Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 36654 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 36654 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 15/10/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a PECCIOLI il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 29/11/2024 della Corte d’appello di Firenze Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO COGNOME; lette le conclusioni del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO con cui ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza del Giudice dell’Udienza Preliminare del Tribunale di Pisa di condanna ex art. 442 cod. proc. pen. di NOME COGNOME in ordine al reato di cui all’art. 589 cod. proc. pen. in danno di NOME COGNOME, ha riconosciuto all’imputato le circostanze attenuanti generiche e rideterminato la pena in mesi 8 di reclusione con il beneficio della sospensione condizionale.
Il processo ha ad oggetto un omicidio colposo verificatosi durante una battuta di caccia.
Nelle sentenze di merito si dà atto che le battute di caccia devono svolgersi secondo il seguente schema:
(i) una parte della squadra cintura l’area , mentre alcuni cacciatori si addentrano nella macchia più fitta, allo scopo di costringere i cinghiali che vi si annidano a fuggire, sì da venire incanalati in un imbuto studiato per farli uscire dalla radura, ove altri cacciatori in posta rimangono in attesa;
(ii) questi ultimi si dispongono in modo da formare una linea di posta, posizionandosi gli uni al fianco agli altri a una distanza di 30/40: fino a quando l’animale , uscito dalla macchia, corre parallelamente alla linea di posta, gli abbattitori possono sparare in sicurezza, mentre devono cessare il fuoco nel momento in cui il cinghiale prende una traiettoria di corsa trasversale a detta linea, stante il rischio, in tale caso, di inquadrare e colpire i compagni;
(iii) i cacciatori possono, dunque, sparare solo davanti e dietro la linea di posta, ma per girarsi e sparare devono abbassare l’arma e puntarla solo dopo aver assunto la nuova posizione.
Nel caso in esame l’ imputato e la vittima erano posizionati sulla linea di posta a distanza di 30/40 metri l’uno dall’altro: COGNOME più in alto, alla sinistra di COGNOME che si trovava leggermente più in basso; ad un certo punto, nel mentre che un cinghiale, uscito dalla boscaglia, stava attraversando perpendicolarmente detta linea, COGNOME si era voltato in direzione dell’animale, seguendo la traiettoria che in quel momento stava compiendo, e aveva sparato con la propria arma in rapida successione tre colpi, uno dei quali aveva attinto alla tempia COGNOME.
All’imputato sono stati contestati, quali addebiti di colpa, la negligenza, l’imprudenza e l’imperizia, nonché la violazione RAGIONE_SOCIALE regole stabilite per la battuta di caccia al cinghiale e in particolare il non essersi astenuto da sparare nel momento in cui il cinghiale stava attraversando la linea di posta
perpendicolarmente alla stessa, tra la sua postazione e la postazione della vittima.
Avverso la sentenza d’appello , ha proposto ricorso l’imputato a mezzo del difensore, formulando due motivi.
2.1 Con il primo motivo, ha dedotto il vizio di motivazione, anche sub specie di travisamento della prova, in relazione alla affermazione della penale responsabilità. Il difensore contesta la ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito e in particolare la descrizione dello stato dei luoghi e della conformazione de terreno, la posizione della vittima e dell’imputato e sostiene che sulla base di tale errata ricostruzione si era giunti a conclusioni logicamente insostenibili. Illogicamente i giudici hanno sostenuto che il corpo della vittima era stato spostato dal luogo in cui era caduto dopo essere stato attinto dal colpo mortale, posto che dagli atti era invece emerso che la vittima era caduta prona sopra il proprio fucile (dichiarazioni del teste COGNOME), che il fucile era stato tolto da sotto il corpo (dichiarazione teste COGNOME) non già spostando il corpo, ma solo voltandolo e che la testa della vittima era rivolta verso il bosco dal quale era uscito l’ungulato. Secondo il difensore, dunque, la vittima porgeva al ricorrente il lato destro e non già il lato sinistro, come invece sostenuto nelle sentenze di merito. La Corte, prosegue il ricorrente, per giustificare il fatto che il colpo aveva attinto la vittima alla tempia sinistra e dall’alto verso il basso, pur essendo l’imputato posizionato alla sua destra in un punto più basso, era arrivata persino a ipotizzare non solo che COGNOME si fosse voltato offrendo il lato sinistro a COGNOME, ma anche che si fosse, in qualche modo, chinato in avanti e che il colpo mortale fosse stato di rimbalzo. Tuttavia, se la vittima si fosse voltata e avesse offerto il lato sinistro all’imputato, la traiettoria di ingresso del colpo non avrebbe potuto essere dall’alto in basso, poiché fra la posizione del COGNOME e quella della vittima vi era un dislivello di ben sei metri.
