Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 4341 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 4341 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 28/04/2023 della CORTE APPELLO di TRIESTE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria scritta del P.G., che ha concluso per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
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RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Trieste ha confermato la sentenza emessa il 28/06/2022 dal GUP presso il Tribunale dì Pordenone nei confronti di NOME COGNOME, – imputato del reato previsto dagli artt. 589bis e 589ter cod.pen. (capo A), nonché di quello previsto dall’art.189, comma 7, d.lgs. 30 aprile 1992, n.285 (capo B) – con la quale lo stesso, previa esclusione dell’aggravante prevista dall’art.589bis, comma 4, cod.pen. e tenuto conto dell’aggravante prevista dal citato art.589ter e degli aumenti di pena previsti dall’art.589b1s, comma 8, cod.pen., nonché applicata la diminuente determinata dalla scelta del rito, era stato condannato alla pena di anni sei di reclusione per il capo A) e a quella di anni uno di reclusione per il capo B), con applicazione della sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida e con condanna al risarcimento del danno nei confronti delle costituite parti civili, nei cui confronti erano state contestualmente determinate delle provvisionali immediatamente esecutive.
Era stato ascritto all’imputato di avere – nel percorrere a bordo della propria autovettura l’autostrada A28 – cagionato il decesso di NOME COGNOME e NOME COGNOME nonché lesioni personali nei confronti di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME; in particolare, all’imputato erano stati ascritti profili di colpa specifica consistenti nella violazione degli artt. 141, 142 e 149 del d.lgs. n.285/1992, per effetto dei quali era stata causata un collisione con la vettura modello Fiat Panda condotta da NOME COGNOME e con a bordo NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME nonché la successiva collisione con la vettura Fiat 500 condotta da NOME COGNOME, con a bordo NOME COGNOME; reato aggravato dall’essersi dato alla fuga dopo il fatto, condotta posta alla base della contestazione ulteriore operata ai sensi dell’art,189, comma 7, d.lgs. n.285/1992.
La Corte territoriale ha premesso la complessiva ricostruzione del fatto operata dal giudice di primo grado, il quale aveva ritenuto che l’identificazione del conducente della vettura che aveva cagionato il sinistro – che si era dato alla fuga dopo l’evento – fosse da ritenere provata alla luce del complesso degli elementi di prova raccolti, tra cui l’intestazione dei documenti rinvenuti all’interno del veicolo e i segni inequivoci riscontrati sulla persona dell’imputato dopo il fatto oltre che dal riconoscimento dello stesso operato da NOME COGNOME, dipendente della RAGIONE_SOCIALE e che aveva notato una persona che camminava a piedi in corsia di emergenza circa un quarto d’ora dopo il fatto; ritenendo altresì che il sinistro fosse sicuramente da addebitare alla condotta colposa dell’imputato, il quale viaggiava a una velocità stimata in circa 180 km orari, superiore a quella
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consentita, mentre era stata esclusa l’aggravante prevista dal comma 4 dell’art.589b1s cod.pen. atteso il lasso temporale trascorso tra il sinistro e il successivo test etilometrico.
La Corte territoriale ha quindi rigettato il motivo di appello inerente alla dedotta mancanza di prova certa della riconducibilità della cluida all’imputato, attesa la univoca convergenza dei predetti elementi indiziari, anche alla luce delle risultanze desunte dai tabulati telefonici e che collocavano l’imputato al luogo del sinistro in orario coincidente con il fatto; ha rigettato il motivo di appello inerent al capo B) della rubrica e al dedotto assorbimento della contestazione per effetto della ritenuta aggravante di cui all’art.589ter cod.pen., ritenendo infondata la tesi difensiva in base al quale l’imputato si sarebbe allontanato solo dopo l’arrivo dei soccorsi e rilevando che l’assorbimento suddetto era configurabile in ordine al solo reato di cui all’art.189, comma 6, d.lgs. n.285/1992; ha altresì ritenuto infondato il motivo attinente al mancato riconoscimento della continuazione tra i due reati, vedendosi in ipotesi di fattispecie, rispettivamente, colposa e dolosa nonché quello attinente all’aumento determinato in conseguenza del ravvisato concorso formale e quello afferente al mancato riconoscimento della circostanze attenuanti generiche.
Avverso la predetta sentenza ha presentato ricorso per c:assazione NOME COGNOME, tramite il proprio difensore, articolando cinque motivi di impugnazione.
