Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 28323 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 28323 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/07/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente sul ricorso proposto da:
avverso la sentenza del 25/11/2024 della Corte d’assise d’appello di Bologna udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso
– Relatore –
Sent. n. sez. 519/2025
UP – 11/07/2025
R.G.N. 16108/2025
In sede di ammissione del fatto, sin dall’intervento della polizia, l’imputato dichiarava di avere ucciso la donna a causa del suo comportamento oppositivo rispetto al proprio intervento determinato dal pianto del bambino.
I rilievi del consulente tecnico di parte sono stati ritenuti privi di fondamento sulla scorta delle contrarie conclusioni dell’ausiliario del pubblico ministero.
Oltre che sulla configurabilità dell’aggravante della convivenza, la motivazione della sentenza impugnata si Ł soffermata sulle ragioni poste a fondamento della configurabilità del reato complesso costituito dall’omicidio commesso in occasione dei maltrattamenti di cui all’art. 572 cod. pen., ovvero dell’omicidio di cui al combinato disposto degli artt. 575 e 576, comma primo, n. 5), cod. pen.
Anche in merito alle condotte maltrattanti sono state richiamate plurime fonti
testimoniali e i contenuti delle conversazioni intercorse nelle chat tra la vittima e le amiche, oltre che tra la prima e lo stesso imputato.
Dalle stesse Ł emersa la configurabilità di condotte prevaricatrici, minacciose, ingiuriose, violente e mortificanti poste in essere in termini sistematici e ininterrotti da Vultaggio in danno della convivente e ciò fino al momento in cui, nel marzo 2022, la donna aveva, una prima volta, tentato di allontanarsi dall’uomo recandosi dai propri genitori, giungendo anche a rivolgersi, a Monterotondo, ad uno sportello antiviolenza.
Dopo avere ripreso la convivenza, anche nel giugno 2022 si era nuovamente allontanata per fare rientro, in seguito, a Rimini dove, poco dopo essere tornata, la vittima avrebbe trovato la morte per mano dell’imputato.
Alla luce di una minuziosa ricostruzione in fatto di tutte le vicende che hanno caratterizzato le diverse fasi della convivenza tra vittima e imputato, ivi comprese, le temporanee interruzioni della relazione di coabitazione, la Corte di assise di appello ha ritenuto dimostrata la condotta maltrattante fino alla data dell’omicidio.
La relazione tra COGNOME e la compagna, infatti, non Ł stata mai, di fatto, interrotta atteso che, anche nei periodi di allontanamento della COGNOME, la stessa Ł rimasta in contatto con l’imputato consentendogli di vedere, in videochiamata, la figlia e riavviando, per ben due volte, la convivenza solo a seguito di tentativi che i giudici di merito hanno definito di natura manipolatoria.
Sull’aggravante dei futili motivi, Ł stata disattesa la tesi difensiva secondo cui l’azione omicidiaria sarebbe stata determinata dalla condotta ostativa posta in essere dalla COGNOME che impediva all’uomo di vedere il figlio.
Tenuto conto del diverso contenuto delle dichiarazioni, in punto di genesi della deliberazione delittuosa, rese da COGNOME, rispettivamente, nell’immediatezza dei fatti, in sede di convalida dell’arresto e nel contesto di un colloquio presso la Casa circondariale, i giudici di appello hanno reputato sussistente la circostanza aggravante in ragione della emersa intenzionalità «correzionale e punitiva» determinata dalle ritenute carenze comportamentali della vittima, reputate sussistenti in ordine al suo ruolo di mamma, donna e compagna, in uno con la condizione di evidente frustrazione per il fallimento dei tentativi di ricomposizione familiare.
Peraltro, la volontà della vittima di impedire all’uomo di svolgere il proprio ruolo genitoriale Ł stata esclusa tenuto conto dell’argomento logico desunto dalle due occasioni in cui la COGNOME ha fatto rientro nella comune abitazione dalla quale si era temporaneamente allontanata per andare dai genitori.
L’aggravante dell’avere agito con crudeltà Ł stata ritenuta in ragione delle modalità della condotta omicidiaria che Ł stata caratterizzata dalla inflizione di colpi in quantità di certo eccedenti quella necessaria per l’esecuzione del reato.
I colpi al capo sferrati con il mattarello sono stati ben 14, mentre le lesioni con arma da punta e taglio (un coltello) sono stati, addirittura, 57 dei quali 29 al collo, 9 al torace, 13 alle braccia e 2 al volto.
