Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 30358 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 30358 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/07/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
NOME COGNOME
Sent. n. sez. 497/2025
– Relatore –
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente
sul ricorso proposto da:
avverso la sentenza del 05/12/2024 della Corte d’assise d’appello di Napoli
Visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso, come da requisitoria depositata in precedente;
Con la sentenza in epigrafe, emessa il 5 dicembre 2024, la Corte di assise di appello di Napoli ha confermato la sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Nola, resa il 25 ottobre 2023, con cui NOME COGNOME – imputato del reato di omicidio volontario di NOME COGNOME colpito piø volte con frattura della base cranica e fratture costali multiple bilaterali, fino a determinarne il decesso (art. 575 cod. pen.: capo A) e del reato di occultamento del cadavere della suddetta vittima, perpetrato mediante la legatura di varie articolazioni dello stesso e la sua susseguente collocazione in sacchi in plastica cellophane, poi abbandonati in un campo nei pressi della INDIRIZZO con l’aggravante di aver commesso il fatto per guadagnarsi l’impunità dal primo reato (artt. 61, n. 2, e 412 cod. pen.: capo B), fatti commessi in Scisciano, in data antecedente e prossima al 3 giugno 2022 – era stato, all’esito di giudizio abbreviato, dichiarato colpevole di entrambi i delitti ascrittigli e, computata la diminuente per il rito, condannato alla complessiva pena di anni quindici di reclusione, di cui anni quattordici per l’omicidio e anni uno per l’occultamento di cadavere, nonchØ al risarcimento dei danni in favore di NOME COGNOME parte civile, danni da quantificarsi in separata sede, con la liquidazione della provvisionale di euro 30.000,00.
Si evidenzia, in contrario, che proprio lo sviluppo delle indagini registrato in coincidenza con il secondo decreto autorizzativo aveva determinato l’iscrizione di Sitariu nel registro delle notizie di reato e si censura come illogica l’argomentazione secondo la quale la violazione del dovere di astensione afferirebbe al mancato esercizio di una facoltà, non al rispetto di un obbligo.
La difesa evidenzia che l’intero contenuto dell’interrogatorio reso da COGNOME Ł stato travisato, in quanto le relative dichiarazioni sono state liquidate come non veritiere, pur essendo mancata la verifica di compatibilità delle stesse con le risultanze medico-legali e con l’esito delle riprese registrate dalle telecamere, senza considerare, inoltre, che il contenuto delle intercettazioni poteva valutarsi in relazione al tentativo dell’imputato di sottrarsi all’accusa di occultamento di cadavere, ma non afferiva al delitto di omicidio.
2.6. Con il sesto motivo si prospetta l’apparenza della motivazione resa in risposta alla deduzione volta all’applicazione dell’art. 83 cod. pen.
Con riferimento al primo motivo, la Corte territoriale ha, fra le esposte rationes decidendi , richiamato – attenendovisi – il principio di diritto secondo il quale l’incompatibilità del giudice costituisce unicamente motivo di ricusazione dello stesso.
Con tale ultima ragione della decisione il ricorrente non ha istituito un effettivo confronto, limitandosi a opinare che le corrispondenti argomentazioni sarebbero illogiche e contraddittorie, senza nemmeno tentare di contrapporre obiezioni di contenuto giuridico al principio a cui si Ł richiamata la Corte territoriale e che va qui condiviso e riaffermato.
Si Ł già affermato – e va ribadito – che l’omesso espletamento dell’interrogatorio, a seguito dell’avviso di cui all’art. 415bis cod. proc. pen., benchØ sollecitato dall’imputato, determina, certo, una nullità di ordine generale, ma a regime intermedio: questa nullità, quindi, non può essere dedotta a seguito della scelta del giudizio abbreviato, in quanto la richiesta del rito speciale opera un effetto sanante della medesima, ai sensi dell’art. 183 cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 39474 del 03/07/2014, Acquavite, Rv. 260786 – 01).
In particolare, si rivela destituita di fondamento la prospettazione difensiva di avvenuto travisamento delle dichiarazioni dell’imputato, le quali, invece, dopo essere state analiticamente riportate nella prima decisione, sono stati valutate e, poi, per una parte rilevante, ritenute non credibili anche dalla Corte di assise di appello sulla scorta di argomenti congruamente radicati nel compendio probatorio acquisito e fatti oggetto di ponderazione esente da vizi logici.
