Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 38424 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 38424 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a BRAILA( ROMANIA) il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 08/11/2023 della CORTE ASSISE APPELLO di TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME AVV_NOTAIO
che ha concluso chiedendo
udito il difensore
1
Trattazione scritta.
Letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO. NOME AVV_NOTAIO, Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 29 marzo 2023, la Corte di assise di Torino condannava NOME alla pena di anni ventuno di reclusione, per il reato ascrittogli di omicidio volontario in danno di NOME, commesso in Collegno il 20 febbraio 2022.
NOME COGNOME proponeva appello rivolto alla Corte di assise di appello di Torino, che lo rigettava con sentenza in data 8 novembre 2023, di conferma della sentenza di primo grado.
Secondo la ricostruzione dei fatti recepita dai giudici del merito, la mattina del 20 febbraio 2022, in Collegno, NOME si era recato nel luogo in cui il suo vicino di casa NOME abitava e l’aveva aggredito con pugni e calci, quindi l’aveva abbandonato. NOME era riuscito a richiedere soccorso al servizio di emergenza in una telefonata in cui aveva accusato NOME di averlo picchiato. NOME aveva reiterato la richiesta di soccorso ma il servizio di emergenza non era riuscito a individuare l’abitazione di NOME. Nel pomeriggio, NOME aveva chiesto soccorso per telefono a NOME COGNOME, guardia venatoria, che aveva contattato il servizio di emergenza e aveva conAVV_NOTAIOo i soccorritori alla casa di NOME. Costui era stato quindi reperito disteso su un giaciglio in stato di incoscienza, con gravi tumefazioni ed ematomi al volto ed evidenti perdite ematiche, ed era stato trasportato in ospedale ove era giurniro alle 18,21 ed era deceduto alle 18,42.
La difesa dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione, con atto articolato in cinque motivi.
3.1. Con il primo motivo di ricorso, la difesa, richiamando l’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., deduce carenza di motivazione in ordine alla richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale finalizzata al compimento di una consulenza tecnica per accertare le cause della morte della vittima. Ad avviso del ricorrente, la discrasia tra la ricostruzione del fatto resa dal AVV_NOTAIO. COGNOME consulente tecnico del Pubblico Ministero, e quella resa dal AVV_NOTAIO. COGNOME, consulente tecnico della difesa, avrebbe richiesto un approfondimento mediante perizia sulle cause della morte di NOME.
3.2. Con il secondo motivo di ricorso, la difesa, richiamando l’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., deduce illogicità e contraddittorietà della motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità di COGNOME per il reato ascrittogli. L difesa nega che sia stata raggiunta la prova della colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio e sostiene che il giudice di appello non si è confrontato con la ricostruzione alternativa fornita dal consulente della difesa, per cui le lesioni riportate da NOME sarebbero compatibili con una caduta dall’alto. Il giudice di appello avrebbe dovuto motivare in ordine alla riconducibilità delle lesioni riscontrate su NOME ad un impatto violento dovuto a una caduta, tenendo anche conto degli elementi forniti dalla difesa a sostegno della ricostruzione emersa dalla consulenza tecnica.
3.3. Con il terzo motivo di ricorso, la difesa, richiamando l’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., deduce violazioni degli artt. 575 e 584 cod. pen. e vizi di motivazione con riferimento alla qualificazione giuridica del reato. La difesa evidenzia la contraddittorietà della motivazione, laddove dapprima è argomentata una volontà omicidiaria e poi è affermato un dolo consistente in quello eventuale o alternativo. Per la difesa, tale ragionamento sarebbe lacunoso, nonché privo di riscontri, se si considera che NOME non ha completato la manovra di soffocamento e che il distacco del peduncolo della milza è evento raro e, quindi, non rappresentabile dall’agente come conseguenza della propria azione.
3.4. Con il quarto motivo di ricorso la difesa lamenta il vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione della circostanza attenuante della provocazione, di cui all’art. 62, n. 2, cod. pen. Secondo la difesa, il giudice di appello non avrebbe tenuto conto delle dichiarazioni testimoniali di NOME, dalle quali emergeva che NOME accusava NOME del furto di vari oggetti, né del foglietto contenente l’invito alla restituzione di un piccone, invito che poteva essere ritenuto come un’accusa infondata di furto a carico di NOME.
3.5. Con il quinto motivo di ricorso, la difesa, richiamando l’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) , cod. proc. pen., deduce violazione dell’art. 62-bis cod. pen. e carenza di motivazione in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Il difensore dell’imputato ha epositato atto recante motivi nuovi.