La Corte, inoltre, era arrivata a sostenere che COGNOME aveva sparato contro il cinghiale non quando era uscito dal bosco, ma quando stava transitando tra i due cacciatori (in tal modo cercando di giustificare il movimento verso destra), richiamando le dichiarazioni di COGNOME: questi, tuttavia, aveva, invece, riferito che COGNOME aveva esploso il colpo una volta visto uscire l’ungulato dal bosco e , quindi, porgendo la propria parte destra a COGNOME.
Anche l’argomento per cui i l colpo mortale era stato di rimbalzo era illogico, in quanto in tal caso la traiettoria di ingresso nella testa della vittima sarebbe stata dal basso verso l’alto e non viceversa, in contrasto con le
conclusioni del CT. Per quanto la vittima si fosse chinata, mai la traiettoria di ingresso avrebbe potuto essere quella accertata dal basso all’alto.
Infine, in maniera illogica la Corte avrebbe ritenuto superflua la perizia balistica: la verifica sul proiettile che aveva attinto la vittima avrebbe potuto confermare se lo stesso fosse della stessa tipologia di quello usato da COGNOME e se lo stato di deformazione fosse o meno compatibile con un colpo esploso alla distanza che separava la vittima da ll’ imputato.
2.2. Con il secondo motivo, ha dedotto il vizio di motivazione in relazione alla determinazione del trattamento sanzionatorio. Secondo il difensore la pena di 8 mesi di reclusione sarebbe eccessiva e la sentenza non avrebbe indicato le ragioni che giustificavano lo scostamento dalla pena base dal minimo edittale.
Le modalità del fatto non potevano essere considerate significative della gravità della condotta, tanto più che si era anche ipotizzato che la morte della vittima fosse stata determinata da un colpo di rimbalzo: se è vero che la caccia al cinghiale è disciplinata da regole ben precise, è altrettanto vero che l’eventuale colpo di rimbalzo è fatalità difficilmente prevedibile da parte del reo. La Corte, inoltre, aveva omesso di considerare una serie di elementi positivi, quali il comportamento processuale e il risarcimento del danno, che avrebbe dovuto essere tenuta in conto, anche ai fini della concessione della circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen.
Il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, nella persona del sostituto NOME COGNOME, ha presentato conclusioni scritte, con cui ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non supera il vaglio di ammissibilità.
Il primo motivo, con cui si contesta la ricostruzione dell’accaduto e la riconducibilità all’imputato dello sparo che ha attinto la vittima provocandone la morte, è inammissibile, per plurime convergenti ragioni.
2.1.In primo luogo, la censura è volta a prospettare alla Corte una inammissibile lettura alternativa del compendio probatorio. Deve a tale fine ribadirsi che la ricostruzione di un incidente nella sua dinamica è rimessa al giudice di merito e integra una serie di apprezzamenti di fatto che sono sottratti al sindacato di legittimità, se sorretti da adeguata motivazione. Esula dai poteri della Corte di C assazione quello di una ‘rilettura’ di element i di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al
giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione RAGIONE_SOCIALE risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944). Sono, perciò, estranei alla natura del sindacato di legittimità l’apprezzamento e la valutazione del significato degli elementi probatori attinenti al merito, che non possono essere apprezzati dalla Corte di RAGIONE_SOCIALEzione se non nei limiti in cui risulti viziato il percorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa e sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6 n. 47204 del 7/10/2015, Rv. 265482).
Ciò premesso, la motivazione della sentenza impugnata sfugge alla censura di manifesta illogicità articolata dal ricorrente.
L a ricostruzione dell’incidente nelle sentenze di merito conformi è stata fondata sulle risultanze RAGIONE_SOCIALE indagini (tutte utilizzabili in ragione del rito prescelto), analiticamente indicate e in particolare:
(i) sulle dichiarazioni rese dalle persone informate sui fatti;
(ii) su quanto spontaneamente dichiarato nell’immediatezza dall’imputato, il quale aveva ammesso di aver sparato tre colpi in rapida successione seguendo il movimento del cinghiale, di essersi girato in direzione di COGNOME e di aver esploso un colpo verso di lui, colpendolo alla tempia, forse di rimbalzo;
(iii) sul rinvenimento dei bossoli: in tutto quattro, ovvero tre (intero munizionamento) sparati da COGNOME e uno sparato da COGNOME.