In ordine a questa prospettazione, non può non ricordarsi che, in tema di motivi di ricorso per cassazione, il vizio di contraddittorietà processuale, o travisamento della prova, vede circoscritta la cognizione del giudice di legittimità alla verifica dell’esatta trasposizione nel ragionamento del giudice di merito del dato probatorio, rilevante e decisivo, per evidenziarne l’eventuale, incontrovertibile e pacifica distorsione, in termini quasi di fotografia,
neutra e avalutativa, del significante, ma non del significato, in quanto resta fermo divieto in sede di legittimità di rilettura e di reinterpretazione nel merito dell’elemento di prova (Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, COGNOME, Rv. 283370 – 01).
Piø in generale, mette conto sottolineare che, in tema di giudizio di legittimità, la cognizione della Corte di cassazione Ł funzionale a verificare la compatibilità della motivazione della decisione con il senso comune e con i limiti di un apprezzamento plausibile: la Corte di legittimità, quindi, non deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, nØ deve svolgere analisi di merito per condividerne la giustificazione, ma deve verificare se questa giustificazione sia compatibile con i parametri suindicati, in quanto l’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen. non consente alla Corte di cassazione una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove (Sez. 1, n. 45331 del 17/02/2023, Rezzuto, Rv. 285504 – 01; Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003, dep. 2004, Elia, Rv. 229369 – 01).
In tal senso, va ribadito che sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601 – 01), sicchØ eccede dai limiti di cognizione della Corte di cassazione ogni potere di revisione degli elementi materiali e fattuali, trattandosi di accertamenti rientranti nel compito esclusivo del giudice di merito, posto che il controllo sulla motivazione rimesso al giudice di legittimità Ł circoscritto alla sola verifica dell’esposizione delle ragioni giuridicamente apprezzabili che l’hanno determinata, dell’assenza di manifesta illogicità dell’esposizione e, quindi, della coerenza delle argomentazioni rispetto al fine che ne ha giustificato l’utilizzo e della non emersione di alcuni dei predetti vizi dal testo impugnato o da altri atti del processo, ove specificamente indicati nei motivi di impugnazione, requisiti la cui sussistenza rende la decisione insindacabile (Sez. 3, n. 17395 del 24/01/2023, Chen, Rv. 284556 – 01).
Alla stregua delle considerazioni che precedono, non Ł ravvisabile la dedotta (nel terzo motivo) violazione dell’art. 423 cod. proc. pen.
Indubbia era, infatti, la sussistenza del potere dovere dei giudici di appello di procedere alla diversa qualificazione del fatto, che sarebbe avvenuta certamente nel rispetto del diritto al contraddittorio di tutte le parti, avendo l’imputato proposto, in vario modo, tale diversa qualificazione con l’appello.
Altrettanto indubitabile, però, Ł la constatazione che la Corte di assise di appello, rendendo congrua motivazione, ha spiegato in modo esaustivo e coerente le ragioni per le quali a nessuna diversa qualificazione del fatto accertato – rispetto a quella di omicidio volontario – fosse da accedersi con riferimento alla vicenda delibata.
5.1. In ordine alla censura di addotta inadeguatezza della motivazione in punto di ritenuto omicidio volontario, in luogo di quello preterintenzionale, Ł sufficiente fa riferimento gli snodi argomentativi già richiamati che impongono di prendere atto che la valutazione di merito della complessiva azione aggressiva Ł risultata univocamente dimostrativa dell’avvenuto dispiegamento, da parte dell’agente, non del mero intento lesivo dell’incolumità altrui, bensì della volontà di uccidere l’antagonista; e, come si Ł visto, essa non si presta a critica di sorta.
A fronte dei significativi elementi valutati dalla Corte di assise di appello in senso univocamente sintomatico dell’evenienza dell’ animus necandi alla base della condotta dell’agente, la deduzione secondo cui COGNOME aveva agito, in una disputa fra ubriachi, per
mera difesa e comunque senza volontà omicidiaria, ma soltanto allo scopo di rendere inoffensivo COGNOME, non si Ł rivelata radicata su concrete evidenze, che fossero state obliterate o immotivatamente dequotate dalla decisione impugnata: in essa, al contrario, la Corte di merito ha specificato, analizzato e valutato, con argomentazioni adeguate e immuni da vizi logici, gli elementi di fatto posti alla base della conclusione raggiunta, nel senso che, ledendo prima la testa e poi ancora violentemente il torace della vittima, nonchØ lasciandola morire nel tempo seguito, l’imputato aveva reso palese di aver messo nel conto e voluto l’evento letale.
E’ da ribadirsi, sul tema, che il criterio discretivo tra omicidio volontario e omicidio preterintenzionale rinviene il suo dato essenziale nell’elemento psicologico, nel senso che nell’ipotesi della preterintenzione la volontà dell’agente Ł diretta, ex art. 584 cod. pen., a percuotere o a ferire la vittima, con esclusione assoluta di ogni previsione dell’evento morte, mentre nell’omicidio volontario la volontà dell’agente Ł quella di uccidere la vittima, con la specificazione, da non trascurare, che tale volontà deve ritenersi sussistente, non soltanto quando l’agente abbia agito con l’intenzione di uccidere, ma anche quando egli si sia rappresentato l’evento morte come conseguenza altamente probabile della sua condotta che, ciò nonostante, ha posto in essere. Di conseguenza, si configura il delitto di omicidio volontario – e non quello di omicidio preterintenzionale, caratterizzato dalla totale assenza di volontà omicida – qualora la condotta dell’agente, alla stregua delle regole di comune esperienza, dimostri la consapevole accettazione da parte del medesimo anche solo dell’eventualità che dal suo comportamento potesse derivare la morte del soggetto passivo (Sez. 5, n. 11946 del 09/01/2020, COGNOME, Rv. 278932 – 01; Sez. 1, n. 3619 del 22/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272050 – 01).
Pure per tale aspetto l’accertamento dell’elemento soggettivo Ł rimesso alla valutazione dei dati oggettivi da trarsi dalle concrete modalità della condotta, con riferimento, fra le altre, al tipo e alla micidialità dello strumento di offesa usato, all’intensità e alla direzione del relativo impiego, alla distanza dall’obiettivo dell’azione lesiva, alla parte o alle parti del corpo prese di mira e a quella o quelle concretamente attinte, dovendo accertarsi quale obiettivo e quale forma di elemento psicologico abbia connotato la condotta in fatto omicida desumendoli dall’esito della complessiva valutazione della condotta dell’agente, considerata alla stregua dei dati acquisiti con certezza, secondo accertamento congruamente giustificato, svolgendo l’indagine, non soltanto con riguardo al dolo diretto nella forma di quello intenzionale, ma anche con riguardo al dolo alternativo (che ricorre quando il soggetto agente prevede e vuole indifferentemente due eventi alternativi tra loro come conseguenza della sua condotta, idonea a provocare, con certezza o alto grado di probabilità in base alle regole di comune esperienza, la morte della persona verso cui la condotta stessa si dirige, essendo pertanto indiscussa la non necessarietà della specifica finalità di uccidere, quale manifestazione del, piø intenso, dolo intenzionale, inteso quale perseguimento dell’evento come scopo finale dell’azione: Sez. 1, n. 28175 del 08/06/2007, Marin, Rv. 237177 – 01), nonchØ al dolo indiretto o eventuale (che sussiste quando l’agente si sia rappresentato la significativa possibilità di verificazione dell’evento e si sia determinato ad agire comunque, anche a costo di cagionarlo, comunque preventivamente accettato, della propria azione, in modo tale che, sul piano del giudizio controfattuale, possa concludersi che egli non si sarebbe trattenuto dal porre in essere la condotta illecita, neppure se avesse avuto contezza della sicura verificazione dell’evento medesimo: Sez. 1, n. 44677 del 13/07/2023, Z., Rv. 285403 – 01; Sez. 1, n. 3619 del 22/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272050 – 01).