Con il primo motivo ha dedotto – ai sensi dell’ad. 606, comma 1, lett.b), cod.proc.pen. – l’erronea applicazione dell’art.589ter cod.pen.; ha dedotto che l’imputato non si sarebbe allontanato dal luogo nella immediatezza del sinistro, argomentando: a) che il fatto era avvenuto alle ore 19,40 circa; b) che i soccorritori erano giunti sul posto alle 19,54; c) che la testimone COGNOME aveva visto il COGNOME allontanarsi dal posto alle ore 20,06 a una distanza stimata in circa un chilometro e mezzo da uno dei veicoli coinvolti; conseguendone che l’imputato era stato visto sulla strada ventisei minuti dopo l’arrivo dei soccorsi e che comunque lo stesso era stato trovato a casa dopo due ore dal fatto, con conseguente insussistenza del contestato comportamento della fuga.
Con il secondo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b), cod.proc.pen. – l’erronea applicazione dell’art.189, comma 7, digs. n.285/1992; ha dedotto, a base del relativo motivo, le stesse considerazioni spiegate a proposito del primo motivo di impugnazione.
Con il terzo motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – l’erronea applicazione dell’art.189, comma 7, cl.lgs. n.285/1992, in presenza dell’aggravante prevista dall’art.5139ter cod.pen.; ha dedotto che la
fuga sanzionata dalla suddetta aggravante doveva ritenersi assorbente del reato contestato ai sensi del capo B).
Con il quarto motivo ha censurato la valutazione della Corte territoriale – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – sotto il profilo della mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche; ha dedotto che l’imputato aveva avuto l’intenzione di ammettere le proprie responsabilità e che non era a lui ascrivibile il fatto che la compagnia assicuratrice non avesse ancora risarcito il danno, che i precedenti penali erano datati nel tempo e che doveva essere positivamente valutata la messa a disposizione in favore dei danneggiati della somma di C 70.000,00.
Con il quinto motivo ha dedotto – ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b), cod.proc.pen. – la mancata applicazione del disposto dell’art.81 cod.pen. in relazione ai due reati contestati; ha dedotto che, poiché l’art.589ter e l’art.189, comma 7, d.lgs. n.285/1992 tutelano lo stesso bene giuridico, i due reati avrebbero dovuto essere posti in continuazione.
Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta, nella quale ha concluso per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Va premesso che, vertendosi – in punto di valutazione di responsabilità dell’odierno ricorrente – in una fattispecie di c.d. doppia conforme, le due decisioni di merito vanno lette congiuntamente, integrandosi le stesse a vicenda, secondo il tradizionale insegnamento della Suprema Corte; tanto in base al principio per cui «Il giudice di legittimità, ai fini della valutazione della congruità del motivazione del provvedimento impugnato, deve fare riferimento alle sentenze di primo e secondo grado, le quali si integrano a vicenda confluendo in un risultato organico ed inscindibile» (Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997, COGNOME, Rv. 209145; in conformità, tra le numerose altre, Sez. 6, n. 11878 del 20/01/2003, Vigevano, Rv. 224079; Sez. 6, n. 23248 del 07/02/2003, COGNOME, Rv. 225671; Sez. 5, n. 14022 del 12/01/2016, COGNOME, Rv. 266617).
Il primo motivo e il secondo motivo, con il quale il ricorrente ha contestato la sussistenza della condotta post factum rappresentata dalla fuga – e posta alla base della contestazione dell’aggravante prevista dall’art.589ter e del reato previsto dall’art.189, comma 7, d.lgs. n.285/1992 – possono essere
congiuntamente esaminati per la loro stretta connessione argomentativa e devono essere ritenuti inammissibili in quanto estrinsecamente aspecifici.
Gli stessi motivi, infatti, si limitano pedissequamente ad argomentare quanto già esposto in sede di motivo di appello, omettendo, di fatto, qualsiasi effettivo e necessario raffronto con il percorso argomentativo della sentenza impugnata; ricordando, a tale proposito, che è inammissibile il ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l’atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato ma limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione (Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970).
Sul punto, quindi, i motivi di ricorso hanno del tutto omesso il suddetto onere di necessario raffronto con le argomentazioni della Corte territoriale, oltre tutto fondando le proprie deduzioni sulla base di un evidente errore di calcolo in relazione al dato del tempo trascorso tra il sopraggiungere dei soccorsi sul luogo del sinistro e quello in cui l’imputato era stato avvistato a piedi da NOME COGNOME, dipendente della RAGIONE_SOCIALE e quantificata dal difensore in ventisei minuti, quando invece dagli atti risulta che tale spazio temporale era di soli dodici minuti (tra le 19,54 e le 20,06).
