Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 37856 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 37856 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 27/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME9> nato a
om issis
avverso la sentenza del 27/09/2023 della CORTE RAGIONE_SOCIALE APPELLO di FIRENZE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
udito il difensore
L’avvocato NOME COGNOME conclude chiedendo il rigetto o l’inammissibilità del ricorso, deposita conclusioni scritte e nota spese.
L’avvocato NOME COGNOME preliminarmente chiede il rinvio del procedimento. Il PG ritiene che la presente richiesta non possa essere accolta.
La Corte prosegue nella trattazione del ricorso.
L’avvocato NOME COGNOME conclude chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 26 settembre 2023 la Corte di assise di appello di Firenze, ha confermato, relativamente alla posizione di GLYPH C.G. GLYPH quella emessa dalla Corte di assise di Livorno il 21 novembre 2022 con la quale il predetto è stato condannato alla pena di ventitrè anni di reclusione per i delitti di omicidio e rapina commessi a Livorno il 27 agosto 2021 in danno di D.N.
Il primo aggravato dal nesso teleologico di cui all’art. 61, n. 2 cod. pen., il secondo dall’essere stato commesso in luogo destinato a privata dimora e nei confronti di persona ultrasessantacinquenne.
Ha statuito, altresì, sulle domande risarcitorie delle parti civili.
1.1. Riassunti i motivi di impugnazione proposti nell’interesse dell’imputato, la Corte di assise di appello ha risolto, preliminarmente, l’eccezione di nullità della richiesta di giudizio immediato e degli atti successivi per asserita violazione degli artt. 438, comma 6 -ter e 429, comma 2 -bis, cod. proc. pen.
I giudici di appello hanno disatteso la tesi difensiva secondo cui, per i delitti puniti con la pena dell’ergastolo, non essendo state modificate le disposizioni che disciplinano il giudizio immediato, non sarebbe possibile procedere con tale rito essendo preclusa l’applicazione, in favore dell’imputato, ricorrendone le condizioni di legge, della riduzione di pena di cui all’art. 438, comma 6 -ter, cod. proc. pen., come modificato dalla legge 12 aprile 2019, n. 33.
Il meccanismo in base al quale è consentito il «recupero» della diminuzione di cui alla norma citata è stato giudicato applicabile anche al caso di decreto di giudizio immediato cui segua la richiesta di giudizio abbreviato dichiarata inammissibile ai sensi dell’art. 438, comma 1 -bis, cod. proc. pen.
La ritenuta applicabilità del meccanismo «ripristinatorio» anche alle fattispecie quale quella in esame esclude la sussistenza dei vizi lamentati dall’appellante.
1.2. Secondo i giudici di primo e secondo grado, dall’istruttoria è emerso come C.G. si sia recato a casa della vittima per chiederle del denaro che doveva servire per pagare i propri fornitori di cocaina e per aiutare la propria madre a sostenere le spese del funerale del padre in imminente pericolo di vita.
Al rifiuto opposto dalla vittima, l’imputato aveva risposto stringendole il volto con le mani, facendola sanguinare dal naso e dalla bocca.
Quando l’imputato aveva abbandonato la presa, GLYPH D.N. GLYPH si era messo a urlare chiedendo aiuto; a questo punto, NOMEG. gli aveva tappato la bocca conducendolo in camera da letto dove lo aveva spinto sul letto e soffocato con un cuscino.
In seguito, recatosi in bagno, aveva spostato lo specchio e prelevato da una nicchia quanto ivi custodito, ossia beni e denaro.
Da tale complessiva ricostruzione del fatto, la Corte fiorentina ha desunto la configurabilità, in capo all’imputato, dell’intenzione di prelevare il denaro e gli altri beni sottratti sin dall’ingresso nell’appartamento della vittima, individuando nella finalità di rapina l’effettiva volontà che ha ispirato l’intera azione conclusa con l’omicidio.
La violenza è stata impiegata prima per ottenere il denaro e gli altri beni e, in seguito, come reazione alle urla della vittima in funzione dell’impossessamento dei suoi averi.
La Corte di assise di appello ha rigettato tutti gli altri motivi di impugnazione relativi al trattamento sanzionatorio condividendo quanto deciso dal primo giudice, ai fini della determinazione della pena, in ordine alla banalità del motivo dell’azione posta in essere dall’imputato, al giudizio di bilanciamento delle circostanze anche in ragione del comportamento tenuto dopo la commissione del reato e dell’assenza di un qualsiasi reale contributo investigativo da parte dell’imputato.
