Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 1439 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 1439 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Brescia il 16/09/1970, avverso la sentenza in data 06/03/2023 della Corte di appello di Brescia; letti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni scritte con cui il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME ha chiesto che il ricorso sia rigettato.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 06/03/2023, la Corte di appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Brescia del precedente 16/09/2021, con cui COGNOME NOME era stato dichiarato penalmente responsabile del delitto di omicidio stradale e condannato, per l’effetto, alla pena ritenuta di giustizia, ha concesso al predetto il beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cessazione il difensore di fiducia del COGNOME, avv.to NOME COGNOME che ha articolato due motivi di
ricorso, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., vizio di motivazione per carenza, c:ontraddittorietà e manifesta illogicità in punto di ritenuta sussistenza di profili di colpa nel condotta dell’imputato ed erronea applicazione della norma incriminatrice di cui all’art. 589-bis, comma 1, cod. pen.
Rileva al riguardo che nella decisione della Corte territoriale non sarebbe stato scrutinato il profilo della distanza tra l’auto investitrice e la parte lesa, momento in cui quest’ultima fu, per la prima volta, visibile dal conducente, sostenendo che l’accertamento del dato, da effettuarsi tenendo conto che tale visibilità era principiata allorquando il pedone era entrato nel fascio di luce dei fari anabbaglianti del veicolo, avrebbe rivelato che il conducente aveva avuto la concreta possibilità di avvedersi dell’improvviso attraversamento allorquando la vettura si trovava a soli 12/13 metri del punto di impatto.
Osserva, poi, che nella decisione oggetto d’impugnativa risulterebbe contraddittoriamente e illogicamente argomentata anche la ritenuta violazione delle regole cautelari di cui agli artt. 141, 140 e 191 C.d.S., posto che, per un verso, si sarebbe determinata, in maniera contraddittoria, in 35 metri la distanza occorrente ad evitare l’investimento laddove la vettura avesse tenuto la più ridotta velocità di 50 km/h, senza tener n :onto del tempo di reazione del conducente, per altro verso, si sarebbe obliterata, in maniera altrettanto contraddittoria, la valutazione della circostanza costituita dell’improvviso attraversamento della sede stradale da parte del pedone e, per altro verso ancora, si sarebbe affermato, in maniera manifestamente illogica, che l’impatto era avvenuto in conseguenza della distrazione e della mancata frenata del medesimo conducente, con evidente travisamento delle dichiarazioni rese, in sede di escussione dibattimentale, dal consulente tecnico del pubblico ministero.
Conclude, infine, che i dedotti vizi motivazionali si sarebbero tradotti anche in un’erronea applicazione della norma di cui all’art. 589-bis, comma 1, cod. pen.
2.2. Con il secondo motivo si duole, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., di vizio di motivazione per carenza, c:ontraddittorietà e manifesta illogicità in punto di ritenuta prevedibilità ed evitabilità dell’evento e erronea applicazione della norma incriminatrice di cui all’art. 40 cod. pen.
Sostiene in proposito che nella decisione gravata la concreta prevedibilità dell’attraversamento della strada da parte di pedoni sarebbe stata affermata in maniera del tutto irragionevole, non potendo la stessa essere desunta, in assenza di segnaletica orizzontale, dalla sola presenza di talune auto in sosta,
sul margine opposto a quello dal quale la persona offesa si era immessa sulla pubblica via.
Conclude, infine, che i dedotti vizi motivazionali si sarebbero tradotti anche in un’erronea applicazione della norma di cui all’art. 40 cod. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso presentato nell’interesse di COGNOME NOME è manifestamente infondato per le ragioni che, di seguito, si espongono.
Privo di pregio è il primo motivo di ricorso, con cui si lamenta vizio di motivazione per carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità in punto di ritenuta sussistenza di profili di colpa nella condotta dell’imputato ed erronea applicazione della norma incriminatrice di cui all’art. 589-bis, comma 1, cod. pen., assumendo che: a) nella decisione della Corte territoriale non sarebbe stato scrutinato il profilo della distanza tra l’auto investitrice e la parte lesa, momento in cui quest’ultima fu, per la prima volta, visibile dal conducente, elemento che avrebbe dovuto essere accertato tenendo conto che tale visibilità era principiata allorquando il pedone era entrato nel fascio di luce dei fari anabbaglianti del veicolo e la cui valutazione avrebbe rivelato che il conducente aveva avuto la possibilità di rendersi conto dell’improvviso attraversamento nel momento in cui la vettura si trovava a soli 12/13 metri del punto di impatto; b) nell’anzidetta pronunzia risulterebbe contraddittoriamente e illogicamente argomentata anche la ritenuta violazione delle regole cautelari di cui agli artt. 141, 140 e 191 C.d.S., posto che, per un verso, si sarebbe determinata, in maniera contraddittoria, in 35 metri la distanza occorrente ad evitare l’investimento laddove la vettura avesse tenuto la più ridotta velocità di 50 km/h, senza tener conto del tempo di reazione del conducente, per altro verso, si sarebbe obliterata, in maniera altrettanto contraddittoria, la valutazione della circostanza costituita dell’improvviso attraversamento della sede stradale da parte del pedone e, per altro verso ancora, si sarebbe affermato, in maniera manifestamente illogica, che l’impatto era avvenuto in conseguenza della distrazione e della mancata frenata del medesimo conducente, con evidente travisamento delle dichiarazioni rese, in sede di escussione clibattimentale, dal consulente tecnico del pubblico ministero. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Osserva in proposito il Collegio che la cloglianza agitata con il motivo in oggetto risulta palesemente aspecifica, in quanto di fatto reiterativa, sia nella parte afferente alla dinamica del sinistro stradale in cui rimase coinvolto il Manera, sia in quella attinente alle regole cautelari, in tesi, violate, di censure
già fatte valere con l’atto di appello, che la Corte territoriale ha puntualmente disatteso, in specie con le coerenti argomentazioni spese a pag. 11 della sentenza gravata, con le quali, tuttavia, non si confronta in alcun modo l’impugnativa.
In particolare, è a dirsi che la Corte di appello, nel recepire la ricostruzione del fatto operata dal Tribunale, ha concluso, in maniera lineare e tutt’altro che illogica, che, per la velocità, prossima ai 58 km/h, a cui viaggiava il veicolo investitore (costituente dato incontroverso), per la scarsa visibilità dovuta all’orario serale in cui ebbe a verificarsi l’incidente, per la riscontrata assenz sulla sede stradale di segni di frenata, per il punto in cui ebbe concretamente a verificarsi l’impatto (assai prossimo al margine destro della c:orsia di marcia) e per la rilevante distanza da esso a cui fu sbalzato il corpo della persona offesa, fosse logico ritenere che l’imputato non si fosse avveduto del repentino attraversamento da parte di quest’ultima.
I giudici del merito hanno imputato, inoltre, al predetto di non aver adeguato la velocità di marcia alle condizioni di visibilità dei luoghi e hanno concluso, in maniera del tutto ragionevole, per la sussistenza di un profilo di colpa ai sensi dell’art. 141 C.d.S., così integrando, mercé l’indicazione della violazione di una regola di prudenza espressamente normata, il decisum del primo giudice, che si era limitato a evidenziare la sussistenza di una condotta di guida distratta del conducente.
A fronte di un’argomentazione siffatta, la doglianza fatta valere con il motivo di ricorso in disamina si risolve, in sostanza, nella mera riproposizione di una questione già devoluta illo tempore alla Corte di appello, priva di un’autonoma e motivata confutazione della decisione da questa assunta in ordine alle specifiche deduzioni.
È, tuttavia, pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Corte che con i motivi di ricorso non possono essere riprodotte le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi, ove ciò accada, ritenere aspecifici i motivi stessi.
La mancanza di specificità del motivo ricorre, infatti, non solo nel caso della sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche in quello del difetto di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità, che conduce, ai sensi dell’art. 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., all’inammissibilità del gravame (così, ex multis, Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour, Rv. 277710-01, SeZ. 2, n. 11951 del 29/01/2014,
Lavorato, Rv. 259425-01, Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, COGNOME, Rv. 255568-01 e Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, COGNOME, Rv. 253849-01).
3. Palesemente infondato è anche il secondo motivo di ricorso, con cui ci si duole di vizio di motivazione per carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità in punto di ritenuta prevedibilità ed evitabilità dell’evento, nonché di erronea applicazione della norma incriminatrice di cui all’art. 40 cod. pen., sostenendo che nella decisione gravata sarebbe stata irragionevolmente affermata la concreta prevedibilità dell’attraversamento della strada da parte di pedoni, posto che tale circostanza, in assenza di segnaletica orizzontale, non avrebbe potuto essere desunta dalla sola presenza di auto in sosta sul margine opposto a quello dal quale la vittima aveva avuto accesso alla pubblica via e aggiungendo che l’indicato vizio argomentativo si sarebbe tradotto anche in un’erronea applicazione della norma di cui all’art. 40 cod. pen.
Rileva al riguardo il Collegio che la Corte territoriale, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, ha esaustivamente argomentato, con percorso motivazionale lineare, coerente e nient’affatto illogico, la ritenuta prevedibilità dell’attraversamento stradale da parte di pedoni, affermando, in specie, che «… dalle fotografie scattate sul luogo dell’incidente risulta che, al momento del fatto, sulla destra della strada percorsa dal Manera vi erano più macchine parcheggiate…, mentre sulla sinistra, in corrispondenza delle predette vetture, vi era la casa funeraria gestita dalla società denominata RAGIONE_SOCIALE, in quel frangente… aperta», aggiungendo, inoltre, che «…la perfetta corrispondenza tra la casa del commiato, posta in posizione leggermente sopraelevata alla sede stradale, a sinistra rispetto alla direzione di marcia del veicolo, e le vettur parcheggiate sulla destra, rendeva del tutto prevedibile un attraversamento in quel punto, seppur la carreggiata fosse priva di attraversamenti pedonali», sostenendo, ancora, che «… lo stesso imputato ha precisato che il punto dove il COGNOME aveva effettuato l’attraversamento era abbastanza buio e di solito trafficato e che egli, giunto nei pressi della casa mortuaria, aveva diminuito la velocità a 70 km/h perché c’erano molte automobili parcheggiate» e concludendo che «… ciò rafforza il giudizio di prevedibilità (concreta) sopra espresso», avendo poi cura di precisare ulteriormente che «… neppure può contestarsi al pedone di aver attraversato al di fuori delle strisce pedonali, poiché l’art. 190 C.d.S. consente un simile attraversamento tutte le volte che gli attraversamenti pedonali si trovino.., ad una distanza maggiore di cento metri…» e che «… l’art. 191 C.d.S., che regola il comportamento dei conducenti nei confronti dei pedoni, al comma 2 stabilisce che, sulle strade sprovviste di attraversamenti pedonali (come nel caso in esame), “i conducenti devono consentire al pedone, che abbia
già iniziato l’attraversamento impegnando la carreggiata, di raggiungere il lato opposto in condizione di sicurezza”».
Orbene, con tale coerente ed esaustivo impianto argomentativo – che si salda, in quanto dello stesso tenore, con quello a fondamento della decisione di condanna di primo grado – non si confronta il ricorrente, che, con l’agitata doglianza, si limita, di fatto, a contestare la decisione assunta dalla Corte territoriale in punto di prevedibilità dell’improvviso attraversamento del pedone, senza indicare, in alcun modo, il motivo per cui esso non avrebbe dovuto ritenersi prevedibile, in presenza delle ulteriori circostanze compiutamente indicate dai giudici del merito (la presenza di talune auto in sosta sul margine destro della strada e l’esistenza, su quello opposto, in corrispondenza delle predette vetture, della casa funeraria gestita dalla società “RAGIONE_SOCIALE“).
Tanto induce a concludere che il ricorrente, con la doglianza de qua, formula, a ben vedere, la sollecitazione ad un’inammissibile rivalutazione delle prove, di cui caldeggia, in sostanza, una lettura alternativa alla semantica privilegiata dalla Corte di appello.
È tuttavia ben noto che il giudice di legittimità non può sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, essendogli preclusa in radice la rivalutazione del fatto.
Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente di sostenere, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., le spese del procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e considerato che non v’è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza «versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», si dispone che il ricorrente versi, in favore della Cassa delle ammende, la somma, determinata in via equitativa, di euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 14/12/2023