Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 21037 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 21037 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a FORMIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 28/06/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria scritta il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procurator NOME COGNOME
che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Roma ha confermato la sentenza emessa il 10/06/2020 dal Tribunale di Latina nei confronti di NOME COGNOME – imputato del reato previsto dall’art.589 cod.pen. – con la quale lo stesso era stato condannato alla pena di mesi otto di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale e con l’applicazione della sanzione amministrativa della sospensione della patente di guida per mesi sei.
Era stato ascritto all’imputato di avere – nel percorrere a bordo della propria autovettura la strada INDIRIZZO – cagionato il decesso di NOME COGNOME, che percorreva la stessa strada nel senso opposto, alla guida del proprio motociclo e che si trovava intento a svoltare verso la sinistra della via; in particolare, all’imputato era stato ascritto di aver contribuito a cagionare l’evento per violazione degli artt. 141 e 142 del d.lgs. 30 aprile 1992, n.285, per avere tenuto una velocità stimata in circa 163 km/h, non commisurata allo stato dei luoghi.
La Corte ha ritenuto che la corresponsabilità dell’imputato nella causazione del sinistro fossa da ritenere palese, atteso che – sulla base delle stesse dichiarazioni del teste oculare COGNOME – il COGNOME aveva impegnato l’incrocio senza rallentare la propria velocità e limitandosi a segnalare con un lampeggiare dei fari il proprio sopraggiungere, in violazione del principio in base al quale il primo obbligo del conducente è quello di evitare situazioni di pericolo per i terzi; rilevando altresì come, sulla base della consulenza tecnica disposta dal p.m., la velocità tenuta dal veicolo dell’imputato dovesse comunque considerarsi ben superiore a quella imposta nel tratto di strada in questione, pari a 70 km/h e come non vi fossero elementi per desumere, quanto meno, l’inizio di una manovra frenante.
La Corte territoriale ha altresì rigettato il motivo inerente alla concessione dell’attenuante prevista dall’art.62, n.6, cod.pen., atteso che il risarcimento del danno era stato operato dalla compagnia assicuratrice in assenza di iniziativa in tale senso da parte dell’imputato.
Avverso la predetta sentenza ha presentato ricorso per cassazione NOME COGNOME, tramite il proprio difensore, articolando tre motivi di impugnazione.
Con il primo motivo ha contestato la ricostruzione del fatto operata da parte della Corte territoriale e ha dedotto una contraddizione intrinseca in ordine al riferimento a quanto dichiarato dal teste COGNOME; in relazione alla quale la stessa Corte aveva esposto di condividerne le affermazioni quando aveva dichiarato che
la moto condotta dalla persona offesa si sarebbe pressoché fermata prima di impegnare l’incrocio.
Ha quindi dedotto che tale circostanza avrebbe concretizzato la legittima aspettativa del COGNOME che il veicolo non avrebbe impegnato l’incrocio medesimo, elemento confermato dall’assenza di tracce di frenata; ha altresì dedotto che la motivazione della Corte si sarebbe palesata come contraddittoria nella parte in cui non avrebbe attribuito rilevanza alla velocità tenuta dall’autovettura; argomentando come, nel caso di specie, dovesse ritenersi che il sinistro si sarebbe ugualmente verificato anche in presenza di una condotta conforme alle disposizioni contenute nel Codice della strada da parte dell’imputato.
Con il secondo motivo ha contestato la motivazione della Corte territoriale in punto di mancata concessione della circostanza attenuante prevista dall’art.62, n.6, cod.pen., ritenendo applicabile la medesima anche in presenza di un risarcimento effettuato dalla compagnia assicuratrice.
Con il terzo motivo ha altresì censurato la motivazione della Corte territoriale nella parte in cui aveva omesso di rilevare l’intervenuta prescrizione, assumendo che il reato si sarebbe estinto alla data del 30/01/2016
Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta, nella quale ha concluso per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
La difesa del ricorrente ha fatto pervenire successivamente una memoria illustrativa nella quale ha contestato le predette conclusioni e insistito, in particolare, nel motivo inerente all’intervenuta prescrizione del reato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Va premesso che, vertendosi – in punto di valutazione di responsabilità dell’odierno ricorrente – in una fattispecie di c.d. doppia conforme, le due decisioni di merito vanno lette congiuntamente, integrandosi le stesse a vicenda, secondo il tradizionale insegnamento della Suprema Corte; tanto in base al principio per cui «Il giudice di legittimità, ai fini della valutazione della congruità de motivazione del provvedimento impugnato, deve fare riferimento alle sentenze di primo e secondo grado, le quali si integrano a vicenda confluendo in un risultato organico ed inscindibile» (Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997, COGNOME, Rv. 209145; in conformità, tra le numerose altre, Sez. 6, n. 11878 del 20/01/2003, Vigevano, Rv. 224079; Sez. 6, n. 23248 del 07/02/2003, COGNOME, Rv. 225671; Sez. 5, n. 14022 del 12/01/2016, COGNOME, Rv. 266617).
