Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 3071 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 3071 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 26/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato il 02/11/1949 a Ischia avverso la sentenza 21/02/2024 della Corte di appello di Napoli.
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Napoli, premesso che l’imputato aveva dichiarato di rinunciare alla declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, confermava quella del Tribunale di Napoli che aveva dichiarato NOME COGNOME colpevole del reato di omissione di atti d’ufficio ex art. 328, comma
2 cod. pen. (“perché, in qualità di Comandante della Polizia Municipale di Ischia, destinatario da parte di NOME COGNOME tramite l’avv. NOME COGNOME di una richiesta in data 19/6/2009, sollecitata il 13/7/2009, di accesso alla relazione redatta dal m.11o NOME COGNOME con riferimento alla contravvenzione elevata a carico di COGNOME il 7/8/2008, decorsi 30 giorni dal sollecito non autorizzava il rilascio della copia dell’atto richiesto e non rispondeva per esporre le ragioni del ritardo”), condannandolo alle pena di euro 500 di multa e all’interdizione dai pubblici uffici per la durata di un anno, oltre il risarcimen dei danni a favore della parte civile e una provvisionale di euro 1.000.
Rilevava la Corte che tanto l’istanza di accesso agli atti del 19 giugno 2009 quanto le successive diffide erano rimaste prive di riscontro fino al 15 ottobre 2010, quando la richiesta relazione d’ufficio veniva infine trasmessa alla Procura della Repubblica di Napoli e resa disponibile per l’Avv. COGNOME
Avverso detta sentenza ricorre per cassazione il difensore di COGNOME denunziandone la violazione di legge e il vizio di motivazione per un duplice profilo: – la richiesta dell’Avv. COGNOME per conto di COGNOME non era un’istanza di accesso documentale ai sensi della legge 7 agosto 1990, n. 241 cui la P.A. aveva l’obbligo di rispondere, bensì era una richiesta correlata a investigazioni difensive (in funzione di una domanda di revisione di una sentenza di patteggiamento) disciplinata dall’art. 391-quater cod. proc. pen., il cui terzo comma rinvia al modulo procedimentale dettato dagli artt. 367 e 368; – COGNOME era privo d’interesse all’ostensione della relazione che era già presente nel fascicolo del processo conclusosi con la sentenza di patteggiamento.
La parte civile ha depositato conclusioni scritte, con le quali chiede dichiararsi inammissibile o rigettare il ricorso, nonché nota spese.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Premesso che l’imputato ha espressamente rinunciato alla prescrizione del reato, ritiene il Collegio che il ricorso vada rigettato in quanto i motivi proposti no sono fondati.
Con riguardo al primo, pur articolato, motivo di ricorso, esso tuttavia non mostra di confrontarsi adeguatamente con le argomentazioni svolte nella decisione impugnata che, in maniera priva di fratture logiche, ha disatteso le doglianze difensive svolte in grado d’appello. La Corte territoriale, infatti, ha sostenuto che
la richiesta, datata 19 giugno 2009 e seguita dal sollecito del 13 luglio 2009 dell’Avv. COGNOME per conto di COGNOME (diretta ad ottenere il rilascio di copia della relazione redatta dal m.11o NOME COGNOME con riferimento alla contravvenzione elevata a carico di Minichino il 7 agosto 2008), andava qualificata come istanza di accesso documentale ex I. 241/90, rispetto alla quale la competente P.A. rappresentata dall’imputato, Comandante della Polizia Municipale di Ischia, aveva l’obbligo di rispondere o di esporre le ragioni del ritardo entro trenta giorni. E ha di conseguenza ritenuto configurarsi a carico dell’imputato la condotta di omissione non motivata di atti richiesti, prevista e punita dal secondo comma dell’art. 328 cod. pen.
Si osserva in tal senso che una interpretazione più restrittiva è del tutto residuale, ove si consideri che l’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell’attivi amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza.
Sotto diverso profilo, i giudici di appello hanno correttamente evidenziato come la sussunzione della richiesta nella fattispecie delle indagini investigative prevista dall’art. 391-quater cod. proc. pen. non esonera il ricorrente dal rispondere espressamente, anche solo per fornire giustificazione, venendo altresì in rilievo la condotta di omissione nella risposta nonostante le varie diffide ad adempiere.
