Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 5150 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3   Num. 5150  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/09/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato a Como il DATA_NASCITA;
avverso la sentenza n. 7396/22 della Corte di appello di Milano del 14 novembre 2022;
letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e il ricorso introduttivo;
sentita la relazione fatta dal AVV_NOTAIO COGNOME;
letta la requisitoria scritta del PM, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Dopo che questa Corte, con sentenza n. 20378 pronunziata in data 4 febbraio 2021, i cui motivi sono stati depositati il successivo 24 maggio 2021, aveva annullato, con rinvio la sentenza della Corte di appello di Milano del 22 marzo 2019 con la quale, era stata confermata la precedente decisione emessa dal Tribunale di Como con cui erano stati mandati assolti dal reato di omicidio colposo commesso in danno di tale COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, la Corte di appello di Milano, accogliendo in parte il gravame presentato dal locale Procuratore generale e dalle parti civili, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti del COGNOME in quanto il reato a lui contestato era oramai estinto per prescrizione, ma aveva condannato lo stesso al risarcimento del danno nei confronti delle costituite parti civili ed al ristoro delle spes processuali in favore delle medesime, confermando, invece, quanto alla posizione del COGNOME la sentenza assolutoria già pronunziata dal Tribunale la ria no.
In particolare la Corte territoriale, in sede di giudizio di rinvio, aveva rilevato che il COGNOME, impegnato in una immersione subacquea assieme agli altri due al di sotto della superficie del Lago di Como, accortosi di una situazione di difficolta in cui si era venuta a trovare la COGNOME, il cui erogatore del bombola di ossigeno stava presentando delle anomalie a causa delle quali la donna si trovava avvolta in una “nube” di bolle d’aria, sebbene al fine di interrompere tale anomalo flusso, anziché passare alla stessa il proprio erogatore, funzionante regolarmente, provvedeva a chiudere il rubinetto della valvola che consente la fuoriuscita dell’aria dalla bombola d’ossigeno, cercando, successivamente, onde sollecitarne l’aiuto, di raggiungere il COGNOME, che si trovava alcuni metri più in alto degli altri escursionisti, lasciando pertanto sola la COGNOME; in tal modo, però, avendo errato nell’individuare il giusto rubinetto di erogazione dell’ossigeno invece che impedire la fuoriuscita dell’aria dalla bombola avente l’erogatore difettoso, serrava il rubinetto erogatore della altra bombola, di emergenza, portata dalla COGNOME, in tal modo non solo non risolvendo il problema che si era creato, ma, anzi, aggravandolo, in quanto impediva alla donna il proficuo utilizzo della bombola di emergenza, determinando così nella stessa una situazione di panico e di cosiddetta “ebbrezza da profondità”, tale da rendere impossibile la prestazione alla medesima degli opportuni soccorsi ed in definitiva determinandone la morte per annegamento.
Avverso la sentenza della Corte di appello ha presentato ricorso per cassazione, tramite i propri difensor fiduciari, il COGNOME, articolando a tale fine 7 motivi di impugnazione.
Con il primo motivo è stata censurata la sentenza emessa dalla Corte di appello in quanto la stessa – esulando dal perimetro di indagine che le era stato assegnato in sede di annullamento con rinvio, il quale aveva ad oggetto esclusivamente la esistenza o meno del ragionevole dubbio in ordine alla circostanza che il COGNOME avesse provveduto personalmente alla chiusure del rubinetto erogatore della bombola di emergenza portata con sé dalla COGNOME, ed estendendo, invece, il campo di indagine in relazione alla sussistenza di una condotta alternativa utile che il COGNOME avrebbe potuto compiere, consistente nel passaggio alla donna del proprio erogatore – avrebbe violato l’art. 627 cod. proc. pen.
Con il secondo motivo è contestata la corretta applicazione del principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio che costituisce la regola di giudizio per l’affermazione, sia pure incidentale, della responsabilità penale degli imputati.
Il terzo motivo sta nel fatto che la Corte avrebbe illogicamente attribuito una posizione di garanzia ad entrambi gli imputati per le ipotetiche fasi di emergenza salvo poi ignorare il comportamento colposo del COGNOME il quale sarebbe tardivamente intervenuto a prestare assistenza alla ragazza.
Il quarto motivo attiene alla mancata valutazione, quali cause da sole sufficienti a determinare la morte della vittima, del fatto che si fosse presentato un guasto tecnico nell’erogatore dell’ossigeno da questa utilizzato e nella conseguente crisi di panico dalla quale la stessa è stata colta, senza che pertanto, nel determinismo dell’evento abbia svolto un qualche ruolo la condotta del COGNOME.
Il successivo quinto motivo di impugnazione ha ad oggetto la violazione di legge per avere la Corte ambrosiana omesso di esaminare l’eventuale incidenza sulla responsabilità dell’imputato ricorrente il quale avrebbe agito nei termini da lui seguiti in quanto spinto da una condizione di stato di necessità, temendo per la propria incolumità personale.
Il sesto motivo attiene all’utilizzazione in sede di giudizio delle dichiarazioni del COGNOME rese dallo stesso in occasione delle sommarie informazioni testimoniali da lui rilasciate lo stesso giorno in cui si era verificato l’incidente senza che lo stesso fosse stato avvisato della possibilità di essere
assistito da un difensore e senza che tale assistenza fosse stata comunque apprestata; dichiarazioni che, contrastando con altre successive esternazioni dello stesso ricorrente, hanno indotto la Corte di appello a ritenere queste ultime inattendibili.
Infine, con il settimo motivo di impugnazione si chiede la sospensiva della provvisoria esecutività delle statuizioni civili cui il COGNOME è stato condannato, essendo questi, date le proprie condizioni di precarietà economica, sottoposto al rischio di un danno grave ed irreparabile in caso di sua soggezione alla derivante azione esecutiva in suo danno.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, essendo risultati non fondati i motivi posto a suo sostegno, deve essere rigettato, con le derivanti conseguenze anche a livello di ristoro delle spese di giudizio nei confronti delle costituite parti civili.
Il primo motivo di impugnazione è manifestamente infondato.
Ritiene, infatti, il ricorrente che la Corte di appello di Milano, nel riformare la sentenza emessa dal Tribunale di Como, avrebbe esulato rispetto ai poteri ad essa conferiti da questa Corte di cassazione a seguito dell’avvenuto annullamento con rinvio, disposto con sentenza n. 20378 del 2021, della precedente sentenza emessa dalla Corte ambrosiana in data22 marzo 2019.
L’assunto è destituito di fondamento.
E’, infatti, pacifico in giurisprudenza che il giudice del rinvio a seguito di annullamento per vizio di motivazione, non viola l’obbligo di uniformarsi al principio di diritto il giudice che, adeguatamente motivando rispetto ai singoli punti specificati nella sentenza rescindente e con il limite dell’avvenuta formazione progressiva del giudicato in relazione ai diversi capi della decisione, pervenga nuovamente all’affermazione della penale responsabilità dell’imputato sulla base di argomenti differenti da quelli censurati dalla Corte di cassazione, potendo egli non solo procedere all’esame completo del materiale probatorio ma anche compiere eventuali nuovi atti istruttori necessari per la decisione (Corte di cassazione, Sezione II penale, 23 dicembre 2020, n. 37407).
Nel caso che ora interessa l’annullamento disposto dalla Corte di cassazione aveva avuto ad oggetto il vizio di motivazione della sentenza precedentemente emessa dalla Corte di Milano e con la quale era stata esclusa la esistenza di un rapporto di reciproco affidamento che si instaura, nel corso
di essa, fra i soggetti impegnati in una immersione subacquea, tale da far sorgere in ciascuno di essi un obbligo di soccorrere il sodale che si trovi in difficoltà.
