Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 29482 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 29482 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 02/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOMENOME COGNOME nato a TRADATE il 13/07/1979
avverso la sentenza del 06/03/2025 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
Mi ‘ ero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il che ha conci . 6so chiedendo
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa in data 6/3/2025, la Corte di appello di Reggio Calabria ha confermato la pronuncia di penale responsabilità resa dal Tribunale di Reggio Calabria a carico di COGNOME RoccoCOGNOME condannato alla pena ritenuta di giustizia per il reato di omicidio stradale. In parziale riforma della prima sentenza ha concesso all’imputato il beneficio della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale.
All’imputato si contestava di avere cagionato, per colpa generica e specifica, la morte di COGNOME NOME, mentre costei era intenta ad attraversare la sede stradale sulle strisce pedonali, investendola, alla guida della sua autovettura, nel percorrere il centro abitato di Reggio Calabria.
I giudici di merito, nelle conformi sentenze, hanno ritenuto dimostrata la penale responsabilità dell’imputato, sostenendo che il ricorrente avesse violato l’art. 191 cod. strada, omettendo di arrestare tempestivamente il veicolo e di dare la precedenza al pedone che aveva impegnato l’attraversamento stradale.
Avverso la sentenza di cui sopra ha proposto ricorso per cassazione l’imputatga mezzo del difensore, articolando i seguenti motivi di ricorso.
Travisamento delle risultanze probatorie; vizio di motivazione in relazione alla ricostruzione del fatto ed agli elementi fattuali utilizzati dalla Corte d’appel per l’affermazione di responsabilità; violazione degli artt. 292, comma 2, 309, comma 9 e 125 cod. proc. pen.; manifesta illogicità della motivazione.
La difesa premette che, al fine della valida proposizione del vizio di travisamento della prova, è necessario che la relativa deduzione abbia un oggetto definito e incontrovertibile, tale da rivelare una palese difformità tra un elemento di prova certo e quello considerato dal giudice, posto a fondamento della sua decisione.
Gli elementi fondamentali valutati dai giudici di merito per l’affermazione di penale responsabilità dell’imputato sono risultati i seguenti: 1. (la via ove è avvenuto il sinistro è “un tratto di strada rettilineo” (pag. 3 sentenza impugnata); 2. 1Vimpatto tra l’autovettura e la vittima è avvenuto con la parte anteriore del cofano, dalla quale circostanza i giudici hanno dedotto che il pedone si trovasse davanti alla vettura, in prossimità dello spigolo destro (pag. 3, penultimo capoverso della sentenza impugnata); 3. ka vittima era a “tre metri dal margine del marciapiede” (pag. 4 sentenza impugnata).
Tali affermazioni sarebbero tutte inesatte e suscettibili di inficiare la correttezza della decisione assunta.
Il luogo in cui si è verificato il sinistro stradale non può definirsi un “tratto strada rettilineo”: il rettilineo, infatti, inizia subito dopo una curva. Tutt argomentazioni sviluppate dai giudici di merito circa la prevedibilità dell’evento, collegate alla conformazione della strada, sono prive di pregio. La Corte d’appello ha evidentemente confuso il senso di marcia percorso dalla vettura guidata dal ricorrente. COGNOME‘COGNOME percorreva la via con senso di marcia Nord-Sud (così come riportato nella relazione della Polizia Municipale versata in atti), quindi s immetteva sul rettilineo subito dopo una curva, dove la visibilità risultava ridotta sia per l’autovettura che per il pedone, che non si avvedeva del sopraggiungere del veicolo.
Anche la seconda circostanza, riguardante il punto d’impatto tra la vettura ed il pedone, individuato nell’angolo anteriore del cofano, sarebbe erronea. Il dato è smentito non solo dalla relazione della Polizia Municipale ma anche dal consulente nominato dalla Procura della Repubblica. La valutazione corretta ed oggettiva di questa circostanza di certo avrebbe consentito di pervenire ad una decisione diversa da quella assunta, con esonero di responsabilità da parte del ricorrente. L’impatto tra l’autoveicolo e la vittima, alla stregua delle risultanze i atti, correttamente interpretate, sarebbe avvenuto all’altezza dello specchietto retrovisore e del cofano anteriore laterale, smentendo l’errata ricostruzione fornita dai giudici di merito. Al momento dell’impatto l’autoveicolo si trovava già al centro delle strisce pedonali e la persona offesa, in maniera avventata, aveva continuato il proprio cammino nonostante l’autovettura fosse al di là della linea iniziale dell’attraversamento pedonale.
