Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 14706 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 14706 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a PIAZZA ARMERINA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 18/04/2023 della CORTE APPELLO di CALTANISSETTA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta le conclusioni del Procuratore generale, in persona del Sostituto Procuratore NOME, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
letta la memoria dell’AVV_NOTAIO che ha insistito per l’annullamento della sentenza impugnata;
RILEVATO IN FATTO
1.Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Caltanissetta ha confermato la pronuncia del GUP del Tribunale di Enna del 22 settembre 2022, che, in sede di giudizio abbreviato, aveva ritenuto NOME COGNOME responsabile del reato previsto dall’art. 589 bis cod. pen. e lo aveva condannato alla pena di mesi 5 e giorni 10 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Pena sospesa.
NOME COGNOME era stato contestato di aver cagionato, in data 6 dicembre 2020, dapprima lesioni gravissime e poi, il successivo 14 dicembre, la morte di NOME COGNOME, in seguito all’incidente stradale avvenuto in Piazza Armerina lungo la INDIRIZZO in direzione di Enna.
In particolare, mentre il COGNOME si trovava alla guida dell’autovettura Peugeot TARGA_VEICOLOta TARGA_VEICOLO, giunto all’altezza del Km INDIRIZZO circa, per colpa generica consistita in negligenza, imprudenza, imperizia, nonché per colpa specifica consistita nella violazione dell’art. 141, commi 1 e 2, d.lgs. 285/1992, non regolando la velocità in relazione alle condizioni della strada (pioggia battente e vento forte) e non arrestando il veicolo dinanzi ad un ostacolo visibile, in corrispondenza di un lungo rettifilo in salita, tamponava da tergo l’autovettura Fiat Uno tg.ta TARGA_VEICOLOTARGA_VEICOLOa dal COGNOME, mentre quest’ultimo aveva poco prima arrestato la marcia per la presenza di un grande ramo caduto sulla carreggiata.
In tal modo, la già menzionata Fiat Uno slittava nella corsia di marcia opposta e subiva il conseguente impatto con altra autovettura, Peugeot TARGA_VEICOLO.ta TARGA_VEICOLO, che nel frattempo sopraggiungeva in direzione opposta, così facendo balzare fuori dall’abitacolo NOME COGNOME, che riportava lesioni gravissime da cui derivava il decesso, intervenuto a Catania il 14 dicembre 2020. In Piazza Armerina, il 6 dicembre 2020.
2. I giudici di merito hanno così ricostruito i fatti.
Il 6 dicembre 2020, alle ore 7,45 circa, nelle circostanze di luogo indicate in imputazione, si verificava un sinistro tra la Peugeot 3008, condotta dall’imputato, e l’autovettura Fiat Uno, condotta da NOME COGNOME. Nel sinistro veniva successivamente coinvolta anche la Peugeot 207, condotta da NOME COGNOME, che nel frattempo sopraggiungeva in direzione opposta. Il COGNOME era intento a guidare lungo la SS INDIRIZZO,
direzione Enna, in tratto rettilineo ed in leggera salita, alle rquando le diffic condizioni climatiche (pioggia battente e vento forte) cagionavano la caduta di un grande ramo da un albero che si trovava ai bordi della strada, che andava così a bloccare l’intera carreggiata di pertinenza del COGNOME,
Quest’ultimo, dopo aver avvistato l’ostacolo, arrestava la propria marcia proprio in corrispondenza del medesimo. A questo punto, tuttavia, sopraggiungeva nella stessa direzione la Peugeot 3008 condotta dall’imputato, il quale tamponava da dietro la citata Fiat Uno, così provocando lo slittamento del già menzionato veicolo nella corsia di marcia opposta ed il conseguente impatto con altra autovettura Peugeot 207, che nel frattempo sopraggiungeva in direzione opposta, così proiettando fuori dall’ abitacolo il COGNOME. Dopo circa dieci minuti, intervenivano operanti della squadra Volanti del Commissariato di P.S. di Piazza Armerina, i quali descrivevano la dinamica dell’incidente