Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 13156 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 13156 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 26/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ROMA il 30/04/1992
avverso la sentenza del 14/10/2024 della Corte d’appello di Roma Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che si riporta alla memoria scritta e conclude per l’inammissibilità del ricorso; udito il difensore avvocato NOME COGNOME del foro di Roma per NOME COGNOME il quale si riporta ai motivi di ricorso e chiede l’assoluzione.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Roma, con la sentenza indicata in epigrafe, riformando la decisione del Tribunale della stessa sede dell’8 luglio 2016 quanto al trattamento sanzionatorio, ha rideterminato la pena alla luce delle riconosciute circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti alla contestata aggravante.
NOME COGNOME è stato dunque ritenuto responsabile del reato previsto dall’art. 589 cod.pen. e condannato alla pena di anni uno e mesi otto di reclusione, per aver concorso a cagionare, per colpa consistita nell’aver condotto a velocità non adeguata rispetto alle circostanze ambientali e di traffico la propria autovettura Nissan, la morte del pedone NOME COGNOME In Roma, il 12 agosto 2012 alle ore 1,40.
La Corte di appello ha esposto che, con la contestazione, si era rimproverato all’imputato di aver percorso il INDIRIZZO, provenendo da INDIRIZZO, alla guida della propria autovettura Nissan modello Qashqai all’andatura di circa 95 km/h, ritenuta inadeguata rispetto alle condizioni ambientali e di traffico, e di aver investito NOME COGNOME, proveniente dallo spartitraffico centrale, mentre cominciava l’attraversamento di INDIRIZZO a circa 20 metri di distanza dall’impianto semaforico, seguito da attraversamento pedonale, sito all’altezza della intersezione con INDIRIZZO. All’investimento seguiva la fase di caricamento del corpo del pedone e l’impatto dello stesso con la parte inferiore sinistra del parabrezza. Ciò determinava la rottura del medesimo parabrezza e il successivo lancio del corpo con elevato angolo, dato che la polizia giudiziaria aveva rilevato la rottura del ramo di un albero posto alli altezza di circa tre metri dal suolo, i cui resti erano rinvenuti sul tetto del veicolo in sosta sullo spartitraffico nei pressi del luogo di impatto. La ricaduta al suolo avveniva sullo spartitraffico, con traccia ematica al suolo tra il primo e il secondo albero, dopo l’impianto semaforico. Secondo il consulente tecnico del p.m., considerate le masse del pedone e del veicolo e la posizione finale dell’auto rilevata dalla polizia giudiziaria, pur ammettendo un significativo spostamento del veicolo successivamente all’evento (pari a circa 20 metri), la velocità del medesimo veicolo doveva stimarsi in 95 Km/h. Allo stesso valore si sarebbe pervenuti stimando la velocità del veicolo sulla base della traiettoria di lancio ricostruita dai rilievi della polizia. Secondo il parere del consulente, condiviso dai giudici del merito, l’incidente si sarebbe potuto evitare se la velocità del veicolo fosse stata sensibilmente inferiore a quella desunta dai rilievi al suolo. Su quel tratto di strada, la velocità massima consentita è di 50 Km/h, ma, nel caso specifico, la velocità avrebbe dovuto essere ben inferiore a tale limite, tenuto conto della ridotta visibilità e della prossimità di attraversamento pedonale. Qualora la velocità del Corte di Cassazione – copia non ufficiale
veicolo fosse stata considerevolmente più bassa, e sensibilmente inferiore al detto limite, per esempio pari a 30 Km/h, sarebbe stato possibile per il veicolo frenare e conseguentemente rallentare fino all’arresto in condizioni di sicurezza a seguito della percezione del pedone in fase di attraversamento.
4. La Corte territoriale ha disatteso i motivi di appello, relativi all’affermato difetto di colpa, basati sulla mancanza di prova certa dell’eccesso di velocità, solo desunto da mere illazioni espresse da testimoni oculari, e sulla mancanza di prova circa il nesso causale, posto che non si era provato che una velocità ridotta avrebbe escluso l’evento. È stato invece accolto il motivo relativo al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, ritenendo la condotta della vittima, che stava procedendo all’attraversamento fuori dalla sede propria e in stato di ebbrezza alcolica, connotata da colpa.
