le motivazioni infondate e confermando la condanna. La sentenza offre chiarimenti fondamentali sul perimetro del reato di omissione atti d’ufficio e sui doveri della Pubblica Amministrazione.

Le Motivazioni

I giudici hanno smontato le argomentazioni difensive con un percorso logico lineare. In primo luogo, hanno stabilito che la richiesta del cittadino, indipendentemente dal suo scopo finale, andava qualificata come un’istanza di accesso documentale secondo la Legge 241/90. Di conseguenza, la P.A., rappresentata dal Comandante, aveva l’obbligo di rispondere o, quantomeno, di esporre le ragioni del ritardo entro il termine di trenta giorni. Il silenzio protratto ha quindi integrato la condotta omissiva punita dall’art. 328 c.p.

In secondo luogo, la Corte ha sottolineato un principio cruciale: anche se la richiesta fosse stata inquadrata nell’ambito delle indagini difensive (art. 391-quater c.p.p.), ciò non avrebbe esonerato il pubblico ufficiale dal dovere di rispondere. I rimedi previsti da tale norma (di natura processuale, volti a superare la stasi istruttoria) non sono sostitutivi delle conseguenze penali derivanti da un’omissione. In altre parole, il diritto di accesso del cittadino è autonomo e la sua violazione può costituire reato, a prescindere dall’esistenza di altri strumenti processuali a tutela della difesa.

Infine, la Cassazione ha respinto la tesi della mancanza di interesse, riconoscendo la piena legittimazione del richiedente. L’interesse era concreto e attuale, poiché finalizzato a valutare un’azione di revisione della precedente sentenza. La presenza del documento in un altro fascicolo processuale è stata ritenuta una circostanza irrilevante ai fini della sussistenza dell’obbligo di risposta da parte della P.A.

Le Conclusioni

Questa sentenza riafferma con chiarezza che il silenzio della Pubblica Amministrazione di fronte a un’istanza di un cittadino non è mai una scelta neutra e può avere gravi conseguenze penali. Il principio di trasparenza e il dovere di risposta sono pilastri dell’attività amministrativa e non ammettono deroghe basate su cavilli procedurali. La qualificazione formale di una richiesta non può diventare un pretesto per eludere un obbligo di legge. Per i pubblici ufficiali, la lezione è chiara: a ogni istanza deve seguire una risposta motivata, sia essa di accoglimento, di diniego o di spiegazione di un ritardo, per non incorrere nel reato di omissione di atti d’ufficio.

Un pubblico ufficiale può ignorare una richiesta di documenti se la ritiene presentata secondo una procedura non corretta?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che l’obbligo di rispondere all’istanza di un cittadino sussiste indipendentemente dalla sua qualificazione formale. Anche se la richiesta fosse inquadrabile in un contesto di indagini difensive (art. 391-quater c.p.p.) anziché di accesso amministrativo (L. 241/90), il pubblico ufficiale non è esonerato dal dovere di rispondere, configurandosi altrimenti il reato di omissione di atti d’ufficio.

Il reato di omissione di atti d’ufficio è escluso se il cittadino ha altri strumenti legali per ottenere il documento?
No. I rimedi previsti da altre norme (ad esempio, quelli processuali per superare il rifiuto della P.A. nel corso di indagini difensive) non sostituiscono né escludono le conseguenze penali previste dall’art. 328 c.p. Il diritto di accesso ai documenti è un principio autonomo e la sua violazione integra il reato, aggiungendosi agli altri strumenti di tutela a disposizione del cittadino.

È necessario dimostrare un interesse specifico per far scattare l’obbligo di risposta della Pubblica Amministrazione?
Sì, l’istante deve avere un interesse legittimo. Nel caso esaminato, la Corte ha ritenuto che l’interesse del cittadino a ottenere il documento per valutare un’azione di revisione di una precedente sentenza penale fosse un motivo concreto, attuale e sufficiente a legittimare la richiesta e, di conseguenza, a far sorgere l’obbligo di risposta in capo al pubblico ufficiale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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