Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 2072 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 2072 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 26/09/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a SAN CONO il 09/10/1963
avverso la sentenza del 21/11/2022 della CORTE ASSISE APPELLO di CATANIA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
È presente l’avvocato COGNOME NOME del foro di ROMA, in sostituzione, come da nomina depositata in udienza, dell’avvocato COGNOME del foro di CATANIA per le Parti Civili COGNOME NOME e COGNOME NOME.
È presente l’avvocato COGNOME NOME del foro di CATANIA in difesa di NOMECOGNOME
L’avvocato COGNOME conclude insistendo per l’inammissibilità del ricorso. Deposita le conclusioni e nota spese.
L’avvocato COGNOME conclude chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 10/06/2016, la Corte di assise di Siracusa ha ritenu NOME COGNOME colpevole del reato di omicidio preterintenzionale aggravato, c riqualificato il fatto – in origine contestato quale omicidio volontario aggr perpetrato in danno della suocera NOME COGNOME dunque affine in linea re commesso in Ragusa il 22/02/2005, in ora successiva e prossima alle ore 15.4 orario in cui l’imputato – in compagnia della vittima – si allontanava dall’abi della stessa, ubicata nella locale INDIRIZZO 14 e, con modalità non determi (in ragione del mancato ritrovamento del cadavere della vittima, nonostante approfondite indagini effettuate al riguardo, concretizzatesi principalmente perlustrazione di luoghi e pozzi in agro ragusano, oltre che nell’esecuzio carotaggi e scavi all’interno della proprietà dell’imputato) ne cagionava la per l’effetto, la Corte di assise di Siracusa ha condannato l’imputato alla anni sedici di reclusione, oltre che al pagamento delle spese processual risarcimento dei danni (la cui liquidazione è stata rimessa a separato giudi al pagamento delle relative provvisionali alle costituite parti civili, non rifusione – in favore delle medesime parti civili – delle spese di costitu assistenza sostenute; al prevenuto sono state applicate le pene acces dell’interdizione in perpetuo dai pubblici uffici, nonché dell’interdizione le la durata di esecuzione della pena; ne è stata ordinata, altresì, la sottopos a pena espiata – alla misura di sicurezza della libertà vigilata, per un peri inferiore ad anni uno. L’imputato è stato invece assolto dal reato di seques persona, commesso in danno della stessa vittima, fatto che sarebbe stato ipotesi d’accusa – finalizzato a commettere l’omicidio sopra descritto.
Con sentenza del 13/12/2018, la Corte di assise di appello di Catania integralmente confermato la sentenza di primo grado, rigettando la richiest sospensione dell’esecutività delle disposte provvisionali e condanna l’appellante al pagamento delle ulteriori spese processuali, nonché alla rifus in favore delle costituite parti civili – delle maggiori sostenute nel grado di
Stando alla ricostruzione storica e oggettiva compiuta nelle due fasi merito sopra sintetizzate, l’anziana NOME COGNOME uscì di casa all’incirca 15.45 del 22/02/2005, unitamente al prevenuto, marito della figlia NOME partire da quel momento, la COGNOME scomparve letteralmente nel nulla. NOME COGNOME, al tempo, svolgeva la mansione di collaboratrice domestica della NOME e fu l’ultima persona ad aver visto quest’ultima in vita. La COGNOME riferito che la donna – allorquando ella ebbe modo di vederla per l’ultima v
si trovava all’interno della sua camera da letto, intenta a prepararsi per u con indosso già il cappotto; l’odierno imputato COGNOME nel frattempo, la s attendendo in soggiorno (si deve precisare come il genero e le figlie dell NOME, all’epoca, si alternassero nell’accompagnarla fuori dall’abitazion quanto ella deambulava ormai con grande difficoltà e soltanto aiutandosi con bastone, oltre ad avere necessità dell’aiuto di un accompagnatore). Una vicina casa della COGNOME ha ricordato di aver visto – all’orario sopra indica finestre dell’appartamento della vittima chiuse, come ordinariamente accadev allorquando ella usciva (l’orario è stato indicato con esattezza dalla tes averlo ella ricavato grazie al collegamento con l’effettuazione di una telef ricevuta dalla figlia; l’esattezza di tale indicazione è stata poi documental verificata, attraverso le risultanze dei tabulati telefonici). Gli ulteriori e natura indiziaria, valorizzati dalle due Corti di merito nel corso dei suddetti g sono brevemente sintetizzabili nel modo che segue:
il fatto che l’imputato, munito di delega a operare sui conti bancari e investimenti della donna e, in generale, deputato a occuparsi della gestione patrimonio di quest’ultima e del di lei marito, avesse – il giorno antece rispetto alla sparizione della COGNOME – estinto un certificato di depo portatore a questa intestato, prelevando la somma di 46.000,00 euro in contan Tale somma di denaro non è mai stata ritrovata; stando a quanto dichiarato marito della vittima, NOME COGNOME (soggetto deceduto nel corso del proces celebratosi dinanzi alla Corte di assise e le cui dichiarazioni sono state ac all’incarto processuale, a norma dell’art. 512 cod. proc. pen.) l’imputa avrebbe riferito di aver consegnato la somma alla suocera, una volta ritiratala banca, e di non aver divulgato la cosa sino alla scomparsa della stessa. N stesso senso si sono mosse le dichiarazioni rese dalla moglie dell’imputato, NOME COGNOME e dal loro figlio NOME; due amiche della vittima, ossia NOME COGNOME e NOME COGNOME, indicate dall’imputato – oltre che dalla moglie e dal figl questi – quali persone presenti alla consegna del denaro, da parte del Maurici suocera, hanno al contrario negato tale fatto (le suddette testi hanno sostenu non aver visto alcunché, nelle mani dell’imputato, affermando che questi nu aveva consegnò alla suocera il giorno indicato, in loro presenza);
il dato oggettivo rappresentato dalla sparizione di un libretto di risp cointestato ai coniugi COGNOME, sul quale era in giacenza, al momento, la som di euro 3.000,00;
l’acquisizione dei tabulati telefonici e le attività di intercettazione tele ambientale, hanno consentito di raccogliere elementi di valutazione e conoscen idonei – attenendosi alla concorde decisione assunta dalle due succitate Cort merito – ad evidenziare la falsità dell’alibi addotto dall’imputato, laddove ha
di essersi allontanato dall’abitazione della suocera in compagnia di quest’ultima, il giorno della scomparsa, sostenendo invece di aver fatto ritorno a casa da solo;
il fatto che il furgone di proprietà dell’imputato apparisse – all’indomani della scomparsa della COGNOME – perfettamente pulito, nonostante avesse piovuto nei giorni precedenti;
l’evidente tentativo di sviare le indagini, posto in essere mediante l’effettuazione di due telefonate anonime, in seguito ricondotte al fratello dell’imputato, NOME COGNOME il quale si sarebbe prestato ad effettuare tale depistaggio, nel tentativo di proteggere il congiunto (trattasi di due telefonate anonime, effettuate da una cabina telefonica sita in Modica, in data 03/03/2005, alle ore 18.22 e a pochi secondi di distanza l’una dall’altra, nel corso delle quali una voce ripeteva la frase “la signora sta bene”, evidentemente a simulare che la COGNOME fosse ancora in vita).
NOME COGNOME venne assunto nella prima fase delle indagini a sommarie informazioni, dunque in assenza di garanzie difensive; ciò trae origine dal fatto che – secondo quanto ritenuto dai Giudici di merito – gli elementi a suo carico si sarebbero manifestati solo in un momento successivo, ossia all’indomani della acquisizione dei tabulati telefonici, ritenuti idonei a sconfessarne la ricostruzione. L’imputato ha sempre sostenuto di non essere uscito in compagnia della suocera, ma di esser stato a trovarla per breve tempo e di essere poi andato via. I verbali delle dichiarazioni rese in tal sede dall’odierno imputato in plurime occasioni (23 e 25 febbraio 2005, oltre che 2 maggio 2005) sono state acquisite al fascicolo del dibattimento, stante l’assenza del COGNOME al momento del suo interrogatorio, chiesto dal Pubblico ministero. La Corte di assise, infatti, ne ha ritenuto la utilizzabilità, per essere emersi gli indizi a carico dell’imputato solo in un momento posteriore, avendo l’ispettore COGNOME collocato l’emersione dei primi sospetti all’indomani dell’acquisizione dei tabulati telefonici.
Riassumendo, gli elementi indiziari militanti a carico del Maurici consisterebbero – secondo le due sentenze sin qui menzionate – nell’esser stata l’ultima persona vista in compagnia della donna, nonché nella sussistenza di interessi di natura economica e, infine, nella condotta serbata post delictum, finalizzata a rappresentare una realtà palesemente artefatta, a costruirsi un alibi e a sviare le indagini.
Con sentenza del 19/02/2021, la Quinta Sezione di questa Corte ha censurato la motivazione della sentenza di condanna pronunciata a carico di NOME COGNOME sia sotto il profilo della riferibilità soggettiva del fatto, sia qua al versante della qualificazione giuridica; per l’effetto, la Suprema Corte ha annullato la sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione della Corte di assise
di appello di Catania, per nuovo giudizio. L’annullamento, in chiave di estrema sintesi, si fonda sui seguenti rilievi:
la motivazione adoperata dalla Corte territoriale non è ossequiosa del canone dell’oltre ogni ragionevole dubbio dettato dall’art. 533 cod. proc. pen., sia sotto il profilo sostanziale, sia quanto al lessico adottato; l’apparato argomentativo, quindi, necessita di una nuova modulazione, tanto in ordine alla affermazione di penale responsabilità a carico dell’imputato, quanto con riferimento agli elementi costitutivi del delitto di omicidio preterintenzionale, così come riqualificata in primo grado l’originaria contestazione di omicidio volontario, risultando utilizzato un improprio canone valutativo, fondato essenzialmente sul parametro della “consistente verosimiglianza”;
quanto all’elemento del movente, la Corte di assise di appello ha reputato certo che il prevenuto si sia appropriato della somma di 46.000,00 euro, che aveva prelevato il giorno prima della scomparsa della suocera, essendo egli delegato a operare sul conto dei suoceri, tanto che avrebbe ucciso la donna – spinto da un incontenibile accesso collerico – proprio al fine di non restituire tale somma; del denaro, però, non è stata mai trovata traccia e, del resto, anche la tesi a discolpa propugnata dall’imputato (fondata sulla avvenuta restituzione del contante alla COGNOME) non può ritenersi smentita con il necessario, tranquillizzante grado di certezza;
vero che l’alibi propugnato dal COGNOME – imperniato sul preteso suo rientro in casa a Ragusa, dopo l’effettuazione della breve visita a casa della suocera – è stato oggettivamente smentito dai successivi accertamenti; vero anche, però, che è rimasto privo di approfondimento il profilo attinente alla possibile veridicità della causale addotta, in riferimento al tragitto realmente compiuto, come compiutamente ricostruibile attraverso il collegamento delle celle telefoniche agganciate;
pacifico, infine, è il fatto che il mancato ritrovamento del cadavere della vittima non possa impedire la formazione della prova inerente alla perpetrazione di un fatto omicidiario, ma occorre, comunque, che l’evento morte risulti assistito da un compendio grave, preciso e concordante, cosa non verificatasi nel caso di specie.