nei termini sopra riportati ed effettuavano i rilievi dell’area teatro del sinistro. Da tali rilievi emerge che il tratto di strada interessato era rettilineo, in leggera salita, a dopp senso di circolazione e con una larghezza totale di metri 9,50 circa, divisa in due carreggiate da metri 3,75 ciascuna e da due banchine di metri 1 ciascuna. Inoltre, i poliziotti specificavano che il fondo stradale era bagnato a causa della pioggia battente e del forte vento, ma che la visibilità era comunque buona, l’illuminazione diurna e non vi era traffico veicolare. Inoltre, si dava atto della presenza, cento metri prima del sinistro, di un cartello di pericolo relativo alla strada sdrucciolevole cor pioggia e neve. Infine, il reparto specializzato non riscontrava sull’asfalto alcun segno di frenata. Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
Le risultanze dei rilievi venivano confermate dalla consulenza svolta dal Pubblico Ministero, dalla quale era emerso che la collisione era avvenuta tra la parte anteriore sinistra della Peugeot 3008 e la parte posteriore destra della Fiat Uno, all’interno della corsia di marcia per i veicoli diretti Enna. All’esito dell’impatto, la Peugeot 3008 scartava verso il margine destro della carreggiata e, dopo aver strisciato con lo spigolo anteriore destro contro il guard rail e travolto il robusto ramo che si trovava sulla carreggiata, a seguito del forte tamponamento ricevuto nella parte posteriore destra, trovava la posizione di quiete a circa 27 metri più avanti rispetto al punto d’urto. Quindi, la Fiat Uno condotta dal COGNOME veniva
fatta ruotare (di circa 180 gradi), sino a slittare nella corsia di marci opposta, a circa 15 metri dalla sezione di collisione. Quindi, dopo pochi istanti, la Fiat Uno veniva nuovamente colpita, nella parte posteriore destra, dalla autovettura Peugeot 207, condotta dal COGNOME, che marciava verso Piazza Armerina. A seguito del secondo urto, l’auto del COGNOME veniva sospinta in direzione Piazza Armerina finendo all’interno della corsia di marcia relativa ai veicoli diretti verso Enna. Veniva anche confermata l’assenza di tracce di frenata e le condizioni di visibilità ed illuminazione rilevati dalla polizia stradale. Il consulente specificava che il limite velocità in quel tratto stradale era di 90 Km/h ed il manto stradale era in buone condizioni. Il consulente aveva anche riscontrato i danni subiti dalla Fiat Uno, consistenti nella traslazione in avanti del sedile di guida sino a contatto con il volante, ciò a causa della spinta esercitata dal divano posteriore a seguito della deformazione subita dalla porta posteriore destra del veicolo in occasione del tamponamento subito dalla Peugeot 3008, dal quale era derivata l’inesistenza dello spazio dell’abitacolo, mentre la ruota posteriore destra era stata rinvenuta a soli 95 cm. di distanza dalla ruota anteriore destra, rispetto al passo originario di cm. 236. La parte offesa non indossava la cintura di sicurezza, essendo il relativo meccanismo bloccato. Le luci erano accese in posizione anabbagliante ed il freno a mano era sollevato. Dal dispositivo satellitare installato sulla Fiat Uno, era emerso che il mezzo al momento della collisione era fermo da almeno cinque secondi e che tra il primo ed il secondo tamponamento era intercorso un lasso di tempo di circa 0,75 secondi. Infine, la velocità della Peugeot 3008 al momento dell’impatto con la Fiat Uno era stata valutata in 80Km/h, mentre la velocità della Peugeot 207 era di circa 60 Km/h. Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
Il teste COGNOME aveva riferito di aver chiaramente percepito sia l’ostacolo del ramo caduto sulla corsia opposta, che il veicolo fermo dietro al medesimo e che veniva tamponato da altro veicolo che ne causava lo scorrimento nella sua corsia di marcia, andando a collidere nella parte anteriore sinistra del proprio veicolo.
Alla luce di tali elementi, la Corte di appello ha ritenuto accertata la responsabilità penale dell’imputato, in quanto l’evento morte doveva considerarsi quale conseguenza diretta della condotta del COGNOME,
avendo quest’ultimo, con il proprio comportamento, inequivocabilmente innescato la sequenza causale che portava al decesso di NOME COGNOME, essendo il primo urto conditio sine qua non di tale evento. Ciò a prescindere dall’assenza della cintura di sicurezza e dalla mancata segnalazione luminosa della sosta da parte del COGNOME, nonché del secondo urto subito dalla Peugeot 207, non trattandosi di circostanze sopravvenute da sole sufficienti a determinare l’evento e tali da spezzare il nesso di causalità tra la condotta colposa e l’evento.
Quanto poi al profilo della sussistenza di una condotta colposa e della causalità della colpa, la Corte territoriale ha rilevato la sussistenza della colpa specifica contestata, posto che l’imputato avrebbe dovuto moderare la propria velocità, in considerazione delle condizioni in cui si trovava la strada, bagnata a causa della pioggia, nonché per la presenza del forte vento. Pertanto, sebbene il limite di velocità fosse di 90 Km/h in tale tratto di strada, lo stesso si riferiva a condizioni atmosferiche ottimali, insussistenti nella fattispecie, con la conseguenza che la velocità tenuta (pari ad 80 Km/h) era inadeguata, con la conseguente integrazione della condotta colposa specifica prevista dall’art. 141 cod. strada o comunque della generale regola di prudenza, relativa a profilo di colpa generica. In ragione della avvenuta violazione di regole di natura cautelare e del conseguente realizzarsi dell’evento, risultava altresì integrato il requisito della prevedibilità ed evitabilità dell’evento infausto da parte del soggetto agente. Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
Tale prevedibilità ed evitabilità era apprezzabile in concreto, giacché le avverse condizioni atmosferiche e la possibile caduta di rami era percepibile dall’imputato, né risultava confermato il dato dallo stesso imputato riferito dell’improvviso peggioramento dell’intensità della pioggia, tale da impedire la visibilità.
Quanto al trattamento sanzionatorio, negate le circostanze attenuanti generiche per la gravità della condotta colposa tenuta, sono state riconosciute le attenuanti del pieno e satisfattivo risarcimento del danno (art. 62 n. 6 cod. pen.) e dell’art. 489, settimo comma, cod. pen., in ragione del fatto che l’evento non era stato esclusiva conseguenza della condotta del colpevole.
La Corte di appello ha integralmente confermato la pronuncia di primo grado, richiamandone tutti i contenuti.
Avverso tale sentenza ricorre per cassazione NOME COGNOME sulla base di due motivi:
Con il primo motivo denuncia la violazione dell’art. 192 cod.proc.pen. e contraddittorietà ovvero carenza ed illogicità della motivazione, in relazione alla dichiarazione di responsabilità, posto che la stessa avrebbe dovuto essere esclusa, essendo l’evento stato determinato, in maniera autonoma ed indipendente dalla condotta imputata al ricorrente, dall’avere lo stesso COGNOME omesso di segnalare luminosamente la sosta, violando l’art. 153 comma 7 cod. strada, e dal non aver indossato la cintura di sicurezza (art. 172 cod. strada). L’esatta valutazione di tali rilievi avrebbe comportato l’accoglimento della tesi difensiva prospettata dall’imputato.
Con il secondo motivo, si deduce la violazione dell’art. 62 bis cod.pen. e difetto di motivazione e violazione di legge. Si lamenta, in particolare, che la sentenza impugnata avrebbe dovuto considerare, oltre alla entità della colpa, l’assenza di precedenti penali dell’imputato ed i parametri dell’art. 133 cod. pen. che avrebbe dovuto comportare la determinazione di una pena inferiore per renderla adeguata alla natura ed entità dei fati:i.
Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta con la quale
ha chiesto dichiararsi il ricorso inammissibile. Il difensore dell’imputato ha depositato nota scritta con la quale ha insistito
per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi di ricorso non superano il vaglio di ammissibilità.