Le certe indicazioni fattuali esposte dai giudici di merito non lasciano residuare alcuna
perplessità in ordine all’accertamento della volontarietà dell’omicidio, non essendo, per contro, concretamente sintomatiche della mera volontà di ledere le ulteriori deduzioni sviluppate dal ricorrente: la Corte territoriale ha persuasivamente argomentato nel riferito senso che l’imputato aveva compiuto la complessiva azione certamente animato anche dal dolo omicidiario, non dalla sola volontà di ferire la vittima.
Va, quindi, disattesa la prospettazione, sviluppata nel quarto e nel quinto motivo, di erronea mancata qualificazione del fatto come omicidio preterintenzionale e resta superata anche la – ancora piø disconnessa dagli elementi fattuali accertati e valutati dai giudici di merito – censura di omessa valutazione del fatto come da inquadrarsi addirittura nell’omicidio colposo.
5.2. Inoltre, non merita di essere accolta nemmeno la doglianza inerente all’omesso rilievo dell’eccesso colposo di legittima difesa, per gli effetti di cui all’art. 55, in relazione all’art. 52, cod. pen.
Si Ł già richiamato il chiaro snodo argomentativo esposto dai giudici di secondo grado (non superato dal ricorrente, se non attingendo alla già notata rilettura dei dati fattuali) in virtø del quale, ove pure fosse stato dimostrato l’esordio aggressivo da parte di COGNOME mediante un pugno portato all’indirizzo di COGNOME le possibilità di quest’ultimo di non accettare lo scontro abbandonando il campo o, comunque, di limitarsi a una reazione difensiva proporzionata non erano state da lui prese in considerazione, avendo egli, in ogni caso, consapevolmente optato per dare luogo all’aggressione violentissima e incontrollata dell’antagonista, così raggiunto dai colpi letali già descritti.
Essendo rimaste indimostrate le diverse articolazioni del fatto prospettate dalla difesa, deve ribadirsi che Ł configurabile l’esimente della legittima difesa soltanto qualora l’autore del fatto versi – e ciò non Ł accaduto nel caso di specie – in una situazione di pericolo attuale per la propria incolumità fisica, tale da rendere necessitata e priva di alternative la sua reazione all’offesa mediante aggressione, sicchØ essa non ricorre quando l’autore del reato avrebbe potuto non avvicinarsi al luogo del fatto o comunque allontanarsi dallo stesso ed evitare il confronto (Sez. 1, n. 51262 del 13/06/2017, COGNOME, Rv. 272080 – 01; Sez. 1, n. 5697 del 28/01/2003, COGNOME, Rv. 223441 – 01). Quindi, la volontaria determinazione di una situazione di pericolo che poteva essere evitata allontanandosi senza pregiudizio e disonore osta alla configurabilità della causa di giustificazione, che opera solo quando l’agente Ł costretto a reagire al pericolo attuale di un’offesa ingiusta, e non anche quando egli stesso ha dato ab initio causa alla specifica situazione pericolosa o l’ha, comunque, affrontata, accettando il rischio di subirne gli effetti (Sez. 1, n. 21577 del 20/02/2024, COGNOME, Rv. 286440 – 01).
Tale assunto rileva nel caso di specie, per l’effetto che determina in merito alla censura svolta in tema di eccesso colposo nell’avvalersi dell’esimente.
Dato, infatti, per assodato che l’accertamento relativo alla scriminante della legittima difesa, reale o putativa, e del corrispondente eccesso colposo deve essere effettuato con un giudizio ex ante calato all’interno delle specifiche e peculiari circostanze concrete che connotano la fattispecie da esaminare, secondo una valutazione di carattere relativo e non assoluto ed astratto, rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, cui spetta esaminare, oltre che le modalità del singolo episodio in sØ considerato, anche tutti gli elementi fattuali antecedenti all’azione che possano aver avuto concreta incidenza sull’insorgenza dell’erroneo convincimento di dover difendere sØ o altri da un’ingiusta aggressione (Sez. 5, n. 34342 del 05/07/2024, COGNOME, Rv. 286931 – 02), deve osservarsi che l’assenza dei presupposti della scriminante della legittima difesa, in specie della necessità di
contrastare o rimuovere il pericolo attuale di un’aggressione mediante una reazione proporzionata e adeguata – assenza accertata nel caso scrutinato -, impedisce di ravvisare l’eccesso colposo, il quale si caratterizza per l’erronea valutazione di detto pericolo e dell’adeguatezza dei mezzi usati (Sez. 5, n. 19065 del 12/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 279344 – 02; Sez. 1, n. 18926 del 10/04/2013, COGNOME, Rv. 256017 – 01).