5. In definitiva, la Corte territoriale ha ritenuto certo che l’imputato avesse violato la regola cautelare di cui all’art. 141, comma 3, cod. strada, come calcolato dal consulente con adeguate formule convergenti con le dichiarazioni delle testimoni oculari, e che il sinistro verificatosi fosse eziologicamente collegato alla violazione stessa, potendosi ritenere che, con elevata probabilità logica, qualora la velocità tenuta dal conducente fosse stata inferiore ed adeguata allo stato dei luoghi, egli avrebbe potuto scorgere tempestivamente la presenza del pedone sulla carreggiata, rallentare ed evitare l’investimento.
6. Avverso tale sentenza, propone ricorso per cassazione, a mezzo del proprio difensore, NOME COGNOME articolando due motivi, sintetizzati come segue ex art. 173 disp. att. cod.pen., con i quali deduce: 1) violazione di legge, con riferimento alla sussistenza del nesso causale. Il ricorrente denuncia l’assenza di vaglio critico nel ragionamento della sentenza impugnata, riferito alle specifiche censure sollevate con l’atto di appello, attraverso le quali si era evidenziata la lacuna della sentenza di primo grado in punto di criterio di attribuzione della colpa. Si rammenta il principio espresso dalla giurisprudenza di legittimità in ordine alla necessità di distinguere tra la regola di giudizio mediante la quale accertare l’evitabilità dell’evento, per effetto di condotte appropriate, e quella relativa alla dimostrazione del nesso causale. Per aversi colpa l’evento deve essere stato causato da una condotta soggettivamente riprovevole, per cui il nesso eziologico non si configura quando il cd. comportamento alternativo lecito non avrebbe comunque evitato l’evento. Nel caso di specie, entrambi i giudici del merito avevano confuso la causalità della condotta con la causalità della colpa, che poggia sulla doppia verifica della effettiva concretizzazione del rischio e della cd. causalità della colpa. Il ricorrente afferma che, nel caso di specie, pur se l’imputato avesse osservato il limite di velocità di 50 Km/h, previsto su quel tratto di strada, l’evento si sarebbe comunque verificato. Non effettuando la verifica ex ante in concreto in
ordine alla efficacia causale del comportamento alternativo lecito, si era finito per attribuire l’evento all’imputato a titolo di responsabilità oggettiva, imponendo al conducente una regola di prudenza eccedente rispetto all’obbligo di rispetto della regola cautelare. 2) Applicazione errata della legge, con riferimento alla imprevedibilità dell’evento e al travisamento della prova testimoniale e della relazione di consulenza tecnica d’ufficio, in riferimento alla velocità del veicolo stimata al momento dell’incidente. Il ricorrente sostiene che le sentenze di merito avrebbero applicato la legge in modo erroneo, anche riguardo alla imprevedibilità dell’evento, che esclude il configurarsi della colpa. Il motivo ribadisce il vizio della sentenza impugnata in punto di accertamento asseritamente inequivocabile della velocità tenuta dalla vettura condotta dall’imputato, posto che nel caso di specie non sussisterebbero le particolari condizioni richieste per l’applicazione dell’art. 141 cod. strada, che rendono prevedibile per il conducente la presenza di pericoli, con consequenziale necessità di adeguare in concreto la velocità. Le testimonianze delle due donne testimoni oculari erano in realtà mere sensazioni e il calcolo del consulente era condizionato dall’utilizzo di elementi ignoti, quale la ragione della caduta del ramo. Si denuncia dunque la non corretta interpretazione del c.d. principio di affidamento, a fronte della condotta inosservante della persona deceduta, posto che l’imputato non avrebbe potuto prevedere l’attraversamento del pedone dal momento che lo stesso fu repentino e improvviso.
La Procura Generale, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME ha depositato memoria scritta, con la quale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non supera il vaglio di ammissibilità.