E’ stato, dunque, ritenuto provato che l’imputato, nel mentre che il cinghiale uscito dalla boscaglia stava attraversando la linea di posta formata dai cacciatori, si era voltato in direzione dell’animale e del compagno NOME COGNOME, posizionato sulla sua sinistra e anch’egli giratosi, e aveva sparato tre colpi in rapida successione, uno dei quali aveva attinto la vittima alla tempia sinistra.
La Corte, in coerenza con le argomentazioni del giudice di primo grado, ha anche replicato in maniera non irragionevole alle obiezioni del consulente tecnico della difesa, secondo il quale la posizione del corpo della vittima e la direzione del colpo dall’alto verso il basso (a fronte del fatto che COGNOME si trovava più in alto nel pendio rispetto a COGNOME) erano incompatibili con tale ricostruzione. I giudici hanno spiegato che il corpo di COGNOME era stato spostato dai sanitari intervenuti, che COGNOME si era anch’egli girato mentre il cinghiale
stava attraversando la linea di posta e si era così trovato con il lato sinistro del corpo rivolto verso la postazione di COGNOME e, infine, che non poteva escludersi che COGNOME fosse stato colpito di rimbalzo, ovvero che, nell’effettuare un movimento rotatorio, avesse assunto una posizione più bassa, tale da aver favorito l’entrata dall’alto verso il basso al proprio interno del colpo esploso da COGNOME.
A fronte di tale percorso argomentativo, il motivo di ricorso si limita, in maniera generica, ad avversare la indicata ricostruzione, proponendone una alternativa, secondo cui a sparare sarebbe stato altro soggetto, senza, peraltro, indicare a supporto alcuna concreta evidenza. La diversa dinamica era già stata prospettata alla Corte, che aveva rilevato come essa fosse ‘fantasiosa e non fondata su alcun rilevante elemento presente in atti’ (pag. 23) : a tale assunto il ricorrente non ha contrapposto alcuna ragione, di fatto o di diritto.
2.2. Il ricorrente accenna, in maniera, comunque, generica, anche al travisamento da parte della Corte della testimonianza di NOME COGNOME. In tesi difensiva, costui avrebbe riferito che COGNOME aveva esploso il colpo non appena aveva visto l’ungulato uscire dal bosco e che, quindi, in quel momento stava porgendo la propria parte destra a COGNOME. In proposito non può che rilevarsi il difetto di autosufficienza del ricorso, non essendo state dette dichiarazioni allegate, né integralmente trascritte (in tal senso si vedano: Sez. 5, n. 5897 del 03/12/2020, dep. 2021, Rv. 280419; Sez. 2, n. 20677 del 11/04/2017, Rv. 27007; Sez. 4, n.46979 del 10/11/2015, Rv. 265053). Peraltro, secondo quanto riportato nella sentenza impugnata (pagg. 6 e 21), il teste COGNOME, posizionato vicino alla persona offesa sulla linea di posta, dal lato opposto dell’imputato, aveva dichiarato di aver assistito alla scena e di aver sentito i colpi sparati in sequenza da COGNOME e da COGNOME, mentre l’animale stava attraversando la linea di posta fra i due, e subito dopo di aver visto COGNOME cadere a terra: dunque, anche a limitarsi al contenuto del ricorso, non sembra, neppure in astratto, ipotizzabile il travisamento della prova che consiste non già nella sua errata interpretazione, ma nella palese difformità tra i risultati obiettivamente derivanti dalla sua assunzione e quelli che il giudice di merito ne abbia tratto, compiendo un errore idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio e rendendo conseguentemente illogica la motivazione. (Sez. 7, n. 12406 del 19/02/2015, Rv. 262948; Sez. 5, n. 9338 del 12/12/2012, Rv. 255087; Sez.3, n. 39729 del 18 giugno 2009, Rv 244623; Sez.5. n. 39048 del 25/09/2007, Rv 238215; Sez. 4, n. 21602 del 07/04/2007, Rv 237588).
2.3. Infine il ricorrente lamenta il mancato espletamento da parte della Corte di una perizia balistica, ancora una volta limitandosi ad avversare, senza indicarne profili di illogicità, la motivazione adottata dalla Corte di appello.
I giudici hanno evidenziato che, a fronte di un quadro probatorio ‘esaustivo e concludente’, del tutto vaga ed esplorativa era la doglianza rispetto all’omessa perizia balistica, tenuto conto che nessun a ltro sparo (oltre a quello di COGNOME e ai tre provenienti dal fucile di COGNOME) era stato udito dai presenti o era in altro modo emerso da ll’istruttoria compiuta .