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di assise di appello di Catania – decidendo a seguito del rinvio disposto dalla Corte di cassazione – ha riqualificato il reato sub A) in termini di omicidio volontario non premeditato, commesso in danno di affine in linea retta, a norma degli artt. 575 e 577 cod. pen. ed ha confermato – quanto al resto – la sentenza del 10/06/2016 della Corte di assise di Siracusa, condannando l’imputato al pagamento delle ulteriori spese
processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute – nel grado di giudi dalle costituite parti civili.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo del difensore avv. NOME COGNOME impugnando – in via preliminare – le ordinanze dibattimental del 15/11/2021 e del 30/05/2022, per le ragioni di seguito esposte, non deducendo sette motivi, che vengono di seguito riassunti entro i li strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173, disp. at proc. pen.
6.1. Per quanto inerisce alle ordinanze del 15/11/2021 e del 21/02/2022 viene denunciato vizio rilevante ex art. 606, comma 1, lett. b), lett. c) e per falsa applicazione degli artt. 603 e 627, commi 2 e 3 cod. proc. pen relazione agli artt. 190, 495, 496, 526 e 598 cod. proc. pen., stante la ille acquisizione dei verbali di sommarie informazioni testimoniali rese da NOME COGNOME e NOME COGNOME in violazione dei principi del giusto processo e contraddittorio, a norma degli artt. 25, 27 e 111 della Costituzione. In partic – per ciò che attiene alla prima ordinanza, datata 15/11/2021, si contesta il r dell’istanza difensiva, finalizzata alla declaratoria di inutilizzabilità delle informazioni testimoniali rese da NOME COGNOME e dal fratello NOME COGNOME, rispettivamente nei giorni 23/02/2005 e 25/02/2005, stante la g accertata inutilizzabilità delle sommarie informazioni testimoniali rese dagli st rispettivamente nei giorni 02/05/2005 e 12/10/2005;
con riferimento alla seconda ordinanza dibattimentale, datata 21/02/2022, contesta la decisione assunta dalla Corte territoriale, di disattendere l’ difensiva finalizzata all’esecuzione di un esperimento giudiziario, volto a verif la possibile presenza della somma di euro 46.000,00 all’interno di una bus parimenti avversata è la decisione di rimandare alla fase successiva, rispetto chiusura dell’istruttoria dibattimentale, la decisione in ordine all’utilizzabi sopra citate sommarie informazioni testimoniali, rese da NOME COGNOME ne febbraio del 2005.
6.2. Per ciò che attiene all’ordinanza del 30/05/2022, viene denuncia violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., in relazione all’a commi 1, 2 e 3 cod. proc. pen. e all’art. 1, comma 1 -bis del di. n. 178 del 23/11/2021, eccependosi la inutilizzabilità dei tabulati telefonici, in ass ulteriori elementi di prova. Si contesta, in particolare, la decisione reiettiva in ordine alla richiesta di revoca della precedente ordinanza, datata 30/05/2 sostenendosi come i tabulati telefonici acquisiti al processo non possano, da fondare un giudizio di colpevolezza a carico dell’imputato.
6.3. Con il primo motivo di ricorso, viene denunciata violazione dell’ar 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., per mancanza, contraddittoriet manifesta illogicità della motivazione, anche in relazione all’art. 192, commi 1 cod. proc. pen. Con la sentenza rescindente, la Corte di cassazione ave demandato al giudice del rinvio la verifica circa il fatto che il veicolo Doblò po trasportare un corpo inanimato. La sentenza impugnata ritiene che ciò si accaduto, ma dimentica la relazione Modica versata in atti, la quale esclude un corpo delle dimensioni e del peso della COGNOME potesse essere trasporta da una sola persona per le scale, uscendo dal fabbricato attraverso l’ingres INDIRIZZO poi portato per varie decine di metri in strada e, infine, caricato i Si dimentica, inoltre, la testimonianza di NOME COGNOME la quale ha riferito colloquio fra il COGNOME e la COGNOME si svolse in maniera serena e non ha dichiarato di aver visto i due uscire insieme dall’abitazione della donna. La Ingallina, inoltre, ha dichiarato di non aver visto la Di Martino uscire dall’in di INDIRIZZO (l’accesso esistente su INDIRIZZO le era impedito, in ragione dell e dell’infermità).
6.4. Con il secondo motivo, viene denunciata violazione dell’art. 60 comma 1, lett. b), lett. c) e lett. e) cod. proc. pen., in relazione agl comma 2, 64, 191 e 603, comma 3 cod. proc. pen., lamentandosi la carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, circa la ri utilizzabilità di tutte le sommarie informazioni testimoniali rese da NOME COGNOME e dal fratello NOME COGNOME in assenza di garanzie difensive. lamenta, altresì, la violazione dei principi del giusto processo e del contraddi ex artt. 25, 27 e 111 Cost., nonché la violazione del diritto a un equo proces sensi dell’art. 117, primo comma Cost, in riferimento all’art. 6, primo, secon terzo comma della CEDU e agli artt. 47 e 48 della Carta dei diritti fondamenta dell’Unione europea. La Corte di assise di appello di Catania, in sede di rinvi ritenuto comunque utilizzabili le sommarie informazioni testimoniali rese nei gio 23 e 25 febbraio 2005, ad onta della palese violazione degli artt. 62, comma 64 cod. proc. pen., ad opera degli inquirenti; con ciò, ha disatteso le indic fornite dalla Corte di cassazione nell’ambito del giudizio rescindente, non ten conto degli elementi in grado di far addensare sospetti sulla figura del COGNOME in epoca antecedente al 23/02/2005 (già al tempo, infatti, sussisteva la cert dell’incasso, avvenuto il giorno precedente al fatto, della sopra detta somm euro 46.000; già prima dell’audizione dell’imputato nella veste di sempl informatore, inoltre, era stata effettuata dalla polizia giudiziaria l’audi NOME COGNOME e i poliziotti avevano avuto modo di notare un dato oggettiv poi molto valorizzato, ossia che il veicolo Fiorino, adoperato dall’imputato, f stranamente del tutto pulito, nonostante la recente instabilità del tempo; vi
all’esito di una perquisizione veicolare, gli operanti avevano già rinvenuto un fazzoletto intriso di sangue, all’interno di tale furgone). E tanto vero che gravassero già elementi a carico del Maurici, che venne chiesta l’autorizzazione a disporre le intercettazioni telefoniche, a carico tanto di questi che dei suoi familiari Errata è l’affermazione della Corte territoriale, secondo la quale gli indizi a carico di Maurici sarebbero emersi nei primi giorni del mese di marzo 2005, posto che l’iscrizione di questi nel registro degli indagati è datata 06/03/2006, ossia un anno dopo la scomparsa della COGNOME.
6.5. Con il terzo motivo, viene denunciata violazione e inosservanza, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) e lett. e) cod. proc. pen., per carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione su un punto decisivo (artt. 40, primo comma, 42, primo e secondo comma, 43, primo comma cod. pen., 192, commi 1 e 2, 533, comma 1, cod. proc. pen.), lamentandosi violazione dei principi del giusto processo e del contraddittorio, a norma degli art. 25, 27 e 111 della Costituzione, nonché violazione del diritto a un processo equo, ex art. 117, primo comma Cost., in riferimento agli artt. 6, commi 1, 2 e 3 CEDU e agli art. 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. La Corte di assise di appello di Catania si è gravemente discostata dalle coordinate segnate dal giudizio rescindente, posto che il presunto movente non può colmare le lacune e le discrasie di un quadro probatorio rimasto profondamente incerto. Con riferimento al preteso movente è infatti emerso, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale:
che chiunque (compreso il marito della scomparsa) si sarebbe potuto appropriare della somma di 46.000,00 euro;
che il COGNOME non era in precarie condizioni economiche, non essendo risultati pignoramenti, decreti ingiuntivi, ipoteche o ingiunzioni di qualsivoglia genere a suo carico;
che l’imputato – lungi dall’avere la spiccata capacità a delinquere che gli si addebita – era invece un soggetto incensurato, il quale si era sempre dimostrato attento e disponibile alle esigenze della suocera.
6.6. Con il quarto motivo – articolato in plurimi profili di doglianza – vien denunciata violazione e inosservanza, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) e lett. e) cod. proc. pen., per carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in ordine alla configurazione dell’ipotizzato reato e alla sussistenza dell’elemento psicologico dello stesso (artt. 40, 41, 42, 43 e 575 cod. pen.), nonché violazione e inosservanza dell’art. 606, comma 1, lett. b) e lett. e) cod. proc. pen, per falsa applicazione degli artt. 627, commi 2 e 3, 603, 521, 533 e 648 cod. proc. pen., in relazione alla riqualificazione giuridica del reato di cui a capo A). Vengono denunciate, inoltre:
violazione e inosservanza dell’art. 606, comma 1, lett. b) e lett. e) cod. proc. pen., per falsa applicazione degli artt. 627, commi 2 e 3, 603, 521, 533 e 648 cod.
proc. pen., in relazione alla riqualificazione giuridica del reato di cui al capo A);
violazione dei principi del giusto processo e del contraddittorio ex artt. 25, 27 e 111 Cost.;
violazione del diritto a un processo equo, ex art 117, primo comma Cost., in riferimento all’art. 6, primo, secondo e terzo comma della CEDU e agli artt. 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea.
Le condotte ascritte al prevenuto sono restate indeterminabili; manca qualsiasi prova, dunque, in ordine alla sussistenza del dolo omicidiario. La sentenza del 10/06/2016, che aveva riqualificato il fatto alla stregua di un omicidio preterintenzionale ed aveva escluso la premeditazione, non è stata fatta oggetto di gravame; la condanna per una pena più severa, allora, integra violazione del divieto di reformatio in peius. Non vi sono concreti elementi – né storici, né logici – che consentano fondatamente di individuare la sussistenza di un dolo eventuale o alternativo, di lesioni o omicidio, né può escludersi ricorrenza di una causalità colposa. Ogni ricostruzione, sul punto, è frutto di congetture (la Di COGNOME potrebbe essere deceduta per cause naturali, peraltro non da escludere a priori, stante il suo, al tempo, precario stato di salute, oppure anche a seguito di una caduta accidentale).
6.7. Con il quinto motivo, viene denunciata violazione e inosservanza, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) e lett. e) cod. proc. pen., dei canoni d valutazione dell’indizio ex art. 192 cod. proc. pen., lamentandosi anche carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della sentenza, in relazione al luogo in cui sarebbe stato commesso l’omicidio e al luogo in cui sarebbe avvenuto l’occultamento del cadavere, nonché in ordine alla considerazione delle risultanze scientifiche. A fondamento della condanna pronunciata a carico di COGNOME sono stati assunti indizi inconsistenti, in ordine ai seguenti aspetti:
il luogo dell’eventuale omicidio non è mai stato individuato, essendosi esclusa la verificazione del fatto omicidiario sia nell’abitazione della scomparsa, sia all’interno del podere ubicato in Santa Croce Camerino (è stata del resto acclarata, grazie agli accertamenti medico-legali espletati, l’origine non umana dei frammenti ossei colà rinvenuti, all’esito di uno dei numerosi carotaggi eseguiti, grazie anche all’ausilio dei cani molecolari); parimenti, si è escluso il possibile occultamento del cadavere all’interno di un pozzo ubicato in zona (ne sono stati esaminati oltre centocinquanta, GLYPH disseminati GLYPH nelle GLYPH campagne GLYPH del GLYPH caltagironese GLYPH e, immancabilmente, l’esito è stato negativo);
il tempus commissi delicti, dato che la morte e l’occultamento del corpo sono stati collocati – in aderenza alle plurime ricostruzioni succedutesi – in archi
temporali nettamente distinti e, anzi, tra loro radicalmente incompatibili (i primo tempo, era stato dato per certo che il corpo della donna fosse stato sep in Santa Croce Camerina, laddove il COGNOME si sarebbe recato ad incontrare i su clienti, dimenticando, però, il compimento del percorso da Ragusa a Caltagirone in seguito, valorizzando le emergenze ricavabili dai tabulati telefonici, temporalmente collocato l’occultamento del corpo nel tempo dell’incontro fr l’imputato e il fratello NOME, così posizionandolo geograficamente territorio appartenente al Comune di San Cono; vi è infine un travisamento dell prova, quanto alla testimonianza dell’ispettore COGNOME non sussistendo pr circa il fatto che l’imputato possa aver spento il cellulare, durante i due buchi di segnale, non essendo possibile, al tempo dei fatti, distinguere la mancanza d copertura di rete dallo spegnimento del telefono.
6.8. Con il sesto motivo, viene denunciata violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) e lett. e) cod. proc. pen., in relazione alla utilizzazione inesistenti e stante la reiterata palese contraddittorietà della motivazione, violazione e inosservanza, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) e lett. proc. pen., per carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivaz a causa della violazione delle regole di apprezzamento della prova indiziaria relazione all’art. 192, commi 1 e 2 cod. proc. pen. e all’art. 546, comma 1, l cod. proc. pen. Si censura il mancato rispetto delle regole che disciplina procedimento di formazione della prova di colpevolezza, essendosi impropriamente ritenuta la convergenza di molteplici indizi, con riferimento:
– alla consegna della somma di denaro in contanti (i coniugi COGNOME non adottavano particolari cautele, nella custodia dei loro beni all’in dell’abitazione, visto che la chiave della cassaforte era semplicemente conserv all’interno di un mobile, per cui chiunque si sarebbe potuto agevolmente appropriare della somma di denaro; la difesa ha dimostrato, inoltre, come tutt banconote potessero essere contenute in una busta e il teste COGNOME impiegat di banca, ha riferito in aula di aver consegnato al NOME i soldi proprio all’ di una busta);
– alla disposizione delle stanze, che non permetteva di vedere COGNOME mentr consegnava la busta contenente i soldi alla suocera, il giorno 21/02/2005 (è s allegata al fascicolo processuale la pianta dell’appartamento dei COGNOME, da può desumersi facilmente come le testi COGNOME e COGNOME – stando all’inte della sala da pranzo, dove sicuramente si trovavano – non potessero scorgere luogo in cui avvenne la consegna del denaro, da NOME COGNOME alla suocera, fatto volutamente compiuto, peraltro, al riparo da occhi indiscreti);
– alla inverosimiglianza della presenza di COGNOME, il 21/02/2005, presso la RAGIONE_SOCIALE di Ragusa (l’imputato non può essersi recato in tale istituto bancario
ore 08.20 di tale giorno, come dichiarato da COGNOME e COGNOME, in primo luogo in quanto l’orario di apertura è fissato alle 08.30, ma anche perché – in tale preciso momento – egli si trovava all’interno di altra filiale bancaria, sita in una diversa distante parte della città di Ragusa, intento a ritirare la busta con i soldi, come riferito dal COGNOME; inoltre, del tutto inopinatamente non sono state acquisite le immagini del sistema di videosorveglianza della Banca Agricola, onde verificare la eventuale presenza in loco dell’imputato);
alla telefonata anonima attribuita a NOME COGNOMEquesti ha sempre negato di essere l’autore della telefonata anonima; non è stata mai espletata una perizia fonica; non si può escludere che il tutto sia opera di uno sconosciuto mitomane e, del resto, non si è chiarito in che modo tale fatto potesse concretamente contribuire a sviare le indagini);
alla testimonianza della teste COGNOMEquesta ha riferito chiaramente, in dibattimento, di aver subito pressioni e suggestioni, ad opera della polizia, affinché riconoscesse, nella voce riprodotta nell’intercettazione telefonica, quella del fidanzato);
alle intercettazioni ambientali disposte in Questura (dalla lettura degli atti emerge come – durante l’interrogatorio – i poliziotti si siano ripetutamente allontanati dalla stanza, per poi farvi ritorno, nel tentativo di captare eventual confidenze fra NOME COGNOME e la fidanzata NOME COGNOME).
6.9. Con il settimo motivo, viene denunciata violazione di norma processuale ex art. 606, comma 1, lett. b) e lett. e) cod. proc. pen., in relazione agli artt. 62-bis, 132 e 133 cod. pen., quanto al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e alla misura della pena. Dato che la Corte stessa ha fatto riferimento a un evento improvviso, immediato e non riflesso del Maurici, ossia ad una condizione psicologica emotiva momentanea, sarebbe stato consequenziale tratteggiare una condotta meramente colposa. Diviene contraddittorio, dunque, attribuire all’imputato una particolare pericolosità sociale, tanto da renderlo immeritevole sia di un più mite trattamento sanzionatorio, sia della concessione delle circostanze attenuanti generiche.
6.10. Al ricorso sono allegati i seguenti atti:
relazione di servizio del 29/07/2005, redatta dall’Ispettore NOME COGNOME
pagine numero cinquantasette e cinquantotto del verbale stenotipico dell’udienza tenutasi il 01/04/2015, contenente un estratto della deposizione del teste NOME COGNOME;
pagine recanti i numeri tredici, diciannove e venti della sentenza rescindente;
planimetria di casa COGNOME;
sommarie informazioni testimoniali del 04/03/2005;
articoli di giornale.
6.11. In data 03/02/2023, la difesa ha allegato all’atto di impugnazione:
a corredo delle argomentazioni esposte nell’atto di impugnazione alla pagin numero 32, le pagine recanti i numeri 8, 9, 18, 19 e 20 delle deposizioni rese testi COGNOME e COGNOME davanti alla Corte di assise di Siracusa, all’udien 31/03/2016;
ancora a corredo delle argomentazioni esposte, nella medesima pagina dell’atto di impugnazione, le pagine recanti i numeri 10, 16 e 29 della deposizione resa d teste COGNOME davanti alla Corte di assise di Siracusa nel corso dell’udienza 21/01/2015.
Le parti civili NOME COGNOME e NOME COGNOME con il patrocini dell’avv. NOME COGNOME hanno presentato conclusioni scritte e nota spes chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso, con ogni statuizi consequenziale.
Il Procuratore generale ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso. Non possono essere dedotte questioni di utilizzabil che non siano state attinte dalla decisione di annullamento; parimenti, possono essere dedotte questioni di nullità. Correttamente, quindi, la Corte appello ha rigettato le questioni di utilizzabilità. Non si è verificata la la riforma peggiorativa, in assenza di modifiche del trattamento sanzionatorio; divieto di reformatio in peius investe il solo trattamento sanzionatorio e non gli ulteriori effetti penali e l’imputato, peraltro, aveva avuto la possibilità di di da tale accusa. La sentenza, quindi, ha colmato i difetti motivazionali sottoli in fase rescindente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, che contiene anche censure inammissibili, è nel complesso infondato e, pertanto, deve essere rigettato.
Le doglianze oggi al vaglio di questo Collegio afferiscono in gran parte infatti, alla motivazione della sentenza impugnata, criticando esse – anch maniera espressa e diretta – i criteri utilizzati e le conclusioni cui sono per giudici di merito, nella valutazione delle prove. Giova allora precisare, ai fi corretto inquadramento del perimetro decisionale che connota il giudizio legittimità, le seguenti coordinate teoriche.
2.1. In tema di sindacato del vizio della motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., si deve rammentare come, nell’apprezzamento de
fonti di prova, il compito del giudice di legittimità non consista nel sovrappor propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito; la Corte di cassazi ha il diverso compito, infatti, di stabilire se questi ultimi abbiano esaminat gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazio essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti e se abb esattamente applicato le regole della logica, nello sviluppo delle argomentazi che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni, a preferenza di a (così Sez. un., n. 930 del 13/12/1995, Clarke, Rv 203428; per una compiuta e completa enucleazione della deducibilità del vizio di motivazione, si vedano Se 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv 235507; Sez. 6, n. 47204, del 7/10/2015 Musso, Rv. 265482; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv 269217). Dall’affermazione di questo principio, ormai costante nel panorama giurisprudenziale, discende un necessario corollario: esula dai poteri della Cort cassazione, nell’ambito del controllo della motivazione del provvediment impugnato, la formulazione di una nuova e diversa valutazione, in ordine agl elementi di fatto posti a fondamento della decisione, giacché tale attiv riservata esclusivamente al giudice di merito, potendo riguardare il giudizi legittimità solo la verifica dell’iter argomentativo seguito da tale gi accertando se quest’ultimo abbia, o meno, dato conto adeguatamente delle ragioni che lo hanno condotto ad emettere la decisione.
2.2. Passando al più specifico tema del “vizio di manifesta illogicità” de motivazione – oggetto di specifica deduzione difensiva, nella fattispecie in es – va osservato che il relativo controllo viene esercitato, in via esclusiva, sul della coordinazione delle proposizioni e dei passaggi, attraverso i quali si svil il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato; non sussiste possibilità per il giudice di legittimità, di verificare se i risultati dell’interpretaz prove siano effettivamente corrispondenti alle acquisizioni probatorie, co risultanti dagli atti del processo; sicché, nella verifica della eventuale fond del motivo di ricorso ex art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., il compito Corte di cassazione non si sostanzia nell’accertare la plausibilità e l’intr adeguatezza dei risultati dell’interpretazione delle prove, coessenziale al giu di merito, bensì nel dovere – radicalmente differente – di stabilire se i giu merito: a) abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione; b) abbi dato esauriente risposta alle deduzioni delle parti; c) nell’interpretazione prove, abbiano esattamente applicato le regole della logica, nonché le massime comune esperienza e i criteri legali dettati in tema di valutazione delle pro modo da fornire una giustificazione razionale, circa la scelta di determi conclusioni a preferenza di altre. Ne consegue che, ai fini della denuncia del v in esame, è indispensabile dimostrare che il testo del provvedimento s
manifestamente carente di motivazione e/o di logica, per cui non può esser ritenuto legittimo l’opporre alla valutazione dei fatti contenuta nel provvedime impugnato una diversa ricostruzione degli stessi, magari pure altrettanto logi dato che in quest’ultima ipotesi verrebbe inevitabilmente invasa l’area de apprezzamenti riservati al giudice di merito. Il controllo di legittimità operato Corte di cassazione, infatti, non deve stabilire se la decisione di merito prop effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividern giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compat con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamen (Sez. 4, n. 4842 del 2/12/2003, Elia, Rv 229368).
2.3. Va da ultimo ancora osservato che la denunzia di minime incongruenze argomentative, oltre che l’omessa esposizione di elementi di valutazione, che ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione (ma che non sia inequivocabilmente muniti di un chiaro carattere di decisività) non possono da luogo all’annullamento della sentenza, posto che non costituisce vizio del motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapola dal contesto. Al contrario, è solo l’esame del complesso probatorio – entro il q ogni elemento sia contestualizzato – che consente di verificare la consistenza e decisività degli elementi medesimi, oppure la loro ininfluenza, ai fini d compattezza logica dell’impianto argomentativo della motivazione (Sez. 1, n. 46566 del 21/2/2017, M., Rv 271227; Sez. 2, 9242 del 8/2/2013, Reggio, Rv 254988).
Giova preliminarmente precisare i profili che, nella sentenza rescinden del 19/04/2021 della Quinta sezione di questa Corte, erano stati posti in rilie che erano stati specificamente indicati, quali punti di criticità bisognev approfondimento in sede di giudizio di rinvio; ciò al fine di verificare se siano rispettate le indicazioni argomentative e decisionali, che erano state fornite Corte di cassazione al Giudice del rinvio, oppure se – secondo l’ipotesi soste dalla difesa – tale mandato argomentativo e valutativo sia restato sostanzialmen ignorato, nella impugnata decisione.
3.1. Evidenziava la Quinta sezione di questa Corte, dunque, che impropriamente la decisione della Corte di assise di appello avesse adoperato u inaccettabile parametro argomentativo, fondato sul criterio della “consiste verosimiglianza”; in tal modo, la Corte di assise di appello era giunta a rit che la qualificazione in termini di omicidio preterintenzionale fosse l’u realmente plausibile, in quanto pienamente collimante con la verificazione di evento traumatico improvviso, non preordinato dal prevenuto, bensì determinato da un subitaneo scatto d’ira, in linea con la sua indole collerica. Il vuoto
presente in tale conclusione, peraltro, si annidava – ancora attenendosi alla sentenza rescindente – anche nell’aver escluso tanto il contestato omicidio volontario premeditato, quanto la morte naturale improvvisa, non prendendo però minimamente in considerazione una ulteriore ricostruzione alternativa, incentrata sulla causalità colposa.
3.2. Secondo i Giudici di legittimità, il pur plausibile movente – ossia l’appropriazione, ad opera dell’imputato, della somma di euro 46.000,00 – non risultava accertato in via definitiva, non potendosi nemmeno reputare incontestabilmente smentita la tesi a discolpa, fondata sul fatto che l’imputato avesse già consegnato – il giorno stesso del prelievo in banca, quindi prima del 22 febbraio 2005 – i soldi alla suocera, chiusi in una busta.
3.3. Ancora, la Corte di cassazione segnalava come sicuramente l’imputato avesse mentito, nel dichiarare di essere rientrato in casa a Ragusa, una volta effettuata una visita presso l’abitazione della Di Martino; tale tesi risultav smentita, infatti, dall’esito delle indagini, idonee a far ritenere provato – in fo del posizionamento delle celle telefoniche – il compimento, ad opera del prevenuto e del fratello, di un percorso che parte da Ragusa e arriva a San Cono e viceversa, dalle ore 18.28 alle ore 22.29 del giorno del fatto. Appariva trascurata, però, la necessaria verifica circa la eventuale veridicità delle spiegazioni fornite, sul punto, dall’imputato, il quale aveva affermato di aver effettuato tali spostamenti a causa di impegni di tipo lavorativo.
3.4. Nella sentenza rescindente si ricorda come l’evento morte, in effetti, non impedisca la formazione della prova, in ordine alla sussistenza di un fatto omicidiario, né si riverberi ipso facto sul profilo della responsabilità; l’assenza del cadavere, però, impone di provare la sussistenza del fatto omicidiario attraverso il ferreo collegamento di indizi gravi, precisi e concordanti, fra i quali può rientra anche il comportamento post factum assunto dall’imputato.
3.5. Da stigmatizzare, secondo la Corte di legittimità, era la scelta di non acquisire e utilizzare le dichiarazioni rese da NOME COGNOME (trattasi di una teste che aveva riferito di aver visto l’imputato intorno alle ore 16.00, mentre transitava in Ragusa a bordo del suo furgoncino, senza far menzione della presenza della vittima a bordo).
3.6. La sentenza rescindente riteneva da censurare, inoltre, la decisione di non procedere ad una riapertura dell’istruttoria dibattimentale, al fine di procedere all’audizione di alcuni testimoni, anche nominativamente indicati dalla difesa (segnatamente, si tratta di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME) i quali avrebbero potuto – in ipotesi difensiva – dichiarare di aver incontrato il Maurici in Santa Croce di
Camerina, il giorno della sparizione della COGNOME, per effettuare il pagame di merce acquistata.
3.7. Infine, la Corte di cassazione si è soffermata sull’aspetto eventuale inutilizzabilità, auspicata dalla difesa, delle dichiarazioni rese dal M nei giorni 23/02/2005, 25/02/2005 e 02/05/2005. Tali dichiarazioni radicano conclusione, basilare nel costrutto accusatorio, della natura mendace della pr d’alibi prospettata dall’imputato; esse sono state poste quali arch dell’affermazione di responsabilità a carico dell’imputato, andando a incaston in un più vasto e significativo mosaico probatorio, dunque saldandosi agli ulter profili rappresentati dal movente, dalle risultanze dei tabulati telefonici, dal delle dichiarazioni rese dalla collaboratrice domestica e dai tentativi di svia delle investigazioni. L’utilizzabilità di tali dichiarazioni, al fine di asseg patente di falsità all’alibi proposto, postula l’accertamento in ordine alla pos di postdatare – con la necessaria, tranquillizzante certezza – l’emersi elementi gravanti sulla posizione del Maurici; sul punto, però, permaneva un incoerenza, nella decisione della Corte di assise di appello di Catania, rispe quanto riportato nella sentenza di condanna in primo grado, circa la possib immediata acquisizione, invece, di elementi di sospetto nei confronti dell’odie imputato (per esser stato egli visto dai poliziotti a bordo del furgone che app pulito, nonostante le recenti piogge, nonché a causa del ritrovamento – all’int del medesimo veicolo – di un fazzoletto intriso di sangue, solo in seguito risu non utile alle indagini).
Venendo all’esame delle doglianze difensive, infondata si appalesa anzitutto, la deduzione difensiva attinente alla pretesa illegittimità dell’or dibattimentale datata 21/02/2022, impugnata dalla difesa quale premessa ai motivi (l’enunciazione del contenuto della doglianza si trova sopra per est all’ultimo periodo del punto 6.1. della parte narrativa). Risulta dunque, attra la stessa lettura della sentenza impugnata, che la difesa aveva domandato – qu rinnovazione istruttoria da attuare in grado di appello, nel corso del giu rescissorio – il compimento di un esperimento giudiziale, finalizzato a “verifi se la somma di € 46.000 che, secondo la tesi difensiva era stata consegnata a COGNOME, potesse o meno essere contenuta in una busta e conservata in un tasca interna di un cappotto”. La Corte di appello riservava ogni decision merito, rinviando la decisione all’esito dell’espletamento delle ulteriori a istruttorie espletande; in seguito, a scioglimento di tale riserva e a concl delle già effettuate acquisizioni, disattendeva la richiesta.
4.1. Lungi dall’evidenziare vizi effettivamente deducibili in sede legittimità, però, la difesa non riesce a superare lo stadio della semplice
confutativa, ossia della prospettazione di una difforme lettura degli atti, arrestandosi alla mera richiesta di sostanziale rivisitazione nel merito della decisione reiettiva; nemmeno chiarisce, la difesa ricorrente, quali difformi lumi sarebbero potuti provenire, dall’accoglimento della suddetta richiesta.
4.2. Questa Corte, del resto, ha ripetutamente chiarito come il rigetto dell’istanza di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, pronunciato in secondo grado, debba restare avulso dal sindacato in sede di legittimità, allorquando la struttura argomentativa della motivazione della decisione di appello risulti basata su elementi di tenore non perplesso, che siano quindi sufficienti a consentire una compiuta valutazione, in ordine alla penale responsabilità dell’imputato (Sez. 6, n. 2972 del 04/12/2020, dep. 2021, G., Rv. 280589; si veda anche Sez. 3, n. 24294 del 07/04/2010 D. S. B, Rv. 247872, a mente della quale: «Il giudice d’appello ha l’,obbligo di motivare espressamente sulla richiesta di rinnovazione del dibattimento solo nel caso di suo accoglimento, laddove, ove ritenga di respingerla, può anche motivarne implicitamente il rigetto, evidenziando la sussistenza di elementi sufficienti ad affermare o negare la responsabilità del reo»).
4.3. Aspecifico e assertivo, oltre che privo del pur minimo substrato contenutistico, infine, è il segmento ulteriore della doglianza, laddove la difesa lamenta di esser stata posta nelle condizioni – in forza della sopra descritta riserva di decisione – di non conoscere l’intero contenuto delle acquisizioni probatorie, prima di passare a esporre le proprie argomentazioni.
Ancora in via preliminare, come sopra già enunciato (punto 6.2. della parte narrativa), è stata impugnata l’ordinanza pronunciata dalla Corte di assise di appello il 30/05/2022. In ipotesi difensiva, i tabulati telefonici acquisiti processo non possono – in via autonoma e, quindi, in carenza di ulteriori dati probatori – legittimare una affermazione di penale responsabilità.
5.1. Per delibare compiutamente la censura devoluta all’esame della Corte, è necessario partire da una preliminare ricognizione della evoluzione normativa, verificatasi in tema di acquisizione dei dati esterni del traffico telefonico (c. tabulati). La Corte di assise di appello di Catania ha confermato la condanna del COGNOME sulla base delle inferenze probatorie desunte dalle risultanze del traffico telefonico, acquisito al presente giudizio in virtù della previsione dell’art. 132 comma 3, del d.lgs. 196 del 2003 [Codice in materia di protezione dei dati personali, integrato con le modifiche introdotte dal d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101, recante “Disposizioni per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al
trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati)” (in G.U. 4 settembre 2018 n. 205); dal d.l. 8 ottobre 2021, n. 139, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 dicembre 2021, n. 205 e dal d.l. 30 settembre 2021, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2021, n. 178). Tale disposizione, nella formulazione originaria, vigente all’epoca dell’acquisizione dei dati nel presente processo, prevedeva il potere del Pubblico ministero – per finalità di accertamento e repressione dei reati – di acquisire con decreto motivato presso il fornitore, entro il termine di ventiquattro mesi dalla data della comunicazione, i dati esterni delle comunicazioni, anche su istanza del difensore dell’imputato, della persona sottoposta ad indagini, della persona offesa o delle altre parti private.
5.2. La Grande Sezione della Corte di Giustizia dell’Unione europea, con la sentenza del 2 marzo 2021, H.K. c. Prokunrantuur (causa C-746/18), pronunciandosi sul rinvio pregiudiziale formulato dalla Corte Suprema estone in ordine all’interpretazione dell’art. 15, par. 1, dir. 2002/58/CE, relativa a trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche, come modificata dalla direttiva 2009/136/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009, ha delineato una serie di condizioni, alle quali gli Stati membri devono subordinare l’accesso ai dati conservati dai fornitori da parte dell’autorità pubblica per finalità di prevenzione, accertamento o repressione dei reati, in modo da poter bilanciare tale esigenza con la contrapposta necessità di tutelare il diritto alla riservatezza. La Corte di Giustizia, in particolare, approfondendo i principi già affermati in precedenza in materia di data retention (Corte Giustizia, Grande Sezione, 21 dicembre 2016, cause riunite C-203/15 e C-698/15, Tele2 Sverige AB; Corte Giustizia, Grande Sezione, 8 aprile 2014, cause riunite C-293/12 e C-594/12, RAGIONE_SOCIALE), ha affermato che:
– la direttiva, letta alla luce degli artt. 7, 8 e 11 nonché dell’art. 52, paragraf della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, osta a una normativa nazionale che permetta alle autorità pubbliche l’accesso a dati relativi al traffico o a dati relativi all’ubicazione, idonei a fornire informazioni sulle comunicazioni effettuate da un utente di un mezzo di comunicazione elettronica o sull’ubicazione delle apparecchiature terminali da costui utilizzate, per finalità di prevenzione, ricerca, accertamento e perseguimento di reati, senza che tale accesso sia circoscritto a procedimenti aventi per scopo la lotta contro forme gravi di criminalità o la prevenzione di gravi minacce alla sicurezza pubblica;
– la direttiva, letta alla luce della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europe osta a una normativa nazionale che investa il pubblico ministero della competenza ad autorizzare l’accesso ai dati relativi al traffico e ai dati relativi all’ubicazion
fine di condurre un’istruttoria penale, dovendo il controllo preventivo essere rimesso a un giudice o a una autorità amministrativa indipendente, comunque diversa dall’autorità richiedente.
5.3. In epoca successiva alla succitata pronuncia della Corte di giustizia, è stato adottato il d.l. 30 settembre 2021, n. 132 (Misure urgenti in materia di giustizia e di difesa, nonché proroghe in tema di referendum, assegno temporaneo e IRAP), entrato in vigore il 30 settembre 2021, al fine dichiarato di adeguare la disciplina nazionale ai principi enunciati dalla Corte di giustizia nella sentenza del 2 marzo 2021. Il preambolo del decreto-legge richiama, infatti, proprio «la straordinaria necessità ed urgenza di garantire la possibilità di acquisire dati relativi al traffico telefonico e telematico per fini di indagine penale nel rispetto d principi enunciati dalla Grande sezione della Corte di giustizia dell’Unione europea nella sentenza del 2 marzo 2021, causa C-746/18, e in particolare di circoscrivere le attività di acquisizione ai procedimenti penali aventi ad oggetto forme gravi di criminalità e di garantire che dette attività siano soggette al controllo di un’autorit giurisdizionale». L’art. 1 del decreto-legge, intitolato «Disposizioni in materia di acquisizione dei dati di traffico telefonico e telematico per fini di indagine penale» ha, dunque, riscritto l’art. 132, terzo comma, del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, prevedendo che «entro il termine di conservazione imposto dalla legge, se sussistono sufficienti indizi di reati per i quali la legge stabilisce la pe dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni determinata a norma dell’art. 4 cod. proc. pen., e di reati di minaccia e di molestia o disturbo alle persone col mezzo del telefono, quando la minaccia, la molestia e il disturbo sono gravi, ove rilevanti ai fini della prosecuzione delle indagini, i dati son acquisiti presso il fornitore con decreto motivato del giudice su richiesta del pubblico ministero o su istanza del difensore dell’imputato, della persona sottoposta a indagini, della persona offesa e delle altre parti private»; il comma 3-bis della medesima disposizione normativa, poi, prevede quanto segue: «Quando ricorrono ragioni di urgenza e vi è fondato motivo di ritenere che dal ritardo possa derivare grave pregiudizio alle indagini, il pubblico ministero dispone la acquisizione dei dati con decreto motivato che è comunicato immediatamente, e comunque non oltre quarantotto ore, al giudice competente per il rilascio dell’autorizzazione in via ordinaria. Il giudice, nelle quarantotto ore successive, decide sulla convalida con decreto motivato». Per effetto di tale novella, dunque, l’acquisizione dei tabulati telefonici e informatici è stata subordinata a un previo controllo giurisdizionale sulla richiesta del pubblico ministero (o a una convalida successiva, in caso di acquisizione operate in via di urgenza dal pubblico ministero) e il potere di acquisire i tabulari è stato conferito all’autorità giudiziaria, solo reati tassativamente indicati e ritenuti gravi dal legislatore. Il testo originario Corte di Cassazione – copia non ufficiale
decreto-legge, tuttavia, non ha contemplato una disciplina transitoria relativa ai dati di traffico telefonico e telematico già acquisiti nel corso di procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore del decreto-legge, lasciando permanere le incertezze interpretative sopra indicate.
5.4. In questo contesto normativo, la giurisprudenza di legittimità aveva affermato che, in tema di acquisizione dei dati esterni del traffico telefonico e telematico, la disciplina introdotta dall’art. 1 del d.l. 30 settembre 2021, n. 132, convertito dalla legge 23 novembre 2021, n. 178 – che ne limita la possibilità di acquisizione, ai fini di indagine penale, ai reati più gravi, o comunque commessi col mezzo del telefono, attraverso il filtro del provvedimento motivato del giudice – non fosse applicabile ai dati già acquisiti, nei procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore del decreto, trattandosi di disciplina di natura processuale (Sez. 5, n. 1054 del 06/10/2021, dep. 2022, Valea, Rv. 282532 – 01). La legge 23 novembre 2021, n. 178, in sede di conversione del decreto legge, oltre ad apportare alcuni correttivi alla disciplina dell’acquisizione, ha però dettato una norma transitoria, volta specificamente a superare i contrasti interpretativi insorti, in ordine all’utilizzabilità dei tabulati telefonici acquisiti dal Pubblico minister forza della disciplina previgente. La legge di conversione n. 178 del 2021, con l’inserimento del comma 1-bis all’interno dell’art. 1 del D.L. n. 132 del 2021 ha stabilito, dunque, che i dati relativi al traffico telefonico, acquisiti nei procedimen penali prima della entrata in vigore del D.L. n. 132 del 2021 «possono essere utilizzati a carico dell’imputato solo unitamente ad altri elementi di prova ed esclusivamente per l’accertamento dei reati per i quali la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni, determinata a norma dell’art. 4 c.p.p. e dei reati di minaccia e di molestia o disturbo alle persone con il mezzo del telefono, quando la minaccia, la molestia o il disturbo sono gravi». Il legislatore, pertanto, in deroga al principio del tempus regit actum, ha “convalidato” la pregressa modalità acquisitiva dei tabulati del traffico telefonico, effettuata attraverso il decreto motivato del pubblico ministero, prevedendo che gli stessi possano essere utilizzati come prova a carico dell’imputato, solo laddove siano riconducibili alla categoria già delineata “per il futuro” dal D.L. n. 132 del 2021 ed «unitamente ad altri elementi di prova». Corte di Cassazione – copia non ufficiale
5.5. Gli «altri elementi di prova» che, ai sensi della norma transitoria di cui all’art. 1, comma 1-bis, d.l. 30 settembre 2021, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2021, n. 178, devono confortare i cd. dati “esteriori” delle conversazioni, ai fini della formulazione del giudizio d colpevolezza, possono essere di qualsiasi tipo e natura, in quanto non sono tipizzati o, almeno, predeterminati nella specie e nella qualità; possono ricomprendere, pertanto, non solo le prove storiche dirette, ma anche quelle
indirette, legittimamente acquisite e che si rivelino idonee – anche sul piano della mera consequenzialità logica – a corroborare il mezzo di prova ritenuto ex lege bisognoso di conferma (in giurisprudenza, si veda Sez. 2, n. 11283 del 03/02/2023, COGNOME, Rv. 284600, a mente della quale: «In tema di acquisizione dei dati esterni del traffico telefonico e telematico, la disciplin transitoria introdotta dall’art. 1-bis d.l. 30 settembre 2021, n. 132, inserito, in sede di conversione, dalla legge 23 novembre 2021, n. 178 – a termini del quale i tabulati acquisiti nei procedimenti penali prima dell’entrata in vigore del d.l. n 132 cit. possono essere utilizzati a carico dell’imputato solo unitamente ad altri elementi di prova ed esclusivamente in relazione ai reati indicati dal riscritto art. 132, comma 3, d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 – ha efficacia retroattiva, derogando espressamente al principio del tempus regit actum ed è applicabile anche nel giudizio di legittimità, dovendo considerarsi il procedimento probatorio non ancora esaurito allorquando la Corte sia stata investita del sindacato sulla valutazione dei tabulati non più rimessa al libero convincimento del giudice di merito»; nello stesso senso si è espressa Sez. 5, n. 38213 del 15/09/2022, NOME COGNOME, Rv. 283875; così anche Sez. 5, n. 8968 del 24/02/2022, COGNOME, Rv. 282989, che riprende – sul punto specifico – Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 255145; si veda, infine, Sez. 3, n. 48737 del 25/09/2019, R., Rv. 277353).
5.6. Alla stregua dei rilievi che precedono, la censura difensiva attinente alla valenza probatoria dei dati esteriori emergenti dalle comunicazioni telefoniche, acquisiti in epoca antecedente al 30 settembre 2021, deve essere decisa non già sulla base della disciplina previgente, bensì dello ius superveniens. Il regime di utilizzabilità e la valenza probatoria dei tabulati acquisiti dal Pubblico ministero quindi, non sono più disciplinati dalla formulazione previgente dell’art. 132, comma 3, del d.lgs. n. 196 del 2003, essendo la materia regolata, invece, dall’art. 1, comma 1-bis, decreto legge 30 settembre 2021, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2021, n. 178, il quale ha efficacia retroattiva e, dunque, deroga espressamente al principio del tempus regit actum. Tale disposizione, in sostanza, deve trovare applicazione – quale paradigma vigente di legalità, in tema di utilizzazione dei tabulati e valutazione della prova anche nel giudizio di legittimità, in quanto il procedimento probatorio deve considerarsi ancora in fieri, allorquando la Corte di cassazione sia stata investita del sindacato sulla motivazione, relativa alla valutazione delle prove compiuta dal giudice di merito.
5.7. Muovendo da tali ancoraggi ermeneutici, deve rilevarsi come, nel caso di specie, i tabulati telefonici abbiano fatto ingresso nel patrimonio conoscitivo processuale – secondo le modalità di acquisizione all’epoca vigenti – ai fini
dell’accertamento di un reato che, ovviamente, rientra nel catalogo di reati gravi delineato dal legislatore. La sentenza impugnata, inoltre, soddisfa pienamente la nuova regola di valutazione dell’efficacia probatoria dei tabulati telefonici, in quanto l’affermazione di colpevolezza a carico di NOME COGNOME è stata argomentata, da parte della Corte territoriale, ricorrendo tanto ai dati esteriori del traffico telefonico (essenzialmente, contatti e collocazione dei vari interlocutori), quanto da un ampio coacervo di rilevanti elementi sintomatici e indizianti. Questi ultimi, di tenore logico-deduttivo, nonché di natura dichiarativa e, infine, di carattere fenomenico e oggettivo, devono ritenersi dotati di una autonoma forza evocativa, tanto che avrebbero potuto condurre ex se all’affermazione di penale responsabilità.
6. Il primo motivo attiene alla ricostruzione storica e oggettiva della vicenda; in particolare, verte sul fatto che il veicolo Doblò in uso all’imputato potesse trasportare un corpo inanimato. La difesa propone, inoltre, una diversa lettura – e, correlativamente, l’attribuzione di una differente valenza evocativa alla testimonianza resa da NOME COGNOME (laddove ella ha affermato che il COGNOME e la COGNOME colloquiassero, quel giorno, in maniera serena e che ella non li vide uscire insieme, dall’abitazione dell’anziana donna) e sottolinea come nessuno abbia riferito di aver visto la Di Martino uscire dall’ingresso di INDIRIZZO Non vi chi non rilevi come tali motivi presentino, in maniera davvero palese, una marcata impronta rivalutativa e fattuale, risolvendosi nell’invitare questo Collegio all’effettuazione di un giudizio eminentemente versato nel merito.
6.1. Pare allora sufficiente richiamare la dettagliata e coerente spiegazione fornita dalla Corte territoriale, circa il fatto che il COGNOME sia sicuramente l’ult persona vista in compagnia della vittima, con la quale – in forza di una ferrea deduzione logica – deve essere necessariamente uscito dall’abitazione, posto che ella non deambulava autonomamente; tale dato, di carattere oggettivo, viene dai Giudici di secondo grado correttamente saldato alle contraddizioni esistenti nella versione dell’uomo (si veda quanto riportato alla pagina numero 38 della sentenza impugnata). Sostiene inoltre la Corte distrettuale – confrontandosi in maniera coerente e completa con le obiezioni difensive – come non possa che essere frutto di una mera congettura, immaginare che la COGNOME possa, quel giorno, essere uscita dall’abitazione da sola, potendosi dare per acclarato che ella non uscisse mai, se non accompagnata (così a pagina 40 della sentenza impugnata).
6.2. La Corte di assise di appello di Catania si è adeguatamente soffermata, infine, sulla valenza dimostrativa da attribuire alla dichiarazione resa dalla COGNOME (nel frattempo deceduta), alla quale aveva fatto riferimento anche la sentenza rescindente; la Corte territoriale, però, giudica tale testimonianza del
tutto ininfluente (la COGNOME dichiara solo di aver visto l’imputato a bord furgone, ma non afferma che fosse solo).
6.3. Secondo la sentenza impugnata, infine, la vittima non è stata ucci in casa, bensì in altro luogo (come la Corte distrettuale desume, sia dal manc ritrovamento di uno dei bastoni tripodi che la COGNOME adoperava per aiutar nella deambulazione, sia dalla totale assenza di tracce ematiche all’int dell’appartamento); ciò rende irrilevanti le conclusioni sussunte nella relaz datata 29/07/2005, a firma dell’Ispettore COGNOME e dell’Agente Scelto COGNOME, c ha escluso che il cadavere della donna possa esser stato trasportato all’es dell’abitazione e caricato nel veicolo in uso all’imputato (pagina 43 della sen impugnata).
7.1. Pare anzitutto utile sottolineare come la critica difensiva atteng via esclusiva, alle dichiarazioni risalenti ai giorni 23 e 25 febbraio; ciò in q stessa Corte distrettuale ha ritenuto non utilizzabili le sommarie informazioni ad opera dello stesso imputato, nel successivo mese di maggio. Tali dichiarazio come detto rese in veste di sommario informatore, rivestono una basilar importanza, in quanto essenziali ai fini della emersione di un alibi falso. La
le ritiene utilizzabili, per essere state rese quando ancora non erano emersi indizi non equivoci di reità, a carico di COGNOME, bensì solo vaghi sospetti (così nella sentenza impugnata, alla pagina numero 20). Stando a tale impostazione, erano solo inconferenti sospetti sia il fatto di avere il furgone pulito, nonostante le recent piogge, sia il ritrovamento del fazzoletto intriso di sangue, sia la sparizione dei soldi prelevati in banca, previa monetizzazione di un titolo di proprietà della suocera (ibidem, pagina 22). Aggiunge la Corte territoriale, correttamente, che le attività sia di captazione telefonica e ambientale, sia di perquisizione veicolare non postulano indizi a carico del soggetto che ne sia destinatario, per cui non assumono valenza alcuna, quanto alla veste processuale da attribuire a quest’ultimo.
7.2. Il principio di diritto che governa la materia è ben scolpito, da una ormai risalente e consolidata giurisprudenza di legittimità. E infatti: «La sanzione di inutilizzabilità “erga omnes” delle dichiarazioni assunte senza garanzie difensive da un soggetto che avrebbe dovuto fin dall’inizio essere sentito in qualità di imputato o persona soggetta alle indagini, postula che a carico dell’interessato siano già acquisiti, prima dell’escussione, indizi non equivoci di reità, come tali conosciuti dall’autorità procedente, non rilevando a tale proposito eventuali sospetti od intuizioni personali dell’interrogante» (Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, COGNOME, Rv. 243417; Sez. 2, n. 20936 del 07/04/2017, COGNOME, Rv. 270363). A tale principio, si salda l’ulteriore ancoraggio ermeneutico, a mente del quale l’accertamento in ordine alla già avvenuta emersione – a carico del dichiarante – di indizi di reità, rappresenta una questione di fatto, che non è censurabile in sede di legittimità, laddove risulti adeguatamente motivata (così Sez. U., n. 15208 del 25/02/2010, Mills, Rv. 246584: «In tema di prova dichiarativa, allorché venga in rilievo la veste che può assumere il dichiarante, spetta al giudice il potere di verificare in termini sostanziali, e quindi al di là riscontro di indici formali, come l’eventuale già intervenuta iscrizione nominativa nel registro delle notizie di reato, l’attribuibilità allo stesso della qualità di inda nel momento in cui le dichiarazioni stesse vengano rese, e il relativo accertamento si sottrae, se congruamente motivato, al sindacato di legittimità»). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
7.3. La Corte distrettuale – sul punto specifico – ha adottato una motivazione congruente e priva del pur minimo vuoto concettuale, chiarendo in modo consono le ragioni poste a fondamento della ritenuta utilizzabilità delle sopra dette dichiarazioni. I Giudici di appello, infatti, hanno richiamato le dichiarazion – tra loro perfettamente concordi – rese in dibattimento da due testi di polizia giudiziaria, ossia gli ispettori NOME COGNOME e NOME COGNOME. Questi hanno chiarito che i primi elementi di carattere non equivoco si addensarono, sulla posizione di COGNOME soltanto a seguito dell’acquisizione dei tabulati telefonici, pervenuti il 2 e il 3 marzo 2005; solo da tali dati, in effetti, poté evincersi la natu
fortemente contraddittoria, di alcuni fondamentali passaggi presenti nella ricostruzione offerta dal prevenuto.
Sviscerando ancor meglio il tema dell’emersione di non equivoci elementi indiziari a carico dell’imputato, la Corte territoriale ha anche chiarito come l’attivit di intercettazione fosse stata avviata ad ampio raggio, sarebbe a dire a carico dell’intera cerchia dei familiari della persona scomparsa. Quanto agli ulteriori aspetti sussunti nell’atto di impugnazione, non oltrepassavano la soglia del mero sospetto, contrariamente alla prospettazione difensiva:
né la constatazione, da parte degli organi inquirenti, delle condizioni del furgone (tanto che fu successivamente necessario, per dare un substrato contenutistico apprezzabile a tale labile sospetto, effettuare meticolose ricerche presso gli autolavaggì della zona);
né il rinvenimento, presso l’abitazione del prevenuto, di un fazzoletto intriso di sangue, poi rivelatosi del tutto inutile ai fini dello sviluppo delle investigazioni Corte ha sul punto sottolineato, correttamente, come gli atti di perquisizione locale e conseguente sequestro possano essere eseguiti anche nei confronti di soggetto non indagato);
né il mancato ritrovamento, sul conto della vittima, della somma di euro 46.000,00 e, consequenzialmente, il disvelamento di un possibile movente omicidiario (la Corte ha anzi evidenziato come, essendo ben noto come NOME fosse delegato ad operare sul conto corrente della suocera, gli inquirenti avessero addirittura ipotizzato – nella fase primigenia delle indagini – che la vittima avesse scelto di allontanarsi volontariamente, portando con sé la suddetta somma di denaro, monetizzata in sua vece dal genero).
La Corte di assise di appello non ha mancato di sottolineare, infine, come le sommarie informazioni testimoniali de quibus siano state assunte nei giorni 23 e 25 febbraio 2005, ossia, rispettivamente, l’indomani e tre giorni dopo la scomparsa di NOME COGNOME; un dato oggettivo, questo, che rende ancor meno plausibile che si fosse già verificata l’emersione, a carico di COGNOME, di indizi non equivoci di reità, che potessero esser tali da imporne l’audizione previa apprestamento – nei suoi confronti – delle garanzie difensive. Dal censurato apparato argomentativo non emergono carenze o spunti di contraddittorietà logica o intratestuale – la doglianza difensiva non può che essere disattesa.
Con il terzo motivo, viene stigmatizzata l’attribuzione, da parte dei Giudici di merito, di una valenza dimostrativa che sì reputa essere ridondante, a quello che – secondo il costrutto accusatorio – sarebbe stato il movente dell’assassinio; movente che, comunque, non sarebbe autonomamente in grado di elidere le profonde distonie e aporie logiche, riscontrabili nel tessuto
argomentativo della sentenza di condanna. Sarebbe restato incerto il dato dell’appropriazione del denaro, da parte del COGNOME il quale non versava in precarie condizioni economiche ed aveva sempre mostrato disponibilità nei confronti della suocera.
Non vi è chi non rilevi, in primo luogo, come si tratti di una censura interamente versata in fatto, che si limita a contrastare le conclusioni raggiunte in sede di merito, domandando niente altro, se non una rivalutazione delle prove ad opera di questa Corte. Il tema del movente dell’azione omicidiaria, ad ogni modo, è affrontato dalla Corte territoriale in maniera esaustiva, dettagliata e coerente e le ragioni poste a fondamento delle conclusioni raggiunte sono esposte in forma lineare e priva del pur minimo spunto di contraddittorietà (si vedano le pagine numero 44 e seguenti della sentenza impugnata). La Corte di assise di appello, inoltre, analizza compiutamente la questione inerente alla consegna del denaro alla Di Martino, ricordando come due testi (La Spina e Ingallna) abbiano recisamente negato di avervi assistito; il fatto è invece suffragato dalle dichiarazioni rese dalla alla moglie e dal figlio del prevenuto, che la Corte – con motivazione ancora una volta congruente e lineare – ritiene essere testi non attendibili (ibidem, pagina 45 e seguenti; vedere inoltre quanto scritto alla pagina numero 48, circa le ragioni della ritenuta inaffidabilità di NOME COGNOME). Ma anche la problematica inerente alla condizione di difficoltà economica che, in quel periodo, attanagliava l’imputato è adeguatamente scandagliata dalla Corte distrettuale (pagina numero 51 della sentenza impugnata). In definitiva, la questione del movente – sebbene essa abbia percorso, come una corrente invisibile, l’intera trama dibattimentale – deve ritenersi analizzata e risolta, nella sentenza impugnata, con una motivazione coerente, logica e, pertanto, del tutto immune da qualsivoglia stigma in sede di legittimità. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
9. Con il quarto motivo, la difesa pone il tema della riqualificazione giuridica, in presenza di un fatto che definisce indefinito e indeterminabile, tanto che mancherebbe – sempre in ipotesi difensiva – qualsiasi prova, in ordine alla sussistenza del dolo omicidiario. Si prospetta, sul punto, la sussistenza di una reformatio in peius, dato che la riqualificazione in omicidio preterintenzionale, con esclusione dell’aggravante della premeditazione, non era stata fatta oggetto di impugnazione ad opera del Pubblico ministero e, quindi, non avrebbe potuto essere oggetto di rivisitazione in sede di giudizio di rinvio. La riforma peggiorativa, in sostanza, scaturirebbe dalla condanna per un titolo di reato più grave, sebbene sia rimasta intonsa la pena irrogata.
9.1. Richiamando e integrando quanto sopra esposto, può ricordarsi come la vicenda processuale concernente NOME COGNOME muova da una originaria
imputazione per omicidio volontario. In primo grado, vi è stata la riqualificazione giuridica del fatto contestato, con conseguente condanna dell’imputato per il delitto omicidio preterintenzionale; a seguito di gravame interposto dal solo imputato, tale pronuncia è stata confermata in appello. La Corte di cassazione ha disposto l’annullamento di tale sentenza, essenzialmente in ordine ai profili della ricostruzione della dinamica del fatto e della responsabilità dell’imputato. La decisione oggi impugnata ha ritenuto il fatto storico conforme al paradigma normativo originariamente ascritto, pronunciando condanna per il reato di omicidio aggravato e, consequenzialmente, confermando la pena irrogata in primo grado.
9.2. Tale iter processuale, contrariamente alla tesi propugnata dalla difesa, deve ritenersi del tutto corretto e coerente con il sistema processualpenalistico. La norma alla quale occorre fare riferimento è l’art. 597, comma 3, cod. proc. pen., che dispone espressamente che: “quando appellante è il solo imputato, il giudice non può irrogare una pena più grave per specie o quantità, applicare una misura di sicurezza nuova o più grave, prosciogliere l’imputato per una causa meno favorevole di quella enunciata nella sentenza appellata né revocare benefici, salva la facoltà, entro i limiti indicati nel comma 1, di dare al fatto una definizio giuridica più grave, purché non venga superata la competenza del giudice di primo grado”. Se ne deduce che – in presenza di gravame interposto esclusivamente dall’imputato – il giudice di appello può “dare al fatto una definizione giuridica pi grave”, purché “entro i limiti indicati nel comma 1”. Ed il comma 1, richiamato dal citato art. 597, comma 3, dispone che “l’appello attribuisce al giudice di secondo grado la cognizione del procedimento limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti”. L’inevitabile corollario del coordinamento fra ta disposizioni codicistiche è rappresentato dal fatto che “i limiti indicati nel comma 1” di cui al succitato comma 3, sono i limiti generali della cognizione del giudice di secondo grado, dinanzi al quale il rapporto processuale si incardina solo “limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti” . Il principio di diritto, dal quale questo Collegio non vede ragioni per discostarsi, è allora nel senso che – tranne che nel caso di annullamento, ad opera della Corte di cassazione, che sia incentrato su questioni di natura esclusivamente processuale – si realizza una riforma peggiorativa laddove venga Corte di Cassazione – copia non ufficiale
attribuita, nel giudizio di rinvio, una qualificazione giuridica più grave al fat contestato, a patto però che tale questione non abbia fatto parte del devoluto in sede di gravame.
9.3. Nel caso in esame, l’appello interposto dall’imputato aveva incardinato, quindi, sull’intero capo il rapporto processuale di secondo grado; il punto della decisione attinente alla qualificazione giuridica del fatto, dunque, era stato devoluto alla cognizione del giudice di secondo grado.
I concetti di “capi” e “punti” della decisione, non definiti dal codice di rito ma fondamentali nel sistema del diritto delle impugnazioni, sono ormai individuati in modo univoco, grazie alla pluriennale stratificazione della giurisprudenza di legittimità. Già Sez. U., n. 1 del 19/01/2000, COGNOME, Rv. 216239 rilevò che la nozione di capo della sentenza «è riferita soprattutto alla sentenza plurima o cumulativa, caratterizzata dalla confluenza nell’unico processo dell’esercizio di più azioni penali e dalla costituzione di una pluralità di rapporti processuali, ciascuno dei quali inerisce ad una singola imputazione, sicché per capo deve intendersi ciascuna decisione emessa relativamente ad uno dei reati attribuiti all’imputato». Nel precisare questo concetto Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268823 aggiunse trattarsi di “un atto giuridico completo, tale da poter costituire anche da solo, separatamente, il contenuto di una sentenza”. Quanto al concetto di punti della decisione, la pronuncia COGNOME affermò che “ad ogni capo corrisponde una pluralità di punti della decisione, ognuno dei quali segna un passaggio obbligato per la completa definizione di ciascuna imputazione, sulla quale il potere giurisdizionale del giudice non può considerarsi esaurito se non quando siano stati decisi tutti i punti, che costituiscono i presupposti della pronuncia finale su ogni reato, quali l’accertamento del fatto; l’attribuzione di esso all’imputato, la qualificazione giuridica, l’inesistenza di cause di giustificazione, l colpevolezza, e – nel caso di condanna – l’accertamento delle circostanze aggravanti ed attenuanti e la relativa comparazione, la determinazione della pena, la sospensione condizionale di essa, e le altre eventuali questioni dedotte dalle parti o rilevabili di ufficio”. Il concetto è stato ribadito dalla pronuncia Galte secondo cui il punto della decisione ha una portata più ristretta di quella di capo, in quanto riguarda “tutte le statuizioni suscettibili di autonoma considerazione necessarie per ottenere una decisione completa su un capo, tenendo presente, però, che non costituiscono punti del provvedimento impugnato le argomentazioni svolte a sostegno di ciascuna statuizione”. Tali concetti sono stati ancora fissati, in termini sostanzialmente sovrapponibili, ad opera di Sez. U., n. 3423 del 29/10/2020, dep. 2021, COGNOME, rv. 280261. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
9.4. La “qualificazione giuridica del fatto” è infine, per citare ancora la pronuncia COGNOME delle Sezioni Unite, un “passaggio obbligato per la definizione
di una imputazione”. In conclusione, il sopra esposto principio di diritto deve ritenersi ben applicato, ad opera della Corte di assise di appello, non potendosi ravvisare violazione alcuna del divieto di reformatio in peius.
10. Con il quinto motivo, la difesa censura la situazione di perdurante incertezza, che residuerebbe dalla lettura della sentenza impugnata, con riferimento ad alcuni dati fondamentali della ricostruzione degli accadimenti per i quali è processo. Sarebbero restati ignoti, infatti, il tempo e il luogo dell’omicidio nonché la dinamica dello stesso e sarebbe rimasto sconosciuto, infine, il luogo nel quale sarebbe avvenuto l’occultamento del cadavere.
10.2. Giova però precisare – per sola completezza di analisi e di esposizione come la Corte distrettuale abbia affrontato scrupolosamente tutte le problematiche evidenziate dalla difesa, non sottraendosi mai al dialogo con le deduzioni difensive. I Giudici – contrariamente all’assunto difensivo – hanno infatti contestualizzato in modo consono:
10.1. La prospettazione difensiva tende – anche sul punto – ad ottenere una inammissibile nuova ricostruzione dei fatti, mediante l’adozione di criteri valutativi distonici, rispetto a quelli adottati dal giudice di merito; questi, però, co motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento. Appare chiaro, del resto, come la censura si confronti direttamente con i dati processuali, piuttosto che con la motivazione della sentenza secondo il paradigma stabilito dall’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., in forza del quale il vizio della motivazione – perché possa avere dignità nel giudizio di legittimità – deve essere desumibile dal testo del provvedimento impugnato. L’inosservanza di tale regola interpretativa comporta che le censure attengano in via immediata e diretta – al merito della decisione impugnata, introducendo una rivalutazione in fatto che è preclusa nel giudizio di legittimità. La difesa, infatti, ogni singolo aspetto ed in relazione ai plurimi punti dedotti, propone una lettura alternativa del medesimo materiale probatorio esaminato dai giudici di merito, così limitandosi a proporre una apodittica e tautologica ipotesi ricostruttiva di quanto accaduto; una attività, come già detto, preclusa alla Corte di Cassazione (Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, Rv 269217). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
i tempi della realizzazione del fatto omicidiario e dell’occultamento del cadavere, all’uopo valorizzando il valore dimostrativo sia dei ripetuti contatti telefonic intercorsi, fra l’imputato e il fratello, sia la univoca significazione del percors stradale seguito dai due;
la tenuta narrativa e l’affidabilità dei testi a discolpa, la cui mancata audizione era stata stigmatizzata dalla Cassazione, uno solo dei quali – ossia NOME COGNOME – ha ricordato di aver incontrato Maurici il giorno dell’omicidio in Santa
Croce di Cannerina e di aver comprato della biancheria (tale testimonianza è sta però bollata come insignificante dalla Corte territoriale, risalendo evidenteme il ricordo della teste ad epoca posteriore rispetto al fatto, come esposto alla p numero 59 della sentenza impugnata);
la insostenibilità delle svariate tesi alternative propugnate dalla d alternativamente fondate sulla prospettazione o di un allontanamento volontari della anziana donna (del tutto impensabile, per essere ella afflitta da gr insormontabili difficoltà di deambulazione), o sull’intervento di terzi ignoti parimenti ben sviscerata dalla Corte, ma giudicata non plausibile, in quan fortemente congetturale e non aderente ad alcuno degli elementi probatori raccolti, come ben espresso alla pagina n. 69 della sentenza impugnata);
le ragioni della sussistenza della natura volontaria del fatto omicidiario, sub specie di dolo d’impeto, ritenuto desumibile: 1) dal complessivo rapporto intercorrente fra il genero e la suocera, con il primo che – del tutto pacifica – nutriva ragguardevoli aspettative economiche, nei confronti della donna; 2) d carattere sicuramente collerico del prevenuto, la cui indole era certo compatib con accesso d’ira incontrollabile e dagli sviluppi imprevedibili; 3) comportamento successivamente adottato dall’imputato, il quale non ha cercato alcun aiuto e, anzi, ha proceduto alla soppressione del cadavere, mai più rinvenu nonostante estenuanti e certosine ricerche.
Grazie al perfetto combaciare di tali elementi, la Corte territoriale re assodato che NOME COGNOME e NOME COGNOME abbiano avuto una discussione, la cui scaturigine è da rinvenire nella volontà del primo di non restituire la s di denaro monetizzata in banca e che l’uomo – con una (non determinabile) condotta violenta – l’abbia uccisa (così a pag. 77 e seguenti della sent impugnata). Il ricorrente, invece, propone una valutazione parcellizzata di alc elementi costituenti il ponderoso e concludente compendio probatorio, evitando di confrontarsi con la lettura, insieme individuale e complessiva, che di essi off sentenza impugnata.
10.3. Per completezza di esposizione, pare infine utile sottolineare come Corte di assise di appello di Catania si sia adeguatamente soffermata anche s tema – fondamentale pure nella prospettiva difensiva – della valenza probatoria riconnettere all’alibi mendace (tema ampiamente sviscerato, nelle pagine ch vanno dalla numero 62 alla numero 64 della sentenza impugnata).
Sotto il profilo sistematico e concettuale, gli argomenti condotti a prop discarico dagli imputati devono essere incastonati in un ambito interpretativo de prova quanto mai vasto ed onnicomprensivo. Essi non possono mai costituire, dunque, un momento processuale a sé stante, scisso dall’intero contesto. Si tra di un profilo probatorio che rientra a pieno titolo, pertanto, nella valuta
demandata al giudicante, secondo i canoni generali del libero convincimento. Il patrimonio probatorio disponibile, pertanto, si compone anche delle dichiarazioni rese dall’imputato o indagato, siano esse di tenore confessorio o eteroaccusatorio, siano magari meramente tese ad allontanare le incolpazioni, o concretizzino infine una chiamata di correo. È però metodologicamente scorretto limitarsi a valorizzare in senso negativo, ai fini dell’assunzione della decisione finale, eventuali dichiarazioni offerte dall’imputato, o anche comportamenti commissivi o omissivi; scelte che rappresentino, invece, espressione di diritti soggettivi o di facoltà processuali espressamente garantite dall’ordinamento. Condotte quali il silenzio, o anche l’ostinata ed inverosimile negazione, infatti, rientrano pur sempre nell’esteso novero dei diritti di difesa e costituiscono, comunque, espressione delle libere ed insindacabili scelte strategiche difensive. Di ben diverso valore è, al contrario, il procedimento razionale che consente di fondare un convincimento di reità non sulla attribuzione di un’accezione implicitamente confessoria al mero silenzio, o magari alla ricostruzione inattendibile promanante dall’imputato; che autorizza invece a basarsi sulla attribuzione, a tali condotte, di un semplice valore di riscontro, rispetto ad un materiale probatorio gravante sul soggetto e che si riveli, già intrinsecamente, dotato dei caratteri di concludenza e decisività. In quest’ottica l’assenza di spiegazione, o anche la proposizione di una ricostruzione non veritiera rispetto alle accuse rivoltegli (ossia in altri termini l’alibi del soggetto) postula dunque sempre un vaglio estremamente severo. Ma di per sé, l’alibi non costituisce un elemento immediatamente pregiudizievole per il dichiarante. È pienamente immaginabile, insomma, un alibi semplicemente non rispondente al vero e, dunque, mera espressione del diritto di difesa dell’imputato. Una differente valenza evocativa, al contrario, rivestirà l’alibi fasullo, palesemente mendace. L’alibi che risulti artificiosamente costruito, eventualmente combinando ed affastellando secondo convenienza una pluralità di circostanze inventate, fino a comporre un vero e proprio mosaico di menzogne. Ciò realizzerà un alibi non soltanto non veritiero, bensì mendace. E questo potrà essere valutato alla stregua di un elemento fortemente sintomatico del tentativo di sottrarsi – mediante astuta macchinazione – all’accertamento della verità. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
La differenza di fondo tra le due situazioni sopra descritte risiede allora nel fatto che un alibi semplicemente fallito non potrà costituire prova a carico, non essendo compito dell’accusato dimostrare la propria innocenza; un alibi fasullo, al contrario – ove si incentri su aspetti essenziali della vicenda e sia astrattamente idoneo a sottrarre il reo ad un giudizio di colpevolezza – si potrà inserire a pieno titolo nel meccanismo di formazione del convincimento del giudice (il principio di diritto è risalente e mai rivisitato, a partire da Sez. U., n. 1653 del 21/10/1992, dep. 1993, Marino, Rv. 192470, che ha così statuito: «In tema di prove, mentre
la mancanza o il fallimento dell’alibi dell’imputato è irrilevante, può invece valutata GLYPH sfavorevolmente GLYPH nei GLYPH suoi GLYPH confronti GLYPH la GLYPH proposizione GLYPH di un alibi riconosciuto mendace, perché tale comportamento rivela una consapevolezza dell’illiceità della condotta che si mira a nascondere alla gius Il principio tuttavia va calato nelle situazioni concrete, sicché il giud valorizzare la deduzione dell’alibi falso come indizio da considerare nel comple delle emergenze processuali, non trascurando però l’esame delle specific situazioni obiettive, le quali, nella loro peculiarità, possono svuotar comportamento della sua rilevanza probatoria negativa»; così anche, fra tant Sez. 5, n. 37317 del 14/06/2019, COGNOME, Rv. 276647; Sez. 2, n. 506 del 15/12/2005, dep. 2006, COGNOME, Rv. 233230; Sez. 2., n. 11840 de 04/02/2004, COGNOME, Rv. 228386).
10.4. Di tali principi di diritto, la Corte territoriale ha mostrato di sa buon governo, allorché sottolinea l’insanabile contrasto riscontrabile, rispett risultanze sia telefoniche sia dei tabulati, nelle versioni successivamente pro dall’imputato; questi infatti ha inverosimilmente sostenuto, venen immediatamente smentito dai dati oggettivi ricavabili dai tabulati:
di aver fatto rientro in casa subito dopo aver lasciato la suocera, rimanen per l’intero pomeriggio;
di essersi recato, dopo aver lasciato a casa la Di Martino, in Santa Croce, avrebbe dovuto riscuotere dei crediti dai clienti.
La natura mendace delle giustificazioni addotte dal prevenuto viene valutata dalla Corte distrettuale, inoltre, in rapporto ai reiterati te depistaggio delle indagini, attuati mediante l’eliminazione delle microspie telefonate effettuate in data 3 marzo 2005 da una cabina telefonica ubicata Modica; in tale occasione un anonimo interlocutore, poi identificato in NOME COGNOME, fratello dell’imputato, aveva comunicato a NOME COGNOME come l madre NOME COGNOME stesse bene. Infine, i Giudici di appello ricordano come l stessa moglie dell’imputato – nell’immediatezza dei fatti e prima di raggiunger Questura, la sera del 22 febbraio 2005 – abbia propinato alla succitata so NOME una versione che nella sentenza impugnata è, giustamente, defini “anomala”; secondo tale versione, COGNOME era restato in casa per assistere la f più piccola colpita da attacco febbrile (una versione confliggente con il fatt poco prima NOME COGNOME, figlio dell’imputato, aveva detto alla zia che il padre si trovava in casa). Una discordanza di narrazioni che, secondo la Co distrettuale, trova l’unica spiegazione sostenibile nel tentativo – posto in da parte dell’imputato – di costruirsi un alibi con la complicità della moglie. base ditali elementi, la Corte di assise di appello, dunque, ha affermato la n mendace dell’alibi propugnato da COGNOME giungendo a conclusioni di ineccepibil
saldezza concettuale, attraverso un percorso argomentativo lineare, coerente con i canoni della logica e privo della pur minima contraddizione.
Il sesto motivo, da ritenersi inammissibile perché rivalutativo, attiene alle regole di formazione della prova a carico, assumendosi da parte della difesa la sussistenza di un incongruo coordinamento, fra elementi dimostrativi di eterogenea ed incerta genesi e di scarso valore semantico, che la Corte territoriale avrebbe impropriamente ritenuto essere tra loro collimanti. In particolare, residuerebbe una situazione di scarsa saldezza ricostruttiva, con riferimento:
al dato della consegna della somma di denaro in contanti (con il correlato tema della ubicazione delle stanze dell’appartamento della Di Martino, posizionamento che non avrebbe consentito alle persone presenti di scorgere il momento della dazione della busta, dall’imputato alla suocera);
alla presenza di COGNOME, il 21/02/2005, presso la Banca Agricola di Ragusa;
alla riferibilità soggettiva, proprio a NOME COGNOME, della telefonata anonima, effettuata al fine di sviare le indagini;
alle pressioni e suggestioni, che si pretende esser state poste in essere dalla polizia a carico della COGNOME affinché quest’ultima dichiarasse di riconoscere la voce del fidanzato, nell’intercettazione telefonica;
alla valenza evocativa e alla attendibilità delle intercettazioni ambientali disposte in Questura.
Non vi è chi non rilevi, però, come si tratti di temi ampiamente sviscerati dalla Corte territoriale, che – confrontandosi in maniera compiuta, tanto con gli elementi di valutazione e conoscenza presenti nell’incarto processuale, quanto con le numerose deduzioni difensive – ha adottato, anche in ordine a tali specifici profili, una motivazione doviziosa, completa e puntuale, che non merita alcun tipo di stigma in questa sede. Del resto, la difesa non riesce ad oltrepassare la soglia della mera critica confutativa, chiedendo ancora una volta a questa Corte di invadere il campo della verifica nel merito, operazione come detto non consentita in sede di legittimità.
Con il settimo motivo, la difesa muove una critica al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e, in genere, al trattamento sanzionatorio adottato. Avendo la Corte stessa ricondotto il fatto omicidiario a una determinazione di carattere subitaneo e, inoltre, essendosi trattato di un gesto sicuramente connotato da una improvvisa spinta emotiva, risulterebbe poi contraddittorio giudicare il Maurici quale soggetto socialmente pericoloso, tanto da considerarlo non meritevole né della concessione delle invocate attenuanti, né comunque di una attenuazione del rigore sanzionatorio. Contrariamente alle
prospettazioni difensive, però, i giudici del merito hanno fatto buon governo della legge penale ed hanno dato conto delle ragioni che hanno guidato – nel rispetto del principio di proporzionalità – l’esercizio del potere discrezionale ex art. 133 cod. pen. La Corte distrettuale, infatti, non ha affatto omesso di motivare sul punto, avendo valorizzato, anche ai fini dell’art. 133 cod. pen., le caratteristiche d estrema pericolosità del fatto e la assoluta carenza di qualsiasi forma di resipiscenza, da parte del soggetto. In punto di gravità della condotta, i Giudici di merito hanno anzitutto evidenziato come il COGNOME non abbia esitato ad aggredire la suocera – persona anziana e afflitta da difficoltà nella deambulazione – in spregio della fiducia che ella invece riponeva in lui, tanto da affidargli la gestione del proprio patrimonio. Lo stesso comportamento post delictum, del resto, è stato ritenuto evocativo della mancanza di una pur embrionale forma di rivisitazione critica del pregresso operato criminale.
12.1. La motivazione è esaustiva e coerente anche in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche. Quanto a quest’ultimo aspetto, la Corte di assise di appello ha mostrato – in primo luogo – di attribuire un particolare rilievo all condotta serbata dall’imputato, sottolineando come questi non abbia esitato ad aggredire la suocera, ad onta dell’avanzata età e delle difficoltà di deambulazione della stessa, nonché tradendo la totale fiducia che ella riponeva in lui, tanto da avergli affidato la gestione del suo patrimonio. Né i Giudici di secondo grado hanno mancato di evidenziare la condotta successivamente serbata dal prevenuto, il quale non ha esitato a occultare il cadavere della vittima, così mostrando l’assenza di un pur minimo affiato di resipiscenza o di rivisitazione critica, in ordine a quanto compiuto. Infine, corretto ed espresso in modo lineare risulta anche l’ulteriore argomento adoperato dalla Corte territoriale, laddove sottolinea come il COGNOME piuttosto che manifestare un almeno embrionale ravvedimento – si sia trincerato dietro l’usbergo di una ostinata e inverosimile negazione, peraltro affastellando alla bisogna spiegazioni incongrue, fino a costruire un vero e proprio alibi fasullo e serbando un comportamento successivo al fatto privo di elementi favorevolmente valutabili. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
12.2. Le censure mosse a tale percorso argomentativo, assolutamente ineccepibile, sono meramente assertive, inconsistenti e, in parte, orientate anche a sollecitare, in questa sede, una nuova e non consentita valutazione della congruità della pena (Sez. Un. n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Rv. 266818). La sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi dell’art. 62-bis cod. pen., d’altro canto, è oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice, in ipotesi, con motivazione fondata anche sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione; la stessa motivazione, quindi, a patto che sia congrua e non contraddittoria, non può essere sindacata in cassazione, neppure quando difetti di
uno specifico apprezzamento in ordine a ciascuno dei pretesi fattori attenua indicati nell’interesse dell’imputato (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule,
259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, RV. 248244; n. 42688 del
24/09/ 2008, COGNOME, RV 242419; Sez. 2, n.3896 del 20/01/2016, COGNOME, RV.
265826; n.3609 del 18/01/2011, COGNOME, RV. 249163; Sez. 6, n.41365 del
28/10/2010, Straface, RV. 248737). Anche sotto tale ultimo profilo, pertanto, motivazione della sentenza impugnata, che evidenzia la natura particolarmente
allarmante dei fatti e l’assenza di una rivisitazione critica successiva, me rimanere al riparo da qualsivoglia stigma in sede di legittimità.
13. L’imputato dovrà rifondere, infine, le spese di rappresentanza assistenza, sostenute nel presente grado di giudizio dalle parti civili cos
NOME COGNOME e NOME COGNOME; tali spese vengono liquidate i complessivi euro cinquemila, oltre accessori di legge.
14. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve esser rigettato; segue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spe processuali. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spe rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili NOME COGNOME e NOME COGNOME, spese che liquida in complessivi euro 5.000, ol accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 26 settembre 2023.