Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 38518 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 38518 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/10/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOME nato a TORRE ANNUNZIATA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 04/02/2025 della Corte d’appello di Milano Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO; letta la requisitoria scritta del Sostituto Procuratore generale, che ha concluso per la inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’appello di Milano, in data 4 febbraio 2025, ha parzialmente riformato (riconoscendo la circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen. e rideterminando conseguentemente la pena con revoca della sanzione accessoria della interdizione dai pubblici uffici e applicando la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida in luogo della revoca) la sentenza, nel resto confermata, con la quale il Tribunale di Lecco, in composizione monocratica, aveva condannato COGNOME NOME, per il delitto di omicidio stradale di cui all’art. 589 bis cod. pen. in danno di COGNOME NOME.
1.1. L’incidente per cui è processo si verificava in Lecco, alle ore 10:54 circa del 29 ottobre 2019: il COGNOME si trovava a bordo dell’autocarro Scania targato TARGA_VEICOLO e stava percorrendo la INDIRIZZO, sita all’interno del perimetro urbano della città di Lecco (con limite di velocità pari a 50 km/h), con provenienza da Mandello del Lario in direzione del centro cittadino. L’autocarro condotto dal COGNOME , giunto all’altezza del INDIRIZZO della citata via, poco oltre l’intersezione con INDIRIZZO, impattava contro un pedone che si trovava in fase di attraversamento sulle strisce pedonali. Il punto di impatto tra il pedone e l’autocarro veniva individuato, grazie alla presenza di tracce biologiche e dell’impronta di una mano del pedone, all’interno dell’attraversamento pedonale, debitamente segnalato da cartellonistica verticale e da segnaletica orizzontale, e, in particolare, sulla porzione più a sinistra della parte carreggiata di pertinenza dell’autocarro, in prossimità della linea continua di mezzeria. Il pedone, identificato in COGNOME NOME, di anni 70, a seguito dell’investimento veniva caricato nella parte anteriore sinistra dell’autocarro e proiettato verso la parte sinistra della carreggiata ad una distanza di circa 23,40 metri, riportando lesioni irreversibili (sfondamento cranico, fratture costali multiple, sfondamento della gabbia toracica), che ne determinavano la morte quasi immediata, poco più di un’ora dopo, nonostante i soccorsi.
Dai rilievi effettuati nell’immediatezza emergeva la presenza di tracce visibili di frenata riconducibili all’autocarro investitore, entrambe di intensità marcata, forma larga e andamento obliquo verso sinistra rispetto all’asse della carreggiata. Quanto a ll’andatura di marcia dell’autocarro veniva acquisito il foglio di registrazione del cronotachigrafo da cui emergeva che all’inizio della fase frenante, la velocità era pari a 65 km/h. Quanto alle condizioni di luogo ed atmosferiche al momento del sinistro si rilevava che il manto stradale si presentava bagnato per umidità (a seguito di pioggia), che la pavimentazione risultava in buono stato di manutenzione e priva di anomalie, mentre la visibilità era buona, in considerazione dell’orario diurno.
1.2. La Corte di merito, pur accogliendo il motivo di impugnazione afferente a l riconoscimento dell’attenuante del risarcimento del danno e mitigando, quindi, il trattamento sanzionatorio, ha nel resto integralmente confermato gli argomenti posti a base della condanna emessa in primo grado a carico del COGNOME, individuando nella sua condotta di guida diversi profili di colpa specifica, consistiti nel mancato rispetto del limite di velocità di 50 km/h, stabilito per le strade nei centri abitati, in violazion e dell’art. 142 cod. strad., nell’aver assunto, in violazione di quanto prescritto dall’art. 141 cod. strad., un’andatura di marcia non consona alle caratteristiche della strada (strada urbana), alle condizioni di tempo (fondo stradale bagnato e scivoloso a seguito di pioggia e orario diurno con maggiore probabilità di presenza di pedoni) oltre che di luogo (in prossimità di un attraversamento stradale ben segnalato), nell’aver omesso di concedere la precedenza al pedone, il quale stava attraversando la carreggiata sulle strisce pedonali, così violando il precetto di cui all’art. 191 cod. strad., concludendo per il riconoscimento della sua esclusiva responsabilità nella determinazione dell’evento.
Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per RAGIONE_SOCIALEzione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, l’imputato, che ha articolato cinque motivi, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ex art. 606, comma 1 lett. b) cod. proc. pen., violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all ‘ art. 589 bis cod. pen.
Si assume, invero, che la decisione oggetto d’impugnativa non avrebbe adeguatamente argomentato in ordine all’esistenza del nesso causale tra la condotta di guida del NOME e l’evento mortale, valorizzando le conclusioni del consulente del P.M. e trascurando, di contro, le opposte deduzioni del consulente della difesa che aveva dimostrato che all’inizio della frenata la parte frontale dell’autocarro era già a ridosso dell’attraversamento pedonale (per circa 0,70 m), sicché, anche qualora il NOME avesse rispettato il limite di velocità o avesse tenuto una velocità sensibilmente inferiore, l’impatto con il pedone sarebbe stato comunque inevitabile.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta, ex art. 606, comma 1 lett. b) e lett. e), cod. proc. pen. violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione all’art. 533 cod. proc. pen.
Si assume, invero, che la decisione oggetto di impugnativa non avrebbe adeguatamente argomentato, o lo avrebbe fatto in maniera illogica e carente, in ordine alla valutazione RAGIONE_SOCIALE prove assunte in primo grado, e segnatamente della relazione del consulente tecnico del P.M. e della deposizione resa dallo stesso nel
dibattimento di primo grado, nonostante le sue innumerevoli contraddizioni fossero state oggetto dei motivi di gravame, rendendo il quadro accusatorio a carico del COGNOME privo della graniticità richiesta dall’art. 533 cod. proc. pen.
2.3. Con il terzo motivo l’esponente lamenta, ex art. 606, comma 1 lett. b), cod. proc. pen., violazione di legge in ordine al diniego dell’attenuante speciale di cui al settimo comma dell’art. 589-bis cod. pen.
Si osserva, in particolare, che la Corte di merito, nel motivare tale diniego, non ha considerato che dalle risultanze dibattimentali emergeva che il COGNOME aveva impegnato l’attraversamento pedonale all’improvviso (tant’è che, come dimostrato dalle tracce di frenata, il suo avvistamento avveniva a ridosso o in prossimità RAGIONE_SOCIALE strisce), senza valutar e congruamente la posizione e distanza dell’autocarro, oltre che le caratteristiche del mezzo e gli spazi di frenata che, per i mezzi pesanti, sono notoriamente maggiori. Tale comportamento, tanto più imprudente considerata anche la ridotta visibilità dovuta alle condizioni climatiche ed alla presenza di alberi a medio/alto fusto, imprevisto ed imprevedibile, ha senz’altro inciso sulla eziologia del sinistro, integrando l’invocata attenuante.
2.4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta, ex art. 606, comma 1 lett. b) e lett. e), cod. proc. pen. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 133 cod. pen., non avendo la Corte territoriale indicato le ragioni per le quali, nonostante il riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen., abbia inflitto una pena di gran lunga superiore al minimo edittale, trascurando lo stato di incensuratezza del NOME, l’assenza di altri procedimenti penali, le ripercussioni sulla sua attività lavorativa.
2.5. Con il quinto motivo si lamenta, ex art. 606, comma 1 lett. e), il vizio di motivazione in relazione all’applicazione della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di cui all’art. 222 cod. strad a.
Si osserva che la Corte territoriale, pur sostituendo alla sanzione della revoca quella della sospensione della patente di guida, avrebbe omesso qualsiasi motivazione in ordine alla determinazione della durata, fissata, senza esplicitarne l’iter logico, in misura pari quasi al massimo edittale (anni 3).
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata .
Il PG presso questa Corte ha reso le conclusioni scritte riportate in epigrafe.
In data 16 ottobre 2025 il difensore dell’imputato ha depositato memoria di replica, evidenziando la specificità RAGIONE_SOCIALE doglianze proposte, dirette a censurare, attraverso il preciso richiamo RAGIONE_SOCIALE pagine e dei passaggi di rilievo del provvedimento impugnato, la razionalità del percorso argomentativo seguito dai giudici di merito di secondo grado, insistendo per l’accoglimento del gravame.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso presentato nell’interesse di COGNOME NOME è inammissibile, per le ragioni che di seguito si espongono.
Del tutto generico è, innanzitutto, il primo motivo di ricorso, afferente all’esistenza di un nesso causale tra le regole cautelari violate dal COGNOME e l’evento mortale.
2.1. In premessa, va ricordato che Il sindacato demandato a questa Corte sulle ragioni giustificative della decisione ha, per esplicita scelta legislativa, un orizzonte circoscritto.
Non c’è, in altri termini, come richiesto nel presente ricorso, la possibilità di andare a verificare se la motivazione corrisponda alle acquisizioni processuali. E ciò anche alla luce del vigente testo dell’art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen. come modificato dalla l. n. 46 del 20/02/2006.
Il giudice di legittimità non può procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto RAGIONE_SOCIALE prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito.
Com’è stato rilevato nella nota sentenza RAGIONE_SOCIALE S.U. di questa Corte, n. 47289 del 24/09/2003, Rv. 226074, la sentenza deve essere logica “rispetto a sé stessa”, cioè rispetto agli atti processuali citati. In tal senso la novellata previsione secondo cui il vizio della motivazione può risultare, oltre che dal testo del provvedimento impugnato, anche da “altri atti del processo”, purché specificamente indicati nei motivi di gravame, non ha infatti trasformato il ruolo e i compiti di questa Corte, che rimane giudice della motivazione, senza essersi trasformato in un ennesimo giudice del fatto.
2.2. Se questa, dunque, è la prospettiva ermeneutica cui è tenuta questa Suprema Corte, le censure che il ricorrente rivolge al provvedimento impugnato non superano il vaglio di ammissibilità, riproponendo le medesime doglianze poste a fondamento dell’atto di appello, sollecitando un diverso apprezzamento di merito, precluso a questa Corte.
2.3. Dalle sentenze di primo e secondo grado – che possono essere lette congiuntamente e costituiscono un unico complessivo corpo decisionale (Sez. 2, 4 n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595) -emerge, infatti, che i giudici di merito, con motivazione specifica, coerente e logica hanno, nel rispetto dei principi elaborati dalla
causalità, debitamente verificato non solo la rilevanza eziologica della condotta sul piano fenomenico (ossia la dipendenza dell’evento da essa, in cui quest’ultima si ponga quale condicio sine qua non , in assenza di decorsi causali alternativi eccezionali, indipendenti e imprevedibili), ma hanno anche individuato le regole cautelari violate e la idoneità del comportamento alternativo lecito a
scongiurare l’evento, con debita verifica della c.d. concretizzazione del rischio, vale a dire la introduzione, da parte del soggetto agente, del fattore di rischio concretizzatosi con l’evento, posta in essere attraverso la violazione RAGIONE_SOCIALE regole di cautela tese a prevenire e a rendere evitabile proprio il prodursi di quel rischio.
I giudici hanno specificamente individuato le regole cautelari violate dal COGNOME nell’art. 142 cod. strad., per aver tenuto una velocità superiore a quella prescritta per le strade nei centri urbani, nell’art. 141 comma 3 cod. strad., per aver assunto un’andatura di marcia non consona alle circostanze del caso concreto, debitamente evidenziate nelle caratteristiche della strada (strada urbana), nelle condizioni di tempo (fondo stradale bagnato e scivoloso a seguito di pioggia -orario diurno con prevedibile maggiore presenza di pedoni) e di luogo (in prossimità di un attraversamento pedonale debitamente segnalato da segnaletica verticale e orizzontale), nell’art. 191 cod. strad. per aver omesso di concedere la precedenza al pedone che stava attraversando la carreggiata sulle strisce pedonali, compiendo, con un apparato motivazionale logico e conforme alle risultanze istruttorie, una congrua e coerente indagine sulla colpa ascrivibile all’imputato e sulla incidenza della medesima sotto il profilo causale, stante la molteplicità e gravità degli addebiti colposi individuati a suo carico, l’assoluta prevedibilità della presenza di pedoni (trattandosi di strada urbana percorsa in orario diurno con attraversamento pedonale debitamente segnalato) e l’ottima visibilità (per l’orario e la conformazione rettilinea della strada), sicché poteva concludersi che con elevata probabilità logica se il COGNOME avesse prestato la dovuta attenzione e soprattutto tenuto una velocità adeguata, avrebbe potuto avvistare il pedone in tempo utile, mantenendo il controllo del proprio mezzo, sì da essere in