I due motivi di ricorso, stante la loro stretta connessione, vanno trattati congiuntamente. La giurisprudenza della Corte di cassazione ha avuto più volte modo di affermare che nei reati colposi, qualora si assuma violata una regola cautelare cosiddetta “elastica”, che cioè necessiti, per la sua applicazione, di un legame più o meno esteso con le condizioni specifiche in cui l’agente deve operare – al contrario di quelle cosiddette “rigide”, che fissano con assoluta precisione lo schema di comportamento – è necessario, ai fini dell’accertamento dell’efficienza causale della condotta anti doverosa, procedere ad una valutazione di tutte le circostanze del caso concreto (cfr. Sez. 4, Sentenza n. 40050 del 29/03/2018, COGNOME, Rv. 273871).
Dunque, l’accertamento della responsabilità colposa implica che la violazione della regola cautelare deve aver determinato la concretizzazione del rischio che detta regola mira a prevenire (cosiddetta causalità della colpa), poiché alla colpa dell’agente va ricondotto non qualsiasi evento realizzatosi, ma solo
quello causalmente riconducibile alla condotta posta in essere in violazione della regola cautelare (Sez. 4, Sentenza n. 36857 del 23/04/2009, COGNOME, Rv. 244979).
4. Orbene, vertendosi in ipotesi di violazione dell’art. 141 cod. strada, l’obbligo di moderare adeguatamente la velocità dev’essere posto in relazione alle caratteristiche del veicolo ed alle condizioni ambientali; lo stesso va inteso nel senso che il conducente deve essere in grado di padroneggiare il veicolo in ogni situazione, tenendo altresì conto di eventuali imprudenze altrui, purché ragionevolmente prevedibili (Sez. 4, Sentenza n. 25552 del 27/04/2017, Luciano, Rv. 270176).
5. D’altra parte – in relazione alla fattispecie concreta in esame – vanno richiamati i costanti principi espressi da questa Corte in ordine agli obblighi imposti all’utente della strada nei confronti dei pedoni; i quali trovano il loro parametro di riferimento (oltre che nelle regole di comune e generale prudenza) nel principio generale di cautela che informa la circolazione stradale e che si sostanzia, essenzialmente, in tre obblighi comportamentali: quello di ispezionare la strada dove si procede o che si sta per impegnare; quello di mantenere un costante controllo del veicolo in rapporto alle condizioni della strada e del traffico; quello, infine, di prevedere tutte quelle situazioni che la comune esperienza comprende, in modo da non costituire intralcio o pericolo per gli altri utenti della strada (in particolare, proprio dei pedoni). Trattasi di obblighi comportamentali posti a carico del conducente anche per la prevenzione di eventuali comportamenti irregolari dello stesso pedone, vuoi genericamente imprudenti (tipico il caso del pedone che si attarda nell’attraversamento, quando il semaforo, divenuto verde, ormai consente la marcia degli automobilisti), vuoi violativi degli obblighi comportamentali GLYPH specifici, GLYPH dettati GLYPH dall’art. GLYPH 190 GLYPH C.d.S. GLYPH (tipico, GLYPH quello dell’attraversamento della carreggiata al di fuori degli appositi attraversamenti pedonali: ciò che risulta essersi verificato nel caso di interesse; altrettanto tipico, quello dell’attraversamento stradale passando anteriormente agli autobus, filoveicoli e tram in sosta alle fermate). Il conducente, infatti, ha, tra gli altri, anch l’obbligo di prevedere le eventuali imprudenze o trasgressioni degli altri utenti della strada e di cercare di prepararsi a superarle senza danno altrui. Ne discende che il conducente del veicolo può andare esente da responsabilità, in caso di investimento del pedone, non per il solo fatto che risulti accertato un comportamento colposo (imprudente o violativo di una specifica regola comportamentale) del pedone (una tale condotta risulterebbe, come è avvenuto nel caso di specie, concausa dell’evento lesivo, penalmente non rilevante per escludere la responsabilità del conducente: cfr. art. 41 c.p., comma 1), ma occorre che la condotta del pedone configuri, per i suoi caratteri, una vera e propria causa Corte di Cassazione – copia non ufficiale
eccezionale, atipica, non prevista né prevedibile, che sia stata da sola sufficiente a produrre l’evento (Sez. 4, n. 10635 del 20/02/2013, Calarco, Rv. 255288; Sez. 4, n. 37622 del 30/09/2021, COGNOME, Rv. 281929).
6. Nel caso di specie, la Corte di merito, confermando l’accertamento della sentenza di primo grado, ha proceduto alla caratterizzazione della fattispecie concreta, fornendo un quadro sufficientemente circostanziato delle condizioni in cui l’evento si era determinato.