Ciò benchØ NOME avesse la disponibilità di un’arma idonea alla causazione immediata della morte della vittima.
Ai fini dell’aggravante Ł stata ritenuta di rilievo anche la circostanza della presenza del figlio di pochi mesi che ha assistito, di fatto, all’uccisione della madre, alle sue urla e, dunque, ad una condotta di sopraffazione e di violenza estrema idonea a determinare un vulnus potenzialmente irreversibile anche nella psiche del piccolo.
Ampia motivazione Ł stata resa anche con riferimento al diniego delle circostanze
attenuanti generiche.
A tal fine, Ł stato attribuito rilievo alla causale della condotta omicidiaria la cui giustificazione Ł stata data, dallo stesso imputato, con il riferimento a circostanze banali e di scarsa importanza, tenuto conto della irrilevanza, per le anzidette ragioni, della invocata volontà di mantenere un rapporto con il figlio.
Di significato pressochØ nullo Ł stata giudicata la confessione dell’azione delittuosa, tenuto conto che si Ł trattato di una ammissione di responsabilità pressochØ necessitata dalle condizioni di tempo e di luogo dell’intervento della polizia.
L’imputato ha posto in essere sistematicamente condotte violente verso la vittima, per come emerso dalle copiose chat agli atti dalle quali Ł risultato che COGNOME non ha mai contestato le accuse precise che gli venivano rivolte, a tale proposito, dalla COGNOME.
Anche la mancanza di una qualsiasi forma di resipiscenza Ł stata giudicata inidonea a giustificare la mitigazione sanzionatoria ai sensi dell’art. 62bis cod. pen., mentre irrilevante Ł stato giudicato il consenso all’acquisizione degli atti di indagine.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME per mezzo del proprio difensore, Avv. NOME COGNOME articolando quattro motivi.
3.1. Con il primo ha eccepito, violazione di legge e motivazione manifestamente illogica e apparente in ordine all’aggravante dei futili motivi.
In sostanza, si afferma l’esistenza di una condizione di prostrazione e sofferenza genitoriale, in capo all’imputato, per la mancanza di un rapporto con il figlio che ha dato origine allo scompenso emotivo in conseguenza del quale sarebbe insorta la determinazione criminosa.
BenchØ pacificamente emersa siffatta situazione, la Corte di assise di appello ha, contraddittoriamente, valorizzato l’atteggiamento (ritenuto prevaricatore) di Vultaggio verso la vittima, dando rilievo, parimenti, a condotte reputate maltrattanti e, tuttavia, suscettibili di assumere significato a fini diversi (ossia in ordine alla fattispecie di reato di cui all’art. 572 cod. pen.) e, infine, giustificato, il diniego della vittima di consegnare il bambino all’imputato.
I giudici di merito, inoltre, avrebbero erroneamente fatto riferimento alla condizione di frustrazione per la mancata ricomposizione del nucleo di convivenza e omesso di considerare le allegazioni difensive sul desiderio dell’imputato di ricomporre, in termini duraturi, il nucleo familiare.
Il ricorso a giudizi di natura morale, piuttosto che giuridici, integrerebbe un profilo di motivazione apparente.
Infine, per come desumibile anche dalla consulenza del pubblico ministero, la determinazione criminosa non Ł stata causata da uno stimolo lieve o insignificante, bensì da una condizione definibile come «stato emotivo e passionale», di per sØ inidoneo a integrare l’aggravante dei futili motivi.
3.2. Con il secondo motivo il ricorrente ha eccepito i medesimi vizi in punto di riconoscimento dell’aggravante della crudeltà di cui all’art. 61, n. 4 cod. pen.
E’ emerso che l’imputato ha agito in preda ad una condizione di alterazione emotiva e, dunque, benchØ in uno stato compatibile con il dolo d’impeto, non anche con una condotta «fredda e sadica».
La circostanza Ł stata desunta dal numero dei colpi inferti, in relazione anche alla disponibilità di un’arma idonea a determinare la morte immediata della vittima.
Ciò, tuttavia, Ł in contrasto con la mancata contestazione della preordinazione del delitto che Ł stato commesso in conseguenza di una istantanea risoluzione criminosa, con una repentina reiterazione dei colpi in danno della vittima, in una condizione di concitazione
logicamente e naturalisticamente incompatibile con l’aggravante.
NØ assume rilievo la presenza del bambino, l’azione di difesa del figlio da parte della vittima (elementi, anch’essi, valorizzati in sentenza), posto che trattasi di profili estranei alla natura dell’aggravante.
Sul punto, Ł stato evocato il principio per cui la crudeltà deve inerire direttamente all’azione e non all’autore del reato.
3.3. Con il terzo motivo Ł stata lamentata la motivazione manifestamente illogica e apparente sulla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
I giudici di merito, con argomentazioni conformi, hanno escluso la ricorrenza di elementi di segno positivo.
E’ stata trascurata, tuttavia, la natura estemporanea della condotta dell’imputato che non ha alcun precedente per reati commessi con violenza.
Privo di pregio sarebbe, altresì, il riferimento alla natura violenta dell’azione e alla conseguente intensità del dolo.
La stessa configurabilità del dolo d’impeto, così come la sussistenza di un contesto familiare deteriorato, contribuiscono a ritenere gradata la gravità del delitto.
In tal senso, depongono anche la configurabilità di una condizione di stress e la sussistenza di un vero e proprio stato emotivo e passionale, così come attestato dalla mancanza di un effettivo ricordo di quanto accaduto immediatamente dopo l’omicidio.
Peraltro, il comportamento processuale dell’imputato, contrariamente a quanto ritenuto in sentenza, avrebbe, senz’altro, giustificato la concessione della mitigazione sanzionatoria.
3.4. Con il quarto motivo Ł stato eccepito il vizio di motivazione sulle circostanze aggravanti di cui agli artt. 577, comma primo, n. 1) e 576, comma primo, n. 5) cod. pen.
L’omicidio non potrebbe dirsi commesso in occasione di maltrattamenti, posto che, in nessun caso, il ricorrente ha realizzato azioni oppressive con volontà di prevaricazione ovvero condotte di natura vessatoria.
Piuttosto, i rapporti tra l’imputato e la COGNOME avrebbero potuto essere qualificati come conflittuali, ma certamente non idonei a integrare il delitto di cui all’art. 572 cod. pen.
L’azione omicidiaria, infatti, Ł stata determinata da una condizione contingente priva di alcun collegamento temporale con le (inesistenti) situazioni maltrattanti.
NØ sarebbe configurabile l’aggravante della convivenza, atteso che, nel caso di specie, i ricongiungimenti tra la COGNOME e COGNOME non erano funzionali alla ricostituzione della convivenza, bensì, esclusivamente, a far vedere il bambino al padre.
Al momento dell’omicidio, quindi, non esisteva una condizione di stabilità e attualità della coabitazione che aveva subito, invece, una prolungata interruzione.
La coabitazione non può essere confusa nØ con la presenza occasionale, nØ con la semplice frequentazione finalizzata alla gestione della genitorialità condivisa.
Il difensore del ricorrente ha chiesto procedersi a discussione orale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non Ł meritevole di accoglimento.
Il primo motivo Ł privo di fondamento.
La censura Ł articolata, sostanzialmente, mediante la descrizione di un vizio della motivazione derivante dalla incongrua valutazione del pregiudizio subito dal ruolo genitoriale dell’imputato, a ragione delle reiterate condotte della vittima culminate nell’episodio di poco precedente l’azione omicidiaria quando, in sostanza, a seguito del pianto del bambino, la COGNOME non solo non sarebbe intervenuta, ma avrebbe impedito anche a COGNOME di farlo.
La circostanza, pur essendo stata presa in esame dai giudici di merito con ampia
motivazione (pagg. 37 – 40 della sentenza), Ł stata disattesa.
Nella ricostruzione della sentenza di appello, in primo luogo, Ł stata segnalata la contraddittorietà della versione dell’imputato sull’origine del gesto omicidiario, in un primo momento ascritta al diniego della COGNOME a consentire a COGNOME di prendere in braccio il bambino che piangeva e, in seguito, alla indifferenza della COGNOME che si disinteressava del figlio e, ancora (terza versione), alla reazione aggressiva della donna alle richieste di intervento del padre.
In realtà, la Corte di assise di appello ha individuato il motivo futile operando una lettura complessiva del rapporto tra la persona offesa e l’imputato, per come emerso all’esito del dibattimento di primo grado, descrivendo l’idea che l’uomo aveva della compagna: una incapace, inidonea come madre, compagna, donna e, perciò, non in grado di compiere alcuna attività pratica di natura domestica.
A tale proposito, i giudici hanno dato rilievo ad alcune espressioni dell’imputato che, riferito alla vittima, la descriveva come «meno precisa» affermando anche che «non Ł capace di fare da mangiare».