grado di compiere tutte le manovre necessarie in condizioni di sicurezza per evitare l’impatto . Nemmeno difetta nell’ordito motivazionale della decisione impugnata, come pure sostenuto dal ricorrente, l’esplicita confutazione dell’alternativa ricostruzione dell’accaduto effettuata, nell’elaborato a sua firma, dal consulente tecnico della difesa. Entrambi i giudici di merito, pur ritenendo corretta l’osservazione del suddetto consulente sulla posizione dell’autocarro al momento dell’avvistamento del pedone e dell’inizio della frenata (l’autocarro si trovava in prossimità RAGIONE_SOCIALE strisce pedonali, essendo accertato che le tracce rilevate sull’asfalto erano quelle RAGIONE_SOCIALE ruote posteriori, che si erano sovrapposte a quelle anteriori), hanno escluso in radice la fondatezza della tesi secondo cui ciò significava che il pedo ne aveva impegnato l’attraversamento in modo repentino ed improvviso, rendendo così, anche per le condizioni climatiche svantaggiose e la presenza di alberi a medio e alto fusto che limitavano la visibilità dell’inizio dell’attraversamento pedonale, l’impa tto inevitabile. La Corte territoriale, nel condividere sul punto le argomentazioni già svolte dal primo giudice, ha osservato che le condizioni di visibilità erano buone, l’attraversamento
pedonale debitamente segnalato e che il punto d’impatto con l’autocarro era avvenuto quando il pedone era in prossimità della linea centrale continua ed aveva già quasi completato l’attraversamento della parte di carreggiata di percorrenza dell’autocarro: il che escludeva, tenuto conto anche del tempo impiegato dal pedone per raggiungere il punto di impatto (calcolato in maniera simile da entrambi i consulenti in circa tre secondi), che si fosse trattato di un attraversamento repentino. Si è rilevato, poi, che, facendo corretta applicazione dei principi innanzi richiamati, il giudizio controfattuale doveva essere svolto non già con riferimento al momento dell’impatto, quando il COGNOME era già in colpa, bensì con un ragionamento ex ante, ribadendo che le circostanze concrete (fondo stradale bagnato dalla pioggia, avvicinamento ad un attraversamento pedonale di un camminamento lungolago, in un orario diurno, in cui la presenza di pedoni è certamente frequente e probabile, caratteristiche del mezzo pesante condotto, i cui tempi di frenata sono necessariamente più lunghi) imponevano al COGNOME di adottare una velocità anche inferiore al limite massimo, così che avrebbe impiegato più tempo per arrivare sulle strisce pedonali, permettendo al pedone di attraversare completamente la sua corsia di percorrenza, al cui limite era già assai prossimo al momento dell’impatto, ovvero consentendogli di arrestare il mezzo tempestivamente in caso di necessità.
Rispetto a tale motivata, logica e coerente pronuncia il ricorrente chiede una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione, ma tale sindacato è precluso in sede di legittimità, come innanzi illustrato.
Non dissimili le ragioni in base alle quali deve ritenersi generico anche il secondo motivo di ricorso, con le seguenti, ulteriori precisazioni.
3.1. In primo luogo, va ribadito che in tema di prova, in virtù del principio del libero convincimento, il giudice di merito, pur in assenza di una perizia d’ufficio, può scegliere tra le diverse tesi prospettate dai consulenti RAGIONE_SOCIALE parti, quella che ritiene condivisibile, purché dia conto con motivazione accurata ed approfondita, RAGIONE_SOCIALE ragioni della scelta nonché del contenuto della tesi disattesa e RAGIONE_SOCIALE deduzioni contrarie RAGIONE_SOCIALE parti e, ove tale valutazione sia effettuata in modo congruo, è inibito al giudice di legittimità procedere ad una differente valutazione, trattandosi di accertamento di fatto, come tale insindacabile in sede di legittimità (da ultimo vds. Sez. 4, n. 8527 del 13/02/2015, COGNOME, Rv. 263435); al riguardo va evidenziato come la pronunzia impugnata (ancor più se letta congiuntamente alla pronunzia di primo grado, trattandosi nella specie di “doppia conforme”) offre ampia ed argomentata contezza del convincimento della Corte territoriale circa la ricostruzione in fatto operata attraverso gli apporti dei consulenti, prendendo in esame tutte le diverse ricostruzioni e valutandone criticamente il percorso argomentativo.
Del tutto aspecifico è anche il terzo motivo di ricorso, afferente al mancato riconoscimento dell’attenuante ad effetto speciale di cui all’art. 589, comma 7, cod. proc. pen.
4.1 In linea di principio, nella individuazione dei confini applicativi della attenuante in esame (e di quella analoga contenuta nell’art. 590 -bis, comma 7, cod. pen. con riferimento al reato di lesioni personali stradali (o nautiche) gravi o gravissime), questo collegio ritiene di dover ribadire le argomentazioni, ampiamente condivisibili, espresse da questa Corte nella recente sentenza n. 20369 del 15/01/2025 (dep. 03/06/2025) Rv. 288266 -02.
Nella citata pronuncia, dopo aver inquadrato la problematica nella disciplina generale della causalità, sì da escludere dal perimetro dell’attenuante i fattori che integrano forza maggiore o caso fortuito ex art. 45 cod. pen. ovvero quelli che determinano la interruzione del nesso causale ex art. 41, comma 2, cod. pen., si è affermato che concausa non può essere nemmeno il fattore che determina la colpa del soggetto agente, in quanto rientrante nell’area di rischio che il conducente è tenuto a governare e di cui deve tenere conto nella condotta di guida. In tale caso si determina solo un concorso apparente di cause, venendo in rilievo accadimenti prevedibili, demandati dal legislatore, attraverso la previsione di specifiche regole di condotta, al controllo del conducente del mezzo. L’attenuante in oggetto sarà quindi ravvisabile solo in presenza di fattori (riconducibili alla vittima, a terzi o ad altre cause naturali o ad animali), diversi da quelli di per sé soli sufficienti a determinare l’evento e dalla forza maggiore, che concorrono con la condotta colposa del soggetto agente alla verificazione dell’evento, rimanendo ad essa estranea. Si osserva, ancora, come una diversa interpretazione, oltre a non essere in linea con l’intento repressivo della riforma, condurrebbe a risultati intrinsecamente incoerenti con l’addebito colposo mosso all’autore del reato in quanto la stessa situazione sarebbe il presupposto su cui si innestano le regole cautelari violate e, nello stesso tempo, fattore concausale dell’evento morte (o lesioni) cagionato con violazione RAGIONE_SOCIALE norme sulla disciplina della circolazione stradale.
4.2. Venendo al tema oggetto del ricorso, nel caso di specie, il ricorrente lamenta che non sia stato dato rilievo alla condotta della vittima, che aveva attraversato la strada senza prestare la dovuta prudenza, senza considerare la distanza ravvicinata dell’autocarro, le caratteristiche del mezzo e gli spazi di frenata, che per i mezzi pesanti sono maggiori di quelli RAGIONE_SOCIALE autovetture.
La Corte territoriale, quindi, avrebbe omesso di considerare la rilevanza causale di tale comportamento posto che il NOME, per la presenza di alberi a medio/alto fusto posizionati lungo il margine destro della carreggiata e RAGIONE_SOCIALE condizioni climatiche al momento del fatto (giornata autunnale piovosa), aveva una
visibilità ridotta e si era ritrovato davanti all’improvviso un pedone , così da non poter evitare l’urto.
Le argomentazioni del ricorrente, in concreto, risultano prive di una reale analisi censoria, difettando una ponderata contrapposizione con la motivazione del provvedimento impugnato, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto -e pertanto immune da vizi di legittimità.
I giudici del gravame del merito hanno dato, infatti, ampio conto degli elementi di prova in ordine alla responsabilità esclusiva del prevenuto, ostando all’applicazione dell’ invocata diminuente a effetto speciale la circostanza, chiaramente evidenziata ed analizzata da entrambi i giudici di merito, che l’attraversamento della carreggiata da parte del pedone sia avvenuta sulle apposite strisce pedonali e che l’investimento abbia avuto luogo in prossimità della linea centrale continua, così da escludere un attraversamento repentino o altri profili di colpa.
La Corte territoriale si è soffermata, poi, ad indicare gli elementi di prova che smentiscono l’assunto difensivo sulla limitata visibilità del giudicabile, richiama ti anche dal giudice di primo grado (fotografie, conformazione rettilinea della strada, luce del giorno, presenza di cartellonistica che segnalava l’attraversamento pedonale) evidenziando, altresì, facendo corretta applicazione dei principi di diritto sopra ricordati, che tale circostanza, in ogni caso, giammai avrebbe potuto assumere il ruolo di concausa, essendo preciso onere del conducente, in caso di scarsa visibilità, tanto più in presenza certa di attraversamenti pedonali, moderare la velocità proprio al fine di scongiurare eventi del tipo di quelli verificatisi.
Rispetto a tale motivata, logica e coerente pronuncia, su cui nessuna incidenza ha il lamentato travisamento della prova (essendo del tutto irrilevante che l’attraversamento pedonale fosse segnalato da un solo cartello o da due ed avendo la Corte previsto nel suo ragionamento anche il caso in cui vi fossero effettivamente problemi di visibilità), il ricorrente reitera le argomentazioni già svolte in sede di appello, chiedendo una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione. Ma un siffatto modo di procedere è inammissibile perché trasformerebbe questa Corte di legittimità nell’ennesimo giudice del fatto.
Privi di specificità risultano anche gli ultimi motivi, afferenti alla dosimetria della pena principale e della sanzione accessoria applicata.
Le suddette censure, infatti, si sostanziano ancora una volta in una mera riproposizione RAGIONE_SOCIALE doglianze avanzate in sede di appello e disattese dalla Corte, senza confrontarsi in modo puntuale con le argomentazioni poste a fondamento della decisione impugnata.
4.1. Come è noto, sia la pena principale, sia le pene accessorie, per le quali la legge stabilisce, in misura non fissa, un limite di durata minimo ed uno massimo,
ovvero uno soltanto di essi, devono essere determinate dal giudice in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., richiedendosi una loro modulazione personalizzata con il disvalore del fatto di reato e con la personalità del responsabile, e ciò in applicazione del principio di proporzione della pena rispetto alla gravità del fatto accertato nei suoi elementi oggettivi e soggettivi, affermato dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, all’art. 49, comma 3, e richiamato dalla giurisprudenza costituzionale (Corte Cost. n. 341 del 1994).
In ossequio a tale principio fondamentale della giurisdizione, il giudice, nel fissare la pena, quale conseguenza del reato giudicato, deve tener conto non solo della funzione retributiva, perché la pena sia proporzionata alla gravità del reato e all’offensività in concreto della condotta dell’imputato, nonché della funzione di prevenzione generale, che riguarda la capacità a delinquere dello stesso, ma necessariamente anche della funzione rieducativa, che concorre con quella retributiva, dovendo la pena in ragione del parametro costituzionale, essere fortemente individualizzata in rapporto con le caratteristiche personali dei soggetti destinatari (C. cost. n. 50 del 1980) ed all’obiettivo della rieducazione del condannato (C. cost. n. 183 del 2011). Nella stessa linea esegetica questa Corte regolatrice ha più volte affermato che nell’esercizio del potere discrezionale il Giudice nella determinazione RAGIONE_SOCIALE pene, anche accessorie, deve pur sempre far riferimento ai criteri soggettivi ed oggettivi di cui all’art 133 cod. pen. della cui applicazione è necessario dar congrua e specifica giustificazione soprattutto nei casi nei quali si proceda ad una irrogazione della pena in misura pari o superiore al medio edittale. Così: Sez. 3 n. 10095 del 10/01/2013, Rv. 255153; Sez. 5, Sentenza n. 35100 del 27/06/2019 Ud. (dep. 31/07/2019) Rv. 276932.
4.2. Tale onere motivazionale nel caso in esame risulta adeguatamente assolto, avendo la Corte fornito congrua giustificazione della dosimetria utilizzata, richiamando la gravità dell’evento e dei profili di colpa ascritti al giudicabile, già ampiamente illustrati nella disamina del fatto e della responsabilità penale del COGNOME, e lo specifico lavoro svolto dallo stesso (nel settore dell’autotrasporto) che rendeva il suo grado di colpa ancor più pregnante.
5. La declaratoria di inammissibilità del ricorso comporta, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali, nonché – apparendo evidente che il medesimo ha proposto il ricorso determinando la causa di inammissibilità per colpa (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186) – al versamento della sanzione pecuniaria, indicata in dispositivo, in favore della RAGIONE_SOCIALE.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa RAGIONE_SOCIALE ammende. Così deciso, il 28/10/2025
Il AVV_NOTAIO estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME