Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 45780 Anno 2024
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 45780 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 04/12/2024
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
– Relatore –
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOME nato a Gela il 17/08/1968
avverso la sentenza del 27/06/2024 della Corte di assise di appello di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il PG, NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso. udito il difensore della parte civile, avv. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
udito il difensore dell’imputato, avv. NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 10 gennaio 2024 il Tribunale di Roma, in rito abbreviato, ha condannato NOME COGNOME alla pena di 16 anni di reclusione per l’omicidio volontario aggravato di NOME COGNOME ed a 2 anni di reclusione e 6.000 euro di multa per il porto in luogo pubblico della pistola con cui Ł stato realizzato l’omicidio, reati entrambi commessi il 2 febbraio 2023.
Con sentenza del 27 giugno 2024 la Corte di assise di appello di Roma ha confermato la sentenza di primo grado.
In particolare, la sera del 2 febbraio 2023, sotto un condominio di Ostia, NOME COGNOME, che abitava in quel condominio, fu ucciso perchØ raggiunto da undici colpi di pistola, di cui tre colpi sparati mentre era in piedi e di spalle, gli altri otto quando si trovava già a terra.
Secondo l’accertamento dei giudici del merito, l’autore dell’omicidio era stato NOME COGNOME persona con cui la vittima aveva da tempo motivi di attrito, dovuti ad un appartamento conteso tra la madre e la zia di Vallo, quest’ultima ex compagna di COGNOME.
I giudici del merito hanno ritenuto provato che il giorno del fatto COGNOME aveva avuto una lite con
COGNOME tra 19:30 e le 20:45, lite in cui COGNOME avrebbe usato un taser, e che successivamente, tra le 22:20 e le 22:50, COGNOME aveva colpito con una spranga in metallo la porta dell’appartamento in cui si trovava Caradonna, e poi, sceso in strada, aveva urlato verso la finestra dell’appartamento in cui questi si trovava le frasi ‘infame, scendi’ ‘ti spacco la macchina, tanto so qual Ł’.
COGNOME era poi tornato a casa verso casa propria, sempre portando con sØ la spranga in metallo, quando poi, ad un certo punto, una testimone aveva riferito di aver sentito in successione prima il rumore di una portiera che si apriva, poi la pronuncia della frase ‘ hai rotto il cazzo ‘, e poi di la successione degli spari.
Secondo l’accertamento dei giudici del merito, COGNOME si era allontanato dal luogo dell’omicidio alle 22:56:47 e la sua autovettura Nissan Micra era stata poi ripresa in direzione Fiumicino.
Le indagini effettuate la mattina successiva all’omicidio avevano consentito di accertare che nell’autovettura Nissan Micra di Caradonna erano state trovate particelle riconducibili ad uno sparo compatibili con quelle dei bossoli in sequestro; la perquisizione all’interno dell’abitazione di Caradonna aveva permesso di rinvenire bossoli e caricatori compatibili con quelli rinvenuti sulla scena del crimine; la pistola che aveva sparato non era stata invece rinvenuta. Sulla persona di Caradonna non erano state trovate tracce di particelle tipiche dello sparo.
Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso l’imputato, per il tramite del difensore, con i seguenti motivi di seguito descritti nei limiti strettamente necessari ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Ricorso originario
Con il primo motivo deduce vizio di motivazione e travisamento della prova, perchŁ i giudici del merito hanno omesso di valutare la discrepanza tra le dichiarazioni del testimone NOME COGNOME ed il fascicolo fotografico redatto dalla Polizia scientifica sulla scena del crimine, in particolare sulla posizione della spranga metallica rispetto al braccio della vittima, ed hanno ritenuto che le dichiarazioni rese da COGNOME fossero imprecise sul punto per errore determinato da stress o da shock, senza considerare che, però, i giudici del merito ritengono lo stesso attendibile per altre dichiarazioni, ad esempio sulla pregressa lite tra autore del reato e vittima, e senza considerare che lo stesso ha ripetuto le dichiarazioni in due occasioni dimostrando, perciò, affidabilità; se le dichiarazioni del testimone COGNOME non fossero state svalutate, sarebbe emerso che la scena del crimine fu contaminata prima dell’intervento della polizia perchØ la spranga era stata spostata, come a quel punto anche i bossoli.
Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione, perchŁ i giudici del merito hanno omesso di valutare degli elementi favorevoli all’imputato quale l’esito negativo dell’esame genetico del materiale subungueale prelevato dal corpo della vittima e l’esito delle indagini dattiloscopiche sui bossoli rinvenuti sulla scena del crimine su cui non ci sono impronte di Caradonna; inoltre, la sentenza di appello ha omesso di valutare il motivo di appello in cui si eccepiva la carenza di motivazione nella determinazione della pena del reato di omicidio in quella massima edittale, quantificazione della pena fondata nella sentenza di primo grado soltanto su una clausola di stile; inoltre, la sentenza di appello ha omesso di considerare che era stato chiesto di valutare tra le circostanze rilevanti per la determinazione della pena anche la condotta estremamente aggressiva tenuta dalla vittima sia nei confronti della COGNOME sia nei confronti dello stesso COGNOME; inoltre, la sentenza di appello ha pronunciato una motivazione contraddittoria sul motivo d’appello in cui si chiedeva il riconoscimento dell’attenuante della provocazione; sul punto la motivazione Ł
contraddittoria perchØ deduce dal diritto dell’imputato di non rilasciare dichiarazioni la conseguenza della mancanza di prova del fatto ingiusto altrui, che Ł costituito dal colpo di spranga al volto avvenuto poco prima dell’evento letale, che viene dato per pacifico in altri passaggi della sentenza, però non viene considerato quando si tratta di riconoscerlo ai fini della provocazione.
Con il terzo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al trattamento sanzionatorio inflitto per il reato di porto di arma, perchŁ dalla motivazione di entrambe le sentenze non si comprende se sia stata considerata la riduzione prevista dall’articolo 7, l. 2 ottobre 1967, n. 895; qualora dovesse ritenersi che la stessa sia stata implicitamente applicata, emergerebbe che la pena inflitta si discosta sensibilmente dal minimo edittale, per cui la motivazione della sentenza d’appello, che sostiene che la pena Ł stata inflitta in misura prossima al minimo edittale, sarebbe viziata.
2.2. Motivi nuovi
Con il primo motivo deduce vizio di motivazione in ordine al diniego dell’attenuante della provocazione «per accumulo», che risulta, oltre che da plurime fonti di prova, anche dalla stessa motivazione della sentenza di primo grado che ammette che la situazione era oramai divenuta insostenibile; infatti COGNOME NOME minacciava, umiliava in pubblico, offendeva, perseguitava la zia COGNOME NOME, a nulla rilevando che fosse questa, e non COGNOME, la vittima del fatto ingiusto altrui.
Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione in ordine all’entità della pena irrogata per il delitto di omicidio, in quanto la Corte territoriale sembra aver fondato il proprio giudizio sulla mera tipologia del reato commesso piuttosto che sulla valutazione delle concrete modalità di svolgimento del fatto: tutti gli omicidi sono di «elevato allarme sociale»; dall’altro, si ventila un verosimile collegamento con ambienti di criminalità organizzata in difetto di qualsivoglia riscontro oggettivo; inoltre, la motivazione Ł carente, giacchØ oblitera il dato oggettivo e incontestabile che l’imputato commise il delitto al culmine di un ingravescente stato di esasperazione, troppo a lungo represso.
2.3. Memoria dell’imputato
Con un primo argomento sostiene che la provocazione non postuli affatto un rapporto di proporzione tra fatto ingiusto e reazione, ma solo una correlazione causale tra i due estremi; la Corte territoriale sembra aver valorizzato nel massimo grado il numero e la direzione dei colpi esplosi, senza considerare minimamente lo stato psicologico in cui versava il ricorrente, e quindi prescindendo dalla natura del dolo; la reiterazione dei colpi lesivi può, infatti, costituire una contingente modalità omicidiaria ovvero un modo per infierire crudelmente sulla vittima; l’alternativa teorica impone al giudice di analizzare attentamente tutti i dettagli del contesto per sceverare l’un caso dall’altro; nella fattispecie concreta si Ł trattato di un «fatto estemporaneo» (cfr. p. 57 della sentenza di primo grado), commesso in un «incontrollato eccesso d’ira» (cfr. p. 52 della sentenza di primo grado). L’azione risulta, dunque, commessa con dolo d’impeto, come reazione immediata ad uno stimolo esterno: si tratta di un’aggressione frutto di una rabbia incontenibile, troppo a lungo repressa.