In tale ambito la ricerca operata dalla Corte di Milano delle modalità attraverso le quali il COGNOME ha ottemperato all’obbligo di soccorso su di lui gravante non esula indubbiamente rispetto ai compiti ad essa affidati in sede di rinvio.
Quanto al secondo motivo di impugnazione, riguardante la sussistenza di un ragionevole dubbio riferito natura colposa della condotta tenuta dal COGNOME, idonea a far sorgere in capo al medesimo l’obbligo risarcitorio nei confronti dei soggetti danneggiati dal decesso, in ipotesi derivante dall’operato del ricorrente, della COGNOME (si rammenta, infatti, che in questione è esclusivamente la responsabilità civile del ricorrente, posto che quanto alla rilevanza immediatamente penale della imputazione a lui contestata, il reato di omicidio colposo già è stati dichiarato estinto per prescrizione), si osserva, in primo luogo che l’invocato principio, quale regola di giudizio che conforma la valutazione degli indizi e il metodo di accertamento del fatto, è da ritenersi rispettato anche nel caso in cui i comportamenti umani e le conseguenze da essi derivanti sono giudicati sulla base di regole di esperienza, quando non sono espressivi di una relazione di mera verosimiglianza e plausibilità, ma hanno una base razionale, seppur presuntiva (fra le molte, sul punto: Corte di cassazione, Sezione I penale, 15 settembre 2022, n. 34932).
Nel caso in esame, la Corte di Milano ha ritenuto che la condotta del COGNOME, il quale non offrì alla COGNOME, in evidenti difficoltà respiratorie, proprio erogatore, ma anzi la lasciò, in quella drammatica situazione, da sola, seppur con l’intento di arredare il COGNOME, cioè l’altro soggetto partecipant all’immersione; una tale condotta è stata congruamente valutata dalla Corte territoriale, senza che tale giudizio appare inficiato dalla mancata considerazione di un qualche legittimo dubbio, in contrasto con l’obbligo di assistenza che il COGNOME aveva verso la sodale in pericolo.
Il terzo motivo di impugnazione non appare ammissibile, posto che con esso il ricorrente pare lamentarsi non tanto del fatto che sia stata ritenuta l propria responsabilità quanto del fatto che analoga responsabilità non sia stata attribuita al carico del COGNOME; ma si tratta di un fattore che in nulla ha potu incidere in merito alla posizione dell’imputato che, pertanto, non ha alcun interesse giuridicamente tutelabile in ordine alla doglianza in tale modo argomentata.
In relazione al quarto motivo di impugnazione, riferito al fatto che la Corte di Milano non avrebbe considerato quale fattore autonomo ai fini della causazione del decesso della COGNOME il guasto tecnico determinatosi a livello del suo erogatore di aria respirabile ed al conseguente stato di panico sofferto dalla donna, è sufficiente osservare che, nella ricostruzione operata dalla Corte di merito il guasto manifestatosi nell’erogatore della COGNOME, tale da comportare una anomala fuoriuscita di aria dallo stesso, non sarebbe stato comunque tale da determinare il decesso della donna, posto che, come evidenziato con accertamento in fatto non suscettibile di essere riesaminato da questa Corte di legittimità, la donna, pur in difficoltà per le bolle d’aria che la contornavano entrò in “debito di ossigeno” non a causa dell’anomalo funzionamento del citato erogatore, ma solo quale conseguenza della errata condotta tenuta dal COGNOME il quale, invece che collaborare con la COGNOME nella sua risalata in superficie, provvide, nell’intento di far cessare la produzione delle bolle d’aria, a chiudere il rubinetto a valle di una delle bombole di ossigeno da quella portate, non avvedendosi, come invece avrebbe potuto facilmente fare, che il rubinetto da lui serrato non era quello della bombola che presentava il difetto, tanto che lo stesso aveva continuato a manifestarsi pur dopo la improvvida manovra del ricorrente, ma quello della bombola dalla quale la COGNOME si approvvigionava, sino a quel momento regolarmente, di ossigeno per la propria respirazione.