Le ragioni del rigetto sono rispettose del dettato normativo e dei principi consolidati della giurisprudenza di legittimità. In proposito di deve ricordare che il principio generale, dettato dall’art. 603, comma 1, cod. proc. pen. è quello per cui, quando una parte ha chiesto la riassunzione di prove già acquisite nel dibattimento di primo grado, ovvero l’assunzione di nuove prove, il giudice di appello, se non è in grado di decidere allo stato degli atti, dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale. Ai sensi dell’art. 603, comma 3, cod. proc. pen., il giudice dispone di ufficio la rinnovazione dell’ istruzione dibattimentale, quando la ritiene assolutamente necessaria ai fini della decisione, perché potenzialmente idonea ad incidere sulla valutazione del complesso degli elementi acquisiti. L’art. 603, commi 1 e 3, cod. proc. pen., prevede, dunque, la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in grado di appello solamente quando il giudice sia impossibilitato a decidere allo stato degli atti e ritenga indispensabile la prova richiesta. La giurisprudenza di legittimità ha già avuto modo di chiarire che i fenomeni di integrazione probatoria in appello rispondono ad una logica di eccezionalità, in coerenza con la presunzione di completezza dell’accertamento probatorio che caratterizza il giudizio di primo grado (Sez. 6 n. 48093 del 10/10/2018, Rv. 274230; Sez. 6, n. 8936 del 13/01/2015, Rv. 262620; sez. 2, n. 36630 del 15/05/2013, Rv. 257062; Sez. 4, n. 18660 del 19/02/2004, Rv. 228353) e che la valutazione, rimessa al giudice di merito, è incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivata. Tali principi sono stati ribaditi anche con riferimento all’espletamento della perizia . (Sez. U, n. 39476 del 23/03/2017, Rv.270936; Sez. 2, n. 52517 del 03/11/2016, Rv. 268815; Sez. 4, n.7444 del 17/01/2013, Rv. 255152; Sez. 6, n. 456 del 21/09/2012, dep. 2013, Rv.254226; Sez. 6, n. 43526 del 03/10/2012, Rv. 253707).
Il secondo motivo, con cui si censura il trattamento sanzionatorio, è inammissibile in quanto generico e, comunque, manifestamente infondato.
Secondo un indirizzo giurisprudenziale ormai consolidato, la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti e alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti e attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale assolve al relativo obbligo di motivazione se dà conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen., con richiamo alla gravità del
reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Rv. 271243; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, Rv. 256197). A questo proposito la giurisprudenza ha anche specificato che la pena media edittale non deve essere calcolata dimezzando il massimo edittale previsto per il reato, ma dividendo per due il numero di mesi o anni che separano il minimo dal massimo edittale ed aggiungendo il risultato così otte-nuto al minimo (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, Rv. 276288).
Nel caso in esame, la Corte di appello, nel riconoscere le circostanze attenuanti generiche e nel diminuire la pena individuata dal primo giudice (in ragione RAGIONE_SOCIALE stesse circostanze ribadite nel ricorso), ha determinato quest’ultima in mesi 8 di reclusione, in ragione dell’alto grado della colpa , in tal modo assolvendo pienamente all’onere motivazionale. Una volta valorizzata la violazione della norma cautelare, con alto grado di intensità, il fattore del colpo da rimbalzo, su cui la difesa concentra le proprie considerazioni al fine di sottolineare una pretesa colpa minimale, è stato coerentemente sminuito dal giudicante.
Infine inammissibile è la doglianza relativa al mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen., a fronte di un risarcimento del danno, che, sulla base della motivazione della sentenza impugnata, risulta essere avvenuto solo dopo la sentenza di primo grado e non già, come sarebbe stato necessario, prima della pronuncia dell’ordinanza del giudice di ammissione al rito ex art . 438, comma 4, cod. proc. pen. (Sez. 5 , n. 223 del 27/09/2022, dep.2023, Rv. 284043 -01; Sez. 3, n. 15750 del 16/01/2020, Rv. 279270- 01; Sez. 6, n. 20836 det 13/04/2018, Rv. 272933; Sez. 2, n. 56935 del 15/11/2017, Rv. 271666; Sez. 4, n. 39512 del 30/04/2014, Rv. 261403;Sez. 2, n. 5629 del 13/11/2012, Rv. 254356).
All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente non versasse in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a suo carico, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere di versare la somma di € 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE, somma così determinata in considerazione RAGIONE_SOCIALE ragioni di inammissibilità.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa RAGIONE_SOCIALE ammende
Così deciso in Roma 15 ottobre 2025
Il AVV_NOTAIO estensore Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME