Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 12335 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 12335 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a ERICE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 07/06/2023 della CORTE APPELLO di GENOVA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME AVV_NOTAIO COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito il difensore, AVV_NOTAIO del foro di LA SPEZIA, presente in proprio e quale sostituto processuale dell’AVV_NOTAIO del foro di LA SPEZIA che ha illustrato i motivi di ricorso chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 7 giugno 2023, la Corte di appello di Genova ha confermato la sentenza emessa dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Massa con la quale – all’esito di giudizio abbreviato – NOME COGNOME è stato ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 589 bis cod. pen.
Il procedimento ha ad oggetto un incidente stradale verificatosi il 24 dicembre 2019, alle ore 12 circa, nel territorio del comune di Aulla. Secondo la ricostruzione fornita dai giudici di merito, NOME COGNOME si trovava alla guida dell’autovettura targata TARGA_VEICOLO, procedeva lungo la statale SP70 in direzione Ceparana, stava svoltando a sinistra per immettersi in INDIRIZZO, quando l’auto entrò in collisione con il motociclo Honda targato TARGA_VEICOLO, condotto da NOME COGNOME, che procedeva lungo la statale nella opposta direzione di marcia. A causa dell’urto, COGNOME cadde a terra e riportò gravissime lesioni che ne determinarono la morte.
Il difensore di fiducia dell’imputato ha proposto ricorso articolando due motivi.
3.1 Col primo motivo (sviluppato in tre punti) la difesa lamenta violazione di legge e vizi di motivazione della sentenza impugnata sostenendo che i giudici di appello avrebbero dovuto dichiarare la nullità, per difetto di contraddittorio, della sentenza di primo grado, che era stata motivata facendo riferimento ad atti inutilizzabili, ed hanno ritenuto, invece, di poter dichiarare l’inutilizzabilit quegli atti integrando nel merito la motivazione.
Il difensore riferisce che la sentenza di condanna di primo grado è stata motivata attribuendo decisivo rilievo ad atti allegati a una memoria della persona offesa (mai costituitasi parte civile) che erano stati depositati in cancelleria a mezzo EMAIL in un momento successivo all’udienza di discussione. Sostiene che, così operando, il giudice di primo grado ha utilizzato atti inseriti nel fascicol dopo l’ammissione del giudizio abbreviato e provenienti da un soggetto totalmente estraneo al processo. La difesa sostiene che tale utilizzazione ha comportato la nullità della sentenza ai sensi degli artt. 178 lett. c) e 180 cod. proc. pen. Una nullità che è stata ritualmente eccepita nell’atto di appello, ma sulla quale la Corte territoriale non si è pronunciata perché ha ritenuto che l’irrituale acquisizione degli atti menzionati ne comportasse l’inutilizzabilità, h proceduto ad integrazione istruttoria disponendo un accertamento peritale e ha integrato la motivazione sulla base dell’esito di quell’accertamento. Secondo la difesa, operando in questo modo, la Corte di appello avrebbe violato l’art. 604,
comma 4, cod. proc. pen. in base al quale, se il giudice di appello accerta una delle nullità indicate dall’art. 180 cod. proc. pen. da cui sia derivata la nullit della sentenza di primo grado, deve dichiarare tale nullità con sentenza e rinviare gli atti al giudice che procedeva quando la nullità si è verificata.
3.2. Col secondo motivo, la difesa deduce omessa motivazione in ordine alla sussistenza della nullità come sopra indicata e lamenta contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione quanto alla sussistenza della colpa. A questo proposito osserva che, secondo i giudici di appello, quando iniziò la svolta a sinistra, NOME era in condizione di avvistare il motociclista e sostiene che la sentenza impugnata è giunta a tali conclusioni aderendo acriticamente alle osservazioni del perito, il quale non ha tenuto conto né delle obiezioni del consulente della difesa né delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini dalle persone informate sui fatti, dalle quali emerge che l’urto si verificò quando l’auto condotta da NOME aveva quasi ultimato la svolta a sinistra.
Il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso. Con riferimento al primo motivo ha sottolineato che la Corte di appello, quale giudice del merito, ben poteva «effettuare una prova di resistenza in ordine all’eventuale tenuta logica della motivazione», espungere dalla stessa gli argomenti tratti dalla documentazione acquisita in violazione del principio del contraddittorio e valutare la persuasività degli argomenti residui, poi disponendo (come in concreto ha fatto) le integrazioni probatorie eventualmente ritenute necessarie.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I motivi di ricorso sono infondati.
Più di una volta, la giurisprudenza di legittimità ha affermato il principio secondo il quale una sentenza che utilizza per la decisione documenti acquisiti dopo le conclusioni delle parti senza procedere alla rinnovazione della discussione è affetta da nullità di ordine generale, riconducibile alla violazione del principio di rango costituzionale del diritto delle parti al contraddittor processuale (Sez. 6 n. 30897 del 6/11/2014, COGNOME, Rv. 265599; Sez. 5 n. 44524 del 29/10/2008, COGNOME, Rv. 241941). Questo principio è stato affermato con riferimento a casi nei quali la nullità si era verificata in grado di appello o era stata dedotta con ricorso immediato per cassazione. Di conseguenza, nel disporre l’annullamento della sentenza impugnata la Corte di legittimità ha chiesto al giudice di rinvio di valutare, nel contraddittorio dell
parti, la concreta utilizzabilità degli atti acquisiti dopo il termine della discussion (Sez. 6 n. 30897 del 6/11/2014, COGNOME, Rv. 265599 pagg. 43 e 44 della motivazione). Nel caso oggetto del presente ricorso, gli atti assunti in violazione delle regole del contraddittorio sono stati utilizzati nella sentenza di primo grado e la Corte di appello è stata chiamata a valutare, ai sensi dell’art. 604, comma 4 cod. proc. pen. se tale utilizzazione avesse comportato nullità della sentenza, Solo in questo caso, infatti, le nullità indicate dagli artt. 179 e 180 cod. proc. pen comportano la restituzione degli atti al giudice di primo grado.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, l’art. 604, comma 4, cod. proc. pen. non trova applicazione se il giudice di appello ritiene che gli atti invalidi non abbiano fornito elementi necessari alla decisione. In questi casi infatti, come è stato opportunamente sottolineato, il giudice di secondo grado non è neppure tenuto alla rinnovazione degli atti invalidi (Sez. 5, n. 22770 del 15/04/2004, Righetti, Rv. 228099). Nella medesima prospettiva, un orientamento giurisprudenziale costante e consolidato sostiene che l’art. 604, comma 4, cod. proc. pen. non trova applicazione neppure se la motivazione è del tutto mancante perché il giudice di primo grado ha omesso di redigerla. Anche in questi casi il giudice di appello non deve trasmettere gli atti al primo giudice, ma deve sanare la nullità verificatasi procedendo alla redazione della motivazione (fra le tante: Sez. U, n. 3287 del 27/11/2008, dep. 2009, R., Rv. 244118; Sez. 6, n. 58094 del 30/11/2017, Amorico, Rv. 271735).
Nel caso oggetto del presente ricorso, la circostanza che nella motivazione della sentenza di primo grado il giudice abbia fatto riferimento ad atti inutilizzabili non comporta la nullità della sentenza. A questo proposito è sufficiente riferire che, a differenza di quanto sostenuto dal ricorrente, nell’affermare la penale responsabilità dell’imputato, il G.u.p. del Tribunale di Massa non ha fatto riferimento solo agli atti allegati alla memoria depositata dalla persona offesa, ma ha illustrato anche il contenuto degli atti di indagine (utilizzabili ai fini della decisione per effetto della richiesta di giudi abbreviato). Inoltre, le argomentazioni sviluppate a sostegno della condanna hanno tenuto conto, oltre che della relazione del consulente tecnico della persona offesa (che non avrebbe potuto essere utilizzata perché inserita in atti dopo la richiesta di giudizio abbreviato e dopo che le parti avevano illustrato le rispettive conclusioni), anche della relazione del consulente tecnico della difesa (riportata a pag. 2 e a pag. 3 della motivazione).
In questa situazione, la Corte di appello ha correttamente operato. Ha valutato se, eliminato il riferimento agli atti inutilizzabili, la motivazione forn dal giudice di primo grado fosse in grado di resistere alle argomentazioni sviluppate dalla difesa nei motivi di appello e ha proceduto a rinnovazione
istruttoria ritenendo che, per ricostruire con chiarezza la dinamica del sinistro, fosse indispensabile un accertamento peritale. La sentenza impugnata è stata pronunciata all’esito di tale rinnovazione istruttoria. Il perito è stato esaminato in udienza nel contraddittorio delle parti, ha potuto tenere conto delle osservazioni formulate dal consulente tecnico della difesa e ha formulato le proprie conclusioni sulla base di dati obiettivi (in particolare: i danni riportati dai veico la posizione assunta dal corpo del motociclista; le tracce rilevate sul manto stradale subito dopo il sinistro).
In sintesi: la nullità dedotta con l’atto di appello è stata sanata dai giudici d secondo grado espungendo il riferimento ad atti inutilizzabili e procedendo, del tutto legittimamente, alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale attraverso un accertamento peritale.
Tale accertamento è stato ritenuto necessario per una migliore comprensione della dinamica del sinistro e allo scopo di individuare: in che posizione l’auto si trovava quando avvenne l’urto e se l’imputato avrebbe potuto avvistare il motociclo condotto da COGNOME e fermarsi evitando l’impatto. L’accertamento disposto, dunque, mirava ad approfondire il tema della prevedibilità ed evitabilità dell’evento (sul quale si era soffermato l’atto d appello) e a sviluppare il contraddittorio sul punto nel pieno rispetto delle garanzie difensive.
Per quanto esposto, la dedotta nullità della sentenza di primo grado non può ritenersi sussistente, né è ravvisabile su questo punto un difetto di motivazione della sentenza impugnata, che ha accolto i motivi di gravame dichiarando l’inutilizzabilità degli atti acquisiti dal giudice di primo grado in violazione del regole del contraddittorio.
Col secondo motivo, la difesa si duole che la Corte di appello abbia ricostruito la dinamica del sinistro sulla base delle conclusioni formulate dal perito ancorché questi abbia fatto esclusivo riferimento ai rilievi eseguiti dalla Polizia giudiziaria sul luogo del sinistro. Secondo la difesa, le conclusioni del perito non sarebbero persuasive proprio perché non hanno tenuto conto delle testimonianze raccolte nel corso delle indagini. La sentenza impugnata, invece, valorizza in senso positivo questo dato. Osserva, infatti, che il perito ha ricostruito il punto d’urto e la velocità dei veicoli convolti tenendo conto della posizione assunta dal corpo del motociclista, dei danni riportati dalla moto e degli schizzi d’olio causati dalla rottura delle forcelle il cui epicentro è stat individuato sulla base del raggio (di circa 40/50 cm.). Rileva, inoltre, che – come il perito ha sottolineato – una parte di questi schizzi d’olio fu «trascinata dall’auto».
Secondo la sentenza impugnata, dalle argomentate conclusioni del perito si deduce: che l’auto non si fermò immediatamente dopo l’urto; che la velocità mantenuta dalla moto era di 87 km/h e si ridusse a 66 km/h a seguito del rallentamento derivato dalla frenata; che la velocità dell’auto al momento dell’impatto era pari a 20 km/h; che, pertanto, quando l’auto iniziò a oltrepassare la linea di mezzeria il motociclo era distante poco meno di trenta metri ed era perfettamente visibile. Dalla lettura della sentenza impugnata emerge che, secondo il perito, al momento dell’impatto, la moto non poteva avere una velocità di 90 km/h (come sostenuto dal consulente della difesa) perché in tal caso i danni riportati dai veicoli sarebbero stati maggiori. Si deve escludere, inoltre, che il motociclista, vedendo un ostacolo di fronte a sé, non abbia frenato riducendo così la velocità iniziale. Dalla sentenza emerge poi che il punto d’urto è collocato su un rettilineo e la curva che, secondo il consulente della difesa, avrebbe impedito a NOME di vedere il motociclo in arrivo, oltre ad avere un «raggio assai ampio», è posta, rispetto a quel punto, settanta metri più avanti, sicché il conducente dell’auto aveva uno spazio di avvistamento più che Adeguato.
La motivazione è completa, scevra da profili di contraddittorietà o manifesta illogicità. A questo proposito è doveroso ricordare che l’esito di un accertamento peritale può essere oggetto di esame critico in sede di legittimità «solo nei limiti del cd. travisamento della prova, che sussiste nel caso di assunzione di una prova inesistente o quando il risultato probatorio sia diverso da quello reale in termini di “evidente incontestabilità”». Una situazione che, come è evidente, non ricorre nel caso di specie (sull’argomento: Sez. 1, n. 51171 del 11/06/2018, COGNOME, Rv. 274478; Sez. 1, n. 47252 del 17/11/2011, COGNOME, Rv. 251404).
La difesa sostiene che la ricostruzione fornita dal proprio consulente sarebbe più completa e attendibile perché egli ha tenuto conto delle deposizioni testimoniali assunte nel corso delle indagini. La sentenza impugnata, tuttavia, ha sottolineato che da queste deposizioni non possono trarsi indicazioni precise sulla velocità mantenuta dalla moto in avvicinamento e sulla possibilità da parte di NOME di avvistarla in tempo utile per fermarsi. La Corte di appello osserva che su questo tema cruciale le dichiarazioni della moglie e della figlia dell’imputato non possono essere «di alcuna utilità» atteso che le due donne «non prestavano attenzione alla strada» e si accorsero dell’accaduto solo quando udirono il rumore dell’impatto tra la macchina e la moto. Rileva inoltre, che neppure i testi NOME COGNOME e NOME COGNOME osservavano la strada (COGNOME stava parcheggiando, COGNOME era in giardino). Quanto alla deposizione di NOME COGNOME, come risulta dalla sentenza impugnata, egli si trovava alla guida di un’auto che procedeva nella medesima direzione di marcia della moto condotta
da COGNOME e, pertanto, le indicazioni da lui fornite non possono fornire argomenti utili quanto allo spazio di avvistamento consentito a NOME dalla velocità del motociclo.
Per quanto esposto, nessun profilo di contraddittorietà o manifesta illogicità può essere ravvisato nel fatto che la sentenza impugnata abbia valutato persuasive le conclusioni del perito quanto alla possibilità per l’automobilista di avvistare tempestivamente la moto in avvicinamento, proprio perché fondate su dati obiettivi.
In sintesi, e conclusivamente, le motivazioni fornite dalla Corte di appello a sostegno della affermazione della penale responsabilità appaiono complete, non manifestamente illogiche e non contraddittorie. Il conducente di un veicolo che intende svoltare a sinistra, infatti, è tenuto a cedere la precedenza ai veicoli che, provenendo da direzione opposta, si vengano a trovare alla sua destra ed è tenuto a fermarsi, quando sia necessario, per far transitare detti veicoli. Ai sensi dell’art. 154 del d.lgs. 30 aprile 1992 n. 285, inoltre, tale manovra può essere eseguita solo dopo che il conducente si sia assicurato di poter procedere «senza creare pericolo o intralcio agli altri utenti della strada, tenendo conto della posizione, distanza, direzione di essi».
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 12 marzo 2024