3. Ciò premesso, il primo motivo è inammissibile, in quanto tendente a sollecitare un mero riesame in punto di fatto della ricostruzione degli eventi operata da parte dei giudici di merito e non ravvisandosi nel complessivo ragionamento probatorio dagli stessi seguito alcun vizio manifesto di illogicità; rilevando altresì che il ricorrente – nel ritenere che i giudici di merito avrebbero ritenuto una asserita irrilevanza della violazione della regola cautelare da parte dell’imputato – omette, di fatto, di confrontarsi con l’apparato motivazionale posto alla base delle sentenze di condanna.
Sul punto, va premesso che l’ipotesi accusatoria si fonda sulla dedotta violazione delle regole cautelari previste dall’art.141 C.d.s.., le quali impongono di «regolare la velocità del veicolo in modo che, avuto riguardo alle caratteristiche, allo stato ed al carico del veicolo stesso, alle caratteristiche e alle condizioni della strada e del traffico e ad ogni altra circostanza di qualsiasi natura, sia evitato ogni pericolo per la sicurezza delle persone e delle cose ed ogni altra causa di disordine per la circolazione», di «conservare il controllo del proprio veicolo ed essere in grado di compiere tutte le manovre necessarie in condizione di sicurezza, specialmente l’arresto tempestivo del veicolo entro i limiti del suo campo di visibilità e dinanzi a qualsiasi ostacolo prevedibile» e di « regolare la velocità nei tratti di strada a visibilità limitata, nelle curve, in prossimità delle intersezio delle scuole o di altri luoghi frequentati da fanciulli indicati dagli appositi segnal nelle forti discese, nei passaggi stretti o ingombrati, nelle ore notturne, nei casi di insufficiente visibilità per condizioni atmosferiche o per altre cause, nell’attraversamento degli abitati o comunque nei tratti di strada fiancheggiati da edifici»; nonché delle regole cautelari fissate nell’art.142 C.d.s., che prevede i corrispettivi limiti di velocità dipendenti dalle caratteristiche della strada e dal determinazioni degli enti proprietari. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Va quindi rilevato che le sentenze di merito – come specificamente rappresentato, in particolare, in quella di primo grado da intendersi recepita per relationem dalla Corte territoriale – hanno dato atto dell’univoca violazione, da parte dell’odierno imputato, dei precetti cautelari imposti dalle citate disposizioni; avendo lo stesso tenuto – in orario notturno, come dato atto nell’imputazione una velocità evidentemente non commisurata alle condizioni di viabilità e non tale da consentirgli l’adozione di tempestive manovre di emergenza; velocità peraltro stimata nella sentenza di primo grado – in conformità con le argomentazioni contenute nella consulenza tecnica disposta dal p.m. – in 163 km/h, quindi superiore di ben 93 km/h a quella consentita nel tratto di strada in questione.
Sul punto, le considerazioni di parte ricorrente in ordine alla dedotta assenza di causalità della condotta tenuta e sulla asserita potenziale indifferenza della
condotta alternativa lecita appaiono evidentemente il frutto di una lettura solo parziale della lettura delle sentenza di merito e del predetto contributo tecnico; nel quale è stato semplicemente dato atto che una velocità contenuta nel limite di 70 km/h avrebbe invece presumibilmente evitato il sinistro e comunque determinato con certezza conseguenze meno gravi.
Sul punto, quindi, pur dando atto della sussistenza di un comportamento concausalmente colposo tenuto dalla persona offesa, che ha impegnato l’incrocio omettendo di dare la precedenza al veicolo che stava sopravvenendo dalla direzione opposta, le sentenze di merito appaiono conformi alla consolidata giurisprudenza concernente il limite al principio di affidamento in tema di circolazione stradale e in base alla quale il principio medesimo trova temperamento nell’opposto principio secondo cui l’utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui, purché rientrante come nel caso di specie – nel limite della prevedibilità (Sez. 4, n. 7664 del 06/12/2017, COGNOME, Rv. 272223; Sez. 4, n. 4923 del 20/10/2022, dep. 2023, Casano, Rv. 284093).
D’altra parte, le pronunce dei giudici di merito appaiono altresì rispettose del consolidato principio – da ritenersi diretta applicazione di quello predetto – in base al quale, in tema di colpa nella circolazione stradale, l’obbligo di ridurre la velocità all’approssimarsi di un incrocio e di impegnare con prudenza e a velocità moderata l’area del crocevia sussiste anche a carico di colui che circoli su strada che assegni il diritto di precedenza ovvero che, in presenza di un semaforo, abbia il segnale di via libera, perché il diritto di precedenza non esonera il conducente dall’obbligo di porre la massima attenzione ai pericoli che possano sorgere da comportamenti illeciti od imprudenti tenuti da altri utenti della strada i quali non gli accordino dovuta precedenza (Sez. 4, n. 24121 del 15/03/2011, COGNOME, Rv. 250702; Sez. 4, n. 30989 del 06/02/2015, COGNOME, Rv. 264314; Sez. 4, n. 27404 del 10/05/2018, COGNOME, Rv. 273407).
