Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 1735 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 1735 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a ZEVIO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 16/09/2022 della CORTE APPELLO di VENEZIA
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME
COGNOME
che ha concluso riportandosi alla memoria depositata, per l’inammissibilita’ del ricorso.
E’ presente l’avvocato COGNOME NOME, del foro di VENEZIA, in difesa di COGNOME NOME. Il difensore illustra i motivi di ricorso e insiste per il suo accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Venezia ha parzialmente riformato la sentenza emessa il 10/12/2021 dal Tribunale di Verona nei confronti di NOME COGNOME – imputato dei reati previsti dagli artt.589-bis e 590-bis cod.pen., 189, commi 6 e 7, d.lgs. 30/04/1992, n.285 e 611 cod.pen. rideterminando la pena detentiva in anni cinque di reclusione, revocando la pena accessoria dell’interdizione legale e sostituendo l’interdizione perpetua dai pubblici uffici con quella temporanea per anni cinque, con conferma nel resto della sentenza impugnata.
La Corte territoriale ha previamente esposto la ricostruzione del fatto operata dal giudice di primo grado; rilevando che, sulla base della stessa – il 12/05/2019, alle ore 19,10 circa – la vettura con a bordo NOME COGNOME e NOME COGNOME era stata urtata violentemente dalla vettura modello Volkswagen RAGIONE_SOCIALE (intestata alla ditta di RAGIONE_SOCIALE) condotta dall’imputato, il quale si era immesso nella INDIRIZZO nel Comune INDIRIZZO Casaleone (INDIRIZZO), senza adeguare la velocità e senza rispettare il segnale di stop, cagionando il decesso dell’COGNOME e gravi lesioni personali alla COGNOME, dandosi alla fuga dopo l’incidente; ha esposto che i testi oculari avevano confermato tale dinamica del fatto e che, in ordine alla prova dell’identità personale del conducente, all’interno della RAGIONE_SOCIALE era stata rinvenuta una carta d’identità intestata all’imputato; mentre era stata ritenuta credibile la versione del COGNOME in base alla quale la vettura sarebbe stata in uso al COGNOME, anche sulla base della descrizione fisica del conducente fornita dai testi che lo avevano visto allontanarsi dal luogo dell’evento.
La Corte territoriale ha quindi premesso che non sussisteva alcun dubbio in ordine all’oggettiva ricostruzione del sinistro, con specifico riferimento alla responsabilità del conducente della RAGIONE_SOCIALE, che non aveva rispettato il segnale di stop e che aveva tenuto una velocità non adeguata rispetto allo stato dei luoghi.
Ha quindi rilevato che i distinti atti di appello presentati dai difensor dell’imputato si erano accentrati in ordine al tema relativo all’effettiva identità del conducente della RAGIONE_SOCIALE, il quale si era allontaNOME dai luoghi subito dopo il sinistro, lasciando la vettura sulla sede stradale.
La Corte ha quindi riassunto gli esiti delle dichiarazioni rese dai testimoni che avevano assistito all’incidente – anche in riferimento alla descrizione del conducente del mezzo responsabile – nonché dell’operanté di p.g. intervenuto sul luogo e dell’agente che aveva stipulato la polizza assicurativa intestata alla RAGIONE_SOCIALE.
Ha quindi valutato come infondati i predetti motivi di appello ritenendo che fosse stata adeguatamente supportata l’ipotesi accusatoria in ordine all’identità
del conducente e tanto in quanto: a) nella vettura, dopo l’incidente, non vi era nessuno, mentre fuori dall’auto era stato visto un ragazzo con un telefono cellulare; condotta compatibile con la dinamica nel senso che il conducente avrebbe utilizzato l’auto incidentata per poi allontanarsi dal luogo su una vettura condotta da altra persona; b) il ragazzo descritto dal teste COGNOME era di fattezze compatibili con la foto dell’imputato prodotta dalla difesa; c) nell’auto, nel vano portaoggetti, vi era la carta d’identità dell’imputato, circostanza non compatibile con una pregressa e occasionale dimenticanza e invece compatibile con una fuga affrettata al momento del sinistro; d) l’imputato era rimasto irreperibile per alcuni giorni; e) l’assicuratore, che lo conosceva personalmente, lo aveva chiamato dopo l’incidente per avere delle spiegazioni in merito; f) l’utenza telefonica intestata all’imputato aveva agganciato nel lasso temporale in cui si era verificato il sinistro le celle che coprono la zona dell’incidente; in particolare, dalle 18,06 alle 19,13, il telefono dell’imputato era risultato essere in contatto con l’utenza intestata ad NOME COGNOME; mentre alle 19,18 aveva chiamato l’utenza di NOME e viceversa; tutte le conversazioni suddette avevano agganciato la cella di Legnago, INDIRIZZO e INDIRIZZO (strada del sinistro); g) NOME COGNOME aveva chiarito di aver visto l’incidente e di avere tentato di contattare telefonicamente l’imputato, senza ricevere risposta alcuna e come confermato dai tabulati; h) NOME COGNOME (amministratore della società intestataria della RAGIONE_SOCIALE) aveva affermato che la vettura era utilizzata dall’imputato e che la successiva versione in base alla quale la stessa fosse stata rubata era stata concordata tra il COGNOME e il COGNOME; altresì, nell’immediatezza del fatto, la sera stessa, aveva dichiarato ai Carabinieri che la vettura era utilizzata dal COGNOME, di aver saputo dell’incidente da COGNOME intorno alle . 19,30; che dal verbale redatto dai Carabinieri si evinceva che il COGNOME era giunto sul luogo del sinistro dichiarando che la vettura era in uso all’imputato; mentre la circostanza che quella sera il COGNOME avesse chiamato il COGNOME era stata confermata dai tabulati acquisiti: i) il COGNOME aveva dichiarato che il COGNOME gli aveva detto che l’auto era stata rubata e di conoscere il COGNOME perché aveva lavorato con lui anni prima; circostanza contrastante con quanto affermato dall’imputato, in base alla quale alla guida della vettura vi sarebbe stato il COGNOME e il documento sarebbe stato da lui lasciato di proposito all’interno del mezzo dopo averlo ricevuto per essere regolarizzato in ambito lavorativo, pur non risultando alcun rapporto di lavoro tra i due; I) le fotografie addotte dall’imputato a sostegno del suo alibi non erano riconducibili con certezza al giorno dell’incidente e le stesse erano state poste a disposizione solo alla data del 16/07/2021. Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
La Corte territoriale ha quindi ritenuto che gli elementi fossero tali e univoci da potere essere coerentemente interpretati nel senso che fosse proprio l’imputato
alla guida della vettura coinvolta nel sinistro; non avendo la versione difensiva trovato alcun conforto nelle emergenze processuali, dovendosi conferire valore decisivo al ritrovamento della carta d’identità all’interno del mezzo, alle risultanze evincibili dai tabulati telefonici e all’allontanamento dopo il fatto per diversi giorn letti in sintonia con il dato in base al quale il COGNOME era l’effettivo utilizzat dell’auto.
La Corte ha altresì ritenuto infondato il motivo inerente al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, anche in considerazione dei plurimi precedenti gravanti sull’imputato per guida in stato di ebbrezza; ha invece ritenuto accoglibile il motivo inerente all’eccessività del trattamento sanzioNOMErio, rideterminando la pena nel senso suddetto.
Ha dedotto che la Corte territoriale avrebbe attribuito particolare credibilità a quanto riferito dalla teste COGNOME in ordine al fatto che vicino al luogo dell’incidente vi fosse una persona con il telefono in mano identificata nell’odierno imputato, quando il teste COGNOME aveva notato che lo stesso individuo stava “messaggiando”, allorquando – dall’esame dei tabulati telefonici – alcun messaggio in orario compatibile con l’incidente e subito dopo risultava partito dal telefono del COGNOME; ha dedotto che la Corte avrebbe ignorato che le celle telefoniche agganciate dall’imputato tra le 18,32 e le 19,53 erano compatibili anche con il luogo in cui era situato il bar”INDIRIZZO Roger”, dove l’imputato e i testimoni
2. Avverso la predetta sentenza ha presentato ricorso per cassazione NOME COGNOME, tramite il proprio difensore, articolando sei motivi di impugnazione, con i quali ha dedotto: 1) l’omessa e comunque contraddittoria e illogica motivazione circa la prova che l’imputato fosse alla guida del mezzo, ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.e), cod.proc.pen.; 2) la motivazione apparente o contraddittoria circa la valutazione della testimonianza di NOME COGNOME, ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.e), cod.proc.pen.; 3) l’inosservanza e/o erronea applicazione degli artt. 192 e 195 cod.proc.pen. circa la valutazione della testimonianza di NOME COGNOME, ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b), cod.proc.pen.; 4) la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione circa la valutazione dei dati risultanti dai tabulati telefonici e in ordine al loro confronto con le testimonianze introdotte dalla difesa e ritenute non credibili, ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.e), cod.proc.pen; 5) l’erronea applicazione dell’art.533, comma 1, cod.proc.pen., per l’avvenuto disconoscimento della sussistenza di un ragionevole dubbio, in relazione all’art.606, comma 1, lett.c), cod.proc.pen; 6) in via subordinata, la violazione di legge e il difetto di motivazione con riguardo al diniego delle circostanze attenuanti generiche, in relazione all’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen.. Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
introdotti dalla difesa asserivano di essersi trovati al momento del sinistro; ha quindi dedotto come le dichiarazioni dei testi suddetti non fossero state minimamente valutate o prese in considerazione.
Ha dedotto la censurabilità della valutazione della Corte territoriale in punto di valorizzazione della testimonianza di NOME COGNOME, nella parte in cui questi aveva riferito di avere appreso dal COGNOME che la sera dell’incidente l’imputato fosse alla guida della vettura; ha dedotto trattarsi di testimonianza indiretta che non poteva avere alcuna rilevanza in quanto il COGNOME aveva negato la relativa circostanza; deducendo altresì un travisamento del materiale probatorio nella parte in cui la Corte aveva affermato che il COGNOME avrebbe riferito che la falsa denuncia di furto sarebbe stata orchestrata dal COGNOME e dal COGNOME, quando dal testo della testimonianza sarebbe invece risultato che la dichiarazione sarebbe stata predisposta dal COGNOME e dall’assicuratore; deducendo comunque come la Corte non avrebbe adeguatamente valutato la complessiva contraddittorietà delle affermazioni rese dal COGNOME stesso in ordine ai contatti con il COGNOME nonché a un presunto incontro con il fratello del COGNOME e la sua NOME che sarebbe avvenuto la sera stessa dell’incidente; ha quindi dedotto che la Corte avrebbe travisato il quadro probatorio non ritenendo sussistente un ragionevole dubbio sul fatto che alla guida del mezzo avrebbe potuto esserci lo stesso COGNOME, proprietario e utilizzatore della vettura.
Ha dedotto che, alla luce del complessivo quadro probatorio e della predetta lettura alternativa del medesimo, doveva ritenersi complessivamente non decisivo il profilo di fatto relativo al ritrovamento di un documento di identità intestato al ricorrente all’interno della vettura.
Ha, infine, censurato la sentenza impugnata in riferimento alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, non essendo stato valorizzato il dato rappresentato dalla spontanea presentazione di fronte ai Carabinieri dopo l’incidente.
Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta, nella ha concluso per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Va premesso che, vertendosi – in punto di valutazione di responsabilità dell’imputato – in una fattispecie di c.d. doppia conforme, le due decisioni di merito vanno lette congiuntamente, integrandosi le stesse a vicenda, secondo il
tradizionale insegnamento della Suprema Corte; tanto in base al principio per cui «Il giudice di legittimità, ai fini della valutazione della congruità della motivazione del provvedimento impugNOME, deve fare riferimento alle sentenze di primo e secondo grado, le quali si integrano a vicenda confluendo in un risultato organico ed inscindibile» (Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997, COGNOME, Rv. 209145; in conformità, tra le numerose altre, Sez. 6, n. 11878 del 20/01/2003, Vigevano, Rv. 224079; Sez. 6, n. 23248 del 07/02/2003, Zanotti, Rv. 225671; Sez. 5, n. 14022 del 12/01/2016, Genitore, Rv. 266617).
Ciò posto, in riferimento al complesso dei motivi di impugnazione inerenti alla ricostruzione della dinamica dell’evento, le censure che il ricorrente rivolge al provvedimento impugNOME si palesano inammissibili, non apprezzandosi nelle motivazioni delle sentenze di merito alcuna illogicità o travisamento probatorio che ne vulneri la tenuta complessiva.
In particolare, le deduzioni contenute nei motivi di ricorso mirano – per la loro gran parte – a sollecitare una rivalutazione nello stretto merito della sentenza da parte di questa Corte, peraltro non consentita in sede legittimità essendo preclusa in questa sede la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. (Sez. 6, n. 27429 del 4/7/2006, COGNOME, RV. 234559; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, B., Rv. 280601).
Ed infatti, è stato più volte ribadito che la Corte di cassazione non può sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di giudizio (Sez. 5, n. 39048 del 25/9/2007, COGNOME, Rv. 238215; Sez. 6, n. 25255 del 14/2/2012, COGNOME, Rv. 253099), restando esclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilità delle fonti di prova (Sez. 2, n. 7380 del 11/1/2007, Messina, Rv. 235716).
In particolare, attraverso le deduzioni spiegate nella parte narrativa del ricorso e da intendersi riferite al primo e al quarto motivo di doglianza rubricati all’inizio dell’atto difensivo, la difesa dell’imputato ha complessivamente censurato il ragionamento probatorio seguito dalla Corte territoriale, ritenendo che lo stesso sia stato il frutto di un complessivo travisamento delle prove medesime; in
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particolare, la difesa ha censurato il complessivo percorso motivazionale in ordine: a) alla corretta identificazione del soggetto sceso dalla vettura RAGIONE_SOCIALE Volskwagen subito dopo l’incidente, anche in relazione ai dati ricavabili dai tabulati telefonici; b) alla mancata valorizzazione delle dichiarazioni rese dai testi che avrebbero comprovato la veridicità dell’alibi fornito dall’imputato, pure questa compatibile con i dati ricavabili dai tabulati; c) alla dedotta credibilità di quanto dichiarato da COGNOME, avendo lo stesso fornito una testimonianza meramente indiretta in ordine all’identità del conducente e in considerazione dei plurimi elementi di contraddittorietà intrinseca ravvisabili nelle sue dichiarazioni.
Va quindi premesso che, rispetto al dedotto vizio di travisamento della prova, il vizio medesimo può essere dedotto con il ricorso per cassazione, nel caso – come quello di specie – di cosiddetta “doppia conforme “, nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, ovvero quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018, L., Rv. 272018; Sez. 4, n. 35963 del 03/12/2020, Tassoni, Rv. 280155); ricordando che tale vizio vede circoscritta la cognizione del giudice di legittimità alla verific dell’esatta trasposizione nel ragionamento del giudice di merito del dato probatorio, rilevante e decisivo, per evidenziarne l’eventuale, incontrovertibile e pacifica distorsione, in termini quasi di “fotografia “, neutra e a-valutativa, del “significante”, ma non del “significato”, atteso il persistente divieto di rilettura e re-interpretazione nel merito dell’elemento di prova (Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, COGNOME, Rv. 283370).
In particolare, il ricorso per cassazione con cui si lamenta il vizio di motivazione per travisamento della prova, non può limitarsi, pena l’inammissibilità, ad addurre l’esistenza di atti processuali non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione del provvedimento impugNOME ovvero non correttamente od adeguatamente interpretati dal giudicante, quando non abbiano carattere di decisività , ma deve, invece: a) identificare l’atto processuale cui fa riferimento; b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza; c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonché della effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda; d) indicare le ragioni per cui l’atto inficia e compromette, in modo decisivo , la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale
incompatibilità all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugNOME (Sez. 6, n. 10795 del 16/02/2021, F., Rv. 281085).
In riferimento al complesso degli elementi probatori dedotti a fondamento dei predetti motivi di ricorso deve quindi ritenersi che difetti il requisi fondamentale della decisività, in modo da rendere inammissibile la relativa censura.
Specificamente, in ordine al dato della corretta descrizione del soggetto sceso dalla vettura RAGIONE_SOCIALE Volkswagen subito dopo il sinistro e in riferimento alle dichiarazioni rese dal teste COGNOME (che avrebbe descritto un ragazzo di corporatura media che “stava in piedi con un telefono in mano”), va rilevato come tali ultime dichiarazioni non siano – di fatto – state prese in considerazione della Corte territoriale in ordine all’identificazione dello stesso conducente.
Avendo invece la Corte territoriale fatto esclusivo riferimento (pagg. 5-6 della sentenza impugnata) alle dichiarazioni rese dalla teste COGNOME; rilevando come la descrizione operata dalla testimone del soggetto sceso dalla vettura (avente “capelli corti ai lati e leggermente più lunghi sulla parte superiore”) fosse compatibile con l’immagine contenuta nella foto prodotta dalla difesa e rilevando altresì che il dato in base al quale lo stesso avesse “un telefono in mano” è compatibile con il dato (pure riportato alle pagg. 5 e 6 della sentenza e ricavato dai tabulati telefonici) in base al quale – alle ore 19,18 e quindi alcuni minuti dopo l’incidente, l’imputato aveva chiamato la propria coniuge NOME.
Non sussiste altresì il dedotto carattere della decisività in ordine all’interpretazione – nel senso operato da parte della Corte territoriale – dei dati ricavabili dai tabulati telefonici; con specifico riferimento alla parte in cui i giudi di secondo grado, richiamando anche quanto riferito dal teste COGNOME (operante di p.g.), hanno rilevato (pagg.5 e 6 della sentenza) che il telefono cellulare dell’imputato ha agganciato due celle che coprono la zona dell’incidente, ovvero quelle di INDIRIZZO Vecchia e quella di INDIRIZZO, luogo del sinistro; e che l’utenza, dalle 18,06 alle 19,13 – orario prossimo all’incidente – era risultata in contatto telefonico con NOME COGNOME e, dalle 19.18 sino alle 19,37, con la compagnia NOME.
In particolare, come specificamente rilevato nella sentenza di primo grado (pag.14), dai dati evincibili dai tabulati telefonici, è risultato che l’imputato avev agganciato la cella di INDIRIZZO (alle 19,13-19,14) mentre era in contatto con il COGNOME, mentre alle 19,18 – in diretta concordanza con quanto riferito dalla teste COGNOME in ordine al fatto che il conducente sceso dalla vettura avesse un telefono in mano – l’utenza dell’imputato era entrato in contatto con quello della NOME.
Non si ravvisa quindi alcun vizio di contraddittorietà ovvero di travisamento probatorio nel ragionamento seguito dalla Corte in punto di interpretazione dei dati ricavabili dai tabulati telefonici; in particolare, la circostanza in base alla qual l’apparecchio dell’imputato abbia agganciato la medesima cella tra le ore 18,32 e le 19,53, come dedotto dalla difesa, non sta a significare – dato l’ambito potenziale di estensione delle celle medesime – che il telefono fosse stato fermo nello stesso posto per tutto il predetto lasso temporale e che quindi lo stesso non fosse in movimento.
6. D’altra parte, la difesa – sempre nell’ambito dei predetti motivi di ricorso ha dedotto un vizio di travisamento nella parte in cui la Corte avrebbe ritenuto non credibili le dichiarazioni dei testimoni che hanno confermato l’alibi dell’imputato, in base alle quali lo stesso sarebbe stato fermo – in orari coincidenti con quelli del sinistro – presso il bar “Jolli Roger”, collocato in zona compatibile con la cella attivata dall’imputato nell’orario medesimo.
Peraltro, il relativo vizio non si è perfezioNOME nel caso di specie dovendosi considerare manifestamente infondato il relativo punto di censura.
Va premesso in via logicamente pregiudiziale – in ordine alla ritenuta non attendibilità dei testi che hanno confermato l’alibi fornito dall’imputato – che, per consolidata giurisprudenza di questa Corte, non è sindacabile in sede di legittimità, salvo il controllo sulla congruità e logicità della motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle fonti prova, circa contrasti testimoniali o la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti (Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Tosto, Rv. 250362; Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, COGNOME, Rv. 271623).
Nel caso di specie, la Corte – con motivazione non palesemente illogica – ha ritenuto non credibili le dichiarazioni dei testi escussi su istanza della difesa in ragione della mancanza di riscontri documentali e sulla base della non databilità delle foto che avrebbero dovuto avvalorare l’alibi, in considerazione della tardività della loro produzione rispetto al momento dell’incidente; ritenendo quindi, per diretta derivazione logica, non attendibili le dichiarazioni rese dai suddetti testimoni.
D’altra parte, la relativa valutazione deve essere saldata con quella – da ritenersi pure coerente e intrinsecamente logica – operata dal Tribunale; che, in punto di valutazione della non credibilità dei testimoni introdotti dalla difesa ha rilevato come il relativo giudizio dovesse essere negativo atteso che le testimonianze stesse erano state introdotte dopo ben due anni dal verificarsi del fatto e senza che, in sede di dichiarazioni rese in sede di indagini preliminari, l’imputato avesse mai accenNOME alla relativa circostanza di fatto; altresì, il
Tribunale ha rilevato che una delle persone che si sarebbero trovate insieme all’imputato presso il suddetto bar in orario sovrapponibile a quello dell’incidente si identificava con la moglie NOME, con la quale peraltro – come detto – il COGNOME era entrato in contatto telefonico, sulla base dei tabulati, alle ore 19,18; venendo quindi, con considerazione pienamente logica, escluso che gli stessi in quel frangente potessero trovarsi nello stesso luogo, con conseguente giudizio di non credibilità della testimone.
7. Con le deduzioni poste alla base del secondo e del terzo motivo di ricorso – come indicati nell’intestazione – la difesa dell’imputato ha altresì contestato la motivazione della Corte territoriale in punto di valutazione della testimonianza resa da NOME COGNOME; in particolare, la difesa ha dedotto che la Corte avrebbe valorizzato la testimonianza – in realtà resa solo de relato in ordine alla circostanza che, la sera dell’incidente, il COGNOME fosse alla guida dell’auto (come sarebbe stato appreso dal COGNOME, il quale avrebbe peraltro negato la circostanza); nonché in ordine alla circostanza che la falsa denuncia di furto della vettura sarebbe stata predisposta dal COGNOME e dal COGNOME (avendo invece il COGNOME dichiarato che tale predisposizione sarebbe stata opera del COGNOME e dell’agente assicurativo); deducendo la non veridicità della dichiarazione ulteriore in base alla quale il COGNOME, giunto sul luogo del sinistro, vi avrebbe già trovato presente il COGNOME, che sarebbe invece giunto successivamente e che comunque alle 19,38 aveva agganciato con il proprio telefono una cella distante dal luogo dell’incidente; denunciando altresì un vizio di illogicità nella parte in cui l motivazione non aveva fatto cenno della circostanza in base alla quale, nella sera dell’incidente, il COGNOME – insieme alla propria NOME – avrebbe avuto un incontro con il fratello del COGNOME e con il COGNOME, circostanza smentita da quest’ultimo oltre che dai dati ricavati dai tabulati telefonici, dai quali sarebbe risultato che in orario prossimo all’incidente vi era stato un contatto tra il COGNOME e la NOME da celle collocate in luoghi diversi. Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
Le argomentazioni dedotte dalla difesa appaiono, peraltro, complessivamente inammissibili in quanto, da un lato, generiche in ordine alla censura spiegata in riferimento all’applicazione dell’art.195 cod.proc.pen. e, dall’altro, attinenti a elementi di dettaglio in ordine ai quali non si rinviene un carattere decisivo nel percorso argomentativo seguito dalla Corte.
In particolare, in ordine all’identità dell’effettivo utilizzatore della vettura COGNOME ha riferito in ordine a una sua conoscenza diretta in relazione al fatto che lo stesso si identificasse nell’imputato; in ogni caso, la deduzione difensiva in ordine al fatto che il COGNOME avesse negato tale circostanza appare generica, anche in considerazione del fatto che in tema di testimonianza indiretta, il giudice
ben può ritenere attendibile la deposizione del teste de relato, sebbene sia contrastante con quella della fonte diretta, in quanto l’art. 195 cod. proc. pen. non prevede alcuna deroga al principio di libera valutazione della prova (Sez. 3, n. 529 del 02/12/2014, dep. 2015, N., Rv. 261793; Sez. 6, n. 38064 del 05/06/2019, Pisani, Rv. 277062).
In particolare, nell’operare la comparazione tra le dichiarazioni rese dal COGNOME – quale teste de relato e quella fornita dal COGNOME, quale teste di riferimento, i giudici di merito (e, in particolare, il Tribunale alla pag. 8 del sentenza di primo grado) hanno rilevato come le dichiarazioni del primo fossero le uniche ad aver avuto effettivo riscontro negli ulteriori apporti dichiarativi, nella documentazione acquisita e negli esiti dei tabulati telefonici; evidenziando, in ordine al dato del momento di conoscenza dell’incidente, che dall’esame dei tabulati telefonici si evinceva che effettivamente, la sera del sinistro, era stato il COGNOME a contattare il COGNOME (alle ore 19,28), come da questi riferito ed evidenziando altresì – con motivazione non palesemente illogica – come le circostanze narrate e rimaste prive di riscontro (quali l’incontro nella sera dell’incidente con il fratello dell’imputato e quello con lo stesso COGNOME, collocato nel giorno successivo al sinistro) fossero attinenti a elementi puramente marginali e che non intaccavano il nucleo centrale delle circostanze riferite; tanto in coerenza con il consolidato principio in base al quale è legittima la valutazione frazionata delle dichiarazioni testimoniali quando le parti del narrato ritenute veritiere reggano alla verifica giudiziale del riscontro, ove necessaria, e non sussista interferenza fattuale e logica, ossia un rapporto di causalità necessaria o di imprescindibile antecedenza logica, con quelle giudicate inattendibili, tale da minare la credibilità complessiva e la plausibilità dell’intero racconto (Sez. 5, n. 25940 del 30/06/2020, M., Rv. 280103).
Ulteriormente, la versione alternativa introdotta dalla difesa in sede di ricorso e in base alla quale sarebbe stato proprio il COGNOME alla guida della vettura è stata radicalmente smentita – con motivazione del tutto logica – da parte del Tribunale, sulla base di due elementi di fatto che non hanno formato oggetto di contestazione; ovvero il dato in base al quale all’interno della vettura, all’esito degli accertamenti biologici, non era stato riscontrato alcun profilo genotipico compatibile con quello del COGNOME e quello ulteriore, ricavabile dall’analisi dei tabulati telefonici, in base al quale l’utenza di quest’ultimo aveva agganciato la cella compatibile con il luogo del sinistro solo alle ore 19,28, avvalorando quindi la tesi in base alla quale il suddetto testimone sarebbe arrivato sul posto solo dopo la verificazione dell’evento.
8. Conseguendone che le censure spiegate dal ricorrente – nei primi quattro motivi di ricorso – in ordine al complessivo percorso argomentativo su cui sono state basate le pronunce di condanna appaiono del tutto inidonee a riflettersi sui precisi elementi di fatto valorizzati dai giudici di merito e, in sintesi, costituiti, o che dalle citate dichiarazioni della teste COGNOME in ordine all’identificazione del conducente del mezzo: a) dalla presenza all’interno del mezzo di una carta d’identità originale dell’imputato, in relazione alla quale non aveva trovato conferma la deduzione difensiva in base alla quale la stessa sarebbe stata consegnata al COGNOME al fine di regolarizzare un, non confermato, rapporto di lavoro; b) dalla irreperibilità dell’imputato per i giorni successivi al sinistro; c) da dichiarazioni rese dall’assicuratore NOME, il quale ha riferito che il contrassegno assicurativo era stato ritirato dall’imputato e che questi gli aveva riferito di essere lui stesso l’utilizzatore del mezzo; d) dai citati esiti ricavabili tabulati telefonici, in ordine all’aggancio di celle che coprivano la zona dell’incidente in orario compatibile con lo stesso; e) dalla testimonianza resa da NOME COGNOME, il quale aveva pure dichiarato che la vettura era in uso all’imputato e di avere – dopo avere visto che la stessa era stata coinvolta in un incidente – subito tentato di chiamare lo stesso (alle ore 19,09, quindi in orario pienamente compatibile con quello del sinistro e come risultante dall’esame dei tabulati telefonici); f) dal complessivo comportamento tenuto dall’imputato dopo il fatto – essendo lo stesso risultato irreperibile per cinque giorni – e anche durante il processo, atteso che l’alibi era stato fornito a distanza di oltre due anni dai fatti e dopo che lo stesso non aveva riferito tale circostanza né in sede di originarie dichiarazioni spontanee rese agli operanti e nemmeno in sede di interrogatorio di garanzia reso dopo essere stato sottoposto a misura cautelare (e ciò in coerenza con il principio in base al quale al giudice non è preclusa la valutazione della condotta processuale dell’imputato, unitamente ad ogni altra circostanza sintomatica, di modo che egli, nella formazione del suo libero convincimento, ben può considerare, in concorso di altre risultanze, la portata significativa di comportamenti processuali incidenti su profili probatori determinanti; Sez. 2, n. 16563 del 01/03/2017, COGNOME, Rv. 269507; Sez. 6, n. 28008 del 19/06/2019, COGNOME, Rv. 276381). Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
Ne consegue, sulla base dei predetti principi di diritto, che gli elementi addotti dalla difesa attinenti a singoli elementi di prova vagliati dai giudici di merito appaiono – alla luce del tessuto probatorio posto alla base delle decisioni di condanna – prive del necessario requisito della decisività connotando quindi di complessiva inammissibilità le relative censure.
A tali valutazione segue – per diretta derivazione logica – l’inammissibilità del quinto motivo di ricorso nel quale la decisione è stata censurata per non avere
ravvisato un ragionevole dubbio sulla responsabilità dell’imputato ai sensi dell’art.533, comma 1, cod.proc.pen..
Il motivo inerente alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche è inammissibile, in quanto manifestamente infondato.
In relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche va difatti ricordato che lo stesso può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62-bis cod.pen., disposta con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza déll’imputato (Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, COGNOME, Rv. 270986; Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, COGNOME, Rv. 283489); mentre, sul punto, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269; Sez. 2, Sentenza n. 23903 del 15/07/2020, COGNOME, Rv. 279549, che ha specificato che al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente).
Rilevando altresì che è illegittima la motivazione della sentenza d’appello che, nel confermare, il giudizio di insussistenza delle circostanze attenuanti generiche, si limiti a condividere il presupposto dell’adeguatezza della pena in concreto inflitta, omettendo ogni apprezzamento sulla sussistenza e rilevanza dei fattori attenuanti specificamente indicati nei motivi d’impugnazione (Sez. 6, n. 46514 del 23/10/2009, Tisci, Rv. 245336; Sez. 6, n. 20023 del 30/01/2014, Gligora, Rv. 259762).
Nel caso di specie, la Corte territoriale si è adeguatamente raffrontata con le deduzioni poste alla base dei relativi motivi di appello;’ritenendo – con motivazione congrua e non manifestamente illogica – insussistenti i presupposti per l’applicazione delle circostanza attenuanti generiche sulla scorta dell’oggettiva gravità del fatto e dell’allontanamento dal luogo dell’incidente oltre che in considerazioni dei precedenti dell’imputato, gravato da plurime condanne per guida in stato di ebbrezza oltre che da una per tentato omicidio in concorso.
10. Alla declaratoria d’inammissibilità segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», la ricorrente va condannata al pagamento di una somma che si stima equo determinare in euro 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso, il 23 novembre 2023
sigliere estensore Il
Il Presidente