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Omicidio stradale: ricorso inammissibile in Cassazione

Un conducente, condannato per omicidio stradale a causa di un incidente mortale avvenuto per eccesso di velocità e guida in stato di ebbrezza, ha presentato ricorso in Cassazione. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, poiché i motivi presentati erano una semplice ripetizione di quelli già respinti dalla Corte d’Appello, senza che venisse sollevato un vizio di travisamento della prova, necessario in caso di doppia sentenza conforme.

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Pubblicato il 19 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Omicidio Stradale: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 35716 del 2024, offre un importante chiarimento sui limiti del ricorso per cassazione in materia di omicidio stradale, specialmente in presenza di una ‘doppia conforme’, ovvero quando le sentenze di primo e secondo grado concordano sulla responsabilità dell’imputato. Il caso analizzato riguarda un tragico incidente stradale che ha portato alla condanna di un giovane conducente, confermata in tutti i gradi di giudizio.

I Fatti del Processo

Il 19 febbraio 2019, un giovane alla guida di un’utilitaria, con a bordo tre passeggeri, affrontava una curva su una strada extraurbana a una velocità di circa 129 km/h, ben oltre il limite consentito di 90 km/h. Il conducente perdeva il controllo del veicolo, che urtava ripetutamente contro le barriere laterali. Durante l’impatto, un passeggero seduto sul sedile posteriore veniva sbalzato fuori dall’abitacolo, riportando lesioni che ne causarono la morte il giorno seguente. Gli altri due passeggeri subivano lesioni.

Dalle indagini emergevano molteplici elementi di colpa a carico del conducente:

* Eccesso di velocità: La velocità era notevolmente superiore al limite.
* Stato di ebbrezza: Il guidatore risultava positivo al test alcolemico.
* Inefficienza del veicolo: La gomma posteriore sinistra era usurata e diversa dalla sua gemella.
* Mancato uso delle cinture: Nessuno degli occupanti, conducente compreso, indossava la cintura di sicurezza.

Le Decisioni dei Giudici di Merito

Sia il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale, in sede di giudizio abbreviato, sia la Corte d’Appello, riconoscevano la piena responsabilità del conducente per i reati di omicidio stradale e lesioni stradali aggravate. La difesa dell’imputato aveva tentato di attribuire la causa dell’incidente allo scoppio di uno pneumatico, sostenendo che fosse una fatalità non addebitabile alla sua condotta. Tuttavia, i giudici di merito hanno ritenuto che la condotta di guida imprudente e illecita fosse la causa preponderante dell’evento.

I Motivi del Ricorso e l’Omicidio Stradale

L’imputato proponeva ricorso in Cassazione basandosi su tre motivi principali:

1. Errata valutazione della responsabilità: Contestava la ricostruzione dei fatti, sostenendo che lo scoppio del pneumatico fosse dovuto a negligenza del proprietario del veicolo e che la sua responsabilità dovesse essere esclusa o attenuata.
2. Illegittimità degli accertamenti: Metteva in dubbio l’attendibilità del test alcolemico, chiedendo l’esclusione dell’aggravante della guida in stato di ebbrezza e della conseguente revoca della patente.
3. Eccessività della pena: Lamentava una pena troppo severa, che non avrebbe tenuto conto della sua incensuratezza e del comportamento collaborativo, nonché del fatto che anche la vittima non indossasse la cintura.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e quindi inammissibile. I giudici hanno osservato che tutti i motivi presentati non erano altro che una mera riproposizione delle argomentazioni già esaminate e respinte con motivazione logica e congrua dalla Corte d’Appello.

Il punto centrale della decisione risiede nel principio della ‘doppia conforme’. Quando due sentenze di merito giungono alla stessa conclusione, il ricorso in Cassazione non può limitarsi a criticare la valutazione dei fatti, ma deve denunciare un vizio specifico: il ‘travisamento della prova’. Questo vizio si verifica solo quando il giudice ha fondato la sua decisione su una prova inesistente o ha ignorato una prova decisiva. L’imputato, nel suo ricorso, non ha fatto nulla di tutto ciò, limitandosi a esprimere il proprio dissenso soggettivo rispetto alla ricostruzione operata dai giudici di merito. La Corte ha quindi ribadito che il suo ruolo non è quello di un terzo grado di giudizio sui fatti, ma di un controllo sulla corretta applicazione della legge.

Le Conclusioni

La sentenza conferma un principio fondamentale del nostro sistema processuale: il ricorso per cassazione non può essere utilizzato come un terzo appello per ridiscutere i fatti. In casi di omicidio stradale con sentenze conformi nei primi due gradi, la difesa deve dimostrare un errore palese e decisivo nella gestione del materiale probatorio da parte del giudice d’appello. Una semplice riproposizione dei motivi, senza un’argomentazione specifica sul vizio di travisamento, porta inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

È possibile presentare in Cassazione gli stessi motivi già respinti in Appello?
No, secondo la sentenza, la mera riproposizione degli stessi motivi già valutati e respinti dalla Corte d’Appello, a fronte di una motivazione adeguata, rende il ricorso inammissibile. Il ricorrente non può limitarsi a manifestare un dissenso soggettivo.

In caso di ‘doppia conforme’, come si può contestare la valutazione delle prove in Cassazione?
L’unico modo per contestare la valutazione delle prove è dedurre il ‘travisamento della prova’, dimostrando specificamente che il giudice di secondo grado ha basato la sua decisione su un’informazione inesistente nel materiale processuale o ha omesso di valutare una prova decisiva.

Quali sono le conseguenze di un ricorso dichiarato inammissibile?
La dichiarazione di inammissibilità del ricorso comporta la condanna definitiva del ricorrente. Inoltre, ai sensi dell’art. 616 del codice di procedura penale, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e di una sanzione pecuniaria (in questo caso, tremila euro) a favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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