Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 37957 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA
Penale Sent. Sez. 4 Num. 37957 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/10/2025
In nome del Popolo RAGIONE_SOCIALE
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUARTA SEZIONE PENALE
Composta da
COGNOME COGNOME
– Presidente –
Sent. n. sez. 950/2025
NOME COGNOME
UP – 21/10/2025
NOME COGNOME
– Relatore –
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
NOME COGNOME
Motivazione Semplificata
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CEGLIE MESSAPICA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 20/11/2024 della CORTE APPELLO di LECCE
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
svolta la relazione dalla Consigliera NOME COGNOME; lette le conclusioni del procuratore generale, in persona del sostituto NOME COGNOME, con le quali si è chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di Lecce ha confermato la sentenza del GUP del Tribunale di Brindisi, con la quale COGNOME NOME era stata condannata alla pena di anni due e mesi sei di reclusione per il reato di cui all’art. 589 bis , comma 5, cod. pen. perché, alla guida di una autovettura FIAT, procedendo alla velocità di Km/h 108, pari a più del doppio di quella consentita lungo il tratto di strada teatro dell’incidente (50 Km/h) e, comunque, non adeguata alle caratteristiche della strada (per la presenza di numerosi accessi poderali, dossi e segnali di limite massimo), fuoriusciva dalla sede stradale sulla sua sinistra, senza riuscire a riprendere il controllo del mezzo, andando a collidere due volte contro il muro di recinzione di una villa, per poi rientrare sulla via con invasione dell’opposta corsia di marcia, finendo per impattare con una OPEL Corsa condotta a velocità moderata sulla corsia di marcia corretta, così determinando la morte immediata del passeggero e le lesioni della conducente del veicolo antagonista, meglio descritte nella imputazione (in Francavilla Fontana, il 23/07/2021).
Il primo giudice aveva ricostruito i fatti alla stregua delle prove acquisite, sostanzialmente costituite dalla relazione degli organi accertatori, dai rilievi tecnici e dalla consulenza disposta dal pubblico ministero. Per i giudici del gravame, poi, era rimasto accertato che sull’asfalto non vi erano tracce di frenata, il che aveva smentito la tesi difensiva per la quale la perdita di controllo del mezzo da parte dell’imputata fosse da attribuirsi a un evento improvviso o a un guasto. Ulteriori elementi di valutazione erano stati tratti da circostanze altrettanto certe, quali le condizioni ottime dell’asfalto, le tracce impresse su di esso e sul muro della villetta, i danni ai mezzi coinvolti e il loro stato di quiete, essendosi appurato che lo scontro era avvenuto quasi frontalmente nel senso di marcia opposto a quello della OPEL, mezzo condotto peraltro a velocità contenuta, a fronte della velocità, pari a più del doppio di quella consentita, che l’imputata aveva impresso al proprio. I giudici territoriali hanno, poi, ritenuto che il rispetto del limite di velocità avrebbe consentito all’imputata di scongiurare lo scontro, consentendole di frenare e approntare una manovra salvifica. Alla stregua di tali considerazioni, la Corte del gravame ha rigettato i motivi d’appello, con i quali si era opposta una ricostruzione alternativa, supportata da una consulenza di parte, secondo la quale la responsabilità del sinistro sarebbe stata condivisa, avendo potuto la conducente della OPEL evitare l’impatto, attuando in anticipo le necessarie contromisure. Tale ricostruzione è stata ritenuta incoerente con i dati probatori, abnorme rispetto alla incontestata ricostruzione della dinamica e priva di riscontri, quindi, meramente speculativa, ragion per cui i giudici del gravame hanno ritenuto la superfluità di ulteriori approfondimenti peritali. Quanto, poi, alle doglianze inerenti al trattamento sanzionatorio, i giudici territoriali hanno escluso ogni concorso della conducente del veicolo antagonista, ritenendo sussistente l’aggravante di cui al comma 5 dell’art. 589 bis , cod. pen., avuto riguardo all’accertata velocità dell’auto
condotta dall’imputata, valutando come equa la pena, parametrata dal primo giudice sul minimo edittale della fattispecie aggravata, giudizio di congruità formulato per le stesse ragioni anche quanto alla sanzione amministrativa accessoria.
La difesa dell’imputata ha proposto ricorso, formulando due motivi.
Con il primo, ha dedotto vizio della motivazione con riferimento all’affermazione di penale responsabilità, assumendo l’illegittimità e, sotto molteplici profili, anche l’ingiustizia della decisione impugnata, con la quale i giudici d’appello si sarebbero conformati ciecamente alle valutazioni del Tribunale, svilendo le osservazioni difensive confluite nel gravame che ha ritrascritto, per concludere nel senso che la motivazione con la quale la era stata confermata la sentenza appellata sarebbe viziata e non soddisfacente, siccome esito di una presa di posizione non supportata dal punto di vista argomentativo. In particolare, la difesa ha osservato che la Corte d’appello non avrebbe apprezzato la possibilità del fatto accidentale quale causa della perdita di controllo del mezzo, avendo pretermesso gli elementi forniti dalla consulenza difensiva; ha ritenuto abnormi tali conclusioni, ebbene trovassero substrato su dati materiali raccolti quanto alla ricostruzione del sinistro, operata dagli organi accertatori ‘a bocce ferme’, senza ausilio di testi oculari.
Con il secondo, ha dedotto analoghi vizi con riferimento al trattamento sanzionatorio, ritenendo inconsistenti e generiche le spiegazioni della Corte territoriale, a fronte dei rilievi difensivi sul riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 589 bis , comma 7 cod. pen. e il disconoscimento, invece, dell’aggravante del comma 5 della stessa norma.
Il Procuratore generale, in persona del sostituto NOME COGNOME, ha rassegnato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Entrambi i motivi sono manifestamente infondati, oltre che generici.
La sentenza censurata è conforme a quella appellata, nel senso ritenuto in giurisprudenza (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218 – 01, in cui si è precisato, proprio ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, che ricorre la cd. “doppia conforme” quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale; Sez. 3 n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595 – 01; Sez. 3 n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, NOME, Rv. 252615 – 01; Sez. 6, n. 5224 del 02/10/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278611 – 01, in cui si è affermato, proprio in tema di integrazione delle motivazioni tra le sentenze conformi di primo e di secondo grado, che
il giudice dell’appello può motivare per relazione se l’impugnazione si limita a riproporre questioni di fatto o di diritto già esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, oppure prospetta critiche generiche, superflue o palesemente infondate, mentre, qualora siano formulate censure specifiche o introduttive di rilievi non sviluppati nel giudizio anteriore, è affetta da vizio di motivazione la sentenza di appello che si limiti a respingere le deduzioni proposte con formule di stile o in base ad assunti meramente assertivi o distonici rispetto alle risultanze istruttorie). Di tutto ciò la difesa avrebbe dovuto tener conto nel formulare le critiche alla valutazione del materiale probatorio, anche sotto il profilo dell’asserito dubbio sulle cause della fuoriuscita del veicolo dalla sede stradale.
Il contenuto delle doglianze si risolve, sostanzialmente, nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti, interdetta in questa sede, cui sono estranei gli aspetti del giudizio che si sostanziano nella valutazione e nell’apprezzamento del significato degli elementi probatori che attengono interamente al merito e non possono essere apprezzati dalla Corte di cassazione se non nei limiti in cui risulti viziato il percorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa. Con le censure, in altri termini, si è inteso sollecitare la rivalutazione del risultato probatorio o la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice di merito, ciò che è estraneo al sindacato di legittimità (Sez. 6 n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482 – 01; Sez. 6 n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099 – 01).
Anche la doglianza inerente alla decisione di non procedere a rinnovazione istruttoria è del tutto silente quanto alle argomentazioni della Corte sul punto, apoditticamente tacciate di mera apparenza. Peraltro, l’eventuale critica all’apparato motivazionale non può prescindere dal principio consolidato per il quale, nel giudizio di appello, la presunzione di tendenziale completezza del materiale probatorio già raccolto nel contraddittorio di primo grado rende inammissibile (sicché non sussiste alcun obbligo di risposta da parte del giudice del gravame) la richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale che si risolva in una attività “esplorativa” di indagine, finalizzata alla ricerca di prove anche solo eventualmente favorevoli al ricorrente (Sez. 3, n. 23058 del 26/04/2013, COGNOME, Rv. 256173 – 01; n. 42711 del 23/06/2016, H., Rv. 267974 – 01). Principio questo, del tutto coerente con quello per il quale il giudice d’appello ha l’obbligo di motivare espressamente sulle ragioni della rinnovazione, allorquando la disponga, sia che provveda in seguito alla sollecitazione di una parte, ai sensi del comma 1 dell’art. 603 cod. proc. pen., sia che la decisione sia presa d’ufficio, ai sensi del comma 3 del citato articolo; nel primo caso, la motivazione deve avere ad oggetto l’impossibilità di decidere allo stato degli atti, nel secondo l’assoluta necessarietà della rinnovazione (Sez. 5, n. 23580 del 19/02/2018, Campion, Rv. 273326 – 01); ma anche con l’ulteriore affermazione, in base alla quale il sindacato che il giudice di legittimità può esercitare in relazione alla correttezza della motivazione di un provvedimento pronunciato dal giudice d’appello sulla richiesta di
rinnovazione del dibattimento non può mai essere svolto sulla concreta rilevanza dell’atto o della testimonianza da acquisire, me deve esaurirsi nell’ambito del contenuto esplicativo del provvedimento adottato (Sez. 3, n. 7680 del 13/01/2017, Loda, Rv. 269373 – 01).
Lo stesso quanto al trattamento sanzionatorio, rispetto al quale il relativo motivo di ricorso è del tutto aspecifico, nel senso fissato dal diritto vivente (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 2268822 – 01), non avendo la difesa enunciato esplicitamente e neppure argomentato i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione censurata, limitandosi a rilevarne la inconsistenza e apoditticità.
Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero in ordine alla causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così è deciso, 21/10/2025
La Consigliera est. NOME COGNOME
Il Presidente COGNOME