Si aggiunge, peraltro, che le conseguenze previste dall’ultimo comma dell’art. 391-quater cod. proc. pen. in caso di rifiuto della Pubblica Amministrazione hanno natura processuale in quanto finalizzate a superare la stasi istruttoria determinata dalla mancata acquisizione della documentazione; esse, tuttavia, non sono sostitutive delle conseguenze penali previste dall’art. 328, comma secondo cod. pen., alle quali eventualmente – come nel caso di specie – si aggiungono in caso di sussistenza del reato.
Infine, dopo avere individuato tutti gli ulteriori elementi costituti dell’omissione di atti d’ufficio, i giudici hanno individuato la legittimazion dell’istante in ragione dell’interesse ad ottenere il documento per motivi attinenti al diritto di difesa. Le censure, dunque, non sono fondate né si confrontano adeguatamente con le argomentazioni articolate dalla Corte d’appello territoriale, trattandosi di doglianze a carattere meramente reiterativo di quelle introdotte in sede di merito e già motivatamente disattese con un percorso argomentativo esente da censure.
In senso difforme da talune prospettazioni difensive, volte a valorizzare taluni arresti di tribunali amministrativi, deve rimarcarsi come, in materia del tutto affine a quella che viene in rilievo nel caso in esame, la giurisprudenza amministrativa,
nella sua più autorevole composizione, abbia sottolineato che l’accesso documentale difensivo può essere esercitato indipendentemente dalla previsione e dall’esercizio degli specifici (e ulteriori) poteri processuali di esibizione istrutto di documenti amministrativi e di richiesta di informazioni alla pubblica amministrazione nel processo civile ai sensi degli artt. 210, 211 e 213 cod. proc. civ. Si afferma espressamente che “L’esclusione dell’ammissibilità dell’accesso documentale difensivo, in via generale ed astratta, con richiamo alla disciplina processualcivilistica dell’esibizione istruttoria – la quale, seguendo la tesi “restrittiva”, dovrebbe ritenersi in ogni caso prevalente e assorbente -, è operazione ermeneutica che finirebbe per incidere in modo pregiudizievole sull’effettività del diritto alla tutela giurisdizionale e sul diritto alla prova int senso lato, implicanti la facoltà della parte di usare tutti gli strumenti offe dall’ordinamento, e tra questi l’accesso documentale, per influire sull’accertamento del fatto sia in sede stragiudiziale e nella fase preprocessuale, sia poi eventualmente in sede processuale, a “cura” e “difesa” della situazione giuridica soggettiva “finale” asseritamente lesa” (Cons. Stato, Ad plen., n. 19 del 25 settembre 2020).
Si tratta di principio che risulta riproducibile in relazione alle facoltà difensiv evocate dall’art. 391-quater cod. proc. pen., giacché il diritto all’accesso costituisce profilo che non può dirsi da esse assorbito e che risulta dunque autonomamente rilevante e riconoscibile.
Parimenti infondato è l’ulteriore motivo con cui la difesa del ricorrente rappresenta che la Corte di Appello di Napoli non avrebbe preso atto della mancanza di interesse soggettivo in capo a Minichino all’ottenimento della risposta a opera dell’imputato (nella qualità di Comandante l’Ufficio della Polizia Municipale di Ischia): in realtà il ricorrente, oltre a dar rilievo ad un profilo estrinseco del tu inconferente, quale quello della presenza del documento nel fascicolo processuale, non considera che l’interesse di COGNOME discendeva dal coinvolgimento del predetto nella vicenda sottostante e che comunque tale interesse era reso concreto e ancora attuale dal proposito di avviare un procedimento di revisione avente a oggetto la precedente sentenza applicativa di pena concordata (pronunciata nei confronti della medesima parte civile dal Tribunale di Napoli), a nulla rilevando la peculiare natura di quella sentenza.
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso va rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. In ragione delle articolate, seppure non fondate, argomentazioni in fatto e in diritto
esposte nel ricorso, ricorrono giustificati motivi per procedere alla compensazi delle spese nei confronti della parte civile.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processu Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 154-ter disp. att. proc. pen.
Così deciso il 26/11/2024