Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 37953 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: COGNOME NOME
Penale Sent. Sez. 1 Num. 37953 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/10/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta da
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
SENTENZA
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI BOLZANO
sul ricorsi proposti da: nel procedimento a carico di:
COGNOMECOGNOMECOGNOMECOGNOMENOME
inoltre:
da COGNOMECOGNOMECOGNOMECOGNOMENOME
avverso la sentenza del 25/01/2025 della CORTE ASSISE APPELLO di BOLZANO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi di entrambi i ricorrenti.
udito il difensore dell’imputato, AVV_NOTAIO COGNOME AVV_NOTAIO che ha concluso riportandosi ai motivi di ricorso e chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata nel preambolo la Corte d’assise di Bolzano ha dichiarato COGNOME colpevole del reato di omicidio commesso ai danni della compagna convivente, COGNOMECOGNOMEXXXX con le aggravanti previste dall’art. 576 n. 5.1.) cod. pen. e dall’art. 577 n. 1) cod. pen., avendo l’imputato agito nella qualità di autore del delitto previsto dall’art. 612 bis cod. pen., per il quale aveva riportato condanna irrevocabile, nei confronti della stessa persona offesa, con lui stabilmente convivente dal 4 febbraio 2021, e, comunque, a lui legata da relazione affettiva. Per l’effetto, COGNOME, concesse le circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti alle contestate aggravanti, Ł stato condannato alla pena di anni 24 di reclusione.
Avverso la sentenza hanno proposto appello il Procuratore della Repubblica e l’imputato.
Il pubblico ministero lamentava l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione posta a sostegno del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in regime di equivalenza rispetto alle riconosciute circostanze aggravanti, e, conseguentemente, l’applicazione di una pena di specie diversa rispetto a quella dell’ergastolo prevista per l’ipotesi di omicidio aggravato.
L’imputato, per quanto di interesse in questa sede, censurava il riconoscimento della circostanza aggravante di cui all’art. 576 n. 5.1.) cod. pen. ed il giudizio di equivalenza tra
aggravanti ed attenuanti generiche, invocando la prevalenza di queste ultime.
Con la sentenza indicata nel preambolo la Corte di assise di appello ha dichiarato inammissibile l’appello del pubblico ministero perchØ proposto al fuori dei dai casi previsti dall’art. 593 cod. proc. pen.
Al riguardo ha osservato che l’appello non era stato proposto avverso una sentenza di condanna a ‘pena di specie diversa da quella ordinaria del reato’, come richiesta dalla citata norma. La sanzione irrogata, infatti, non Ł illegale nei termini richiesti dalla richiamata giurisprudenza di legittimità ma Ł il risultato del giudizio di bilanciamento tra le circostanze. La pena della reclusione Ł pur sempre prevista dal legislatore in caso di elisione delle circostanze aggravanti del delitto di omicidio – in presenza delle quali Ł, invece, prevista la pena dell’ergastolo – con la concessione delle circostanze attenuanti generiche.
La Corte distrettuale ha rigettato l’appello proposto dall’imputato, ritenendo configurabile l’aggravante di cui all’art. 576 n. 5.1.) cod. pen.
Al riguardo ha evidenziato che, come richiesto dalla giurisprudenza di legittimità a Sezioni unite n. 38402 del 15.7.2021, sussiste connessione e vicinanza temporale tra il diritto di omicidio e i precedenti fatti di stalking.
Risulta, infatti, accertato che NOME, dopo la consumazione del reato di cui all’art. 612-bis cod. pen. (oggetto della sentenza irrevocabile del Tribunale di Verona), protrattasi fino al dicembre 2020, ha ripreso, durante la nuova convivenza con NUMERO_CARTA il modello comportamentale persecutorio già precedentemente manifestato, ponendo in essere condotte sempre piø ingravescenti (penetranti attività di controllo, atteggiamenti possessivi e prevaricatori volti ad impedire relazioni sciali della vittima, minacce, percosse), fino a quella omicidiaria.
Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale della Corte di appello di Trento sede di Bolzano e l’imputato.
4.1. Il Procuratore generale della Corte di appello ha articolato un unico motivo con cui deduce inosservanza di norme processuali con riferimento all’articolo 593 cod. proc. pen.
Sostiene il ricorrente che la declaratoria di inammissibilità dell’appello cui Ł pervenuta la Corte distrettuale, pur aderente al citato precedente della giurisprudenza di legittimità, non Ł condivisibile perchØ, in stridente contrasto con il tenore letterale della norma, equipara i concetti di ‘pena di specie diversa da quella ordinaria del reato’ e di ‘pena illegale’. D’altra parte, come si legge nella relazione illustrativa, la ratio dell’intervento legislativo attuato con il d.lgs. n. 11 del 2018 con le modifiche dell’art. 593 cod. proc. pen. Ł quello di consentire sempre l’appello del pubblico ministero nelle ipotesi in cui, come quella in esame, le determinazioni del giudice incidono in maniera significativa sulla prospettazione accusatoria, anche e soprattutto in punto di quantificazione della pena.
Come affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 260 del 2020, valorizzando il dato testuale contenuto nell’art. 17 cod. pen., la pena dell’ergastolo Ł qualitativamente diversa dalla reclusione in ragione del suo carattere potenzialmente perpetuo.
4.2. COGNOME, per tramite del difensore di fiducia AVV_NOTAIO, ha articolato un unico motivo con cui deduce violazione dell’art. 576 n. 5.1.) cod. pen.
Lamenta che la sentenza impugnata non si Ł adeguatamente confrontata con le argomentazioni difensive e non ha correttamente applicato i principi affermati dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione nella sentenza n. 38402 del 2021.
Tale pronuncia, nell’individuare la ratio dell’aumento di pena nella particolare connessione finalistica e temporale tra la condotta di omicidio e le precedenti condotte persecutorie, ha riconosciuto all’aggravante natura oggettiva, precisando che essa ricorre
quado l’omicidio rappresenta lo sviluppo finale della condotta persecutoria in una comune una prospettiva finalistica, mentre deve essere esclusa in tutti i casi in cui l’omicidio sia commesso dall’autore di precedenti fatti di stalking nei confronti della stessa vittima, ma per ragioni che non hanno alcuna connessione con la precedente condotta persecutoria, oltre che nei casi in cui tra il fatto di omicidio e gli atti persecutori sussista una significativa cesura temporale.
La Corte di assise di appello ha ritenuto configurabile l’aggravante sulla scorta di una ricostruzione fattuale sganciata dalle prove acquisite.
L’ipotesi di accusa secondo cui le condotte persecutorie propedeutiche all’evento omicidiario siano state commesse dall’imputato in un’unica prospettiva finalistica finalizzata all’annientamento della personalità della vittima, progressivamente limitata ed impedita nell’esercizio della sua libertà di autodeterminazione, hanno trovato una secca smentita in due pacifiche circostanze che dimostrano in modo inconfutabile l’interruzione della progressione comportamentale tra gli episodi accaduti nel dicembre 2020, accertati con la sentenza irrevocabile del Tribunale di Verona, e l’omicidio commesso nel 2022: la r i m e s s i o n e della querela proposta nel confronti dell’imputato da COGNOMECOGNOMEXXX; l’inizio, dopo la scarcerazione dell’imputato, di un rapporto di convivenza a Bolzano tra quest’ultimo e la vittima.
Si tratta di condotte frutto della libera scelta di COGNOMECOGNOMEXXX non ricollegabili a comportamenti vessatori di COGNOME
Nei due anni di convivenza i rapporti nella coppia, in disparte di alcuni litigi e battibecchi domestici del tutto fisiologici, sono stati sereni, l’imputato, pertanto, non ha prodotto nella persona offesa alcuno degli eventi previsti in via alternativa dall’articolo 612 bis cod. pen.