Nella ricostruzione della Corte bolognese Ł stato fatto riferimento a una «valenza correzionale e punitiva della condotta agita per le asserite permanenti carenze comportamentali della COGNOME che non riesce a correttamente declinare il proprio ruolo di donna, madre, compagna».
Non ha creduto, in realtà, la Corte di assise di appello che la COGNOME avesse inteso negare il ruolo genitoriale all’imputato, così come non ci ha creduto (con motivazione lineare e persuasiva) la Corte di assise di Rimini, anche perchØ la donna, per ben due volte, ha fatto ritorno a casa (dopo essersi allontanata nei mesi di marzo e giugno 2022) con l’intenzione proprio di garantire al padre l’esercizio di quel ruolo (per come spiegato alle amiche nei messaggi agli atti, anch’essi valorizzati dai giudici di merito).
Pertanto, oltre a sollecitare, in parte, una rivalutazione delle (plurime) dichiarazioni dell’imputato, la censura difensiva non attinge totalmente la reale ratio decidendi espressa dalla Corte bolognese.
NØ costituisce idoneo argomento difensivo a mettere in crisi la ricostruzione operata in sentenza quello secondo cui l’altro aspetto valorizzato (ovvero quello relativo ai rapporti complessivi tra imputato e vittima) atterrebbe alla fattispecie dei maltrattamenti in famiglia e, dunque, non potrebbe integrare un motivo futile.
In realtà, la critica pretende di frazionare la motivazione che, operando, come segnalato, una lettura unitaria delle emergenze istruttorie, ha ricostruito l’azione dell’imputato, definito un «manipolatore», come funzionale all’affermazione di un ruolo padronale e di potere assoluto, per come confermato anche dalle condotte maltrattanti commesse in epoca precedente all’omicidio e culminate nello stesso (punto sul quale si dirà in seguito).
Per completezza, si evidenzia che trattasi di profilo ampiamente investigato nel corso del dibattimento e sul quale, dunque, l’imputato ha potuto svolgere ogni piø opportuna difesa.
NØ può trovare accoglimento il passaggio dell’argomentazione difensiva riferita alla (asserita) incompatibilità tra la futilità del motivo e la circostanza che l’imputato ha agito in conseguenza di uno «stato emotivo e passionale».
Tale condizione, come costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte in punto di gelosia (Sez. 6, n. 12621 del 25/03/2010, M., Rv. 246741; Sez. 1, n. 37020 del 26/10/2006, Ecelestino, Rv. 235250), non esclude di per sØ la configurabilità dell’aggravante,
non integrando un elemento idoneo a mettere in crisi la ricostruzione dell’imputabilità dell’autore del reato.
Peraltro, l’incidenza dello stato emotivo sull’imputabilità del ricorrente non viene affermata neppure dallo stesso imputato.
Non pare idonea ad individuare un preciso vizio motivazionale la censura relativa al punto della sentenza impugnata in cui la Corte di assise di appello ha ritenuto, in qualche misura, giustificato l’eventuale rifiuto della persona offesa di consegnare il bambino a Vultaggio, stante la mancanza di un rapporto fiduciario tra vittima e persona offesa, anche alla luce delle pregresse condotte violente e del timore dalle stesse ingenerato proprio nella COGNOME.
Sul punto, sono assorbenti le considerazioni sopra esposte in punto di personalità prevaricatrice e manipolatrice dell’imputato la cui volontà di ricomporre il nucleo familiare, peraltro, risulta essere stata, purtroppo, assecondata dalla vittima che, come già ricordato, per ben due volte, aveva fatto ritorno a Rimini dopo essersene allontanata.
Integra un apprezzamento di merito insindacabile, siccome privo di evidenti illogicità, quello illustrato alle pagg. 39 – 40 della sentenza impugnata ove Ł stata interpretata la condotta della vittima quale espressione della volontà di autodeterminazione, in risposta al tentativo manipolatorio di ricomposizione del nucleo di convivenza operato da Vultaggio la cui condotta omicidiaria, in termini coerenti, Ł stata valutata dai giudici di merito non già isolatamente, bensì nel contesto delle condotte maltrattanti che hanno giustificato la ricorrenza dell’aggravante sulla quale si dirà oltre.
La complessiva motivazione, pertanto, risulta del tutto coerente con i piø recenti arresti della giurisprudenza di questa Corte in base ai quali l’aggravante in esame «trova la sua giustificazione nella necessità, in ragione della sempre maggiore centralità riconosciuta dalla percezione sociale al principio di autodeterminazione delle persone, correlato al fondamentale valore della dignità umana, di riconoscere una maggiore gravità delle condotte violente che trovino il loro movente nel senso di appartenenza nutrito dall’agente nei confronti della persona con la quale abbia condiviso una relazione sentimentale, tanto da indurlo a delinquere anche in termini assai gravi» (Sez. 1, n. 5514 del 19/10/2023, dep. 2024, M., Rv. 285721, in motivazione).