7. In particolare, l’evento accadde alle ore 1,40 circa, si trattava dunque di orario notturno, il pedone attraversava la carreggiata, imprudentemente, fuori dalle strisce pedonali, sbucando dallo spartitraffico, a distanza di circa 20 metri dalle strisce e dal correlato impianto semaforico, posto all’altezza della intersezione del INDIRIZZO con INDIRIZZO, in Roma; le sentenze hanno evidenziato che, proprio per la presenza degli elementi costituiti dalla ridotta visibilità e dalla vicinanza dell’attraversamento pedonale, la misura della cautela dovuta dall’imputato alla guida della sua autovettura era certamente maggiore, ossia tale da imporgli una particolare padronanza alla guida in una condizione di rischio per eventuali pedoni che attraversassero la strada o che costituissero ostacolo alla circolazione veicolare: un rischio immanente proprio per la presenza di più punti visibili di interferenza rispetto alla guida, e che perciò imponeva all’imputato di mantenere la massima attenzione alla guida.
8. Il giudizio controfattuale, esplicitato in modo compiuto e con specifica indicazione della velocità massima di 30 Km/h, che sarebbe stato doveroso tenere, risulta idoneamente operato dalla Corte distrettuale, secondo la quale l’adozione di una particolare cautela (dovuta in base allo stato dei luoghi e alle caratteristiche del tratto stradale) avrebbe imposto al ricorrente di commisurare la sua andatura all’esigenza di mantenere il controllo del suo veicolo e, ove occorresse, di arrestarne la marcia al manifestarsi di improvvise presenze di pedoni sulla strada: improvvise, ma non imprevedibili.
9. Per il resto, i motivi in esame sollecitano in buona sostanza una diversa valutazione del materiale probatorio, non compatibile con il presente sindacato di legittimità (cfr. i principi affermati da Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, COGNOME, Rv. 214794; si vedano anche in terminis Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, COGNOME, Rv. 216260, e Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, COGNOME, Rv. 226074; più recentemente Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507). Si ricorda inoltre, con riguardo alle lagnanze riferite alla considerazione, da parte della Corte di merito, delle argomentazioni svolte sulla attendibilità degli esiti della consulenza e dei contenuti delle testimonianze, che in tema di valutazione della prova, atteso il principio della libertà di convincimento del giudice e della insussistenza di un regime di prova
legale, il presupposto della decisione é costituito dalla motivazione che la giustif Ne consegue che il giudice può scegliere, tra le varie tesi prospettate dai per dai consulenti di parte, quella che maggiormente ritiene condivisibile, purch illustri le ragioni della scelta operata (anche per rapporto alle altre prospetta che ha ritenuto di disattendere) in modo accurato attraverso un percorso logic congruo che il giudice di legittimità non può sindacare nel merito (per tutte vd Sez. 4, Sentenza n. 46359 del 24/10/2007, COGNOME, Rv. 239021).
Quanto al principio di affidamento, pure evocato dal motivo di ricorso, ci si limita a ricordare quanto già osservato a proposito della si prevedibilità, nel caso di specie, di un possibile attraversamento della carreggi nella zona dell’attraversamento pedonale e delle scarse condizioni di visibili essendo al riguardo ininfluente – alla luce della richiamata giurisprudenza legittimità – che l’attraversamento avvenga sulle dette strisce o nelle vicinanz fronte di ciò si rammenta che il principio di affidamento, nello specifico campo del circolazione stradale, trova opportuno temperamento nell’opposto principio secondo il quale l’utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui, purché rientri nel limite della prevedibilità (per tutte vds. 4, Sentenza n. 5691 del 02/02/2016, COGNOME, Rv. 265981), con la conseguenza che nella specie il già menzionato principio non vale a scriminare la condott dell’imputato.
11. In definitiva, il ricorso è manifestamente infondato in quanto basato su interpretazioni della normativa applicata difformi rispetto ai consolid orientamenti di legittimità e che presuppongono una rivalutazione non consentita dell’apprezzamento dei fatti. Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000 n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussis elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in col nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declarator dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativannente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa dell ammende.
Così deciso il 26 marzo 2025.