Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 37437 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: COGNOME
Penale Sent. Sez. 1 Num. 37437 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/10/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta da
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME CENTONZE
– Relatore –
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
NOME nato a NOMEXXX il 1NOMEXXX
avverso la sentenza del 09/10/2024 della Corte di assise d’appello di Firenze visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
udito il AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, come da requisitoria depositata;
L’AVV_NOTAIO ha concluso associandosi alle conclusioni del PG e riportandosi ai motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di assise di appello di Firenze, a seguito del giudizio di rinvio – disposto dalla Corte di cassazione, Sezione Quinta penale, con la sentenza n. 18809 del 13 febbraio 2024 di annullamento della sentenza della Corte di assise di appello di Firenze del 19 gennaio 2022 – ha confermato la sentenza di condanna della Corte di Assise di Firenze del 22 aprile 2021 alla pena di anni tredici e mesi otto di reclusione emessa nei confronti di NOME, in ordine ai reati di cui agli artt. 81, secondo comma, cod. pen., 584 cod. pen, commesso il 20 novembre 2016, in danno di
NOMENOMEX(indicato con il nome NOME nella sentenza impugnata) e di piø
condotte di cui all’art. 612 cod. pen., in danno di NOMENOMEX di
NOMENOME, NOMENOME e il figlio minore di lei.
1.1. Preliminarmente, si evidenzia che la sentenza rescindente ha riguardato unicamente i motivi di ricorso attinenti alla condanna per il delitto di omicidio preterintenzionale, in relazione alla quale soltanto l’impugnazione era stata proposta.
Ciò posto, quanto ai fatti, si rileva che dalla sentenza rescindente Ł risultato che
NOME aveva conosciuto la sera precedente il delitto NOMENOMEX e che la sera dell’omicidio i due si erano recati presso l’abitazione della donna, dopo aver cenato presso amici comuni che ne avevano favorito l’incontro per consentire alla donna di sublocare un posto nell’abitazione, resosi disponibile grazie all’allontanamento dell’imputato, suo ex compagno e autore di atteggiamenti violenti e ruberie in suo danno.
Una volta giunti presso l’appartamento, l’imputato si trovava nella cucina, chiusa a chiave, e soltanto dopo alcune sollecitazioni attuate dai due anche con calci, l’imputato
aveva aperto la porta gridando ‘ti ammazzo’, inseguendo lungo il corridoio i due, che si chiudevano all’interno della camera da letto della donna.
Nella sentenza si Ł anche rappresentato che l’imputato aveva utilizzato un coltello, rinvenuto sulla scena del delitto, al solo fine di forzare la porta della stanza da letto e che durante tale fase tra i due uomini vi era stato uno schiaffo, avendo la donna riferito di aver sentito un rumore riconducibile a tale gesto.
Una volta chiusisi all’interno della stanza da letto, nella sentenza si Ł evidenziato che il ricorrente aveva tentato di divellerla con un asse da stiro, riuscendo poi a entrarvi.
Inoltre, si Ł anche evidenziato che nel provvedimento di primo grado era stato affermato che – prima che l’uomo entrasse nella stanza – NOMEX si era calato dalla finestra e che aveva perso la presa delle mani dal davanzale, cadendo sul selciato e riportando lesioni, dalle quali era derivata la morte in data 1° gennaio 2017.
Ciò posto, la sentenza rescindente ha rilevato che, con il secondo motivo di ricorso, l’imputato aveva eccepito che la sentenza della Corte di Assise di appello di Firenze – che aveva confermato quella di primo grado – aveva erroneamente ritenuto sussistente il nesso di causalità che, invece, doveva ritenersi interrotto a causa del comportamento della medesima vittima.
La difesa dell’imputato aveva evidenziato che, a differenza di quanto affermato nelle sentenze di merito, la vittima non avrebbe deciso di calarsi dalla finestra in preda al panico o perchØ senza altra scelta, tanto che aveva comunicato la sua scelta alla donna e che la stessa aveva tentato di dissuaderlo; inoltre, la posizione assunta nel calarsi non era quella di chi fugge di impeto, essendosi aggrappato al davanzale per un salto dal secondo piano; la difesa aveva dunque evidenziato che la Corte di Assise di appello aveva trascurato di valutare l’eccezionalità della condotta della persona offesa che si era esposta al pericolo, costituente una causa sopravvenuta interruttiva del nesso causale e comunque integrando un comportamento certamente evitabile con una condotta alternativa, alla stregua dei principi della giurisprudenza di legittimità in tema di omicidio preterintenzionale.
Tanto premesso, la Corte di cassazione ritenendo fondate le doglianze evidenziate, ha affermato che la Corte di assise di appello non aveva dato conto in punto di sussistenza del nesso di causalità di una una serie di circostanze; in particolare:
della incidenza della circostanza che quando NOMEX si era calato dalla finestra non aveva ancora visto l’imputato, il quale non era ancora entrato nella stanza (così sentenza di primo grado, foll. 13,14 e 19).
della circostanza che il coltello da cucina non Ł stato utilizzato nella fase del litigio nel corridoio, nØ era stato impugnato dall’imputato per colpire, in quanto era piegato nella lama, perchØ utilizzato solo per forzare la porta della stanza da letto, richiusa dai due dietro di loro.
della circostanza che NOME non agì preso dal panico in quanto ebbe il tempo di comunicare a NOME la sua decisione di calarsi dalla finestra;
della incidenza della posizione in cui era stata ritrovata la vittima, indicativa di una fuga non di impeto, che nella prospettiva della difesa, escludeva l’immediatezza necessaria ai fini della sussistenza del nesso di causalità.
Sulla base di tale evidenziate lacune motivazionali, la Corte di cassazione aveva, dunque, annullato la sentenza di appello impugnata disponendo nuovo giudizio.
Avverso la sentenza rescissoria ha proposto ricorso per cassazione l’imputato per il tramite del difensore di fiducia, AVV_NOTAIO, eccependo due motivi di seguito enunciati secondo il disposto di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1.Con il primo motivo, il ricorrente, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod.
proc. pen. ha eccepito l’erronea applicazione della legge penale, cod. proc. pen., nonchØ la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione, in punto di qualificazione del fatto di reato, ai sensi dell’art. 584, cod. pen.