Basta considerare che la donna, nel periodo di interesse, ha avuto la gestione di tutte le risorse economiche, ha utilizzato liberamente il bancomat, ha chiesto e ottenuto l’intestazione di un’autovettura ed ha tenuto, come risulta dalla deposizione della sorella dell’imputato, comportamenti offensivi e denigratori verso quest’ultimo, ha continuato a lavorare, a curarsi esteticamente a vestirsi in modo appariscente, ha coltivato le sue amicizie, ha utilizzato il telefono ed i profili social.
D’altra parte, Ł la stessa Corte distrettuale ad ammettere che la vittima avesse un carattere determinato, forte e deciso, non facilmente aggirabile.
In tale contesto può affermarsi che l’odierno imputato, in preda alla gelosia e di fronte al sospetto del tradimento, pur controllando sempre piø assiduamente, con vari mezzi e stratagemmi, la NOME, abbia accumulato nel tempo emozioni contrastanti nei confronti della donna, che ha ripetutamente dimostrato di non nutrire alcun timore nei suoi confronti, sfociate – una volta presa consapevolezza dell’esistenza di un’amante e della volontà della donna di lasciarlo per intraprendere con l’altro uomo una relazione – in una reazione sproporzionata ad estrema.
NØ in senso favorevole all’accusa depone il cambiamento di umore della donna nei mesi precedenti all’omicidio, che deve essere collegato all’inizio della relazione con l’amante e alle conseguenti fibrillazioni del rapporto con l’odierno imputato.
Dimostrano l’interruzione della progressione criminosa non solo la cesura spaziotemporale tra il reato di stalking e quello di omicidio, ma anche il diverso movente che ha originato le condotte delittuose, pur spiegabili entrambe come reazione violenta alla volontà
della NOME di interrompere definitivamente alla relazione sentimentale. Mentre le condotte di stalking del 2020 hanno rappresentato la reazione, violenta e minacciosa contro la decisione della NOME di denunciare il compagno. L’omicidio del 2022 Ł stato
perpetrato da COGNOME in uno stato psicologico di sconvolgimento emotivo sopravvenuto alla scoperta della relazione della donna con un altro uomo.
4.2.1. Il difensore di COGNOME ha presentato tempestivamente motivi aggiunti con cui sostiene l’inammissibilità del ricorso del Procuratore generale, ritenendo corrette le argomentazioni poste dalla sentenza impugnata a sostegno della declaratoria di inammissibilità dell’appello del pubblico ministero.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso del Procuratore generale della Corte di appello Ł passibile di rigetto.
1.1. A seguito delle modifiche introdotte n. dall’art. 2, lett. a), d.lgs., 6 febbraio 2018, n. 11, vigenti a partire dal 6 marzo 2018, i commi 1 e 2 dell’art. 593 cod. proc. pen. prevedono che il pubblico ministero possa appellare contro le sentenze di condanna pronunziate nei giudizi diversi dall’abbreviato, dall’applicazione di pena a richiesta, o aventi ad oggetto misure di sicurezza – per le quali valgono i limiti rispettivamente previsti dagli artt. 443, comma 3, 448, comma 2, 579 e 680 cod. proc. pen – “solo quando modificano il titolo del reato o escludono la sussistenza di una circostanza aggravante ad effetto speciale o stabiliscono una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato”. La riforma ha, quindi esteso al giudizio ordinario il limite già previsto in rapporto al giudizio abbreviato (art. 443, comma 3, cod. proc. pen.), attenuandone i contenuti. L’appello Ł, infatti, consentito non solo – come nel rito speciale – quando vi sia stata una modifica del titolo del reato, ma anche in altre ipotesi, espressamente individuate nell’esclusione di aggravanti a effetto speciale e nell’applicazione di una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato.