Da ciò conseguendo che, con motivazione del tutto congrua, la Corte territoriale ha evidenziato come il conducente della vettura coinvolta nel sinistro non fosse stato rinvenuto da parte degli operanti giunti sul posto – che, sulla base dell’ordinanza cautelare citata nella sentenza di primo grado, lo avevano cercato nelle prossimità anche avvalendosi dell’illuminazione artificiale – e che la distanza tra il luogo dell’evento e qua° in cui l’imputato era stato avvistato (circa un chilometro e mezzo) era del tutto compatibile con un allontanamento operato prima dell’arrivo dei soccorsi.
Il terzo motivo, relativo al dedotto assorbimento della condotta prevista dall’art.189, comma 7, d.lgs. n.285/1992 nell’aggravante prevista dall’art.589ter cod.pen., è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Sul punto, difatti, l’argomentazione riproduce quella già operata in sede di motivo di appello e condivisibilmente smentita dalla Corte territoriale in applicazione del principio di diritto espresso da Sez. 4, n. 25842 del 15/03/2019, Mingrino, Rv. 276369; in base al quale deve ritenersi corretto il ragionamento dei giudici di merito nella parte in cui non hanno ritenuto assorbito il reato di mancata assistenza di cui al comma 7 dell’art. 189 cit. nella riconosciuta aggravante di cui all’art. 589ter cod. pen., che attiene alla sola ipotesi di «fuga del conducente in caso di omicidio stradale».
Infatti, è solo la condotta di “fuga” dopo un incidente stradale a costituire elemento costitutivo dell’autonomo reato previsto dal comma 6 dell’art. 189 cod. strada e pertanto, è solo tale condotta, e non quella di mancata assistenza, a rimanere assorbita nella fattispecie complessa costituita dal delitto di omicidio stradale aggravato dalla “fuga” del conducente di cui al combinato disposto degli artt. 589bis e 589ter cod. pen., trattandosi di aggravante che descrive un fatto che costituirebbe, appunto, per sé stesso il reato di cui al citato comma 6 dell’art. 189 cod. strada, secondo il paradigma del reato complesso di cui all’art. 84 cod. pen..
Il quarto motivo, con il quale è stata censurata la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
A tale proposito va ricordato che il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62bis cod.pen., disposta con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell’imputato (Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, COGNOME, Rv. 270986; Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, COGNOME, Rv. 283489); mentre, sul punto, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’ari:. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269; Sez. 2, Sentenza n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549, che ha specificato che al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente); tutto ciò fermo restando che è illegittima la motivazione della sentenza d’appello che, nel confermare, il giudizio di insussistenza delle circostanze attenuanti generiche, si limiti a condividere il presupposto dell’adeguatezza della pena in concreto inflitta, omettendo ogni apprezzamento sulla sussistenza e rilevanza dei fattori attenuanti specificamente indicati nei motivi d’impugnazione (Sez. 6, n. 46514 del 23/10/2009, COGNOME, Rv. 245336; Sez. 6, n. 20023 del 30/01/2014, COGNOME, Rv. 259762).
Nel caso in esame la Corte territoriale – adeguatamente confrontandosi con i motivo di appello – ha ritenuto che in favore dell’imputato non fosse individua alcun elemento di idonea valenza attenuante; tanto in considerazione de precedenti penali, della oggettiva gravità delle condotte contestate e dall’ dei danni cagionati alle parti civili, in ordine ai quali la Corte ha sottoli palese incongruità dell’offerta risarcitoria formulata dalla compagnia assicuratr inoltre, con argomentazione con la quale è stato pure omesso qualsiasi confronto i giudici di appello hanno rilevato la censurabilità della condotta t dall’imputato che, nel corso del giudizio dì impugnazione, ha operato un donazione nei confronti della figlia di diversi beni immobili di sua propr all’evidente fine di sottrarre la stessa alla garanzia generica spettante ai creditori.
Il quinto motivo, relativo al mancato riconoscimento della continuazione tra i due reati contestati, è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Sul punto, difatti, i giudici di merito hanno fatto applicazione del consoli principio in forza del quale l’istituto della continuazione non è applicabile tr dolosi e reati colposi – ipotesi ricorrente nel caso di specie – in civanto l’un disegno criminoso attiene al momento psicologico (dolo) che non può sussistere nei reati colposi nei quali l’evento non è voluto (Sez. 6, n. 6579 del 01/02/2 Mancini, Rv. 252041; Sez. 1, n. 435 del 10/07/2018, dep. 2019, Rho, Rv. 274663).
Alla declaratoria d’inammissibilità segue la condanna del ricorrente a pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giu 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso s versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», il ricorr va condannato al pagamento di una somma che si stima equo determinare in euro 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spe processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende. Così deciso, il 9 gennaio 2024