In particolare, la difesa ha evidenziato l’insussistenza della prova che vi sia stata una attività volta a ledere o a percuotere la vittima da parte dell’imputato nonchØ l’insussistenza del nesso causale tra le lesioni o percosse e l’evento morte, ed infine la mancanza della prova in ordina all’elemento soggettivo del reato
Al riguardo, la difesa ha rilevato che se la scelta della vittima di calarsi dalla finestra fosse stata obbligata dalla condotta del ricorrente non si comprenderebbero le ragioni per le quali NOME COGNOME avrebbe esclamato all’uomo ‘ sei pazzo’, così dimostrando che verosimilmente la scelta di calarsi dalla finestra potesse essere determinata dal tasso alcolemico presente nel corpo della vittima; si sarebbe pertanto trattato di una decisione capace di innescare una catena causale autonoma, assurgendo a causa sopravvenuta, idonea da sola a produrre l’evento.
Inoltre, la difesa del ricorrente ha evidenziato che il momento in cui la vittima ha deciso di calarsi dalla finestra Ł certamente precedente al momento in cui l’imputato Ł riuscito a entrare nella stanza, anzi risulterebbe che la vittima si Ł calata dalla finestra ancor prima che l’imputato rompesse la porta. Dunque non vi sarebbe alcuna certezza, al momento della decisione della vittima di calarsi dalla finestra, che l’imputato sarebbe riuscito ad entrare nella stanza non solo perchØ la porta non Ł mai stata chiusa a chiave, ma anche perchØ la COGNOME ha riferito – come emerge dal verbale stenotipico dell’udienza del 18 febbraio 2021 – di essere riuscita a bloccare la porta da sola, perchØ NOMEX aveva già impegnato l’uscita dalla finestra.
La difesa ha, poi rilevato che quando l’imputato Ł riuscito ad entrare nella stanza non si sono realizzate conseguenze nefaste, in quanto la donna Ł riuscita a scappare fuori e senza che l’imputato l’abbia inseguita per concretizzare le minacce, pur essendo le minacce rivolte essenzialmente nei suoi confronti
Ancora, la difesa ha rilevato come la dinamica precedente alla fuga dalla camera da letto non Ł dimostrativa della sussistenza di una chiara volontà dell’imputato di percuotere o ledere in quanto vi sono stati insulti e minacce reciproche e uno schiaffo che non Ł possibile affermare che sia stato inferto dall’imputato.
Ad avviso della difesa, la Corte d’assise di appello non avrebbe fornito una solida motivazione in ordine alla sussistenza del dolo di percosse o lesioni, frutto di mera deduzione, evidenziando che mancano proprio le percosse e le lesioni, non essendovi evidenza che l’imputato abbia toccato la vittima.
Nel ricorso si Ł altresì evidenziato che la sentenza ha riconosciuto il dolo unicamente perchØ l’imputato ha divelto la porta della camera da letto della ex compagna, sicchØ se la vittima fosse stata presente al momento del cedimento della porta, l’imputato avrebbe portato a compimento le minacce.
Tanto precisato, la difesa ha evidenziato come non sia possibile ipotizzare che la vittima potesse prefigurarsi tale sviluppo, atteso che se si Ł calata dalla finestra prima che l’imputato rompesse la porta.
La difesa, proseguendo nella ricostruzione della vicenda, ha, poi, evidenziato che l’imputato, se avesse voluto commettere atti diretti a ledere o a percuotere, una volta usato violenza nei confronti della ex compagna che era nella camera da letto, avrebbe cercato NOMEX, ciò che non Ł avvenuto, in quanto l’obiettivo dell’imputato era la donna; inoltre, quando Ł entrato nella stanza, NOMEX si trovava già fuori dalla finestra,
ma questo l’imputato non lo sapeva nØ poteva saperlo, nØ gli interessava essendo il suo interesse focalizzato sul fatto che la donna non rimanesse da sola con un altro uomo.
Secondo la difesa, la Corte d’Assise di appello, avrebbe reso una motivazione illogica, contraddittoria e insufficiente in ordine alla sussistenza del nesso causale che, invece, si sarebbe interrotto per l’imprevedibilità e l’eccezionalità del gesto posto in essere dalla vittima. In particolare, la difesa ha rilevato che la vittima ha deciso di calarsi dalla finestra non perchØ presa dal panico, ma in una situazione di lucidità dimostrata dal fatto che l’uomo ha lanciato giø prima il giubbotto e per poi calarsi tenendo le spalle alla strada e non frontalmente come apparirebbe piø consequenziale ad una situazione di imminente pericolo di vita.
Inoltre, si afferma come il gesto imprudente della vittima non fosse prevedibile dall’imputato in quanto pochi minuti prima NOME aveva tenuto un comportamento aggressivo e spavaldo nei confronti di NOME, sicchØ quest’ultimo non poteva affatto immaginare che NOME si calasse dalla finestra. A tal riguardo, nel ricorso si Ł evidenziato, in aderenza con quanto affermato dai testimoni, che NOME avrebbe preso a calci e pugni la porta della cucina cercando di intimorire NOME, così palesando la sua presenza, della quale altrimenti, l’imputato non ne sarebbe venuto a conoscenza.
Pertanto, ad avviso della difesa, la illogicità della motivazione della Corte di assise di appello sarebbe ancora piø evidente in quanto o si sostiene che NOME era spaventato e fortemente intimorito da NOME, tanto da ritenere quale unica di via di fuga il calarsi dalla finestra, oppure lo stesso NOME Ł un soggetto aggressivo in grado di fronteggiare NOME e che ha preso una decisione del tutto scollegata dalle condotte precedenti, non prevedibile per nessuno, nemmeno per la donna che stava subendo le minacce, che, invece, non ha pensato di calarsi dalla finestra.
La difesa, poi, ha evidenziato che NOMEX avrebbe avuto altre possibilità quali quelle di affrontare NOME o nascondersi in camera per poi fuggire dalla porta come ha fatto la donna, ponendosi al di fuori da ogni logica la scelta di calarsi dalla finestra.
Diversamente, poi, da quanto affermato nella sentenza impugnata, ad avviso della difesa, la vittima era nelle condizioni di sapere che si trovava al secondo piano dell’edificio ed inoltre la sentenza si sarebbe dovuta soffermare sul fatto che NOME, meno forte e con un trascorso di violenze da parte di NOME, ha scelto di fronteggiare NOME rimanendo in camera.
Altrettanto illogica sarebbe poi l’argomentazione per cui la Corte di Assise di appello ha ritenuto che il tasso alcolemico pari a 1,2 g/l fosse un valore non idoneo ad incidere sulla capacità di intendere e di volere della vittima; ad avviso della difesa, invece, proprio tale circostanza dimostrerebbe che la scelta di calarsi dalla finestra fosse conseguenza dello stato di alterazione, che potrebbe anche spiegare le modalità della caduta e dell’atterraggio per terra.
In conclusione, il nesso causale andrebbe escluso in quanto il comportamento della vittima Ł stata l’unica causa capace di determinare l’evento, secondo un accertamento della causalità in concreto.
2.2. In via subordinata, il ricorrente ha eccepito l’illegittimità costituzionale dell’art. 584 cod. pen., in riferimento agli artt. 3 e 27, comma 1 e 3, Cost., nella parte in cui detta disposizione, nei casi come quello di specie, prevede la responsabilità penale per un fatto molto piø grave di quello voluto, non attribuibile ad un soggetto nØ a titolo di dolo, nØ a titolo di colpa, ma a titolo di responsabilità oggettiva, non essendo richiesto che tale fatto sia
ancorato alla violazione di regole di diligenza, prudenza o perizia, nØ di leggi scientifiche.
La disposizione violerebbe anche la finalità rieducativa della pena poichØ ad un soggetto viene imposta una pena per un fatto che non può essergli attribuito nØ da un punto di vista oggettivo, nØ soggettivo.
Il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, NOME COGNOME, ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza e ha depositato una memoria scritta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł fondato nei limiti e per le ragioni che seguono.
1.2. Si deve sin da ora evidenziare che la sentenza rescissoria non ha dato adeguata risposta alle indicazioni contenute nella sentenza rescindente, con la conseguenza che essa, salvo quanto sarà rilevato in ordine alla deduzione difensiva concernente l’insussistenza di atti diretti a percuotere o ledere, non resiste alle doglianze del ricorrente, anche in punto di motivazione sull’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 584 cod. pen.
Ciò premesso, va rilevato che la sentenza impugnata ha sviluppato l ‘iter argomentativo circa la configurabilità in capo al ricorrente della responsabilità per la fattispecie di omicidio preterintenzionale, sulla base di due precise statuizioni ovvero che la morte di NOME Ł stata senza dubbio il prodotto della specifica situazione di pericolo generata dalla condotta di NOME, il quale ha posto in essere una attività intenzionalmente volta a ledere o a percuotere NOMENOMEX e Petruschak
NOME; e che Ł risultata provata la sussistenza del nesso causale tra la condotta dell’imputato e la morte dello NOME
2.1. Quanto alla prima affermazione, la sentenza impugnata, con motivazione lineare e aderente alle risultanze processuali – tale da rendere non fondato il primo motivo di ricorso con il quale si Ł eccepita la mancanza della prova della commissione di atti diretti a percuotere o a ledere – ha chiaramente rappresentato come dalla complessiva ricostruzione della vicenda, operata dalle sentenze di merito, sia risultato che dal momento in cui la vittima e la donna avevano fatto rientro nell’appartamento – nella cucina del quale si trovava il ricorrente in quanto ancora nella disponibilità delle chiavi, sebbene allontanatosi quattro giorni prima – si era originato un litigio tra l’imputato e la vittima, oltre che con la donna, essendo stato appurato, anche sulla base delle testimonianze puntualmente indicate nella sentenza di primo grado e richiamate dai giudici di appello, che quella sera si era scatenata una lite tra i due uomini, non assumendo rilievo, ai fini specifici che qui occupano, chi dei due abbia insultato o minacciato per primo.
Dalle sentenze di merito Ł, infatti, emerso con certezza che da quando la lite si era spostata dalla cucina al corridoio dell’appartamento, l’aggressività del ricorrente aveva preso il sopravvento, essendo risultato che la donna, resasi conto che l’NOME fosse ubriaco e conoscendone le reazioni per esserne stata la compagna, rivolgendosi a NOMEX, che si trovava con lei nel corridoio, lo aveva esortato a scappare, tant’Ł che entrambi si erano diretti verso la camera da letto e che, inseguiti dall’imputato, prima ancora di arrivare nella stanza, la donna aveva sentito un rumore di schiaffo, senza riuscire a indicare chi lo avesse dato, ma riferendo invece che NOME aveva iniziato a minacciare sia la donna dicendole ‘ti ammazzo puttana’ sia la vittima, esclamando ‘ammazzo tutti i georgiani ‘. Circostanza quest’ultima che, secondo i giudici di merito, avvalorerebbe la tesi che poco prima la vittima, effettivamente di nazionalità georgiana, avesse vantato tale provenienza per minacciare l’NOME, così corroborando le argomentazioni in punto di sussistenza di una situazione di elevata conflittualità e aggressività.
Va, poi, considerato che sia la sentenza di primo grado, sia quella ora censurata, hanno
evidenziato che dopo tale inseguimento la donna e la vittima erano riusciti a rifugiarsi nella camera da letto chiudendosi dietro la porta e che il ricorrente aveva iniziato a spingere con forza la porta nel tentativo di entrare nella stanza, mentre i due dall’interno la reggevano per evitare che la porta si aprisse, avendo la donna a questo punto sentito che l’NOME aveva prelevato qualcosa di ingombrante per sfondare la porta, che veniva ripetutamente scagliato contro la porta, fino a romperla, così creando un buco dal quale la donna riusciva a scorgere l’oggetto effettivamente utilizzato da NOME. Risulta, altresì, dalle sentenze di merito che dopo tali ripetuti colpi, la porta si era scardinata cadendo all’interno della stanza, finendo con il colpire la donna alla spalla, la quale riceveva anche un pugno dal ricorrente, riuscendo però a scappare dalla stanza e dall’appartamento, per le scale dell’edificio.
Tanto premesso, deve osservarsi come, sulla base di tale non contestata ricostruzione fattuale, le sentenze di merito abbiano fornito le ragioni della sussistenza dell’elemento oggettivo della fattispecie omicidiaria preterintenzionale, degli atti, cioŁ, diretti a ledere o a percuotere.
Va a tal riguardo rilevato che la disposizione di cui all’art. 584 cod. pen. richiede, quale condizione essenziale per la configurabilità sul piano oggettivo del delitto, che gli atti diretti a ledere o a percuotere, siano univoci in quanto l’univocità connota l’espressione ‘atti diretti’, nel senso che la direzione degli stessi deve essere univocamente volta a ledere l’integrità del destinatario della condotta; atti che poi, devono essere denotati dall’ animus ledendi .
Non coglie, pertanto, nel segno la censura difensiva lì dove contesta l’assenza di attività diretta a ledere o a percuotere, emergendo, invece tale attività dalle condizioni fattuali puntualmente evidenziate dalla sentenza impugnata; il comportamento tenuto dal ricorrente, come complessivamente descritto, esprime con chiarezza la direzione verso l’aggressione fisica della donna e di NOMEX, non solo perchØ accompagnata dall’espressione ‘Ti ammazzo’ rivolta nei confronti di entrambi, ma anche perchØ una volta scardinata la porta, l’imputato ha inferto un pugno alla donna ancora fisicamente presente nella stanza; e con altrettanta chiarezza la sentenza ha posto in rilievo come la violenza fisica risulti diretta anche nei confronti dello NOMEX, a nulla rilevando – a tal fine – che l’uomo non fosse piø nella stanza, circostanza che non elide la sussistenza della materialità della condotta.
La sentenza impugnata, infatti, per quanto sopra evidenziate, ha dato puntualmente conto della commissione da parte del ricorrente di atti di violenza univocamente diretti anche nei confronti di NOMEX, lì dove dalle risultanze fattuali ha tratto un inequivocabile comportamento aggressivo e minaccioso dell’imputato in danno della vittima.
Sotto il profilo oggettivo, l’omicidio preterintenzionale si rende configurabile anche nei casi in cui la volontà di percuotere o di ledere non si materializzi in una percossa o lesione, ma in un comportamento aggressivo o minaccioso dell’agente che in quanto incalzante, come Ł stato quello in questione, si mostri diretto a ledere o a percuotere, pur nella mancanza di qualsivoglia contatto fisico tra l’aggressore e la vittima.
Del resto, va ricordato come questa Corte abbia già affermato, in risalenti arresti, che ai fini della sussistenza del delitto di cui all’art. 584 cod. pen., Ł sufficiente che esista un rapporto di causa ed effetto tra gli atti diretti (anche nella forma del tentativo o semplicemente di atteggiamento aggressivo o minaccioso a percuotere o a ledere e la morte, indipendentemente da ogni indagine sulla volontarietà, sulla colpa o sulla prevedibilità dell’evento piø grave (Sez. 5, n. 4793 del 20/01/1988, COGNOME, Rv. 178180 – 01; v. mass n 174619; mass n 158779; conf. mass n 153514; conf. mass n 117780). Si Ł altresì affermato che può assumere rilevanza anche un semplice atteggiamento minaccioso ed aggressivo,
sempre che sia diretto a ledere o percuotere (Sez. 1, n. 6982 del 03/05/1982, COGNOME, Rv. 154652 – 01; mass n 116256/71 per il caso di morte della vittima a seguito di spinta volontaria; conf. mass n 153514/82; conf mass n 150385/81; conf mass n 145923/80; conf. mass. n 117780/71; in un altro arresto si Ł, altresì, affermato che l’ipotesi dell’omicidio preterintenzionale non deve ritenersi necessariamente ed esclusivamente legata al presupposto di un tipico tentativo di percosse o lesioni, poichØ nel testo dell’art. 584 cod. pen. non Ł trasfusa la formulazione di cui all’art. 56 cod. pen. ‘atti idonei, diretti in modo non equivoco’ – ma Ł contemplata una forma di condotta atipica – ‘atti diretti a commettere uno dei delitti previsti dagli artt. 581 e 582 cod. pen.’ nella quale può sussumersi anche un semplice comportamento minaccioso ed aggressivo, sempre che sia tendente a ledere od a percuotere (Sez. 5, n. 3737 del 17/03/1982, Panella, Rv. 153514 – 01: tale principio Ł stato affermato in relazione ad una fattispecie nella quale la Corte ha ritenuto insussistente il reato di cui all’art. 584 cod. pen. – omicidio preterintenzionale – poichØ l’imputato senza avere alcuna intenzione di ledere, aveva impugnato una pistola soltanto per minacciare ed un colpo era partito accidentalmente per la involontaria pressione del dito sul grilletto dell’arma. ¨ stata, invece, ravvisata l’ipotesi di cui all’art. 586 cod. pen. – morte o lesione come conseguenza di altro delitto).
Diversamente da quanto dedotto dalla difesa, dalle sentenze di merito risulta chiaramente la realizzazione di un comportamento da parte del ricorrente, che, ove non vi fosse stato l’epilogo letale, avrebbe integrato i reati di percosse o lesioni; ciò che Ł sufficiente a riempire di contenuto l’espressione normativa con atti diretti acommettere uno dei delitti preveduti dagli articoli 581 e 582.
Deve ora passarsi a valutare la seconda statuizione oggetto di censura sulla quale la sentenza impugnata, ha fondato l’affermazione di responsabilità, ritenendo la piena sussistenza del nesso causale tra la condotta del ricorrente e la morte di
NOMENOMEX.
Riprendendo la ricostruzione della vicenda aggressiva come risultante dalle sentenze di merito, va rilevato che la sentenza censurata ha posto in rilievo che mentre il ricorrente era intento a forzare aggressivamente la porta al fine di entrare nella stanza, la donna aveva compreso che egli avesse preso qualcosa di ingombrante per sfondare la porta, oggetto poi scagliato contro la stessa creando un buco dal quale la donna aveva potuto scorgere che si trattava di un asse da stiro. E’ in tale frangente che, secondo la ricostruzione fattuale fornita dai giudici di merito, NOMENOMEX aveva deciso di allontanarsi dalla porta che immediatamente prima stava reggendo insieme alla donna per evitare che l’NOME l’abbattesse, riferendole le parole: ‘io vado’ e che lei gli rispondeva: ‘dove vai?’ e l’uomo a sua volta replicava: ‘vado dalla finestra’ e la donna esclamava ‘ma sei pazzo’, vedendo lo
NOMEX scavalcare e scorgendo pochi minuti dopo soltanto la testa e le mani dell’uomo sopra il davanzale. E nel frattempo il ricorrente aveva continuato a colpire la porta riuscendo a divellerla, ad entrare nella stanza e a colpire la donna, la quale poteva comunque scappare dall’appartamento, dandosi alla fuga per le scale dell’edificio, rinvenendo all’esterno dello stesso lo NOMEX riverso sulla strada.
Tanto premesso, va rilevato che sull’elemento del nesso causale la sentenza di primo grado aveva affermato che la caduta di NOME, seguita allo scivolamento dalla finestra dell’appartamento, era stato il risultato di un disperato tentativo della vittima di sottrarsi alla aggressione fisica che NOME era animatamente intenzionato a compiere nei confronti suoi e di NOME una volta che si erano rifugiati nella stanza da letto ed ancora che’la caduta trova il suo immediato antecedente eziologico nel processo decisionale di
NOME, di fuggire calandosi dalla finestra’. La pronuncia di primo grado, in particolare, aveva affermato che, secondo i principi della causalità equivalente e del giudizio controfattuale, l’aggressione violenta dell’imputato Ł stata condizione necessaria della formazione del suddetto processo decisionale che ha portato alla caduta’, affermando, altresì, che ‘eliminando l’aggressione, Ł evidente che NOME non avrebbe deciso nØ avuto motivo per uscire di calarsi dalla finestra’, essendosi la vittima determinata a scavalcare la finestra per fuggire dal concreto ed imminente pericolo di essere aggredito.
3.1. Ebbene, tale iter argomentativo, censurato con i motivi di appello, Ł stato reiterato dalla sentenza di appello, poi annullata con rinvio per un nuovo giudizio all’esito del quale le evidenziate lacune motivazionali non risultano essere state adeguatamente colmate dalla sentenza ora impugnata.
La sentenza censurata si Ł, infatti, limitata in modo discorsivo ad evidenziare che la scelta della vittima Ł stata condizionata dal crescendo di violenza del ricorrente, ritenendo che la difesa approntata dagli aggrediti si era rivelata inadeguata, tant’ Ł che l’imputato era riuscito a sfondare la porta, sicchØ fuggire dalla finestra – secondo il provvedimento censurato – era apparsa l’unica scelta che avrebbe consentito di non affrontare l’aggressore, non sapendo peraltro se l’imputato fosse armato.
La sentenza ha cioŁ concluso nel senso che calarsi dalla finestra ha costituito una scelta ‘istintiva’ per sfuggire a una aggressione imminente e inevitabile che appariva idonea a procurare gravi danni all’incolumità personale e anche oltre rilevandosi, altresì, che tale scelta non era stata determinata dal livello del tasso alcolemico, non essendo tale da incidere sulla capacità di valutazione e determinazione del NOMEX.
Per la sentenza rescissoria, dunque, la condotta della vittima ‘non ha innescato un percorso causale completamente anomalo rispetto a quello avviato dall’agente, ma si Ł inserita nello stesso aggravandone le conseguenze: fatto che in applicazione del principio della causalità equivalente, non esclude la responsabilità dell’agente’, sicchØ non sussisterebbe una causa sopravvenuta idonea da sola, in quanto eccezionale, a determinare l’evento in quanto la decisione improvvida della vittima, per quanto anomala o inconsulta era stata conseguenza diretta dell’azione violenta del ricorrente, e dallo stesso ricorrente prevedibile.
Alla stregua di tali argomentazioni, la Corte del rescissorio ha considerato come il comportamento della vittima, per quanto anomalo, potesse ritenersi compreso nell’area di rischio determinato dalla condotta dell’imputato, giacchØ la situazione concreta determinatasi con la fuga nella stanza da letto aveva posto l’aggredito nella condizione di affrontare l’aggressore, certamente armato almeno dell’asse da stiro o di altro strumento maggiormente lesivo o di calarsi dalla finestra ovvero di provare a dileguarsi in altro modo.
I giudici di appello hanno dunque affermatoche il ricorrente poteva certamente prevedere che la vittima potesse tentare varie strade disperate per sottrarsi all’aggressione.
3.2. Posto ciò, il Collegio non può non osservare, come rappresentato anche dal AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO nella requisitoria, che la sentenza censurata, pur affrontando i temi posti con la decisione di annullamento, ha omesso di valutare le circostanze oggetto delle carenze motivazionali enucleate dalla sentenza rescindente, e in tale provvedimento puntualmente indicate, il cui esame avrebbe dovuto essere oggetto di un rinnovato giudizio ai fini della sussistenza del nesso di causalità, giudizio che, secondoquanto si va a specificare, deve essere altresì condotto in relazione regola della prevedibilità in concreto dell’evento morte, da parte del ricorrente
Di conseguenza, l’impianto motivazionale del provvedimento impugnato, quanto al
rapporto di causalità, non ha fornito adeguata risposta alle questioni poste dalla sentenza rescindente che, censurando l’ iter motivazionale qui in parte riproposto,ha chiesto di rivalutare il giudizio sul nesso di causalità tenendo in debito conto l’incidenza delle circostanze puntualmente indicate.
Va rilevato che la motivazione sulla inidoneità della condotta del NOMEX a costituire, ai sensi dell’art. 41, secondo comma, cod. pen., una causa sopravvenuta tale da escludere il rapporto di causalità con l’azione posta in essere dall’aggressore avrebbe dovuto snodarsi anche attraverso la rivisitazione degli elementi specificamente indicati dalla sentenza rescindente. La sufficienza o meno dell’azione consistita nel calarsi dalla finestra a interrompere, di per sØ sola, la consequenzialità tra l’azione dell’NOME e la morte derivante dalla caduta dal balcone della vittima avrebbe dovuto confrontarsi, piø analiticamente, con la circostanza che l’imputato non era ancora entrato nella stanza quando la vittima si Ł calata dalla finestra, che l’imputato nell’intero arco di durata dell’aggressione non aveva utilizzato il coltello da cucina per aggredire la vittima pur rinvenuto per terra vicino la porta della camera da letto; che la vittima ebbe il tempo di comunicare la propria volontà di andar via alla donna, la quale invece, pur essendo anch’essa destinataria delle minacce, aveva deciso di rimanere in casa, riuscendo poi a darsi alla fuga per le scale, sebbene colpita dall’imputato; ed ancora con laposizione in cui era stata ritrovata la vittima, indicativa di una fuga non di impeto che, come prospettato dalla difesa, escludeva l’immediatezza necessaria tra le due azioni.
La sentenza censurata non si Ł, dunque, sufficientementeconfrontatacon le indicazioni della sentenza rescindente, lì dove, censurando il precedente iter argomentativo, aveva richiesto di valutare alla luce delle risultanze fattuali e delle precise indicazioni fornite, la sussistenza del rapporto di causalità tra l’azione aggressiva e l’evento morte, secondo le disposizioni di cui agli artt. 40 e 41 cod. pen.
A tale riguardo, occorre ribadire che il giudice del rinvio, ai sensi del comma 2 dell’art. 627 cod. proc. pen., quando si sia avuto annullamento per vizio di motivazione, Ł chiamato a compiere un nuovo completo esame del materiale probatorio con i medesimi poteri che aveva il giudice la cui sentenza Ł stata annullata e mantiene nell’ambito del capo colpito dall’annullamento, piena autonomia di giudizio nella ricostruzione del fatto e nella valutazione delle prove, nonchØ il potere di desumere – anche sulla base di elementi probatori prima trascurati – il proprio libero convincimento, colmando in tal modo i vuoti motivazionali e le incongruenze rilevate, con la specificazione, però, che non può ripetere il percorso logico già censurato, per cui non gli Ł consentito di fondare la nuova decisione sugli stessi argomenti ritenuti illogici o carenti dalla Corte di Cassazione, oltre al suo dovere di conformarsi all’interpretazione offerta dalla Corte di legittimità alle questione di diritto (fra le altre, Sez. 1, n. 5517 del 30/11/2023, dep. 2024, Lombardi, Rv. 285801 – 02; Sez. 3, n. 34794 del 19/05/2017, F., Rv. 271345 – 01; Sez. 2, n. 27116 del 22/05/2014, Grande Aracri, Rv. 259811 – 01). Pertanto, il giudice del rescissorio sì, investito dei pieni poteri del giudice della cognizione e, salvi i limiti del giudicato interno, può rivisitare il fatto con pieno apprezzamento ed autonomia di giudizio e pervenire a diverse o medesime conclusioni del precedente giudice di merito, purchØ motivi il proprio convincimento sulla base di argomentazioni diverse da quelle ritenute, come nel caso di specie, carenti in sede di giudizio rescindente.
Nella fattispecie, per le ragioni anzidette, la Corte di assise di appello di Firenze, non parametrando la motivazione sulla sussistenza del nesso causale anche in relazione alle anzidette circostanze, ha reiterato il medesimo iter argomentativo, in violazione della regola posta dall’art. 627, comma 2, cod. proc. pen.
Una diversa e pregnante specificità della valutazione degli elementi fattuali, pur evidenziati nella sentenza impugnata, avrebbe dovuto parimenti riguardare la motivazione in punto di elemento soggettivo dell’omicidio preterintenzionale.
4.1. In relazione a tale profilo occorre preliminarmente evidenziare, in sintesi, che nell’elaborazione di legittimità sono progressivamente emersi orientamenti differenti.
Secondo un primo orientamento l’elemento soggettivo del delitto previsto dall’art. 584 cod. pen. Ł costituito unicamente dalla volontà di infliggere percosse o provocare lesioni, a condizione che la morte dell’aggredito sia causalmente conseguente alla condotta dell’agente, il quale, pertanto, risponde per fatto proprio, sia pure per un evento piø grave di quello effettivamente voluto, che, per esplicita previsione legislativa, aggrava il trattamento sanzionatorio (Sez. 5, n. 35582 del 27/06/2012, COGNOME, Rv. 253536; Sez. 5, n. 13114 del 13/02/2002, COGNOME, Rv. 222054; Sez. 5, n. 15004 del 06/02/2004, COGNOME, Rv. 228497), essendo assolutamente probabile che da un’azione violenta contro la persona possa derivare la morte della stessa, sicchØ «il giudice non deve verificare se l’evento morte fosse prevedibile secondo il parametro legale, dettato per la colpa, ma solo se l’agente ha agito con il dolo di cui all’art. 581 o 582 cod. pen.», posto che «la prevedibilità dell’evento piø grave Ł assorbita dall’intenzione di risultato del delitto contro la persona fisica» (Sez. 5, n. 13673 del 08/03/2006, Haile, Rv. 234552; Sez. 5, n 40389 del 17/05/2012, COGNOME, Rv. 253357; Sez. 5, n 44986 del 21/09/2016, P.G., Rv. 268299). L’elemento soggettivo dell’omicidio preterintenzionale, secondo tale indirizzo quindi, Ł costituito unicamente dal dolo delle percosse o delle lesioni, in quanto «la disposizione di cui all’art. 43 cod. pen. assorbe la prevedibilità di evento piø grave nell’intenzione di risultato» (Sez. 5, n. 23606 del 04/04/2018, Perrone, Rv. 273294).
Si Ł, poi, formato un diverso orientamento, «secondo il quale l’elemento psicologico del delitto preterintenzionale deve essere ravvisato nel dolo misto a colpa, riferito il primo al reato meno grave e la seconda all’evento piø grave in concreto realizzatosi (Sez. 5, n. 49667 del 10/11/2023, COGNOME, Rv. 285490; Sez. 5, n. 46467 del 27/09/2022, D., Rv. 283892).
In conformità al principio di colpevolezza, come delineato dalla giurisprudenza costituzionale (in particolare con le sentenze della Corte costituzionale n. 364 e 1085 del 1988 e n. 322 del 2007), l’elemento psicologico del delitto preterintenzionale consiste in una combinazione di dolo, per il reato di percosse o di lesioni, e di colpa in concreto, per l’evento mortale; l’accertamento in concreto della colpa, va ancorata alla violazione di regole cautelari di condotta e a un coefficiente di prevedibilità ed evitabilità in concreto dell’evento. Si Ł affermato che il criterio della prevedibilità debba essere attuato su un «piano quanto piø possibile concreto, ossia sul piano delle circostanze della situazione reale conoscibili e correttamente valutabili da un soggetto modello, calato nelle condizioni di tempo e di luogo in cui opera il soggetto agente» (Sez. 5, n. 46467 del 27/09/2022, D., Rv. 283892).
Infine, un ulteriore – e, secondo il Collegio, piø persuasivo – orientamento ha elaborato il principio secondo il quale «l’elemento psicologico del delitto di omicidio preterintenzionale Ł una combinazione di dolo, per il reato di percosse o di lesioni, e di prevedibilità in concreto, per l’evento mortale» (Sez. 5, n. 23926 del 02/05/2024, Sansone, Rv. 286574). Alla stregua ditale indirizzo, nell’omicidio preterintenzionale, il principio di colpevolezza Ł rispettato con il solo giudizio della prevedibilità in concreto da parte del soggetto agente dell’evento ulteriore e piø grave, come possibile epilogo della condotta in relazione alle specifiche circostanze della situazione concreta.
Come si Ł osservato nella pronuncia da ultimo richiamata, la tesi della prevedibilità in concreto trova un solido ancoraggio nella sentenza 31 marzo 2021, n. 55, con la quale la
Corte costituzionale – nel dichiarare l’incostituzionalità per violazione degli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., l’art. 69, quarto comma, cod. pen., come sostituito dall’art. 3 della legge n. 251 del 2005, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 116, secondo comma, cod. pen., sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.- ha osservato che il criterio di imputazione del reato diverso consiste nella «prevedibilità in concreto, tenuto conto di tutte le peculiarità del caso di specie», chiarendo che «pur mancando il dolo (anzi dovendo escludersi che esso ricorra anche nella forma del dolo eventuale), Ł però necessaria, per questa particolare forma di responsabilità penale, la presenza anche di un elemento soggettivo, ossia di un coefficiente di partecipazione anche psichica: occorre, in altre parole, che il reato diverso o piø grave commesso dal concorrente debba potere rappresentarsi alla psiche dell’agente, nell’ordinario svolgersi e concatenarsi dei fatti umani, come uno sviluppo logicamente prevedibile di quello voluto, affermandosi in tal modo la necessaria presenza anche di un coefficiente di colpevolezza».
Di talchØ nell’ordinamento l’imputazione soggettiva basata sulla prevedibilità dell’evento Ł da ritenersi perfettamente compatibile con il principio di colpevolezza (in motivazione, Sez. 5, n. 23926 del 02/05/2024, Sansone, cit.).
In particolare, nella prospettiva ora illustrata,l’elemento psicologico del delitto di omicidio preterintenzionale Ł una combinazione di dolo, per il reato di percosse o di lesioni, e di prevedibilità in concreto, per l’evento mortale (Sez. 5, n. 27694 del 27/06/2025, Abbondanza, Rv. 288505 – 01, anche per la precisazione che la prevedibilità in concreto Ł accertata dal giudice attraverso un giudizio di “prognosi postuma”, diretto a verificare se, considerate le peculiari circostanze del caso concreto, l’evento verificatosi fosse annoverabile, ex ante , tra le conseguenze prevedibili della condotta voluta). Analogo principio in tema di elemento psicologico del delitto di omicidio preterintenzionale Ł stato altresì affermato in relazione ad una fattispecie in la Corte ha ritenuto sussistente il coefficiente psicologico della prevedibilità in concreto, alla luce sia delle evidenti condizioni di grave alterazione psico-fisica della vittima, dovuta all’abuso di alcool, sia della posizione della stessa, che si trovava ai margini di un ballatoio rialzato rispetto alla sede stradale, dove rovinava a seguito di una spinta datale dall’imputato, che ne causava la morte, a causa delle gravissime lesioni craniche riportate per il violento impatto col suolo). (Sez. 5, n. 43093 del 16/10/2024, Loi, Rv. 287244 – 01)
4.2.Anchealla luce di tale ultimo e condivisibile orientamento, Ł, fin d’ora, da escludere che possa aderirsi al secondo motivo di impugnazione.
Quanto a tale doglianza, infatti, non sussistono le condizioni per ritenere che possa essere sollevata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 584 cod. pen., nella parte in cui prevede la responsabilità per un evento molto piø grave di quello voluto, non attribuibile ad un soggetto nØ a titolo di dolo, nØ a titolo di colpa, ma a titolo di responsabilità oggettiva, non essendo richiesto che tale fatto sia ancorato alla violazione di regole di diligenza, prudenza o perizia, nØ di leggi scientifiche.
In tal senso, si Ł, in precedenza, osservato che una interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione postula che nel delitto preterintenzionale l’imputazione soggettiva dell’evento piø grave richieda la prevedibilità in concreto di tale evento da parte dell’agente.
Del resto, la Corte di legittimità ha già ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 584 cod. pen., in quanto previsione normativa di un’ipotesi di responsabilità obiettiva, in contrasto con l’art. 3 Cost., sotto il profilo della disparità di trattamento rispetto a fattispecie che presenterebbero identica connotazione (evento non
voluto posto a carico dell’agente: artt. 83, 116, 586 cod. pen.) e con l’art. 27, primo comma Cost., in forza del quale l’imputazione dell’illecito penale si concreta nella rapportabilità (o riferibilità) psichica del fatto all’agente sotto il profilo minimale della prevedibilità, intesa quale capacità di prevedere le conseguenze della propria condotta e di esercitare su questa il dovuto controllo finalistico. Da un lato, infatti, non Ł invocabile il principio di uguaglianza, quando si pongono a raffronto situazioni come quelle richiamate dagli art. 584, 83, 116 e 586 cod. pen., che sono sostanzialmente dissimili tra loro, al di là del dato formale comune dell’imputazione di un evento non voluto o non avuto di mira direttamente dall’agente. Dall’altro, poi, va considerato che la giurisprudenza configura la preterintenzione come dolo misto a colpa, i cui profili non confliggono, ma sono in linea con le pronunce nn. 364 e 1085 del 1988 della Corte Costituzionale, in tema di personalizzazione dell’illecito penale. (Sez. 5, n. 2634 del 11/12/1992, dep. 1993, P.m., Rv. 194325 – 01).
Piø di recente, poi, si Ł ritenuta manifestamente infondata l’eccezione di illegittimità costituzionale, sollevata in riferimento all’art. 27, primo e terzo comma, Cost, dell’art. 584 cod. pen. nell’interpretazione che ravvisa l’elemento soggettivo del reato nel dolo unitario di percosse o di lesioni, in quanto la valutazione relativa alla prevedibilità dell’evento da cui dipende l’esistenza del reato Ł insita nella stessa norma che lo prevede, la quale reputa assolutamente probabile che da un’azione violenta contro una persona possa derivare la morte della stessa. (Sez. 5, n. 36402 del 03/04/2023, Ursu, Rv. 285196 – 01).
4.3. Riprendendo e completando l’analisi del primo motivo, deve a questo punto osservarsi che la sentenza impugnata, oltre al vizio già rilevato,ha evidenziato una seconda carenza motivazionale lì dove non ha fornito esaustive ragioni dirette a verificare se la morte , in considerazione delle complessive e peculiari circostanze del caso concreto, tra le conseguenze prevedibili della
di NOMENOMEX, fosse annoverabile, ex ante condotta minacciosa e aggressiva posta in essere dall’imputato.
Al riguardo, non risultano adeguatamente enucleati e illustrati gli elementi per i quali l’imputato potesse ragionevolmente prefigurarsi che la vittima potesse decidere di calarsi dalla finestra di un appartamento posto al secondo piano di un palazzo.
Piø specificamente, deve rilevarsi che nella sentenza impugnata non risultano espresse, se non genericamente, le ragioni per le quali l’imputato, nelle condizioni date, versasse nelle condizioni di prevedere che dalla propria azione violenta e minacciosa potesse conseguire la scelta dell’aggredito di calarsi dalla finestra.
Non si rinviene, nella decisione impugnata, l’estrinsecazione di un iter argomentativo specifico su tale cruciale versante,posto che la Corte del rescissorio ha affermato che l’imputato poteva certamente prevedere che la propria condotta aggressiva avrebbe posto l’aggredito nella condizione o di affrontare l’aggressore, armato almeno dell’asse da stiro o di altro strumento maggiormente lesivo o di provare a di dileguarsi in altro modo o di dileguarsi dalla finestra dell’appartamento, così parificando l’opzione per quest’ultima condotta a quelle indicate, senza far emergere elementi giustificativi nel senso indicato e pur ritenendo, nello stesso tempo, il comportamento della vittima anomalo e inconsulto , anche se non assolutamente eccezionale, e pur a fronte della ritenuta piena capacità della vittima di autodeterminarsi per non essere il tasso alcolemico particolarmente elevato; vittima che da quanto emerge dalle sentenze di merito, inclusa quella in verifica, aveva già affrontato il suo aggressore nel corso del litigio sorto nella cucina dell’appartamento.
In conclusione, la Corte di assise di appello di Firenze ha dato per assodato – ma non ha estrinsecato precisi elementi illustrativi in tal senso, così incorrendo nuovamente nel vizio di motivazione – che l’imputato avrebbe potuto ritenere come ragionevolmente prevedibile
che la vittima si sottraesse all’aggressione calandosi dalla finestra posto al secondo piano quale possibile epilogo della sua condotta aggressiva.
5. In definitiva, alla luce delle complessive considerazioni esposte, si impone, in parziale accoglimento del primo motivo, l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio alla Corte di assise di appello per nuovo giudizio perchØ rivaluti, anche alla luce delle complessive circostanze esposte nei paragrafi 3 e 4, la sussistenza degli elementi fondanti il rapporto di causalità tra il comportamento minaccioso e aggressivo dell’imputato e la morte della vittima conseguente alle lesioni riportate per essersi calata dalla finestra, cadendo al suolo, nonchØ fornisca un compiuto iter logico contenente un’adeguata spiegazione, considerate tutte le circostanze del caso concreto e di quelle evidenziate, del punto relativo al se la morte di NOME fosse annoverabile ex ante tra le conseguenze prevedibili della condotta minacciosa e aggressiva posta in essere dall’imputato.
Si ribadisce, al riguardo, che, nel rispetto della regola di cui all’art. 627, comma 2, cod. proc. pen., in sede di nuovo giudizio di rinvio, la Corte territoriale può rivisitare il fatto con pieno apprezzamento ed autonomia di giudizio e pervenire a diverse o medesime conclusioni, purchØ alimenti il percorso argomentativo alla luce delle indicazioni già fornite nella prima pronuncia rescindente, in conformità al principio consolidato della giurisprudenza di legittimità secondo cui in tema di annullamento per vizio di motivazione, il giudice del rinvio non Ł obbligato ad esaminare solo i punti specificati nella sentenza rescindente, isolandoli dal residuo materiale probatorio, ma mantiene, nell’ambito del capo colpito dall’annullamento, piena autonomia di giudizio nella ricostruzione del fatto e nella valutazione dei dati, nonchØ il potere di desumere, anche sulla base di elementi prima trascurati, il proprio libero convincimento, colmando in tal modo i vuoti motivazionali e le incongruenze rilevate, con l’unico limite, come già evidenziato, di non ripetere i vizi già censurati in sede di giudizio rescindente e di conformarsi all’interpretazione ivi data alle questioni di diritto. E resta, del pari, indicusso che nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento per vizio di motivazione, il giudice di merito non Ł vincolato nØ condizionato da eventuali valutazioni in fatto formulate dalla Corte di cassazione con la sentenza rescindente, spettando al solo giudice di merito il compito di ricostruire i dati di fatto risultanti dalle emergenze processuali e di apprezzare il significato e il valore delle relative fonti di prova.
Secondo quanto stabilisce l’art. 52 d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, deve disporsi che in caso di diffusione del presente provvedimento, dovranno omettersi le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di assise di appello di Firenze.
Così Ł deciso, 01/10/2025
Il AVV_NOTAIO estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME
IN CASO DI DIFFUSIONE DEL PRESENTE PROVVEDIMENTO OMETTERE LE GENERALITA’ E GLI ALTRI DATI IDENTIFICATIVI A NORMA DELL’ART. 52 D.LGS. 196/03 E SS.MM.