4.1. Con il primo di tali motivi, i difensore, richiamando l’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., ribadisce, con riferimento ai motivi “1” e “2” del ricorso principale, la censura di difetto di motivazione della sentenza impugnata, in merito all’omesso espletamento di perizia sulle modalità e sulle cause della morte di NOME e sulla condanna dell’imputato nonostante la sussistenza di un ragionevole dubbio in ordine alle cause che determinarono il distacco del peduncolo della milza.
4.2. Con il secondo di tali motivi, il difensore, richiamando l’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., ribadisce, con riferimento al motivo “3” del ricorso principale, le censure di violazioni di legge e di difetto di motivazione in ordine all’omessa derubricazione del reato in omicidio preterintenzionale.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Le censure espresse dal ricorrente, dirette a far ritenere violazioni di legge e vizi di motivazione nella sentenza di appello, sono tutte infondate, con riferimento sia al mancato espletamento di una perizia; sia all’affermazione di responsabilità dell’imputato; sia alla qualificazione del fatto come omicidio volontario e alla negazione delle circostanze attenuanti della provocazione e di quelle generiche. è opportuno richiamare alcuni principi stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità sugli argomenti rilevanti della causa.
1.1. Per quanto concerne la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale nel giudizio di appello, prevista dall’art. 603, comma 1, cod. proc. pen., è stato chiarito che essa è subordinata alla verifica dell’incompletezza dell’indagine dibattimentale ed alla conseguente constatazione del giudice di non poter decidere allo stato degli atti senza una rinnovazione istruttoria; tale accertamento è rimesso alla valutazione del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivata (Sez. 6, n. 48093 del 10/10/2018, Rv. 274230 – 01).
1.2. Con riferimento ai limiti del giudizio di cassazione, è stato NOMEto che sono precluse, al giudice di legittimità, la rilettura degli elementi di fatto post fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli aAVV_NOTAIOati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 280601 – 01).
1.3. In ordine alla differenza fra il reato di omicidio volontario e quello d omicidio preterintenzionale, è stato affermato che sussiste il delitto di omicidio volontario, e non quello di omicidio preterintenzionale, caratterizzato dalla totale assenza di volontà omicida, nel casò in cui la conAVV_NOTAIOa dell’agente riveli, alla stregua delle regole di comune esper enza, la consapevole accettazione, da parte del predetto, anche solo dell’eventu ilità che dal proprio comportamento possa derivare la morte del soggetto passivo (Sez. 1, n. 44677 del 13/07/2023, Rv. 285403 – 01).
1.4. Con riguardo alla provocazione, è stato chiarito che, ai fini della configurabilità di tale attenuante, occorrono: a) lo stato d’íra, costituito da un’alterazione emotiva che può anche protrarsi nel tempo e non essere in rapporto
di immediatezza con un fatto ingiusto altrui; b) il fatto ingiusto altrui, che deve essere connotato dal carattere della ingiustizia obiettiva, intesa come effettiva contrarietà a regole giuridiche, morali e sociali, reputate tali nell’ambito di un determinata collettività in un dato momento storico e non con riferimento alle convinzioni dell’imputato e alla sua sensibilità personale; c) un rapporto di causalità psicologica e non di mera occasionalità tra l’offesa e la reazione, indipendentemente dalla proporzionalità tra esse, sempre che sia riscontrabile una qualche adeguatezza tra l’una e l’altra conAVV_NOTAIOa (Sez. 1, n. 47840 del 14/11/2013, Rv. 258454-01).
stato precisato che detta attenuante, pur non richiedendo i requisiti di adeguatezza e proporzionalità, non è configurabile laddove la sproporzione fra il fatto ingiusto altrui e il reato commesso sia talmente grave e macroscopica da escludere lo stato d’ira o il nesso causale fra il fatto ingiusto e l’ira (Sez. 5, n. 89 del 19/01/2022, Rv. 282823 – 01). E
1.5. Per quanto concerne la concessione delle circostanze attenuanti generiche, è stato chiarito che essa non impone che siano esaminati tutti i parametri di cui all’art. 133 cod. pen., poiché è sufficiente che si specifichi a quale di esso si sia inteso fare riferimento (Sez. 1, n. 33506 del 07/07/2010, Rv. 24795901; Sez. 2, n. 2285 del 11/10/2004, dep. 2005, Rv. 230691-01). Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli deAVV_NOTAIOi dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a que ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superat da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Rv. 259899 – 01; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Rv. 248244-01). In tema di circostanze attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269 – 01).