Anche questa doglianza, condensata nel quarto motivo, deve, pertanto, considerarsi infondata.
5.3. Il sesto motivo si connota per il suo carattere del tutto ripetitivo delle pregresse doglianze.
Come hanno correttamente rilevato i giudici di appello, segnalano la natura anche giuridicamente reiterativa del riferimento all’art. 83 cod. pen., giacchØ per il delitto in esame l’istituto da richiamarsi – e già dedotto dalla difesa – era l’omicidio preterintenzionale: istituto motivatamente ritenuto non attinente al caso di specie, al pari dell’omicidio colposo, stante l’acclarata sussistenza alla base della condotta di Sitariu dell’ animus necandi .
Trascorrendo al settimo motivo, le censure articolate nel suo ambito dal ricorrente non sono condivisibili per nessuno degli argomenti presi in esame.
6.1. Del tutto apodittico e privo di apparato critico, quindi inammissibile, Ł il lamento avente ad oggetto la mancata applicazione della continuazione fra i reati accertati a carico dell’imputato.
Peraltro, non Ł superfluo notare che, a fronte dell’argomentato diniego, reso dal giudice di primo grado, dell’applicazione della continuazione con riguardo all’omicidio volontario e all’occultamento di cadavere, già l’atto di appello si era limitato alla – puramente rotatoria richiesta di applicazione del suddetto istituto senza munirla di alcun apparato critico della decisione emessa dal Giudice dell’udienza preliminare: sicchØ deve concludersi che l’attuale censura non si Ł ricollegata a uno specifico motivo di appello, atto nel quale la continuazione stessa era stata invocata in modo generico, dunque inammissibile.
6.2. Non si profila fondata, poi, la contestazione inerente al confermato rigetto dell’istanza di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Invero, la Corte di assise di appello ha offerto una congrua e lineare motivazione a sostegno di questo approdo: i giudici di secondo grado, aderendo alla conclusione raggiunta dal primo giudice, hanno valutato la progressione criminosa perpetrata da COGNOME sintomatica di un’indole molto violenta, hanno evidenziato la personalità negativa dell’imputato e hanno stigmatizzato la sua condotta, mai veramente dimostrativa di un sussulto di umanità e dell’emersione del benchØ minimo rimorso per l’azione perpetrata.
Anche la condotta di occultamento del cadavere e il comportamento post factum , comprensivo dell’attuazione della scomparsa del ciclomotore e delle scarpe calzate al momento dell’omicidio, nonchØ del concordamento con la compagna della versione non veritiera dell’episodio cruento, militano – per i giudici territoriali – nel senso della conferma dell’indole volta alla mistificazione caratterizzante la personalità dell’imputato e contro la concreta possibilità di riconoscere al ricorrente le circostanze attenuanti di cui all’art. 62bis cod. pen.
Tale discorso giustificativo Ł consentaneo alle evidenze probatorie emerse e congruamente valutate dalla Corte di merito, sicchØ a fronte di esso si rivelano inconsistenti i riferimenti dell’imputato alla dedotta confessione, al predicato pentimento e alla, pure a ciò ricollegata, scelta per il rito a prova contratta.
Il ragionamento della Corte territoriale si pone in perfetta consonanza con il principio secondo cui, ai fini del diniego delle circostanze attenuanti generiche, non Ł necessario che
il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma Ł sufficiente il riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti (Sez. 3, n. 2233 del 17/06/2021, dep. 2022, Bianchi, Rv. 282693 – 01; Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549 – 02), il mancato riconoscimento di tali attenuanti potendo essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a fortiori dopo la riforma dell’art. 62bis cod. pen (Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, COGNOME, Rv. 283489 – 01).
6.3. La critica inerente all’entità della pena Ł di natura soltanto ottativa.
La doglianza Ł, in definitiva, da disattendersi in toto .
In conclusione, l’impugnazione deve essere, nel suo complesso, rigettata.
Segue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così Ł deciso, 03/07/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME