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Omicidio preterintenzionale: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, interviene per delineare i confini tra omicidio preterintenzionale e omicidio volontario con dolo eventuale. Il caso riguardava un decesso avvenuto a seguito di un alterco, in cui l’imputato aveva spinto la vittima, causandone una caduta fatale. La Suprema Corte ha annullato la condanna per omicidio volontario, riqualificando il fatto come omicidio preterintenzionale, poiché l’intenzione dell’agente era diretta a percuotere o ledere, non a uccidere, e l’evento morte, pur prevedibile, andava oltre la sua volontà.

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Pubblicato il 29 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Omicidio Preterintenzionale vs Dolo Eventuale: La Cassazione Fa Chiarezza

Una recente pronuncia della Corte di Cassazione riaccende i riflettori su una delle distinzioni più complesse del diritto penale: la differenza tra omicidio preterintenzionale e omicidio volontario commesso con dolo eventuale. La sentenza analizza un caso emblematico, offrendo criteri interpretativi cruciali per distinguere tra un’azione volta a ledere con un esito letale non voluto e un’azione che accetta il rischio di uccidere. Comprendere questa linea di demarcazione è fondamentale, poiché da essa dipendono la qualificazione del reato e, di conseguenza, l’entità della pena.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine da un violento alterco scoppiato tra due individui per futili motivi. Durante la lite, uno dei due spingeva con forza l’altro, che perdeva l’equilibrio, cadeva all’indietro e batteva violentemente il capo su un gradino. Nonostante i tempestivi soccorsi, la vittima decedeva poche ore dopo a causa del grave trauma cranico riportato.

Nei primi due gradi di giudizio, l’aggressore veniva condannato per omicidio volontario, con la motivazione che, data la violenza della spinta e il contesto, egli avesse agito con dolo eventuale, accettando cioè il rischio che la sua condotta potesse provocare la morte della vittima. L’imputato, tramite il suo difensore, proponeva quindi ricorso per Cassazione, sostenendo la tesi dell’omicidio preterintenzionale.

La qualificazione del reato e l’elemento psicologico

Il nodo centrale della questione giuridica sottoposta alla Suprema Corte era la corretta interpretazione dell’elemento psicologico dell’agente. Era necessario stabilire se l’imputato avesse semplicemente voluto ledere la vittima, causando una morte che andava oltre le sue intenzioni (preterintenzione), oppure se avesse consapevolmente accettato il rischio di un esito mortale (dolo eventuale).

La difesa sosteneva che l’azione – una spinta, seppur violenta – fosse inequivocabilmente diretta a percuotere o al massimo a ledere, non a uccidere. La morte, pertanto, sarebbe stata una conseguenza non voluta, sebbene legata da un nesso di causalità all’azione iniziale. La Procura, al contrario, insisteva sulla configurabilità del dolo eventuale, evidenziando come la violenza del gesto rendesse altamente probabile un esito infausto, rischio che l’imputato avrebbe accettato pur di portare a termine la sua azione aggressiva.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’imputato, annullando la sentenza di condanna per omicidio volontario e riqualificando il fatto come omicidio preterintenzionale. Nelle sue motivazioni, la Corte ha ribadito un principio fondamentale: per configurare il dolo eventuale, non è sufficiente la mera previsione dell’evento morte come conseguenza possibile della propria condotta. È necessario, invece, un elemento volitivo più specifico: l’agente deve aver “accettato” tale rischio, ponendosi in un atteggiamento di sostanziale approvazione dell’evento, qualora si verifichi.

Nel caso di specie, secondo i giudici di legittimità, mancava la prova di questa accettazione del rischio. L’azione della spinta, per quanto illecita e pericolosa, era di per sé finalizzata a ledere o percuotere. L’evento morte, pur essendo una conseguenza prevedibile in astratto, non poteva dirsi voluto, neppure nella forma dell’accettazione del rischio. Per aversi omicidio preterintenzionale, è sufficiente che la volontà dell’agente sia diretta a un’azione lesiva o di percosse e che da questa, come conseguenza non voluta, derivi la morte.

Le Conclusioni

La sentenza in esame consolida un orientamento giurisprudenziale volto a mantenere una netta distinzione tra dolo eventuale e colpa cosciente o preterintenzione. La Corte sottolinea che, per affermare la responsabilità per omicidio volontario a titolo di dolo eventuale, è richiesta una prova rigorosa della deliberata accettazione del rischio della morte. In assenza di tale prova, se l’azione è diretta a ledere e l’evento morte ne è una conseguenza non voluta, il reato da contestare è quello di omicidio preterintenzionale. Questa pronuncia ha importanti implicazioni pratiche, poiché impone ai giudici di merito un’analisi estremamente accurata e approfondita dell’elemento psicologico, evitando di desumere l’accettazione del rischio mortale dalla sola gravità della condotta materiale.

Qual è la differenza fondamentale tra omicidio preterintenzionale e omicidio volontario con dolo eventuale?
Nell’omicidio preterintenzionale, l’agente vuole percuotere o ledere la vittima, ma ne causa la morte senza volerlo. Nel dolo eventuale, l’agente non vuole primariamente la morte, ma prevede la sua alta probabilità come conseguenza della sua azione e ne accetta il rischio, agendo comunque.

Perché la Corte ha riqualificato il reato da omicidio volontario a omicidio preterintenzionale?
La Corte ha ritenuto che non vi fosse la prova che l’imputato avesse accettato il rischio della morte della vittima. La sua azione (una spinta) era diretta a ledere, e la morte è stata una conseguenza che è andata oltre la sua intenzione, integrando così i requisiti dell’omicidio preterintenzionale.

Cosa si intende per “accettazione del rischio” nel dolo eventuale?
Significa che l’agente, pur non avendo come obiettivo principale l’evento dannoso (in questo caso, la morte), se lo rappresenta come una conseguenza concreta e probabile della sua condotta e decide di agire ugualmente, dimostrando così di approvare l’evento qualora si verifichi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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