Con un secondo argomento sostiene che il numero dei colpi Ł un dato fortemente valorizzato dai giudici di merito, ma, come già detto, l’art. 133 cod. pen. impone al giudice di tener conto di tutti i parametri ivi indicati, compresa l’intensità del dolo, ed Ł di tutta evidenza che un omicidio commesso a sangue freddo, con un unico colpo letale, Ł ben piø grave di quello per cui si procede, proprio in ragione della natura del dolo. ¨ infatti innegabile che il delitto in esame consiste in un «fatto estemporaneo», scatenato da un «incontrollato eccesso d’ira», a sua volta generato dall’esplosione di una forte carica di tensione psicologica sedimentata nel tempo.
2.4. Ulteriore memoria dell’imputato
Con memoria di replica alla requisitoria, anticipata per iscritto, del Procuratore generale si evidenzia che la Corte territoriale, come anche il Procuratore Generale, nel motivare il diniego della attenuante della provocazione, fa esclusivo riferimento alla dinamica degli eventi immediatamente precedenti l’omicidio e alle modalità della condotta criminosa, omettendo, da un lato, di rapportare, con analitica motivazione, il giudizio di adeguatezza di tale condotta a tutti i precedenti comportamenti ingiusti assunti dal COGNOME nei confronti della COGNOME e dell’imputato.
3. La difesa dell’imputato ha chiesto la discussione orale.
Con requisitoria orale il Procuratore generale, NOME COGNOME ha concluso per il rigetto del ricorso.
Il difensore della parte civile NOME COGNOME avv. NOME COGNOME ha concluso per il rigetto del ricorso.
Il difensore dell’imputato, avv. NOME COGNOME ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł infondato.
Il primo motivo, che Ł relativo all’accertamento di responsabilità, Ł manifestamente infondato.
Il ricorso attacca la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui, svalutando le dichiarazioni del testimone COGNOME sulla posizione in cui si trovava la spranga rispetto al corpo della vittima, non si Ł posta il problema della possibile alterazione della scena del crimine, alterazione che avrebbe fatto venire meno la prova costituita dalla corrispondenza tra i bossoli rinvenuti sulla scena del crimine con quelli trovati nel corso della perquisizione a casa dell’imputato.
Il motivo Ł manifestamente infondato perchØ censura la motivazione della sentenza impugnata sulla base di un’ipotesi priva di senso logico e, peraltro, meramente congetturale (ovvero, l’alterazione della scena del crimine con riferimento ai bossoli ritrovati su di essa), che dovrebbe essere ricavata da un’altra congettura (l’alterazione della scena del crimine sulla posizione della spranga) che, in quanto tale, Ł inidonea a viziare il percorso logico della sentenza impugnata (Sez. 1, n. 17102 del 15/02/2024, Concilio, n.m.; Sez. 2, n. 3817 del 09/10/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278237).
Il motivo di ricorso, inoltre, non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata nella sua interezza, che ha tratto il giudizio di responsabilità dell’imputato per l’omicidio di NOME COGNOME anche da elementi di prova (lo stub positivo sull’auto in disponibilità dell’imputato; i tabulati sugli spostamenti dell’autovettura che collocano l’imputato in prossimità del luogo del crimine al momento del fatto; la pregressa lite tra imputato e vittima avvenuta immediatamente prima dell’omicidio) su cui il ricorso non prende posizione incorrendo nel vizio di aspecificità dei motivi di impugnazione (Sez. 2, n. 17281 del 08/01/2019, COGNOME, Rv. 276916, nonchØ, in motivazione, Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268823).
Il secondo motivo ha un contenuto composito, essendo proposti in esso argomenti relativi al giudizio di responsabilità, altri relativi al mancato riconoscimento della attenuante della provocazione, ed altri ancora relativi al trattamento sanzionatorio.
2.1. Il ricorso deduce anzitutto che la sentenza impugnata non ha valutato l’esito negativo dell’esame genetico del materiale subungueale prelevato dal corpo della vittima e l’esito delle indagini dattiloscopiche sui bossoli rinvenuti sulla scena del crimine su cui non ci sono impronte dell’imputato.
L’argomento Ł inammissibile, perchØ, per gli stessi motivi appena precisati nel punto 1. di questa sentenza, cui si fa rinvio, non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata nella sua interezza, che ha tratto il giudizio di responsabilità dell’imputato per l’omicidio di NOME COGNOME da plurimi elementi di prova (la sua presenza sul luogo dell’omicidio; lo stub positivo effettuato nell’autovettura in suo uso; la corrispondenza tra i bossoli rinvenuti sulla scena del crimine e quelli rinvenuti in sua disponibilità nel corso della perquisizione; la lite tra imputato e vittima di pochi minuti precedenti all’omicidio) rispetto ai quali i dati probatori negativi costituiti dall’esame genetico del materiale subungueale prelevato dal corpo della vittima (che, peraltro, Ł stata uccisa con undici colpi di pistola, e non all’esito di una colluttazione) e dall’esito delle indagini dattiloscopiche sui bossoli rinvenuti sulla scena del crimine, non illogicamente sono stati ritenuti recessivi.
2.2. Con riferimento alla mancata concessione dell’attenuante della provocazione, il ricorso deduce che la motivazione Ł contraddittoria perchØ ricava dalla decisione dell’imputato di non rendere dichiarazioni la mancanza di prova del colpo di spranga al volto che l’imputato ha ricevuto dalla vittima poco prima dell’evento letale, colpo che viene dato per pacifico in altri passaggi della sentenza, però non viene considerato quando si tratta di riconoscerlo ai fini della provocazione.
Nei motivi nuovi il ricorso deduce anche sulla provocazione «per accumulo», che risulterebbe anche dalla stessa motivazione della sentenza di primo grado che ammette che la situazione era oramai divenuta insostenibile, perchØ COGNOME minacciava, umiliava in pubblico, offendeva, perseguitava la zia dell’imputato.
Il ricorso per motivi nuovi deduce anche che Ł irrilevante che fosse la zia, e non l’imputato, la vittima del fatto ingiusto altrui.
Gli argomenti sono inammissibili per difetto di specificità dei motivi di impugnazione. In punto di diniego dell’attenuante della provocazione la sentenza impugnata, infatti, ha una motivazione quadruplice, tecnica argomentativa legittima che comporta l’onere per il ricorrente di attaccare tutte le parti della motivazione, a pena di aspecificità dell’impugnazione (Sez. 1, n. 38881 del 14/07/2023, COGNOME, n.m.), perchØ afferma che: 1) il ricorrente non ha mai inteso chiarire le ragioni dell’omicidio e, per quanto riguarda la lite antecedente, sono rimaste ignote le modalità esatte della colluttazione, e cioŁ se sia stato COGNOME ad aggredire COGNOME oppure se il primo si sia solo difeso; 2) non sussiste la provocazione per accumulo perchØ, in realtà, dalla lettura dei messaggi scambiati con COGNOME, emerge che COGNOME ha sempre detto alla ex convivente di non dar troppo peso ai comportamenti di Vallo; 3) la vittima delle angherie di Vallo era COGNOME, e non l’imputato; 4) in ogni caso, la reazione dell’imputato Ł stata talmente spropositata (l’omicidio con undici colpi di arma da fuoco, di cui otto quando ormai la vittima a terra) da essere sproporzionata alla causa che l’avrebbe innescata.
Il ricorso attacca l’argomento sub 1), il motivo nuovo attacca gli argomenti sub 2) e 3), ma solo la memoria depositata in corso di processo si confronta con l’argomento sub 4) deducendo che la provocazione non postuli affatto un rapporto di proporzione tra fatto ingiusto e reazione, ma solo una correlazione causale tra i due estremi, e per questo il ricorso incorre nel vizio di aspecificità dei motivi di impugnazione.
In ogni caso, il percorso logico della sentenza impugnata resiste alle censure formulate in ricorso, perchØ conforme alla ricostruzione della giurisprudenza di legittimità che, a differenza di
quanto sostenuto dal ricorrente, attribuisce rilevanza, sia pure in modo indiretto, alla non proporzionalità della reazione, in quanto ritiene che la sproporzione fra il fatto ingiusto altrui e il reato commesso sia un indice della mancanza di nesso causale fra il fatto ingiusto e l’ira (Sez. 5, Sentenza n. 8945 del 19/01/2022, COGNOME, Rv. 282823: la circostanza attenuante della provocazione, pur non richiedendo i requisiti di adeguatezza e proporzionalità, non Ł configurabile laddove la sproporzione fra il fatto ingiusto altrui e il reato commesso sia talmente grave e macroscopica da escludere lo stato d’ira o il nesso causale fra il fatto ingiusto e l’ira); perchŁ possa essere riconosciuta la attenuante occorre che la risposta sia adeguata alla gravità del fatto ingiusto, perchØ avvinta allo stesso da un nesso causale, che deve escludersi in presenza di un’evidente sproporzione (Sez. 1, n. 52766 del 13/06/2017, M., Rv. 271799).
Nella memoria il ricorrente sostiene che andrebbe ridimensionata l’importanza del numero dei colpi esplosi per uccidere la vittima, atteso che la reiterazione dei colpi lesivi può costituire una contingente modalità omicidiaria ovvero un modo per infierire crudelmente sulla vittima, e che andrebbe attribuito, invece, rilievo al dolo d’impeto con cui Ł avvenuto il fatto, generato dall’esplosione di una forte carica di tensione psicologica sedimentata nel tempo.
L’argomento Ł infondato perchØ ipotizza che il numero dei colpi sparati possano dipendere dalle contingenti modalità dell’omicidio senza, però, riempire di contenuto l’affermazione e precisare da cosa sarebbe dipesa la necessità di sparare un numero così elevato di colpi, posto che pacificamente lo scontro Ł stato tra una persona armata con arma da sparo ed una persona armata con un corpo contundente quale la spranga, e che otto colpi sono stati sparati quando la vittima era già a terra.
2.3. Con riferimento al trattamento sanzionatorio inflitto per il reato di omicidio, il ricorso deduce che la sentenza impugnata non avrebbe risposto al motivo di appello che rilevava che la quantificazione della pena, nella misura massima, era stata fondata nella sentenza di primo grado soltanto su una clausola di stile.
L’argomento Ł infondato. La sentenza di primo grado ha motivato la quantificazione della pena base con la seguente affermazione: ‘valutati tutti i parametri di cui all’art. 133 cod. pen. considerate le modalità del fatto ed i colpi esplosi’. La sentenza di secondo grado ha risposto al motivo di appello che la pena era congrua ‘in ragione delle modalità della condotta criminosa di elevato allarme sociale e della pericolosità sociale dell’imputato verosimilmente in contatto con ambienti di criminalità organizzata’.
Il ricorso deduce che la sentenza di appello ha omesso di considerare che era stato chiesto di valutare tra le circostanze rilevanti per la determinazione della pena anche la condotta estremamente aggressiva tenuta dalla vittima sia nei confronti della COGNOME sia nei confronti dello stesso COGNOME.
L’argomento Ł infondato, perchØ nella definizione del trattamento sanzionatorio il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione e insindacabile in sede di legittimita, purche sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli pur sempre indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 265826; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899), come avvenuto nella specie, mediante il richiamo agli elementi del fatto che sono stati ritenuti prevalenti (il numero di colpi sparati nella pronuncia di primo grado; sempre le modalità del fatto, ma anche la pericolosità dell’imputato nella cui disponibilità sono stati trovati occultati numerose armi da fuoco, munizioni, ordigni esplosivi artigianali, documenti contraffatti, una uniforme e materiale in dotazione ai Carabinieri), senza che sia necessario prenderli in considerazione tutti (Sez. 1, n. 3155 del 25/09/2013, dep. 2014,
Waichey, Rv. 258410).
Il ricorso per motivi nuovi deduce che il giudice d’appello ha fondato il proprio giudizio sulla mera tipologia del reato commesso, e non sulla valutazione delle concrete modalità di svolgimento del fatto, perchŁ tutti gli omicidi sono di «elevato allarme sociale».
L’argomento Ł inammissibile per genericità, perchØ non si confronta con la motivazione delle sentenze di merito che hanno attribuito rilievo all’esser stato commesso il crimine sparando undici colpi di arma da sparo, nel contesto di un vero e proprio agguato condotto sotto il condominio in cui viveva la vittima, circostanza che in modo scevro da tratti di manifesta illogicità Ł stata ritenuta determinare un elevato allarme sociale.
Il ricorso per motivi nuovi deduce ancora che la sentenza impugnata ha ventilato un verosimile collegamento con ambienti di criminalità organizzata in difetto di qualsivoglia riscontro oggettivo.
L’argomento Ł infondato, perchŁ la circostanza che in disponibilità dell’imputato siano stati trovati occultati armi da fuoco, munizioni, ordigni esplosivi artigianali, documenti contraffatti, una uniforme e materiale in dotazione ai Carabinieri, rende non manifestamente illogica la conclusione della sentenza impugnata, atteso che si tratta di beni non facilmente reperibili, non disponibili sul libero mercato, e di interesse, invece, per ambienti di criminalità organizzata.
Il ricorso per motivi nuovi deduce, da ultimo, che la motivazione della sentenza impugnata oblitera il dato oggettivo e incontestabile che l’imputato commise il delitto al culmine di un ingravescente stato di esasperazione, troppo a lungo represso.
L’argomento Ł infondato, perchØ ripropone nuovamente la deduzione, già proposta nel ricorso originario, della mancata valutazione di uno degli elementi oggettivi del fatto, deduzione cui si Ł già dato risposta sopra nel senso che la determinazione del trattamento sanzionatorio Ł un giudizio di fatto in cui il giudice del merito deve dar conto di quali sono gli elementi del fatto o della persona del colpevole che ritiene prevalenti senza che sia obbligatoria, nei termini riferiti dalla sentenza COGNOME sopra citata, la valutazione integrale degli stessi.
Il terzo motivo, dedicato al trattamento sanzionatorio del reato di porto di arma da sparo, Ł infondato.
Il ricorso deduce che dalla motivazione di entrambe le sentenze non si comprende se sia stata considerata la riduzione prevista dall’articolo 7 l. n. 895 del 1967.
L’argomento Ł infondato, perchØ, posto che ‘la detenzione od il porto illegale di arma comune da sparo non costituisce una circostanza attenuante rispetto alla previsione degli artt. 2 e 4 della legge n. 895 del 1967, bensì una previsione di reato autonoma, che si caratterizza per la diversità dell’oggetto stesso dell’imputazione e non come elemento circostanziale, estraneo alla struttura del reato. All’autonomia della previsione normativa corrisponde l’autonomia della relativa sanzione, la quale Ł determinata con riferimento a quella prevista per i reati corrispondenti concernenti le armi da guerra, attraverso un tipico procedimento di normazione “per relationem”, sicchØ può essere operante solo ai fini della individuazione della pena base, sulla quale potranno essere applicate le riduzioni previste per le circostanze attenuanti’ (Sez. 1, n. 2804 del 19/06/1991, PM in proc. Civitarese, Rv. 187886), non era necessario indicare in sentenza la pena prima e dopo la riduzione per l’art. 7, atteso che la pena per il reato di porto di arma comune da sparo Ł direttamente quella che deriva dal combinato disposto degli artt. 4 e 7 l. n. 895 del 1967.
Il ricorso deduce che, ritenuta applicata implicitamente la norma dell’art. 7, la pena inflitta si discosta sensibilmente dal minimo edittale, talchØ la motivazione della sentenza d’appello, che sostiene che la pena Ł stata inflitta in misura prossima al minimo edittale, sarebbe viziata.
L’argomento Ł inammissibile. La motivazione della pronuncia di appello sul trattamento
sanzionatorio della condanna per il reato di cui agli artt. 4 e 7 l. n. 895 del 1967 Ł che la pena inflitta Ł adeguata alla gravità del fatto, perchØ l’arma non Ł stata soltanto portata in luogo pubblico ma Ł stata anche utilizzata per commettere un omicidio, e perchØ comunque essa non Ł distante dal minimo edittale.
La prima parte della motivazione dà pertanto conto di quale Ł stato l’elemento del fatto che ha portato, secondo un percorso argomentativo non manifestamente illogico, attesa la rilevanza dell’utilizzo dell’arma per commettere un omicidio nel giudizio sulla gravità del porto, a discostarsi dal minimo edittale.
Il ricorso si limita ad attaccare la seconda parte della motivazione, ma non prende posizione sulla prima, e quindi sull’utilizzo che Ł stato fatto dell’arma portata in luogo pubblico quale circostanza che rende legittimo, ed adeguatamente motivato, il discostamento dal minimo edittale, e, pertanto, incorre nel vizio di aspecificità dei motivi di impugnazione.
Nel complesso, il ricorso Ł infondato. Ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., alla decisione consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Nel giudizio di cassazione si Ł costituita anche la parte civile NOME COGNOME In ossequio al principio della soccombenza, l’imputato ricorrente deve, pertanto, essere condannato ex art. 541, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese di parte civile, che, in quanto ammessa al gratuito patrocinio, va disposto in favore dello Stato.
Alla liquidazione delle stesse ed alla emissione del decreto di pagamento provvederà ex art. 83 d.P.R. 115 del 2002 il giudice che ha emesso la sentenza passata in giudicato (cfr. Sez. U, n. 5464 del 26/09/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 277760 – 01, secondo cui ‘in tema di liquidazione, nel giudizio di legittimità, delle spese sostenute dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, compete alla Corte di cassazione, ai sensi degli artt. 541 cod. proc. pen. e 110 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, pronunciare condanna generica dell’imputato al pagamento di tali spese in favore dell’Erario, mentre Ł rimessa al giudice del rinvio, o a quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato, la liquidazione delle stesse mediante l’emissione del decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 del citato d.P.R.’).
Il Consigliere estensore COGNOME