La terza circostanza, valorizzata dalla Corte d’appello ai fini della dimostrazione della colpevolezza dell’imputato, è smentita dalla fotografia allegata alla relazione della Polizia Municipale e riportata dal Consulente nominato dalla Procura, ing. COGNOME, a pag. 12 della relazione tecnica. L’immagine mostra il punto in cui si trovava l’autovettura al momento della collisione (oltre la metà delle strisce pedonali) e quello in cui è caduta la persona offesa, lasciando una chiazza di sangue sul manto stradale. Dalla posizione della traccia ematica si evince che il pedone non poteva trovarsi a tre metri dal margine del marciapiede, come sostenuto dalla Corte di merito, insistendo detta traccia a poco meno di un metro dal margine del marciapiede.
Tutto ciò lascia ritenere che, molto probabilmente, la persona offesa sia caduta nel punto in cui stava attraversando, avendo perso l’equilibrio a causa dell’impatto con lo specchietto retrovisore dell’autoveicolo.
II) Erronea applicazione della legge penale con riferimento agli artt. 191, comma 1, cod. strada e 589-bis cod. pen.; assenza di responsabilità in capo al ricorrente.
Il Giudice del gravame, aderendo in maniera acritica alla ricostruzione offerta dal Tribunale, è pervenuto alla conferma della colpevolezza dell’imputato in ordine al reato ascrittogli, seguendo un iter argomentativo meramente ipotetico e congetturale. Si è limitato ad applicare principi astratti in tema di omicidio stradale, affermando che in nessun modo il comportamento della P.O. potesse ritenersi “abnorme”, essendo l’attraversamento del pedone altamente probabile, con violazione dell’art. 191, comma 1, cod. strada da parte del ricorrente.
Le conclusioni appaiono non condivisibili sotto vari profili. L’art. 191, comma 1, cod. strada impone all’automobilista di arrestare la corsa allorquando si avvede che un pedone è intento ad attraversare la strada sul passaggio pedonale. Il pedone, tuttavia, deve serbare una condotta che non sia imprevedibile ed anomala.
Contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, COGNOME ha agito con la massima prudenza, circolando ad una velocità minima, ben al di sotto del limite imposto di 50 km/h e, proprio in vista dell’attraversamento pedonale, tale velocità veniva ulteriormente limitata. Nonostante la prudenza del ricorrente, a causa delle condizioni pessime di visibilità, della conformazione della strada e dell’insensato comportamento della parte offesa, il ricorrente ha colpito il pedone. L’impatto con la signora COGNOME risulta essere stato di minima entità, sebbene sufficiente a farla sbilanciare e cadere; tuttavia, come accertato dall’esame autoptico a firma del Dott. COGNOME, la donna non ha riportato alcun danno diretto riferibile all’impatto con l’automobile. Dell’Arena circolava, alle 20.30 circa, con una visibilità alquanto ridotta (non risultando la via illuminata), ad una velocità di molto inferiore al limite di 50 km/h (circa 20 km/h), allorquando, trovandosi già al centro del passaggio pedonale colpiva con lo specchietto destro (corrispondente dall’angolo cieco del veicolo) la sig.ra COGNOME la quale, pur vedendo l’automobile sulle strisce, decideva di proseguire il cammino.
Nel caso di specie, entrambi i giudici di merito, non hanno fatto buon governo dei principi che consentono di ascrivere a titolo di colpa un evento lesivo, pervenendo alla condanna del ricorrente sulla base di un mero automatismo.
Dalla sentenza di condanna impugnata emerge con chiarezza come l’affermazione di penale responsabilità si fondi sul mero dato oggettivo
dell’inosservanza di una regola cautelare. Manca ogni analisi sulla c.d. “concretizzazione del rischio”.
Il Procuratore Generale presso la torte di Cassazione, con requisitoria scritta, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
La difesa ha depositato memoria di replica alle conclusioni del P.G., insistendo nella richiesta di annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Le censure contenute nel primo motivo di ricorso – dietro l’apparente doglianza del vizio del travisamento della prova – propongono questioni che riguardano la ricostruzione della dinamica del sinistro stradale e la interpretazione delle emergenze in atti, aspetti che esulano dal perimetro valutativo della Corte di legittimità. In tema di sindacato del vizio di motivazione, infatti, il compito del Giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai Giudici di merito in ordine all’affidabilità delle fonti di prova, bensì quello di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi – dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti – e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Sez. U., n. 930 del 13/12/1995, dep. 29/01/1996, COGNOME, Rv. 203428).