Come precisato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 34 del 2020 al § 3.6., la nuova disciplina sottrae ad una sola delle parti, il pubblico ministero, il «il potere di formulare censure di merito in rapporto a tutta una serie di profili, direttamente o indirettamente attinenti alla determinazione del trattamento sanzionatorio: la quantificazione della pena entro la cornice edittale, l’esclusione di aggravanti comuni o concessione di attenuanti, il bilanciamento tra circostanze, l’applicazione dell’istituto della continuazione, la concessione di benefici (quale la sospensione condizionale, come nel caso oggetto del giudizio a quo), e così via dicendo».
La dissimmetria tra le parti processuali generata dalla nuova disciplina non si pone in contrasto con alcun principio costituzionale e perchØ la limitazione del potere di appello della parte pubblica persegue l’obiettivo – di rilievo costituzionale (art. 111, secondo comma, Cost.) – di assicurare la ragionevole durata del processo, deflazionando il carico di lavoro delle corti d’appello” non contrasta con il sistema ad azione penale obbligatoria configurato dall’art. 112 Cost., che non preclude “al legislatore introdurre limiti all’esercizio della funzione giurisdizionale intesi ad assicurare la ragionevole durata dei processi e l’efficienza del sistema punitivo”.
Non Ł violato nemmeno il canone della ragionevolezza perchØ, chiosano giudici costituzionali, all’accusa non viene impedito di reagire all’irrogazione di pene macroscopicamente inadeguate per difetto alla gravità del fatto e alla personalità del suo autore perchØ il pubblico ministero resta pur sempre abilitato ad attivare il controllo della Corte di cassazione sulla «mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione» che sorregge il dosaggio della pena, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen. Tale controllo, se pure certamente «non attinge alla pienezza del riesame di merito, consentito dall’appello» (sentenza n. 26 del 2007), può valere, comunque sia, nei limiti della disciplina del ricorso immediato, a porre rimedio a ipotesi di incongruenza estrema o manifesta della quantificazione del trattamento sanzionatorio”.
1.2. Alla luce di questa nuova cornice normativa, ritiene il Collegio che correttamente la Corte distrettuale ha considerato la sentenza di condanna emessa dalla Corte di assise nei confronti di COGNOME impugnabile dal pubblico ministero, che aveva censurato il capo relativo al giudizio di bilanciamento tra circostanze aggravanti ed attenuanti generiche operato dalla sentenza di condanna emessa in esito al primo grado del giudizio, non con l’appello ma con il ricorso per cassazione con conseguente limitazione dei vizi denunciabili a quelli indicati nel catalogo di cui all’art. 606 cod. proc. pen.
A nulla rileva che il denunciato errore in tema di bilanciamento abbia in concreto determinato l’applicazione della pena detentiva temporanea in luogo di quella perpetua, posto che la pena delle reclusione, sia pure di specie diversa rispetto a quella dell’ergastolo, Ł, comunque, la sanzione prevista dall’ordinamento per l’omicidio divenuto semplice e non aggravato a seguito della neutralizzazione degli effetti sulla pena delle aggravanti ritenute equivalenti alle attenuanti.
Altrettanto correttamente la Corte distrettuale (pagg. da 15 a 21), non si Ł limitata a costatare l’inappellabilità della sentenza impugnata, ma ha esaminato l’impugnazione proposta dal Pubblico ministero sulla base dei parametri di cui all’art. 606 cod. proc. pen.
Va, al riguardo rammentato che contro una “stessa sentenza”, intesa come unica statuizione del giudice, della stessa natura e sul medesimo oggetto, non possono celebrarsi diversi giudizi di impugnazione potenzialmente definibili con decisioni tra loro incompatibili (Sez. U, n. 36084 del 24/06/2005, Fragomeli, Rv. 231807) e che proprio per evitare un simile rischio l’art. 580 cod. proc. pen. ha fissato il principio di evidente portata generale in forza del quale “quando contro la stessa sentenza sono proposti mezzi di impugnazione diversi, nel caso in cui sussista la connessione di cui all’articolo 12, il ricorso per cassazione si converte nell’appello”. Ciò implica che, nel caso in cui un provvedimento giurisdizionale sia impugnato dal pubblico ministero con un mezzo di gravame diverso da quello normativamente previsto, il giudice d’appello che riceve l’atto, in presenza di gravame ritualmente proposto anche della parte privata, verificata l’oggettiva impugnabilità del provvedimento nonchØ l’esistenza di una ” voluntas impugnationis ” in capo alla parte pubblica e convertito il ricorso in appello, deve procedere alla valutazione del ricorso convertito e alla decisione dell’impugnativa sulla base dei parametri di cui all’art. 606 cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 33330 del 09/05/2023, Feri’ Rv. 285019 – 01 Sez. 2, n. 34487 del 21/06/2019, COGNOME, Rv. 276739- 01; Sez. 1, n. 40280 del 21/05/201:3, Agostino, Rv. 257326 – 01).
1.3. La Corte di assise di appello, investita dell’appello dell’imputato e del Pubblico ministero su temi sovrapponibili, ha, pertanto, correttamente esteso la sua cognizione anche all’impugnazione del pubblico ministero ed applicando le norme proprie del ricorso per cassazione ha esercitato il suo sindacato nei limiti fissati dall’art. 606 cod. proc. pen.
In questa prospettiva, ha preliminarmente provveduto a verificare i requisiti di ammissibilità del gravame al fine di verificare se la censura, non consentita come motivo di appello, denunciava pur sempre uno dei vizi indicati dall’art. 606 cod. proc. pen. Soltanto se il motivo di appello non consentito risulta ammissibile secondo i parametri piø rigidi previsti per il giudizio di legittimità, il giudice di appello Ł legittimato a sindacarlo, esercitando i poteri cognitori della Corte di cassazione e, in caso di fondatezza, accoglierlo e, riprendendo la propria funzione di giudice del merito, adottare le statuizioni conseguenti, senza necessariamente procedere in via formale all’annullamento della pronuncia di primo grado (Sez. 6, n. 42694 del 23/10/2008, COGNOME e altro, Rv. 241872).
In esito a tale preliminare verifica, la Corte territoriale, con argomentazioni, plausibili in fatto ed ineccepibili sul piano giuridico, ha valutato il motivo relativo al giudizio comparativo
tra le circostanze attenuanti e aggravanti inidoneo a superare il vaglio di ammissibilità, anche se valutato come vizio di motivazione ai sensi all’art. 606, lett. e), cod. proc. pen.
La sentenza impugnata ha, infatti, osservato che il Pubblico ministero appellante aveva formalmente denunciato il vizio di manifesta illogicità e contraddittorietà dell’iter motivazionale seguito dalla Corte di assise per riconoscere le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza sulle aggravanti, ma, nella sostanza, aveva sollecitato apprezzamenti di merito da sovrapporre a quelli, nØ arbitrari nØ irrazionali, sviluppati dalla Corte di assise, che aveva giustificatamente valorizzato parametri diversi ai fini della dosimetria della pena edittale (gravità del fatto ed intensità del dolo) e ai fini del giudizio di bilanciamento tra le contrapposte circostanze (personalità del soggetto, condotta post delictum, risarcimento parziale del danno e confessione nel loro complesso considerate sintomatiche di una sopravvenuta resipiscenza).
In questa prospettiva, aveva valutato favorevolmente sia la confessione sia il versamento al figlio della NOME della somma di euro 10.000,00.
Quanto alla confessione aveva evidenziando che essa, per quanto parziale e non completamente genuina, era stata spontanea e soprattutto utile, se non decisiva, per la dimostrazione della circostanza aggravante di cui all’art. 576 n. 5.1.) cod. pen. avendo l’imputato, con dichiarazioni diffuse e dettagliate, ammesso le condotte a contenuto persecutorio di cui l’omicidio era stato ritenuto l’epilogo.
Quanto al versamento della somma di denaro al figlio della vittima, lo aveva considerato un indicatore di resipiscenza postuma dimostrativo dello sforzo dell’imputato di racimolare il denaro nonostante le condizioni economiche disagevoli.
In ogni caso, l’esito del bilanciamento in regime di equivalenza Ł stato valutato come idoneo a realizzare l’adeguatezza della pena in concreto inflitta.
Il ricorso dell’imputato Ł parimenti infondato.
Nel riconoscere la sussistenza degli estremi dell’aggravante prevista dall’art. 576, primo comma, n. 5.1 cod. pen, la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità nella sentenza a Sezioni Unite n. 38402 del 15/07/2021, Magistri
Nell’esaminare la questione relativa alla ravvisabilità dell’istituto del reato complesso nella fattispecie di omicidio aggravata dalla menzionata aggravante, con conseguente assorbimento del reato di atti persecutori ai sensi dell’art. 84, primo comma, cod. pen, il massimo organo nomofilattico ha precisato che l’espressione utilizzata dalla della norma che prevede l’aggravante in esame («Si applica la pena dell’ergastolo se il fatto Ł commesso … dall’autore del delitto previsto dall’articolo 612-bis nei confronti della stessa persona offesa»), non comprende unicamente il riferimento all’identità del soggetto agente dei reati di omicidio volontario e di atti persecutori, ma « attribuisce analogo risalto all’essere i due reati diretti contro la medesima persona, e quindi all’identità della vittima dei reati; ciò significa che ‘la fattispecie incriminatrice di cui all’art. 612-bis cod. pen. Ł inequivocabilmente riportata all’interno della fattispecie aggravatrice nella sua integrale tipicità», il tutto in coerenza con l”intenzione del legislatore, che, come si desume dai lavori preparatori, Ł quella di sanzionare con adeguato rigore un «fenomeno criminale notoriamente ricorrente ed ingravescente nella realtà attuale, ossia il verificarsi di fatti omicidiari in danno di vittime di atti persecutori da parte degli stessi autori di tali atti» .
A differenza della disposizione di cui all’art. 576 n. 5 cod. pen. («in occasione della commissione di taluno dei delitti previsti dagli articoli 572, 583 quinquies, 600 bis, 600 ter, 609 bis, 609 quater e 609 octies»), la disposizione di cui al successivo n. 5.1 non prevede
espressamente, fini della configurabilità della fattispecie aggravata, la contestualità dei fatti di omicidio e atti persecutori.
Ciò implica che presupposto sostanziale necessario dell’aggravante in esame, direttamente discendente dalla menzionata struttura di reato complesso, Ł «l’inserimento dei fatti in una comune prospettiva finalistica. Tale prospettiva, con riguardo al contesto persecutorio posto in essere con la condotta e gli eventi descritti nell’art. 612-bis cod. pen., inerisce al condizionamento e, in ottica finale, all’annientamento della personalità della vittima, progressivamente limitata e impedita, nell’esercizio della sua libertà di determinazione, dalle molestie e dalle minacce che ne inibiscono lo svolgimento dalla normale vita sociale. In questa visione prospettica della condotta criminosa, l’omicidio del soggetto perseguitato si presenta nell’esperienza giudiziaria come il risultato estremo, ma purtroppo non infrequente, dell’intento di annullamento della personalità della vittima; e quindi si integra compiutamente nella complessiva direzione finalistica del fatto, come peraltro sottolineato nei rammentati lavori preparatori» (Sezioni Unite n. 38402 del 15/07/2021, cit., in motivazione).
In conclusione, l’omicidio volontario Ł aggravato dall’essere stato commesso dall’autore del reato di persecutori in danno della stessa vittima, non per le caratteristiche personali del soggetto agente, ossia l’essere un persecutore, ma per ciò che egli ha fatto, vale a dire per il fatto persecutorio commesso.
La circostanza prevista dall’art. 576 n. 5.1. cod. pen., pertanto, Ł configurabile, nella sua dimensione fattuale, in tutte le situazioni in cui gli atti persecutori e l’omicidio presentano non solo contestualità spazio-temporale, ma si pongono altresì in una prospettiva finalistica unitaria, mentre deve essere esclusa e la condotta persecutoria rimane autonomamente punibile qualora l’omicidio della vittima ad opera dello stesso persecutore avviene a distanza consistente di tempo.
2. La sentenza impugnata, in stretta aderenza alle emergenze probatorie ampiamente richiamate nelle pagine da 21 a 31, con una ricostruzione diffusa ed articolata che, in risposta ai rilevi difensivi, ha dato ampiamente conto dello stretto legame cronologico e funzionale tra le condotte di stalking e l’omicidio ritenute, all’uopo osservando che «l’omicidio Ł stato commesso ad esito di una precedente pressante attività di controllo e persecutorio, come estremo atto finale … le azioni criminose devono considerarsi compiute nella stessa prospettiva finalistica unitaria al condizionamento e, in ottica finale, all’annientamento della personalità della vittima progressivamente limitata e impedita, nell’esercizio della sua libertà di determinazione»
All’obiezione della difesa sul notevole intervallo temporale di circa due anni intercorso tra la cessazione della condotta di atti persecutori per cui Ł intervenuta la sentenza di condanna irrevocabile ed il fatto omicidiario e sulla sostanziale interruzione della condotte illecite dell’imputato dopo la scarcerazione, dimostrata dalla rimessione della querela e dalla libera scelta della vittima di seguirlo spontaneamente in un’altra citta, la Corte distrettuale ha replicato, con argomentazioni tutt’altro che illogiche e comunque fondate su apprezzamenti in fatto non sindacabili in questa sede di legittimità, che nelle settimane immediatamente precedenti l’omicidio, quantomeno a partire dall’estate del 2022, il rapporto di coppia era entrato nuovamente in crisi e l’imputato, come ammesso dallo stesso in sede di interrogatorio e confermato da molte persone informate sui fatti, aveva ripreso il modello comportamentale persecutorio già manifestato in passato, presentandosi continuamente al bar ove la NOME lavorava, chiamandola ininterrottamente al telefono, pedinandola ovunque, intercettando le sue conversazioni telefoniche in macchina non solo con l’uso di
GPS e telecamere ma anche nascondendosi all’interno del portabagagli dell’autovettura guidata dalla compagna.
Tali condotte sempre piø invasive della sfera personale e limitative della vita di relazione avevano determinato in COGNOMECOGNOMEXXX le condizioni richieste dall’art. 612 bis cod. pen. facendola vivere, come rivelato dalle colleghe di lavoro, in un clima opprimente e nel terrore che, qualora ove avesse scelto di troncare la relazione sentimentale, sarebbe andata incontro, come minacciatole piø volte, a conseguenze ancora piø gravi alla sua integrità fisica.
Rispetto a tale ricostruzione la difesa si Ł limitata ad opporre una diversa lettura delle prove che nega ingiustificatamente rilevanza agli episodi avvenuti nell’ultimo periodo considerati, invece, decisivi dalla sentenza impugnata che non a caso parla non di protrazione senza soluzione di continuità, ma di ‘riemersione’ o ‘ripresa’ delle condotte persecutorie già giudizialmente accertate.
Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna NOME al pagamento delle spese processuali.
Così Ł deciso, 21/10/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME
IN CASO DI DIFFUSIONE DEL PRESENTE PROVVEDIMENTO OMETTERE LE GENERALITA’ E GLI ALTRI DATI IDENTIFICATIVI A NORMA DELL’ART. 52 D.LGS. 196/03 E SS.MM.