In applicazione dei richiamati principi di diritto, pienamente condivisibili, deve affermarsi, con riferimento al caso ora in esame, che le censure proposte dall’imputato non colgono nel segno sotto alcun profilo, come anticipato.
2.1. Con riguardo alla mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale da parte del giudice di appello, deve notarsi che la decisione in proposito è sorretta da chiara e adeguata motivazione, perché la sentenza in valutazione, NOME, per un verso, che lo stesso consulente tecnico dell’imputato, pur sostenendo che non è l’unica ricostruzione possibile alla luce dell’atipicità delle lesioni, riconosce
validità della ricostruzione offerta dal consulente del Pubblico Ministero; per altro verso, detta sentenza pone in evidenza che lo stato dei luoghi e le dichiarazioni rese da NOME dopo l’aggressione ad opera di NOME escludono, al di là di ogni dubbio, l’ipotesi di una caduta accidentale prospettata dal consulente tecnico dell’imputato quale ipotesi alternativa.
2.2. Per quanto concerne la ricostruzione del fatto, il giudice di appello, in linea con il giudice di primo grado, nel rispetto del dato normativo, espone nell’articolata motivazione, priva di alcun vizio di logicità e quindi coerente, una serie di particolari sul fatto e, muovendo dalle pur parziali ammissioni di NOME NOME un’aggressione in danno di NOMENOME NOME in modo chiaro e completo le ragioni in base alle quali le lesioni in varie parti del corpo, che furono riscontrat sul corpo di NOME, e che ne provocarono la morte, sono riconducibili all’aggressione in suo danno ad opera di NOME, e non ad una caduta occasionale.
2.3. Con riferimento alla qualificazione del fatto come omicidio volontario e non come omicidio preterintenzionale, il giudice di appello ha rispettato il dettato normativo, si è attenuto ai principi stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità e NOMEto adeguatamente – dimostrando di aver preso in considerazione anche le contrarie tesi difensive – una serie di elementi giustificativi della qualificazione del fatto come omicidio volontario. Il giudice di appello ha posto in luce, fra l’altro, che le condizioni della vittima, le modalità dell’aggressione, alla stregua delle regole di comune esperienza, escludono che l’azione di NOME fosse diretta unicamente a ledere, tanto più se si considera che NOME abbandonò NOME in un posto sperduto ove non avrebbe potuto essere soccorso.
2.4. Con riguardo alla provocazione, la sentenza di appello conferma anche sul punto il giudizio reso dal giudice di primo grado, e pone in luce, fra l’altro, ne pieno rispetto dei principi che regolano l’attenuante della provocazione, che nel caso di specie si versa in ipotesi di evidente e macroscopica differenza tra l’asserito comportamento ingiusto della vittima (al più, false accuse di furto e insulti) e la reazione opposta dall’imputato, cor sistita in un violento pestaggio ai danni di un soggetto fragile e incapace di difeniersi, in modo tale che ne è stata cagionata la morte. Il giudice di appello ha dim )strato di aver valutato le contrarie deduzioni difensive e ha chiarito che non fu lc stato d’ira proAVV_NOTAIOo da fatto altrui a scatenare la reazione lesiva, quanto altri s !ntimenti come la vendetta, il malanimo, il desiderio di sopraffazione, con escli sione, quindi, del necessario nesso di causalità fra un fatto ingiusto, una stato d’ira e una reazione.
2.5. Per quanto concerne la richiesta di concessione delle circostanze attenuanti generiche, il giudice di appello l’ha ritenuta infondata, condividendo le argomentazioni del giudice di primo grado, all’esito di un adeguato e convincente percorso motivazionale. In particolare, il giudice di appello ha evidenziato che
l’incensuratezza è insufficiente a giustificare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e che la valenza di taluni dati positivi sulla personalità di NOME soccombe a fronte della sua propensione all’uso di violenza nell’ambito delle relazioni interpersonali, sfociata nell’aggressione mortale ai danni di NOME.
A fronte del rispetto, da parte del giudice di appello, delle norme che regolano gli istituti applicati, e della chiarezza espositiva e della congruità dell argomentazioni logico-giuridiche presenti nella sentenza di appello, le doglianze difensive risultano prive di pregio.
Il provvedimento, quindi, supera il vaglio di legittimità demandato a questa Corte, il cui sindacato deve arrestarsi alla verifica del rispetto delle norme giuridiche, delle regole della logica, dei canoni che presiedono all’apprezzamento delle circostanze fattuali.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. In applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen., il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, 17 maggio 2024.