Va premesso che, vertendosi, in punto di valutazione di responsabilità dell’imputato, in una fattispecie di c.d. doppia conforme, le due decisioni di merito vanno lette congiuntamente, integrandosi le stesse
a vicenda, secondo il tradizionale insegnamento della Suprema Corte; tanto in base al principio per cui il giudice di legittimità, ai fini d valutazione della congruità della motivazione del provvedimento impugnato, deve fare riferimento alle sentenze di primo e secondo grado, le quali si integrano a vicenda confluendo in un risultato organico ed inscindibile” (Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997, COGNOME, Rv. 209145; in conformità, tra le numerose altre, Sez. 6, n. 11878 del 20/01/2003, Vigevano, Rv. 224079; Sez. 6, n. 23248 del 07/02/2003, Zanotti, Rv. 225671; Sez. 5, n. 14022 del 12/01/2016, Genitore, Rv. 266617).
Ciò posto, in riferimento al primo motivo di impugnazione, le censure che il ricorrente rivolge al provvedimento impugnato in punto di effettiva ricostruzione della dinamica dell’evento si palesano spales~ infondate, non apprezzandosi nelle motivazioni delle sentenze di merito alcuna illogicità che ne vulneri la tenuta complessiva né alcuna violazione delle regole sostanziali in punto di valutazione del nesso causale.
In particolare, le deduzioni contenute nel motivo di ricorso mirano per la loro gran parte – a sollecitare una rivalutazione nel merito della sentenza da parte di questa Corte, peraltro non consentita in sede legittimità essendo preclusa in questa sede la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. (Sez. 6, n. 27429 del 4/7/2006, COGNOME, P.v. 234559; sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, B., Rv. 280601).
È stato più volte ribadito che la Corte di cassazione non può sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di giudizio (Sez. 5, n. 39048 del 25/9/2007, COGNOME, Rv. 238215; Sez. 6, n. 25255 del 14/2/2012, COGNOME, Rv. 253099), restando esclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura dei dati processuali o una diversa
ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilità delle fonti di prova (Sez. 2, n. 7380 del 11/1/2007, Messina, Rv. 235716).
Va quindi ricordato, in ordine al primo punto posto a fondamento del motivo di ricorso, che in tema di prova, in virtù del principio del libero convincimento, il giudice di merito, pur in assenza di una perizia d’ufficio, può scegliere tra le diverse tesi prospettate dai consulenti delle parti, quella che ritiene condivisibile, purché dia conto con motivazione accurata ed approfondita delle ragioni della scelta nonché del contenuto della tesi disattesa e delle deduzioni contrarie delle parti e, ove tale valutazione sia effettuata in modo congruo, è inibito al giudice di legittimità procedere ad una differente valutazione, trattandosi di accertamento di fatto, come tale insindacabile in sede di legittimità (Sez. 4, n. 34747 del 17/05/2012, COGNOME, Rv. 253512; Sez. 4, n. 8527 del 13/02/2015 n. 321, COGNOME, Rv. 263435).
Nel caso di specie, quindi, la Corte territoriale ha dato congruamente atto – con motivazione non palesemente illogica – della adesione alle conclusioni raggiunte dal consulente del Pubblico ministero in ordine alla specifica ·tematica della dinamica del complesso incidente al momento c ‘ r:’ GLYPH 4 GLYPH t ‘, i 2 dell’urto4 , appare frutto di un ragionamento del tutto congetturale e non fondato su adeguate massime di esperienza, in quanto tale non idoneo a smentire la correttezza della motivazione della Corte territoriale in punto di adesione alle conclusioni del consulente del Pubblico Ministero.
D’altra parte, la Corte ha dato adeguatamente conto – smentendo la relativa argomentazione difensiva, riportata nel motivo di ricorso – con argomentazione non palesemente illogica, che la tesi sostenuta dall’appellante, relativa ad un improvviso peggioramento delle condizioni metereologiche, era rimasta del tutto priva di prova. Al contrario, l’andatura ad 80 KM/h, in quelle condizioni’ era palesemente non consona rispetto al precetto dell’art. 141 cod. strada, tanto da costituire l’innesco dell’incidente, senza consentire ai conducente neanche di frenare, come emerso dai rilievi della RAGIONE_SOCIALE e dalla testimonianza assunta.
