Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 25147 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 25147 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOMENOME COGNOME
Data Udienza: 28/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato il 04/08/1986
avverso la sentenza del 16/02/2024 della CORTE APPELLO di BARI visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso. E’ presente l’Avvocato NOME COGNOME del foro di BARI in difesa di COGNOME il quale espone i motivi del ricorso ed insiste per l’accoglimento
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 16 febbraio 2024 la Corte di appello di Bari ha confermato la pronuncia del locale Tribunale del 26 gennaio 2022 con cui NOME NOME era stata condannata alla pena di mesi sei di reclusione in relazione al delitto di cui all’art. 589, commi 2 e 3, cod. pen.
L’imputata è stata ritenuta responsabile di avere provocato, alla guida della sua autovettura, il decesso della trasportata NOME COGNOME per avere perso il controllo dell’automezzo mentre stava procedendo alla velocità stimata di 70 km/h in un tratto stradale del centro di Bari avente un limite di 50 km/h, così da impattare poi frontalmente contro un cordolo dello spartitraffico, nonché, in successione, su un palo di sostegno di un cartellone pubblicitario e lateralmente contro un albero ad alto fusto posizionati sul marciapiedi.
La COGNOME, priva di patente di guida rilasciata dalla Repubblica Italiana, è stata, quindi, ritenuta responsabile di avere, per imprudenza, negligenza e imperizia, in una strada urbana connotata da un limite di velocità pari a 50 Km/h, omesso di moderare adeguatamente la velocità, tanto da finire per perdere il controllo del suo autoveicolo e da provocare la morte della persona trasportata.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputata, a mezzo del suo difensore, deducendo sei motivi di doglianza.
Con il primo ha eccepito violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza della sua responsabilità penale, in particolar modo con riguardo al contestato superamento dei previsti limiti di velocità.
Non risulterebbe, infatti, provata la ricorrenza di tale ultimo aspetto, avendo i giudici di merito evinto la velocità da lei sostenuta in base alle risultanze della perizia svolta dal consulente tecnico del P.M. senza il conforto di alcun calcolo determinativo e della specifica valutazione dei materiali propri degli oggetti attinti, bensì solo in ragione di un anacronistico test privo di effetti rilievo scientifico. La velocità cui procedeva la sua autovettura sarebbe stata, invece, inferiore al previsto limite e l’incidente si sarebbe verificato a causa della presenza di sconnessioni e avvallamenti sul manto stradale.
Con il secondo motivo la ricorrente ha dedotto violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla riconosciuta sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 589, comma 2, cod. pen., lamentando che, non essendo stato accertato
l’avvenuto superamento del previsto limite di velocità, non vi sarebbe stata, di conseguenza, nessuna violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale, e quindi delle regole cautelari da esse previste.
Con la terza censura la COGNOME ha lamentato la mancata assunzione di una prova decisiva, rappresentata dalla nomina di un perito che avrebbe potuto accertare gli effettivi motivi di verificazione del sinistro, da imputarsi a presenza di avvallamenti e sconnessioni sul tratto stradale interessato.
Con la quarta doglianza è stato eccepito l’intervenuto decorso del termine di prescrizione, sul presupposto che, non essendovi elementi tali da consentire il riconoscimento della circostanza aggravante prevista dall’art. 589, comma 2, cod. pen., non risulterebbe possibile procedere al raddoppio del termine di prescrizione, come previsto dall’art. 157, comma 6, cod. pen.
Con il quinto motivo la COGNOME ha dedotto vizio di motivazione e violazione di legge in ordine al mancato riconoscimento in suo favore della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all’art. 131-bis cod. pe erroneamente esclusa dalla Corte territoriale pur ricorrendone i presupposti applicativi.
Con la sesta censura, infine, la ricorrente ha eccepito violazione di legge e contraddittorietà della motivazione con riguardo alla pena e al trattamento sanzionatorio inflittole, di cui lamenta l’eccessiva entità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato e deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.
L’esame della impugnata sentenza consente, infatti, di constatare come le censure in questa sede proposte siano del tutto coincidenti con quelle dedotte nel giudizio di appello, rispetto alle quali non può che ribadirsi quanto già, più volte, chiarito da parte di questa Corte di legittimità, per cui è inammissibile ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l’atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato ma limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione (così, tra le altre, Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970-01; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, COGNOME, Rv. 260608-01; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, COGNOME, Rv. 243838-01).
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3. In ogni modo, con riguardo alla prima doglianza eccepita, deve essere osservato come la dedotta mancanza di prova della velocità effettivamente tenuta dall’imputata al momento della verificazione del sinistro – invece determinato, a suo dire, dall’esclusiva presenza di sconnessioni e avvallamenti sul manto stradale – rappresenti una doglianza mediante cui la ricorrente intende ottenere una non consentita rivalutazione in fatto del compendio probatorio in atti, nella sostanza afferendo alla ricostruzione della dinamica dell’incidente e all’interpretazione delle prove assunte, e quindi a questioni non passibili di valutazione in questa sede.
In tema di sindacato del vizio di motivazione, infatti, il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all’affidabilità delle fonti di prova, bensì quell stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi – dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti – e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (così, tra l tante, Sez. U, n. 930 del 13/12/1995, dep. 1996, Clarke, Rv, 203428-01).
Esula, quindi, dai poteri della Corte la rilettura della ricostruzione storica de fatti posti a fondamento della decisione di merito, dovendo l’illogicità del discorso giustificativo, quale vizio di legittimità denunciabile mediante ricorso per cassazione, essere di macroscopica evidenza (cfr. Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, COGNOME, Rv. 214794-01; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME e altri, Rv. 207944-01).
Sono precluse al giudice di legittimità, pertanto, la rilettura degli elementi d fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati da ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr., fra i moltep arresti in tal senso: Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 28060101; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482-01; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507-01). E’, conseguentemente, sottratta al sindacato di legittimità la valutazione con cui il giudice di merito esponga, con motivazione logica e congrua, le ragioni del proprio convincimento.
Per altro verso, in virtù di un consolidato orientamento ermeneutico, gli aspetti riguardanti la ricostruzione della dinamica di un sinistro stradale, che attengono necessariamente al fatto, sono rimessi all’apprezzamento del giudice della cognizione e risultano insindacabili ove non si individuino evidenti vizi di carattere logico nella motivazione (cfr.,, in particolare, Sez. 4, n. 54996 del
24/10/2017, COGNOME Rv. 271679-01, per la quale la ricostruzione di un incidente stradale nella sua dinamica e nella sua eziologia è rimessa al giudice di merito ed integra una serie di apprezzamenti di fatto che sono sottratti al sindacato di legittimità se sorretti da adeguata motivazione).
3.1. Orbene, adeguando gli indicati principi al caso di specie, deve senz’altro essere osservato come la Corte territoriale abbia fornito una chiara rappresentazione degli elementi di fatto considerati nella propria decisione, oltre che della modalità maggiormente plausibile con cui è da ritenersi l’incidente sia accaduto.
Sono state, infatti, adeguatamente rappresentate le ragioni per cui la COGNOME è stata considerata l’unica responsabile del decesso della passeggera trasportata, per avere proceduto a velocità superiore a quella consentita, in ossequio a quanto accertato dal consulente tecnico del P.M. che, a seguito di una disamina accurata dei dati in suo possesso e di un percorso argomentativo privo di vizi logici e contraddizioni, ha debitamente rappresentato gli studi scientifici, pubblicati su riviste specialistiche, da cui ha potuto evincere come la Lolua, al momento dei fatti, stesse procedendo a circa 70 Km/h.
Il consulente tecnico del P.M., in particolare, è giunto alle proprie conclusioni rendendo manifesti i calcoli effettuati in relazione alla deformazione subita dalla parte frontale dell’autovettura, altresì rappresentando, in modo specifico, di aver svolto un calcolo della velocità per difetto e di avere considerato le sconnessioni e gli avvallamenti presenti sul manto stradale, considerandoli comunque inidonei ad aver potuto contribuire alla perdita del controllo del veicolo.
Non appare esservi dubbio di sorta, quindi, in ordine al fatto che la censura mossa dall’imputata si appalesi, nella sostanza, come volta a ottenere solo una rivalutazione del materiale probatorio raccolto in sede di merito, il che, avuto riguardo alla coerenza e alla logicità della motivazione resa, appare del tutto infondato.
Gli elementi dedotti in ricorso possono, al più, valere a suggerire una lettura alternativa delle emergenze probatorie, ma non di certo ‘a ribaltarne l’esito in modo univoco, con ciò che ne consegue in termini di affermazione della sua responsabilità penale. E’ noto, in proposito, come il principio dell'”oltre ogn ragionevole dubbio” non possa essere utilizzato, nel giudizio di legittimità, per valorizzare e rendere decisiva la duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto emerse in sede di merito su segnalazione della difesa, se tale duplicità sia stata oggetto di puntuale e motivata disamina da parte del giudice di appello (così, tra le altre, Sez. 1, n. 53512 del 11/07/2014, COGNOME, Rv. 261600-01).
La troncante definitività delle superiori considerazioni rende oltremodo evidente anche la manifesta infondatezza delle censure eccepite con il secondo, il terzo e il quarto motivo di ricorso, considerato che il comprovato superamento da parte dell’imputata del previsto limite di velocità nel tratto stradale teatr dell’incidente mortale, causandone la relativa verificazione, determina anche il riconoscimento della circostanza aggravante prevista dall’art. 589, comma 2, cod. pen. e il consequenziale raddoppio dei termini di prescrizione previsto dall’art. 157, comma 6, cod. pen., rendendo lo stesso ancora non decorso.
Allo stesso modo, risulta del tutto logica e congrua, nonché esente da vizio alcuno, la motivazione con cui la Corte di appello ha ritenuto di non accogliere l’invocata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale mediante la nomina di un perito, stante la completezza delle risultanze probatorie acquisite, considerate del tutto idonee a corroborare l’emesso giudizio di responsabilità della prevenuta.
Stessa decisione deve essere espressa, poi, anche con riguardo alla quinta doglianza, con cui la ricorrente ha lamentato il mancato riconoscimento in suo favore della causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen.
Deve essere osservato, infatti, come la Corte di appello abbia fatto buon governo della disciplina che regola l’indicato istituto, offrendo un’adeguata e compiuta motivazione delle ragioni giustificatrici del disposto diniego della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.
Ed infatti, secondo il consolidato indirizzo interpretativo della Corte, ai fin della configurabilità della causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis cod pen., il giudizio sulla tenuità del fatto richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, primo comma, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, COGNOME, Rv. 266590-01). Il giudizio sulla tenuità dell’offesa deve essere effettuato, cioè, con riferimento ai criteri di cu all’art. 133, comma primo, cod. pen., ma non occorre la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente l’indicazione di quelli ritenut rilevanti (cfr., Sez. 6, n. 55107 del 08/11/2018, COGNOME, Rv. 274647-01).
Orbene, facendo puntuale applicazione di tali principi, la Corte territoriale ha ben evidenziato, con motivazione adeguata e congrua, la notevole gravità della condotta perpetrata da parte dell’imputata, distonica rispetto alla ratio dell’art. 131-bis cod. pen., poiché non configurabile nei limiti della minima offensività, esprimendo una ben ponderata valutazione di merito che, in quanto tale, non può essere sindacata in questa sede di legittimità.
6. Manifestamente infondata, infine, è pure la censura relativa all’eccessività del trattamento sanzionatorio, in quanto contraddetta dalla logicità
e adeguatezza con cui la Corte di appello, diversamente da quanto eccepito da parte della ricorrente, ha rappresentato le ragioni per cui ha ritenuto la congruità
della sanzione applicata, in quanto conforme alla effettiva gravità del fatto integrato.
L’indicata motivazione prevede, pertanto, un indubbio – per quanto implicito – riferimento alla norma dell’art. 133 cod. pen., dei cui parametri è
evidente che il giudice di merito abbia tenuto conto ai fini dell’effettuazione della sua valutazione.
Si tratta, pertanto, di una (sia pur stringata) motivazione che, in quanto immune da vizi logici e coerente con il
dictum della sentenza, non può in questa
sede essere censurata.
In ogni modo, una specifica e dettagliata motivazione in merito ai criteri seguiti dal giudice nella determinazione della pena si richiede solo nel caso in cui
la sanzione sia quantificata in misura prossima al massimo edittale o comunque superiore alla media, risultando insindacabile, in quanto riservata al giudice di merito, la scelta implicitamente basata sui criteri di cui all’art. 133 cod. pen. d irrogare una pena – come nel caso di specie – in misura media o prossima al minimo edittale (così, tra le altre: Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243-01; Sez. 4, n. 27959 del 18/06/2013, COGNOME, Rv. 258356-01; Sez. 2, n. 28852 del 08/05/2013, COGNOME, Rv. 256464-01; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, COGNOME, Rv. 256197-01).
Il ricorso, in conclusione, deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero (Corte Cost., sent. n. 186/2000).
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 28 marzo 2025
Il Consigliere estensore
Il Pre d nte