Quanto alla situazione di panico in cui la COGNOME si è, conseguentemente (e, sia consentito aggiungere, naturalmente) trovata, essendo stata la stessa cagionata dalla improvvida manovra del COGNOME, il quale come detto, si sarebbe dovuto limitare ad offrire il proprio erogatore alla donna, ove avesse riscontrato un’esigenza di respirazione di questa non appagata dagli strumenti a disposizione della medesima, e non a chiudere il rubinetto dal cui cattivo funzionamento (anche se la scelta da lui operata non fosse stata sbagliata) non derivava alcun immediato pericolo a carico della donna, la quale infatti, non mostrava segni di “fame d’aria”.
Correttamente, quindi, la Corte di merito ha escluso, in termini di elevata probabilità, che nella determinazione del decesso della  donna l’evento, idealmente esclusa la condotta del COGNOME, si sarebbe egualmente verificato.
Quanto al successivo quinto motivo di impugnazione, riferito alla mancata valutazione della esistenza di uno stato di necessità che avrebbe scriminato la condotta del COGNOME, si osserva che l’intero impianto motivazionale della sentenza impugnata, con il quale è ascritta alla condotta negligente del COGNOME la determinazione dell’evento morte della COGNOME, esclude la possibilità di
riconoscere all’uomo la predetta scriminante, la circostanza che questi si possa essere trovata in una situazione di pericolo a causa di una sua precedente condotta colposa determinante ai fini dell’insorgere del pericolo stesso (in questo senso (Corte di cassazione, Sezione IV penale, 14 maggio 1986, n. 3734; Corte di cassazione, Sezione IV penale, 3 dicembre 1969, n. 2542).
Il successivo sesto motivo di ricorso, legato alla inutilizzabilità ai fini de decidere delle dichiarazioni resa dal COGNOME al CC il giorno stesso in cui si è verificato il sinistro de quo in quanto le stesse sarebbero state raccolte senza che il prevenuto era stato avvisato della possibilità di avvalersi delle garanzie di cui all’art. 63 cod. proc. pen. né essendo state questa apprestate ex officio, è inammissibile posto che il ricorrente non ha fornito alcun elemento in ordine né alla sussistenza al momento in cui le dichiarazioni furono rilasciata di indizi non equivoci di reità, come tali conosciuti dall’autorità procedente, non rilevando a tale proposito eventuali sospetti od intuizioni personali dell’interrogante (Corte di cassazione, Sezioni unite penali, 10 giugno 2009, n. 23868), né in ordine alla decisività ai fini della adozione della sentenza a carico del prevenuto delle dichiarazioni in questione.
In ordine alla istanza di sospensione della esecuzione della condanna al risarcimento del danno potendo derivare da questa un danno grave ed irreparabile al ricorrente, l’avvenuta conferma della sentenza di condanna al risarcimento del danno patito dalle parti civili, oramai divenuta definitiva, priva di rilevanza l’stanza in questione.
Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato ed il ricorrente, visto l’art. 6 cod. proc. pen. va condannato al pagamento delle spese processuali.
Considerata la soccombenza dello stesso sotto il profilo civilistico nel presente giudizio, il medesimo va, altresì, condannato al pagamento delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalle costituite parti civile secondo i modi ed i termini meglio specificati in dispositivo.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Condanna, inoltre, il ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili che liquida, quanto a COGNOME NOME in complessivi euro 5.000,00 oltre accessori di legge, e quanto a COGNOME NOME e COGNOME NOME in complessivi euro 6.500,00 oltre accessori di legge.
Condanna, altresì, il ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile COGNOME NOME, ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Milano con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 del dPR n. 115 del 2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato.
Così deciso in Roma, il 26 settembre 2023
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