Esula, quindi, dai poteri di questa Corte la rilettura della ricostruzione storica dei fatti posti a fondamento della decisione di merito, dovendo l’illogicità del discorso giustificativo, quale vizio di legittimità denunciabile mediante ricorso per cassazione, essere di macroscopica evidenza (cfr. Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, COGNOME, Rv. 214794; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME, Rv. 207944,; cfr. altresì Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, COGNOME, Rv. 226074).
Per altro verso, l’aspetto riguardante la ricostruzione della dinamica di un sinistro stradale, questione attinente al merito, è rimessa al prudente apprezzamento del giudice della cognizione. Pertanto, il sindacato proprio della Corte di legittimità non può estendersi a profili attinenti alla ricostruzione di un incidente stradale ed alla sua eziologia, ove non si individuino, come nel caso in esame, macroscopici vizi di carattere logico nella motivazione (si veda, ex multis, Sez. 4, n. 54996 del 24/10/2017, COGNOME Rv. 271679, così
massimata: “La ricostruzione di un incidente stradale nella sua dinamica e nella sua eziologia è rimessa al giudice di merito ed integra una serie di apprezzamenti di fatto che sono sottratti al sindacato di legittimità se sorretti da adeguata motivazione”; conformi Sez. 4, n. 87 del 27/09/1989, dep. 1990, COGNOME, Rv. 182961; Sez. 4, n. 43403 del 17/10/2007, COGNOME, Rv. 238321; Sez. 4, n. 37838 del 01/07/2009, COGNOME, Rv. 245294).
Tutto ciò premesso, non può non rilevarsi come il ricorrente solo apparentemente svolga una critica alle argomentazioni fornite dai giudici di merito, prospettando, in realtà, una diversa ricostruzione dei fatti, la quale non può essere delibata in sede di legittimità a fronte di una motivazione che, sebbene sintetica, contiene una puntuale analisi della regiudicanda, fondata su un ragionamento basato su corretti criteri inferenziali, privo di contraddizioni e conforme a quello del primo giudice.
Deve in proposito rilevarsi che, in caso di c.d. doppia conforme affermazione di responsabilità, la decisione di primo grado e quella di appello si saldano per formare un unico complesso argomentativo, a cui è necessario fare riferimento per valutare la correttezza e la completezza della motivazione (ex multis Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595, così nnassimata: “Ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa de sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione”).
Pertanto, il testo della sentenza di appello deve essere letto congiuntamente a quello della sentenza di primo grado, che ha analizzato in modo puntuale gli esiti degli accertamenti urgenti effettuati dalla Polizia intervenuta sul luogo dell’incidente nell’immediatezza del fatto e gli argomenti contenuti nella relazione tecnica affidata al consulente nominato dal Pubblico Ministero.
3.1. Nello specifico, con argomentare logico, i giudici di merito hanno evidenziato come l’investimento sia avvenuto mentre il pedone era intento ad attraversayE la strada, avendo percorso già tre metri dal marciapiede. Il conducente non si era avveduto della sua presenza, continuando la marcia e provocando l’evento lesivo.
Da tali circostanze è stata desunta la logica conseguenza che il ricorrente, ponendo in essere una condotta imprudente e negligente / avesse investito il pedone, cagionandone la morte.
Le osservazioni della difesa riguardanti la scarsa visibilità nel tratto di strada percorso dall’imputato e la presenza del pedone in corrispondenza del c.d. angolo cieco del veicolo, lungi dal costituire un fattore di esonero da ,2L responsabilità, come osservato dalla Corte di merito, avrebbe dovuto indurre il conducente ad adottare un comportamento di guida maggiormente prudente (si veda quanto riportato a pag. 4 della sentenza).
Quanto alla violazione della norma del codice della strada addebitata al ricorrente, i giudici di merito, all’esito di una puntuale disamina del fatto, hanno correttamente sostenuto come il prevenuto avesse trasgredito la disposizione di cui all’art. 191 cod. strada.
Il comportamento del pedone, infatti, era del tutto prevedibile e l’impatto si sarebbe potuto evitare se il ricorrente avesse prestato maggiore attenzione e arrestato tempestivamente la marcia del veicolo, concedendo la dovuta precedenza (c.d. comportamento alternativo lecito).
In proposito la Corte di merito ha osservato che: 1. L’investimento si è verificato su un tratto di strada rettilineo, in prossimità di un attraversamento pedonale adeguatamente segnalato; 2. La vittima era ben visibile con l’ausilio dei fari; 3. L’investimento è avvenuto quando il pedone si trovava ad una distanza di circa tre metri dal marciapiede (circostanza accertata per mezzo delle rilevazioni della Polizia ed alla luce delle risultanze della consulenza tecnica, sulla base della posizione del veicolo, delle tracce ematiche e del corpo della vittima); 4. Deve ragionevolmente escludersi che la persona offesa, la quale aveva compiuto 76 anni all’epoca del fatto, avesse attraversato repentinamente la strada, ponendo in essere un comportamento anomalo.
La motivazione con la quale la Corte distrettuale ha sostenuto il giudizio di prevedibilità, riguardante la presenza del pedone sulle strisce nelle circostanze dateè del tutto immune da censure. L’esponente non si confronta realmente con le argomentazioni illustrate in sentenza, trascurando il dato di maggiore rilevanza: l’essere l’investimento avvenuto in pieno centro abitato, in prossimità di un attraversamento pedonale.
In base ai principi costantemente affermati dalla giurisprudenza di legittimità, “In caso di omicidio colposo, il conducente del veicolo va esente da responsabilità per l’investimento di un pedone quando la condotta della vittima configuri, per i suoi caratteri, una vera e propria causa eccezionale, atipica, non prevista né prevedibile, da sola sufficiente a produrre l’evento, circostanza questa configurabile ove il conducente medesimo, per motivi estranei ad ogni
suo obbligo di diligenza, si sia trovato nell’oggettiva impossibilità di notare i pedone e di osservarne tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido, inatteso ed imprevedibile” (Sez. 4, n. 33207 del 02/07/2013, Corigliano, Rv. 255995).
Ciò posto, i giudici di merito, con motivazione lineare e coerente, condotta sulla base di valutazioni correttamente operate ex ante, hanno dato conto della sussistenza di evidenti profili di colpa in capo all’imputato.
Le caratteristiche della strada avrebbero imposto particolare cautela e prudenza nella regolazione della velocità del veicolo, considerata la prossimità con l’attraversamento pedonale ed anche la scarsa visibilità.
Nessun comportamento anomalo ed eccentrico è stato individuato in capo alla persona offesa, la quale, in età avanzata, non era nelle condizioni di porre in essere scatti repentini e inattesi nell’attraversamento.
Il secondo motivo di ricorso, avente ad oggetto il prospettato erroneo apprezzamento della condotta del pedone, è parimenti inammissibile.
La tesi del sopraggiungere repentino della vittima, non visibile per l’imputato, oltre ad essere versata in fatto, è fondata su argomentazioni prive di reale confronto con la motivazione addotta dai giudici di merito.
La Corte territoriale, sulla base di deduzioni logiche e criteri inferenziali basati su massime di esperienza non censurabili in questa sede, ha ritenuto di escludere la possibilità di un comportamento anomalo della vittima, in ragione dell’età e dell’assenza di elementi deponenti in tal senso.
Quanto alle condizioni di visibilità, pur avendo preso atto della scarsa illuminazione della strada, ha posto in evidenza come la persona offesa fosse avvistabile con l’impiego dei fari del veicolo, risultando ciò dagli esiti dell consulenza tecnica (pag. 3 e 4 della sentenza impugnata, dove la Corte di merito ha provveduto ad una puntuale confutazione delle tesi prospettate dall’appellante, qui ripetute in assenza di effettivi spunti critici).
I rilievi in ordine alla violazione della regola del ragionevole dubbio devono essere respinti, dovendosi condividere l’orientamento secondo cui il suddetto principio non può essere invocato, nel giudizio di legittimità, per valorizzare la duplicità di ricostruzioni alternative ove tale duplicità, come nel presente caso, sia stata oggetto di puntuale e motivata disamina da parte del giudice di appello (Sez. 1, n. 53512 del 11/07/2014, Gurgone, Rv. 261600).
Consegue alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa
delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/6/2000).
P.Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
In Roma, così deciso il 2 luglio 2025
Il Consigliere estensore
Il PreSidente
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