Sono state, inoltre, ritenute inidonee a supportare una diversa valutazione sia la somma versata mensilmente a titolo di risarcimento, sia la lettera di rammarico inoltrata dall’imputato.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione C. G.
, per mezzo del proprio difensore
Avv. I COGNOME
N. R. COGNOME I articolando quattro motivi.
2.1. Con il primo ha eccepito violazione di legge processuale in relazione al decreto di giudizio immediato emesso nei confronti dell’imputato con conseguente nullità, ai sensi dell’art. 178, lett. b) e c), cod. proc. pen., per violazione degli artt. 438, comma 6-ter e 429, comma 2bis, cod. proc. pen. e 24 Cost.
L’applicazione in chiave «recuperatoria» della diminuzione di pena per il giudizio abbreviato, nel caso in cui vengano ritenute insussistenti le aggravanti che determinano l’applicazione della pena dell’ergastolo, sarebbe limitata, ai sensi dell’art. 438, comma 6-ter, cod. proc. pen., al solo caso di richiesta di rito alternativo formulata all’udienza preliminare e non anche a quello di giudizio abbreviato richiesto all’esito della notifica del decreto di giudizio immediato.
Da ciò deriverebbe, sostanzialmente, la preclusione all’adozione del rito immediato per i procedimenti aventi ad oggetto delitti puniti con la pena dell’ergastolo.
2.2. Con il secondo motivo è stata eccepita la violazione di legge con
riguardo alla configurabilità del delitto di rapina impropria di cui al capo 2).
La fattispecie richiede che la violenza o la minaccia siano adoperate immediatamente dopo la sottrazione del bene dall’agente allo scopo di assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta.
Nel caso concreto, la condotta dell’imputato ha concretizzato il solo delitto di furto, non già quello di rapina in quanto, per come reiteratamente affermato dall’imputato, lo stesso si è recato a casa della vittima per chiedere un prestito soffocando l’anziano con un cuscino a seguito delle urla dell’uomo.
Non era intenzione dell’imputato commettere la rapina e la violenza è stata posta in essere prima della sottrazione, non successivamente alla stessa.
2.3. Con il terzo motivo ha eccepito la violazione di legge con riferimento all’aggravante del nesso teleologico di cui all’art. 61, n. 2, cod. pen.
A supporto ha richiamato le considerazioni sviluppate al motivo precedente censurando la motivazione della sentenza impugnata ritenuta sbrigativa e fondata su deduzioni meramente soggettive e prive di riscontro fattuale.
Dalla stessa descrizione fornita dall’imputato (per altri versi ritenuta credibile) è emerso che l’idea di commettere il furto è sorta immediatamente dopo l’uccisione della vittima.
2.4. Con il quarto motivo sono stati eccepiti i vizi di motivazione in relazione alla (testualmente) «mancata concessione delle attenuanti generiche» e in punto di determinazione del trattamento sanzionatorio.
Il motivo, in realtà, riguarda la mancata valutazione delle attenuanti generiche in termini di prevalenza sulle ritenute aggravanti.
A tale proposito, sarebbe stata omessa ogni considerazione sulla personalità dell’imputato (incensurato) e sul suo comportamento processuale avendo lo stesso reso ampia confessione.
I giudici di merito hanno, altresì, mancato di considerare il momento della vita familiare in cui è avvenuto il fatto e di prendere in considerazione la circostanza che, in quel periodo, il padre dell’imputato si trovava in fin di vita.
3. Il difensore ha chiesto procedersi alla discussione orale.
In sede di discussione il difensore ha chiesto, preliminarmente, il rinvio del processo in pendenza dell’istanza di ammissione dell’imputato ai programmi di giustizia riparativa.
Il Procuratore generale si è opposto.
Il difensore della parte civile si è rimesso alla valutazione della Corte.
CONSIDERATO IN DIRITTO
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Preliminarmente, va dichiarata inammissibile la richiesta di rinvio del processo per avere l’imputato presentato istanza di ammissione ai programmi di giustizia riparativa.
L’imputato ha già proposto l’istanza di ammissione al giudice dell’appello che si è riservato di decidere.
L’istanza, quindi, è stata presentata correttamente al giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 45ter disp. att. cod. proc. pen. che non attribuisce a questa Corte alcuna competenza in ordine all’emissione dei provvedimenti in materia di giustizia riparativa.
2. Il ricorso è infondato e deve essere, complessivamente, rigettato.
La questione posta con il primo motivo in ordine all’eccezione di nullità della richiesta di emissione del decreto di giudizio immediato e del conseguente decreto di citazione vertendosi in materia di reato punito con la pena dell’ergastolo è priva di fondamento.
Sul punto devono essere richiamate le considerazioni rese da questa Corte in altra decisione proprio con riferimento ad analoga eccezione.
Si tratta di quanto deciso da Sez. 1, n. 26570 del 17/04/2024, COGNOME n.m. la cui motivazione sul punto deve essere testualmente riprodotta, con gli adattamenti alla fattispecie in esame.
L’eccezione di nullità si fonda, essenzialmente, sulla mancata previsione, nell’art. 458, comma 2, cod. proc. pen. del rinvio all’art. 438, comma 6-ter, cod. proc. pen. (come introdotto dalla legge 12 aprile 2019, n. 33) e, quindi, del meccanismo «riparatorio» che consente di applicare la riduzione per il rito abbreviato nel caso in cui, dichiarata inammissibile l’istanza di giudizio alternativo perché relativa a delitto punito con la pena dell’ergastolo, all’esito del dibattimento, venga, invece, accertato che la richiesta di giudizio abbreviato era ammissibile.
L’assunto, infatti, non è condivisibile per più ragioni.
In primo luogo, esso si scontra con la previsione di cui all’art. 177 cod. proc. pen. che stabilisce il principio di tassatività delle fattispecie che determinano le nullità che rimane confinata ai soli casi in cui è la legge a prevedere quel vizio in conseguenza della inosservanza delle disposizioni processuali.
Nella fattispecie, alcuna norma prevede e disciplina l’eccepita nullità.
A ciò si aggiunga che la conclusione alla quale perviene il ricorrente non è, in alcun modo, imposta dall’analisi delle disposizioni indicate atteso che, mentre è preclusa la richiesta di giudizio abbreviato nel caso di giudizio immediato disposto per delitti puniti con la pena dell’ergastolo, ai sensi della disposizione
generale di cui all’art. 438, comma 1-bis, cod. proc. pen., non altrettanto è a dirsi, anche sotto la vigenza dell’art. 458, comma 2, cod. proc. pen. nella versione antecedente alle modifiche apportate dal d.lgs n. 150 del 2022, per il caso in cui, all’esito del dibattimento quella inammissibilità venga esclusa.
Non è decisivo il riferimento, pure esistente, nel citato comma 6 -ter alla dichiarazione di inammissibilità della richiesta di giudizio abbreviato «proposta nell’udienza preliminare» in quanto la disciplina normativa della funzione recuperatoria della disposizione è stata disciplinata con riguardo all’ipotesi della richiesta di giudizio abbreviato formulata nella sede «ordinaria» dell’udienza preliminare e in rapporto alla difforme valutazione compiuta all’esito del dibattimento.
L’identità di ratio rispetto alla situazione che si verifica nel caso di giudizio abbreviato precluso (ai sensi dell’art. 438, comma 1.bis, cod. proc. pen.) anche all’esito della notifica del decreto di giudizio immediato giustifica la conclusione che, in tale evenienza, esclusa l’inammissibilità della richiesta di giudizio abbreviato all’esito del dibattimento, può trovare applicazione la riduzione di cui all’art. 442, comma 2, cod. proc. pen.
Né potrebbe rilevare, fra l’altro, la circostanza che solo per effetto della riforma di cui al d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (art. 27, comma 1, lett. b), n. 1) è stata prevista, a decorrere dal 30 dicembre 2022, l’applicabilità dell’art. 438, comma 6 -ter, cod. proc. pen. anche al caso di giudizio abbreviato richiesto all’esito di decreto di giudizio immediato in quanto la riforma (inapplicabile alla fattispecie ratione temporis) non ha fatto altro che prendere atto della normativa vigente.
La stessa Relazione illustrativa alla recente novella legislativa non ha segnalato, sul punto, alcuna portata innovativa della disposizione, ma solo l’esigenza di un riallineamento a principi desumibili già dalla sentenza n. 169 del 2003 della Corte costituzionale in tema di generale potere di controllo del giudice dibattimentale sull’eventuale rigetto della richiesta di giudizio abbreviato.
Si tratta di principi, di recente, ribaditi dalla sentenza della Corte costituzionale n. 127 del 2021 che, nella permanente vigenza degli artt. 3 e 24 Cost., ha ritenuto di dare continuità al citato principio generale per tutti i casi d richiesta di giudizio abbreviato e quindi anche nel caso in cui la stessa sia stata effettuata all’esito della notificazione del decreto di giudizio immediato (ipotesi espressamente considerata nella sentenza citata).
A ciò va aggiunto che, nel caso di specie, all’esito del dibattimento non è stata esclusa alcuna aggravante tale da impedire l’applicazione della pena dell’ergastolo il che rende l’eccezione difensiva anche generica e priva del supporto di un concreto interesse dell’imputato alla sua formulazione.
4. In relazione agli altri motivi, va doverosamente premesso, vedendosi in materia di sentenza in grado di appello che ha confermato integralmente la decisione di primo grado, che «ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, ricorre la cd. “doppia conforme” quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzat nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale» (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218).
In termini, fra le altre, Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595 secondo cui «ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione».
I temi posti con il secondo e il terzo motivo presuppongono la soluzione della medesima questione relativa alla configurabilità, nella fattispecie, rispettivamente, del delitto di rapina di cui al capo 2) e della circostanza aggravante di cui all’art. 61, n. 2 cod. pen. relativamente al delitto di omicidio, per essere stato commesso quest’ultimo allo scopo di commettere quello contro il patrimonio.
A tale proposito, va prioritariamente segnalato come sia del tutto eccentrico, rispetto alla fattispecie e alla motivazione della sentenza impugnata, il riferimento alla nozione di «rapina impropria» che si configura, ai sensi dell’ad. 628, comma secondo, cod. pen., nel caso in cui all’azione di impossessamento del bene altrui segua una condotta violenta.
Nel caso di specie, si vede, invece, in tema di contestazione di rapina propria, ossia di una condotta violenta funzionale all’impossessamento di beni altrui (come effettivamente verificatosi).
In tal senso è stata ricostruita l’intera vicenda da parte dei giudici di merito che, in termini convergenti e privi di evidenti illogicità o altri vizi di motivazion hanno messo in rilievo come l’ingresso di C.G. a casa dell’anziana vittima sia avvenuto con la finalità di chiedere dei soldi e come tutta la condotta violenta sia stata commessa in funzione dell’impossessamento dei beni della stessa.
0.”
Una prima fase si è svolta davanti alla porta di casa e al termine della stessa l’anziano si è rivolto all’imputato esclamando «te li do, te li do», evidentemente «convinto» dall’azione violenta posta in essere nei sui confronti.
In seguito, l’anziano ha chiesto aiuto, l’imputato gli ha chiuso la bocca, lo ha portato in camera soffocandolo con un cuscino e, immediatamente dopo, si è impossessato di soldi e altro che si trovavano nascosti dietro lo specchio del bagno.
Non vi è stata, quindi, soluzione di continuità tra l’azione violenta che ha preceduto l’impossessamento e quest’ultimo sicché, correttamente, i giudici di merito hanno ritenuto che l’ingresso violento in casa di GLYPH D.N. GLYPH sia stato funzionale a trovare quanto necessario alla madre dell’imputato per i problemi familiari che la affliggevano in quel periodo.
Si legge a pag. 10 della sentenza di primo grado che, al momento della prima frazione della condotta violenta, l’imputato ha chiesto i soldi alla vittima: «per favore I D· N· sono disperato…sono disperato…».
A tale richiesta ha fatto seguito la condotta violenta che non ha avuto soluzione di continuità, secondo quanto ricostruito dalle conformi decisioni di merito, fino a quando la vittima non ha cessato di dare segni di vita.
Ne è immediatamente seguita la condotta predatoria dell’imputato quale naturale sviluppo della violenza.
Alla luce di tali emergenze fattuali, puntualmente descritte nella sentenza impugnata, la qualificazione giuridica del delitto di rapina è da ritenersi corretta, così come la ritenuta configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 61, n. 2, cod. pen.
Questa Corte ha già avuto modo di affermare il principio, qui ribadito, per cui «nell’ipotesi di sottrazione di una cosa già appartenuta a persona uccisa si configura il delitto di rapina e non quello di furto, qualora l’idea della sottrazione sorga e si formi prima della attuazione della violenza omicida, sempre che sussista un nesso di casualità apparente tra violenza ed impossessamento nel senso che il secondo sia la conseguenza della prima. Si configura, invece, il delitto di furto qualora l’idea della sottrazione sorga soltanto dopo la consumazione dell’omicidio. (nella specie, l’impossessamento delle cose mobili altrui era avvenuto contemporaneamente all’omicidio)» (Sez. 1, Sentenza n. 9594 del 28/04/1986, COGNOME, Rv. 173779).
6. Il quarto motivo è inammissibile.
Con la censura si sollecita a questo giudice di legittimità la rivalutazione di elementi sui quali le sentenze di merito si sono ampiamente soffermate.
In disparte la contraddizione tra l’enunciazione del motivo («mancata concessione delle attenuanti generiche») e la sua illustrazione (laddove si critica la sentenza per non avere operato una valutazione delle predette attenuanti in termini di prevalenza), va ribadito che «poiché il giudice di merito, nell’esercizio del potere discrezionale di valutare le concesse attenuanti equivalenti o prevalenti alle contestate circostanze aggravanti, deve far riferimento a quello fra gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. al quale abbia ritenuto di attribuire maggiore rilevanza ai fini della decisione adottata, deve ritenersi corretta la sentenza che, attenendosi a tale criterio, abbia escluso che le attenuanti generiche applicate potessero essere considerate prevalenti per la oggettiva gravità dei fatti ascritti all’imputato» (Sez. 6, n. 441 del 27/06/1990, dep. 2021, COGNOME, Rv. 186239).
Va anche ricordato che «le circostanze attenuanti generiche hanno anche la funzione di adeguare la sanzione finale all’effettivo disvalore del fatto oggetto di giudizio, nella globalità degli elementi oggettivi e soggettivi, atteso che la specificità della vicenda può richiedere un intervento correttivo del giudice che renda, di fatto, la pena rispettosa del principio di ragionevolezza, ai sensi dell’art. 3 Cost., e della finalità rieducativa, di cui all’art. 27, comma terzo, Cost., di cui l congruità costituisce elemento essenziale. (In motivazione, la Corte ha sottolineato che il giudice di merito ha l’onere di ben evidenziare gli elementi del caso concreto che giustificano il riconoscimento delle attenuanti e di spiegare la scelta in ordine all’eventuale giudizio di comparazione con le circostanze aggravanti)» (Sez. 2, Sentenza n. 5247 del 15/10/2020, deo. 2021, P., Rv. 280639).
Nel caso di specie, con riguardo al giudizio di bilanciamento delle circostanze, la Corte di assise di appello si è attenuta a tali principi avendo ampiamente motivato in ragione della efferatezza dell’azione, della pervicacia criminale e della determinazione di un danno a persona anziana e indifesa, oltre alla mancanza di qualsiasi contributo utile ai fini delle investigazioni.
Inoltre, sono stati presi in considerazione i plurimi profili evidenziati dalla difesa, sia con riferimento ad aspetti soggettivi del reo (dipendenza da stupefacenti, dilapidazione dello stipendio per acquistare droga, pressioni dei fornitori verso i quali aveva maturato debiti), sia alle caratteristiche dell’azione (violenza contenuta, comportamento successivo al reato).
A fronte di una motivazione che si è soffermata su tutti i profili sollevati dal ricorrente, la riproposizione delle medesime questioni in sede di legittimità deve essere ritenuta non consentita in quanto volta a sollecitare una nuova rivalutazione di profili già esaminati.
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Va ribadito che «in tema di concorso di circostanze, le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti sono
censurabili in sede di legittimità soltanto nell’ipotesi in cui siano frutto di mero arbitrio o di un ragionamento illogico, e non anche qualora risulti
sufficientemente motivata la soluzione dell’equivalenza allorchè il giudice, nell’esercizio del potere discrezionale previsto dall’art. 69 cod. pen., l’abbia
ritenuta la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena in concreto irrogata.
(Fattispecie in cui il giudizio di equivalenza tra le attenuanti generiche e la contestata recidiva è stato ritenuto implicitamente confermato dal giudice di
secondo grado, nel dare atto della congruità della pena inflitta dal giudice di prime cure)» (Sez. 6, n. 6866 del 25/11/2009, dep. 2010, COGNOME, Rv. 246134;
Sez. 5, n. 5579 del 26/09/2013, dep. 2014, Sub, Rv. 258874).
7. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali, oltre che alla rifusione delle
spese di rappresentanza e difesa sostenute dalle parti civili.
La natura dei rapporti della vicenda impone che siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi, ai sensi dell’art. 52 d.gs. 196 del 2003.
P.Q.M.
A scioglimento della riserva assunta in udienza, sentite le parti, dichiara inammissibile la richiesta avanzata nell’interesse del ricorrente di rinvio del processo in pendenza dell’istanza di ammissione ai programmi di giustizia riparativa.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al processuali. pagamento delle spese di rappresentanza e D.P. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili –
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– che liquida in complessivi euro 6.000, oltre accessori di legge.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d.gs. 196 del 2003 in quanto imposto dalla legge.
GLYPH Così deciso il 27/06/2024
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