Nel caso di specie, le sentenze di merito hanno quindi dato atto che il conducente dell’autoveicolo ha omesso di porre la dovuta attenzione al momento dell’approssimarsi verso l’incrocio, limitandosi a segnalare il proprio sopraggiungere mediante il lampeggiamento dei fari e omettendo qualsiasi riduzione della velocità, quanto meno, entro il limite consentito.
Deve quindi ritenersi che le sentenze di merito, contrariamente all’assunto difensivo, abbiano congruamente motivato – con argomentazioni conformi ai predetti principi – in ordine alla violazione di regole cautelari da parte dell’imputato e in relazione alla concreta causalità della colpa.
Il motivo inerente al mancato riconoscimento dell’attenuante prevista dall’art.62, n.6, cod.pen., è inammissibile in quanto estrinsecamente aspecifico.
Difatti, la difesa – sul punto – ha omesso di confrontarsi con la pure sintetica argomentazione spiegata dalla Corte territoriale, la quale ha rilevato che il risarcimento del danno da parte della compagnia assicuratrice, nell’assenza di una comprovata iniziativa da parte dell’imputato, non era idonea a fondare la concessione della circostanza attenuante comune; in tale modo facendo applicazione del principio in forza del quale, ai fini del riconoscimento medesimo astrattamente riconoscibile anche quando il risarcimento del danno sia eseguito, come nel caso di specie, dal terzo assicuratore – è condizionato dalla circostanza che l’imputato ne abbia avuto conoscenza e abbia mostrato la volontà di farlo proprio (Sez. 4, n. 23663 del 24/01/2013, Segatto, Rv. 256194; Sez. 4, n. 12121 del 14/12/2022, dep.2023, Gningue, Rv. 284327), essendo quindi necessario che l’imputato manifesti una concreta e tempestiva volontà riparatoria che abbia contribuito all’adempimento (Sez. 4, n. 6144 del 28/11/2017, dep. 2018, M.V., Rv. 271969), elementi di fatto sui quali la difesa alcuna argomentazione ha concretamente spiegato.
Il motivo di impugnazione attinente alla dedotta estinzione del reato per effetto di intervenuta prescrizione è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Sul punto, la prospettazione difensiva – nel riportare la data della dedotta prescrizione al 30/01/2016 – fa implicitamente riferimento all’intervenuta decorrenza del termine previsto dall’art.157, comma 1, cod.pen. (in ordine a fattispecie concreta attinente a fatto commesso dopo le modifiche introdotte dal d.l. 28/05/2008, n.92 che aveva portato la pena massima a sette anni per il reato previsto dall’art.589, comma 2, cod.pen.) calcolato dalla data di emissione del decreto disponente il giudizio e prima dell’ulteriore atto interruttivo costituito dall sentenza di primo grado, emessa il 10/06/2020.
La deduzione non tiene peraltro conto dell’intervenuto raddoppio del termine di prescrizione operato per il reato previsto dall’art.589, comma 2, cod.pen. – nel testo applicabile ratione temporis introdotto proprio per effetto del d.l. n.92/2008, conseguendone che, dall’ultimo atto interruttivo, il termine ordinario di prescrizione andava calcolato in anni quattordici.
In coerenza con il predetto principio, Sez. 4, n. 32456 del 06/07/2022, COGNOME, Rv. 283488, ha difatti rilevato che il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione di norme sulla circolazione stradale, commesso non solo dopo l’entrata in vigore del nuovo testo dell’art. 157 cod. pen. ma anche dopo la modifica dell’art. 589, secondo comma, cod. pen. a opera del d.l. n. 92 del 2008,
che ha innalzato il limite edittale da cinque a sette anni, è soggetto al pr termine di prescrizione di quattordici anni, in forza del raddoppio previsto comma sesto del citato art. 157, e al termine massimo di diciassette anni e mesi.
Conseguendone che, atteso il regime applicabile ratione temporis (e corrispondente a quello previsto dal testo dell’art.589, comma 2, cod.pe risultante per effetto della modifica introdotta dal d.l. 92/2008), al momento d pronuncia della sentenza di secondo grado, il termine massimo di prescrizione no era decorso.
Alla declaratoria d’inammissibilità segue la condanna del ricorrente pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giug 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso s versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», il ricorr va condannato al pagamento di una somma che si stima equo determinare in euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spe processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 19 marzo 2024
Il Consigliere estensore
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Il Presidente