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Omicidio volontario e dolo eventuale sul lavoro

La Corte di Cassazione conferma la custodia cautelare per un imprenditore accusato di omicidio volontario plurimo per la morte di tre operai in un’esplosione. La sentenza chiarisce che l’aver consapevolmente accettato il rischio di un evento mortale, operando in condizioni di estrema pericolosità e senza alcuna sicurezza, integra il dolo eventuale e qualifica il reato come omicidio volontario.

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Pubblicato il 23 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Omicidio Volontario: Quando la Morte sul Lavoro è Dolosa

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cruciale in materia di sicurezza sul lavoro, qualificando come omicidio volontario la morte di tre operai a seguito di un’esplosione in una fabbrica abusiva di fuochi d’artificio. La decisione si fonda sul concetto di dolo eventuale, stabilendo che chi crea e mantiene condizioni di lavoro così pericolose da rendere altamente probabile un esito letale, ne accetta consapevolmente il rischio, rispondendone a titolo di dolo e non di semplice colpa.

I fatti del caso: la tragedia nella fabbrica abusiva

Il caso ha origine da una violenta esplosione avvenuta in un immobile adibito abusivamente alla fabbricazione, assemblaggio e stoccaggio di materiale pirotecnico. L’incidente ha causato il crollo dell’edificio e la morte di tre lavoratori, assunti senza alcun contratto regolare e costretti a operare in totale assenza di condizioni di sicurezza. Le indagini hanno identificato due soggetti come datori di lavoro di fatto, responsabili dell’attività illecita. Uno di loro è stato sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere per omicidio plurimo e altri reati connessi.

Il percorso giudiziario e le tesi della difesa

L’indagato ha presentato ricorso al Tribunale del Riesame, che ha però confermato la misura cautelare. Successivamente, la difesa si è rivolta alla Corte di Cassazione, contestando la gravità degli indizi, la valutazione delle prove (come intercettazioni e dichiarazioni) e la qualificazione giuridica del fatto. In particolare, il ricorrente sosteneva che la sua condotta dovesse essere inquadrata come morte in conseguenza di altro delitto (art. 586 c.p.) e non come omicidio volontario, e che mancassero le esigenze cautelari per giustificare la detenzione in carcere.

Omicidio volontario e la spregiudicatezza della condotta

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo la motivazione del Tribunale del Riesame logica, coerente e completa. I giudici supremi hanno sottolineato come gli elementi raccolti fossero numerosi e convergenti: dichiarazioni dei parenti delle vittime, chiamate in correità del socio, intercettazioni e tabulati telefonici. Questi elementi delineavano un quadro chiaro del ruolo attivo dell’indagato nell’organizzazione del lavoro e nella gestione dell’attività pericolosa.

Le motivazioni della decisione

Il punto centrale della sentenza riguarda la qualificazione del reato come omicidio volontario sotto il profilo del dolo eventuale. La Corte ha spiegato che si configura omicidio volontario, e non preterintenzionale, quando la condotta dell’agente, valutata secondo le regole di comune esperienza, dimostra la sua consapevole accettazione del rischio che da essa potesse derivare la morte di qualcuno.

Nel caso specifico, sfruttare lavoratori privi di tutele, formazione e presidi di sicurezza, costringendoli a maneggiare quotidianamente materiali esplodenti di origine incontrollata in un ambiente inadeguato, è una condotta che va oltre la semplice negligenza. È una condotta che, per la sua elevatissima pericolosità, rende la morte dei dipendenti un’evenienza non solo possibile, ma altamente probabile. Proseguire in tale attività significa accettare questo rischio mortale come costo del proprio profitto criminoso.
La Corte ha inoltre confermato la sussistenza delle esigenze cautelari, evidenziando non solo la gravità dei fatti, ma anche la spregiudicatezza dell’indagato e i suoi legami con ambienti criminali, elementi che indicavano un concreto pericolo di reiterazione del reato e di inquinamento probatorio.

Le conclusioni

Questa pronuncia rafforza un importante orientamento giurisprudenziale in materia di sicurezza sul lavoro. La morte di un lavoratore non può essere sempre liquidata come un tragico incidente o un reato colposo. Quando il datore di lavoro agisce con una totale noncuranza per la vita umana, creando deliberatamente una situazione di pericolo estremo e prevedibile, la sua responsabilità penale può assurgere al livello più grave, quello dell’omicidio volontario. La sentenza serve da monito: l’accettazione consapevole del rischio di morte equivale, per la legge, a volerla.

Quando una morte sul lavoro può essere considerata omicidio volontario?
Secondo la sentenza, si configura omicidio volontario quando il datore di lavoro, pur non volendo direttamente la morte del lavoratore, agisce con una condotta talmente pericolosa da rendere l’evento letale una conseguenza altamente probabile, accettando consapevolmente il rischio che ciò accada (dolo eventuale).

Che cos’è il dolo eventuale?
È la condizione psicologica di chi compie un’azione prevedendo che da essa possa derivare un evento illecito (in questo caso, la morte). Pur non essendo il suo obiettivo principale, l’agente accetta il rischio che tale evento si verifichi, decidendo di agire ugualmente per perseguire il proprio scopo.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le argomentazioni della difesa miravano a una nuova valutazione dei fatti e delle prove, un’attività che non è permessa in sede di legittimità. La Corte di Cassazione può giudicare solo la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione, che in questo caso sono state ritenute impeccabili.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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