In ogni caso, il complesso delle argomentazioni fattuali esposte nell’ambito del motivo di ricorso, non si confronta adeguatamente con il complessivo percorso argomentativo seguito dalla Corte territoriale; in
particolare, la condotta colposa della parte offesa, che non aveva azionato i dispositivi lampeggianti al momento in cui si accorse dell’ostacolo e non aveva indossato la cintura di sicurezza, non sarebbe comunque stata idonea ad escludere la rilevanza causale della condotta tenuta dall’imputato, in quanto lo stesso si sarebbe comunque dovuto trovare nelle condizioni per rispettare la regola cautelare prevista dall’art. 141 C.d.S., comma 2, e in base alla quale il conducente deve sempre conservare il controllo del proprio veicolo ed essere in grado di compiere tutte le manovre necessarie in condizione di sicurezza, specialmente l’arresto tempestivo del veicolo entro i limiti del suo campo di visibilità e dinanzi a qualsiasi ostacolo prevedibile; ritenendo quindi, di conseguenza, che il comportamento dell’imputato si sarebbe comunque posto in diretto rapporto causale con l’evento in correlazione con i principi dettati dagli artt. 40 e 41 c.p.
6. A tale proposito, va ricordato che, secondo costante orientamento giurisprudenziale, le cause sopravvenute idonee ad escludere il rapporto di causalità sono quelle che innescano un processo causale completamente autonomo rispetto a quello determinato dalla condotta dell’agente e quelle che, pur inserite nel processo causale ricollegato a tale condotta (attiva od omissiva), si connotino per l’assoluta anomalia ed eccezionalità, collocandosi al di fuori della normale, ragionevole, probabilità (Sez.4, n. 53541 del 26/10/2017, COGNOME, Rv. 271846; Sez. 5, n. 7205 del 09/11/2022, dep.2023, COGNOME, Rv. 28433802).
Con argomentazione intrinsecamente coerente, la Corte territoriale ha ritenuto che l’assenza di nebbia e di traffico veicolare aveva reso l’autovettura della parte offesa un ostacolo del tutto visibile e lo stesso doveva dirsi, dato il maltempo, per la caduta di rami, che avrebbe dovuto indurre a tenere una velocità adeguata. In materia di circolazione stradale, l’imprevedibilità di un ostacolo, incontrato da un veicolo sulla sua linea di marcia, può escludere la colpa solo se la percezione dello ostacolo sia tanto improvvisa da porre il conducente nella assoluta ed incolpevole impossibilità di evitare l’investimento (Sez. 4, n. 20330 del 13/01/2017, C., Rv. 270227).
Deve quindi ritenersi che la Corte abbia escluso, con motivazione immune dai denunciati vizi di violazione di legge e di illogicità, che l’eventuale posizìonamento delle illuminazioni della Fiat Uno possa essersi posto quale fattore causale esclusivo dell’urto e del successivo impatto con la vettura proveniente dall’opposto senso di marcia, riconoscendo al comportamento colposo dell’imputato l’attributo di fattore eziologico necessario del conseguente evento dannoso.
8. Il motivo inerente alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche è inammissibile, in quanto manifestamente infondato. Va difatti ricordato che lo stesso può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62-bis c.p., disposta con il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell’imputato (Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, COGNOME, Rv. 270986; Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, COGNOME, Rv. 283489); mentre, sul punto, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269; Sez. 2, Sentenza n. 23903 del 15/07/2020, COGNOME, Rv. 279549, che ha specificato che al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente). Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
Nel caso di specie, la Corte territoriale ha fatto corretto uso dei criteri indicati, posto che ha condiviso il diniego della concessione delle attenuanti generiche derivante dalla gravità della condotta, espresso dal Tribunale, che ha, allo stesso tempo, affermato che la pena complessivamente determinata, ai sensi dell’art. 133 cod.pen., era adeguata alla concreta
fattispecie, essendo state riconosciute le due attenuanti dell’art. 589 bis, comma sette, e dell’art. 62 n. 6 cod. pen. ed avendo ancorato la pena base al minimo edittale.
Si tratta quindi di motivazione che appare logica e pienamente coerente con i richiamati principi e, pertanto, non sindacabile in sede di legittimità.
9. Il ricorso va, quindi dichiarato inammissibile.
Alla declaratoria d’inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, il ricorrente va condannato al pagamento di una somma che si stima equo determinare in euro 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende.
P.Q. M .
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 14 febbraio 2024.