Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 36958 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 36958 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/10/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a VITERBO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 03/12/2024 della Corte d’appello di Roma
Visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
udito il PG, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
udito l’AVV_NOTAIO del foro di Viterbo in difesa di COGNOME NOME, che si è riportato ai motivi di ricorso e ne ha chiesto l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 3 dicembre 2024, la Corte di appello di Roma ha riformato la sentenza pronunciata dal Tribunale di Viterbo in data 29 settembre 2022, concedendo a NOME COGNOME il beneficio della non menzione della condanna e riducendo la durata della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da sei a tre mesi. La sentenza di primo grado è stata confermata quanto all’affermazione della penale responsabilità dell’imputato per il reato di cui all’art. 589 bis cod. pen. e al trattamento sanzioNOMErio, determiNOME
nella misura di mesi otto di reclusione previa applicazione delle circostanze attenuanti generiche e dell’attenuante di cui all’art. 589 bis, comma 7, cod. pen.
Il procedimento ha ad oggetto un incidente stradale verificatosi intorno alle 7:15 del mattino del 10 ottobre 2016 a Grotte di Santo Stefano (VT) in INDIRIZZO Secondo la ricostruzione fornita dai giudici di merito, COGNOME si trovava alla guida dell’autovettura Citroen C1 targata TARGA_VEICOLO, procedeva a una velocità di circa 30 km/h e, poco prima di una intersezione stradale, investì il pedone COGNOME NOME / che stava attraversando da destra verso sinistra per la direzione di marcia della macchina e aveva impegNOME la carreggiata ad una distanza di circa un metro e venti da un attraversamento pedonale (oltre l’attraversamento nella direzione di marcia dell’auto), procedendo con andamento diagonale e con andatura spedita. Il punto d’urto è stato collocato a circa 3,9 metri dal margine destro della carreggiata, in prossimità della linea di mezzeria. Il corpo del pedone fu colpito dalla fiancata anteriore destra della macchina in corrispondenza dello specchietto retrovisore. Egli urtò contro il parabrezza all’altezza del montante laterale destro e fu proiettato in avanti a circa 5,4 metri di distanza. Dopo l’urto, l’auto si fermo nella corsia opposta a quella di marcia, lungo la traiettoria determinata dalla manovra di deviazione a sinistra che il conducente aveva intrapreso per evitare l’impatto. Nell’incidente, NOME riportò gravi lesioni che ne determinarono la morte, verificatasi alle ore 12:00 dello stesso giorno.
Secondo i giudici di merito, al verificarsi dell’incidente contribuì il comportamento imprudente della vittima, ma tale comportamento rappresenta una concausa non sufficiente da sola a determinare l’evento, reso possibile dal fatto che, avvistato il pedone, invece di frenare e arrestare la marcia, COGNOME deviò verso sinistra e incrociò la traiettoria del pedone che, nel frattempo, aveva accelerato il passo fin quasi a correre.
Contro la sentenza della Corte di appello, il difensore di fiducia dell’imputato ha proposto tempestivo ricorso,articolato in due motivi che di seguito si riportano nei limiti strettamente necessari alla decisione, come previsto dall’art. 173, comma 1, d.lgs. 28 luglio 1989 n. 271.
3.1. Col primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 606 2 1ett. b), cod. proc. pen. Sostiene che – a fronte del riconoscimento del concorso di colpa del pedone e del fatto che, secondo le deposizioni dei testi, durante l’attraversamento egli si mise a correre – la sentenza impugnata non avrebbe fornito adeguata motivazione in ordine alla possibilità per COGNOME di prevedere ed evitare l’investimento. Secondo la difesa, nelle due decisioni conformi, i giudici di merito avrebbero ritenuto sussistente la colpa dell’imputato fondando la
responsabilità sull’affermazione «apodittica e assertiva» che COGNOME abbia sterzato, ma non abbia freNOME, senza considerare che il pedone aveva iniziato l’attraversamento in modo improvviso, in diagonale, fuori dalle strisce pedonali e, ad un certo punto, si era messo a correre, rendendo così inefficace la sterzata a sinistra che COGNOME aveva attuato proprio per evitare l’impatto. Il ricorrente sostiene che, nel caso di specie, le ipotizzate violazioni degli artt. 141 e 191 d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 non possono essere ritenute sussistenti: quanto all’art. 141, perché la velocità mantenuta (30 km/h), pur tenendo conto del fatto che il sole non era ancora alto e la strada era bagnata, era ampiamente prudenziale e COGNOME non perse il controllo della propria auto, ma sterzò consapevolmente verso sinistra allo scopo di evitare il pedone; quanto all’art. 191, perché questa norma impone al conducente l’obbligo di rallentare e, se del caso, di fermarsi e dare la precedenza ai pedoni che stanno attraversando o si accingono ad attraversare sulle strisce pedonali, ma COGNOME si trovava oltre le strisce e iniziò l’attraversamento in modo repentino e imprevedibile, accelerando durante il tragitto e procedendo in diagonale. La difesa sottolinea che, come riferito dal teste NOME COGNOME, NOME si mise a correre durante l’attraversamento e sostiene che tale condotta, del tutto imprevedibile, mutò la situazione rendendo inefficace la sterzata tempestivamente attuata da COGNOME e rendendo possibile un evento che, in assenza del «repentino scatto in avanti della vittima», non si sarebbe verificato. Sostiene, dunque, che mettendosi a correre, il pedone avrebbe introdotto un rischio nuovo, che il comportamento del conducente, pur conforme alla normativa in materia di circolazione stradale, non poteva evitare.
3.2. Col secondo motivo, la difesa deduce vizi di motivazione quanto alla valutazione della prova scientifica. Sostiene che la Corte di appello non avrebbe spiegato con argomentazioni complete, logiche e coerenti per quali ragioni la ; ricostruzione dell’incidente prospettata dal consulente tecnico dell’accusa, stata ritenuta più affidabile di quella prospettata dal consulente della difesa. Secondo il difensore, la sentenza impugnata ha aderito alle conclusioni del consulente tecnico del PM sostenendo – con argomentazione manifestamente illogica perché non aderente alla realtà – che solo questo consulente avrebbe sviluppato argomentazioni di carattere scientifico. Avrebbe ignorato, quindi, che la consulenza della difesa e quella della pubblica accusa sono fondate «sugli stessi presupposti metodologici».
Muovendo da queste premesse, la difesa osserva:
che, secondo la ricostruzione del consulente dei PM, il pedone procedeva ad una velocità di 1,5 m/s e ciò avrebbe consentito a COGNOME di evitare l’impatto frenando e arrestando la marcia;
che, secondo il consulente della difesa, la velocità del pedone era di 2,2 m/s sicché, tenuto conto dei tempi di reazione, la frenata non poteva evitare l’evento e la sterzata attuata da COGNOME era l’unica manovra concretamente possibile.
La difesa ricorda che – come è stato spiegato dal consulente dell’imputato la velocità di 1,5 m/s è tipica della camminata ed è incompatibile, dunque, con la deposizione di COGNOME, secondo il quale l’andatura del pedone aumentò «fino a diventare una vera e propria corsa». Sostiene, inoltre, che la sentenza impugnata sarebbe caduta in contraddizione nell’affermare: da un lato, che la velocità di attraversamento del pedone poteva essere «compresa tra i 5 e i 6 km/h in rapporto all’età e al peso» (pag. 5 della motivazione); dall’altro, che il dato relativo al peso della vittima «non è stato ritenuto preminente» dai consulenti (pag.10 della motivazione).
In vista dell’udienza, il PG ha depositato conclusioni scritte / chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso. Il difensore ha replicato con memoria datata 30 settembre 2025, depositata il 3 ottobre 2025.
In sede di trattazione orale le parti hanno concluso come indicato in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi di ricorso non superano il vaglio di ammissibilità.
Per ragioni di logica espositiva deve essere esamiNOME per primo il secondo motivo, col quale la difesa si duole che le conformi sentenze di merito abbiano ricostruito la dinamica dell’incidente nei termini indicati dal consulente tecnico del Pubblico Ministero, valutando le sue conclusioni più affidabili di quelle cui è giunto il consulente tecnico della difesa senza fornire di ciò motivazione adeguata.
I due consulenti sono concordi: quanto alla individuazione del punto d’urto, posto 1,20/1,50 metri oltre le strisce pedonali e a 3,9 metri dal margine destro della carreggiata; quanto alla velocità mantenuta dall’auto condotta da COGNOME, indicata in 30 km/h; quanto alla indicazione del tempo di reazione, calcolato in 1,2 secondi tenendo conto che il sole non era ancora alto e il cielo era nuvoloso. Una valutazione divergente vi è stata invece per quanto riguarda la velocità del pedone e, quindi, il tempo che egli impiegò per raggiungere il punto d’urto. Da tale diversa valutazione dipende una diversa valutazione della lunghezza del tratto di strada che COGNOME percorse dopo l’avvistamento e, quindi, una diversa valutazione sulla concreta evitabilità dell’evento. Ed invero, poiché la strada teatro del sinistro è rettilinea e la visibilità era buona, appena iniziò ad attraversarei1 pedone si rese visibile, e la maggiore o minore lunghezza del tratto di strada percorso
dall’avvistamento incide sulla possibilità per il conducente di evitare l’urto frenando.
Secondo il consulente tecnico del PM, tenuto conto dell’età della vittima (74 anni) e del peso accertato in sede di esame autoptico (100 kg), la velocità del pedone potrebbe essere stata compresa tra i 5 e i 6 km/h «compatibile con le tabelle utilizzate in letteratura» e con la percezione, da parte dei testimoni, «di un passo frettoloso e di corsa». Una velocità superiore, invece, non sarebbe stata compatibile con i danni riscontrati sul veicolo, perché, se l’andatura fosse stata più elevata, «nella fase di evoluzione dopo l’urto» il corpo della vittima «avrebbe impattato contro il cofano anteriore». Come risulta dalla sentenza impugnata, il consulente del PM ha riferito di essersi avvalso di un apposito software e di aver eseguito diverse simulazioni, mantenendo fermi tutti i dati a disposizione ma variando la velocità del pedone, e di aver verificato, in questo modo, che una velocità di circa 1,5 m/s era l’unica compatibile con tutti i dati accertati. Ne ha dedotto: che, quando l’attraversamento iniziò, l’auto condotta dall’imputato si trovava a circa 21,7 metri dal punto di attraversamento; che il pedone e l’autista erano in grado di vedersi reciprocamente; che, se avesse freNOME, COGNOME avrebbe potuto evitare l’investimento. Ha aggiunto che, tenuto conto della velocità del veicolo, a 11,7 metri dal punto d’urto, l’azione frenante sarebbe ancora stata efficace.
Il consulente della difesa ha diversamente determiNOME la velocità del pedone. Ha osservato che, «un individuo di 60 anni statisticamente può correre a 9,8 km/h» e, tenuto conto dell’età di NOME, ha ritenuto «ragionevole ipotizzare una velocità di attraversamento» compresa tra i 7 e i 9 km/h, «pari a 2,2, m/s». Ha sostenuto, quindi, che, tenuto conto del tempo di reazione, il conducente aveva a disposizione circa 0,4 secondi per evitare l’impatto e, sterzando a sinistra, mise in atto l’unica manovra idonea in tal senso: una manovra che fu resa inefficace dall’accelerazione del pedone. In sintesi, secondo il consulente della difesa, a fronte dell’imprudente comportamento del pedone, COGNOME operò con diligenza, prudenza e perizia, ma, ciò, l’evento non poté essere evitato.
2.1. Comel/n GLYPH i dto, n assenza di una perizia d’ufficio, in virtù del principio del libero convincimento, il giudice di merito, «può scegliere tra le diverse tesi prospettate dai consulenti delle parti, quella che ritiene condivisibile, purché dia conto, con motivazione accurata ed approfondita, delle ragioni della scelta, nonché del contenuto della tesi disattesa e delle deduzioni contrarie delle parti» (Sez. 4, n. 34747 del 17/05/2012, Rv. 253512; Sez. 4, n. 8527 del 13/02/2015, Rv. 263435; Sez. 3, n. 13997 del 25/10/2017, dep. 2018, Rv. 273159). Secondo la difesa, nel caso di specie ciò non sarebbe avvenuto perché le argomentazioni sviluppate dal consulente tecnico del PM sarebbero state preferite a quelle
sviluppate dal consulente tecnico della difesa con motivazione apodittica, senza tenere conto che la velocità di 1,5 m/s è quella di una normale camminata e non quella di una camminata veloce o di una corsa, come quella descritta da l , teste COGNOME, e senza considerare che, secondo i parenti, la vittima non pesava 100 kg, ma assai meno (tra gli 80 e i 90 kg), sicché le simulazioni eseguite dal consulente del PM erano viziate da un dato inesatto.
I vizi di motivazione dedotti non possono reputarsi sussistenti. La Corte di appello ha ritenuto che, poiché fondate su simulazioni basate su dati obiettivi, le conclusioni formulate dal consulente del PM fossero più persuasive di quelle sviluppate dal Consulente tecnico della difesa, il quale (come la sentenza impugnata riferisce senza che, per questa parte, il ricorrente la contesti), sentito in udienza, ha definito «più lecita» l’ipotesi secondo la quale il pedone attraversò ad una velocità superiore a 1,5 m/s e non ha neppure provato a sostenere che il metodo seguito dal CT del PM non fosse scientificamente corretto. Come si legge nella sentenza impugnata (pag. 8), «le valutazioni squisitamente tecniche, confortate dal software per la simulazione delle collisioni, non sono state oggetto di specifiche censure da parte del consulente della difesa» che ha sviluppato considerazioni sulla velocità del pedone facendo riferimento a dati statistici sulla velocità di corsa di una persona dell’età della vittima e ha stimato la velocità di 2,2 m/s «più coerente con le dichiarazioni di COGNOME». La Corte di appello ha sottolineato, inoltre, che l’argomentazione sviluppata dal CT del PM – secondo la quale, se la velocità del pedone fosse stata superiore a 1,5 m/s «nella fase di evoluzione dopo l’urto» il corpo della vittima «avrebbe impattato contro il cofano anteriore» – non è stata confutata in termini espliciti dal CT della difesa.
Non rileva in contrario la constatazione che i parenti hanno indicato il peso della vittima in 80/90 kg. (inferiore, quindi, a quello di 100 kg rilevato in sede di esame autoptico). Si osserva in proposito: da un lato, che il dato rilevato in sede di esame autoptico, nella sua obiettività, è intrinsecamente più affidabile del ricordo dei parenti e, pertanto, non è illogico aver fatto riferimento ad esso; dall’altro, che il ricorso non chiarisce in che modo il diverso dato ponderale potrebbe inficiare l’attendibilità scientifica di conclusioni che – come risulta dalla sentenza impugnata – «non sono state oggetto di specifiche censure da parte del consulente della difesa».
In sintesi, il motivo di ricorso in esame non si confronta criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugNOME, ma si limita a lamentare, in maniera generica, una presunta carenza o illogicità della motivazione. Ne consegue l’aspecificità e, quindi, l’inammissibilità del motivo (tra le tante: Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rv. 276970; Sez. 3, n. 3953 del 26/10/2021, dep. 2022, Rv. 282949).
3. Non ha maggior pregio il primo motivo, col quale la difesa deduce violazione di legge per essere stata affermata la responsabilità dell’imputato senza accertare la prevedibilità ed evitabilità dell’evento e ignorando che l’investimento fu reso possibile dal comportamento colposo della vittima che attraversò improvvisamente, fuori dalle strisce pedonali, correndo lungo una traiettoria diagonale.
Si deve subito rilevare che, avendo ritenuto applicabile la circostanza attenuante prevista dall’art. 189 bis, comma 7, cod. pen., i giudici di merito hanno attribuito rilievo al comportamento colposo della vittima. La tesi secondo la quale tale comportamento colposo sarebbe causa esclusiva dell’evento è stata disattesa facendo riferimento alle conclusioni della consulenza tecnica del Pubblico Ministero e – come già chiarito – queste conclusioni sono state valutate persuasive e condivisibili con motivazione congrua, non illogica, non contraddittoria e, dunque, non sindacabile in questa sede.
Avendo valutato attendibili e persuasive le conclusioni del CT del PM, i giudici di merito hanno ritenuto che COGNOME avrebbe avuto il tempo di frenare ed evitare l’impatto. Di conseguenza, hanno ritenuto sussistente la violazione dell’art. 191 cod. strada. La sentenza impugnata osserva che questa norma impone ai conducenti di «dare la precedenza, rallentando e all’occorrenza fermandosi», ai pedoni che si accingono ad attraversare in corrispondenza degli attraversamenti pedonali e sottolinea che, nel caso di specie, anche se non impegnò la carreggiata in corrispondenza di un attraversamento, la persona offesa lo fece, tuttavia, dopo un attraversamento pedonale e nelle vicinanze dì esso. Secondo la Corte di appello (pag. 12 della sentenza impugnata), il codice della strada impone un obbligo di attenzione volto a prevenire rischi di investimento anche in presenza di comportamenti imprudenti di altri utenti della strada e, come si desume dall’art. 140 cod. strada, tra le regole cautelari in materia di circolazione stradale, vi sono «anche quelle di generica prudenza, perizia e diligenza» (così, testualmente, pag. 13).
La sentenza impugnata rileva (pag. 11) che COGNOME «stava percorrendo una strada urbana, costeggiata da edifici e da un marciapiede» posto sul ciglio destro della corsia percorsa, «e si stava avvicinando a una intersezione preceduta da strisce pedonali», sicché l’attraversamento di pedoni era ampiamente prevedibile. Ricorda, inoltre, che l’evento non si sarebbe verificato se, nel momento in cui il pedone impegnò la careggiata rendendosi visibile, COGNOME avesse freNOME: arrestando la marcia.
3.1. Così argomentando la Corte di appello ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto che regolano la materia. Ed invero, come la giurisprudenza di
legittimità ha ripetutamente affermato: in caso di investimento di un pedone, la responsabilità del conducente può essere esclusa solo quando la condotta della vittima si ponga come causa eccezionale e atipica, imprevista e imprevedibile, dell’evento e sia stata da sola sufficiente a produrlo (Sez. 4, n. 37622 del 30/09/2021, Rv. 281929). Si collocano in questa linea interpretativa le numerose decisioni secondo le quali, in caso di omicidio colposo, il conducente del veicolo va esente da responsabilità per l’investimento di un pedone solo quando, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, si sia trovato nell’oggettiva impossibilità di notare il pedone e di osservarne tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido, inatteso ed imprevedibile (Sez. 4, n. 33207 del 02/07/2013, Rv. 255995; Sez. 4, n. 10635 del 20/02/2013, Rv. 255288). Queste condizioni non ricorrono nel caso di specie, atteso che, secondo i giudici di merito, COGNOME ebbe la possibilità di vedere che il pedone aveva iniziato l’attraversamento quando si trovava a 21 metri di distanza: aveva, dunque, tutto il tempo per frenare, fermarsi ed evitare l’impatto, che si verificò quando NOME era ormai giunto quasi al centro della carreggiata.
All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente non versasse in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a suo carico, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere di versare la somma di C 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende, somma così determinata in considerazione delle ragioni di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende.
Così deciso il 9 ottobre 2025
Il Consig erg stensore
Il Presidente