Risulta soddisfatto anche l’ulteriore requisito, anch’esso, costantemente affermato a questa Corte in base al quale, «l’accertamento della circostanza aggravante dei futili motivi deve svolgersi con metodo bifasico, richiedendo la duplice verifica del dato oggettivo, costituito dalla sproporzione tra il reato concretamente realizzato e il motivo che lo ha determinato, e di quello soggettivo, costituito dalla possibilità di connotare detta sproporzione quale espressione di un moto interiore assolutamente ingiustificato, tale da configurare lo stimolo esterno come mero pretesto per lo sfogo di un impulso criminale» (Sez. 1, n. 45290 del 01/10/2024, S., Rv. 287333; Sez. 5, n. 45138 del 27/06/2019, COGNOME, Rv. 277641).
Il secondo motivo di ricorso Ł inammissibile.
L’aggravante della crudeltà Ł stata ritenuta sia in ragione delle descritte modalità esecutive della condotta omicidiaria (giudicate esorbitanti rispetto alla «normalità causale necessaria per l’esecuzione del reato»), sia per il fatto che la stessa Ł stata commessa in presenza del figlio di pochi mesi.
Peraltro, la vittima, lungi dal porre in essere una qualsiasi azione offensiva nei confronti dell’imputato, ha agito solo mediante una condotta di tipo esclusivamente difensivo anche all’evidente scopo di tutelare il proprio figlio da una qualsiasi azione violenta del padre che
potesse essere rivolta anche verso il piccolo.
A fronte di tale lineare ricostruzione, comprensiva, peraltro, anche del rilievo circa la disponibilità, da parte dell’imputato, di un’arma idonea (per come poi concretamente avvenuto) a determinare la morte istantanea della vittima (il coltello con il quale Ł stata recisa la carotide), il ricorrente oppone argomenti generici e di puro merito.
Le considerazioni sul dolo d’impeto sono manifestamente infondate, tenuto conto del fatto che il massimo organo nomofilattico ha già affermato che «il dolo d’impeto, designando un dato meramente cronologico consistente nella repentina esecuzione di un proposito criminoso improvvisamente insorto, non Ł incompatibile con la circostanza aggravante della crudeltà di cui all’art. 61, primo comma, n. 4, cod. pen.» (Sez. U, n. 40516 del 23/06/2016, Del, Rv. 267628 – 01).
La ricostruzione della sentenza, sul punto, prescinde, in termini ineccepibili, dalla natura del dolo che ha connotato l’azione omicidiaria, essendosi concentrata la disamina dei giudici di merito sulle modalità della condotta indicative, in coerenza con l’intero quadro dei rapporti tra imputato e vittima, della volontà di infliggere sofferenze aggiuntive rispetto alla morte.
Risulta ampiamente osservato il principio di diritto per cui«la circostanza aggravante dell’avere agito con crudeltà, di cui all’art. 61, primo comma, n. 4, cod. pen., caratterizzata da una condotta eccedente rispetto alla normalità causale, che determina sofferenze aggiuntive e esprime un atteggiamento interiore specialmente riprovevole, deve essere accertata alla stregua delle modalità della condotta e di tutte le circostanze del caso concreto, comprese quelle afferenti al dolo. (Fattispecie di omicidio nella quale la Corte ha confermato la sentenza di merito che aveva ravvisato la circostanza aggravante nel numero dei colpi inferti con un coltello alla vittima, moglie dell’imputato, nella localizzazione dei fendenti al volto della donna e nella consapevolezza dell’agente di agire alla presenza dei due figli in tenera età)» (Sez. 1, n. 20185 del 20/12/2017, dep. 2018, Q., Rv. 272827 – 01).
Nella circostanza, in fattispecie del tutto assimilabile a quella in esame, in motivazione, Ł stato spiegato come l’aggravante si giustifichi ogni qualvolta l’azione riveli «un particolare livello di disaffezione dell’agente e la spinta malvagia al delitto che ne ha caratterizzato la fase commissiva, con modalità direttamente non necessarie alla sua commissione»
La stessa decisione, alla luce di tali considerazioni e in ragione delle specificità della fattispecie descritta, ha affermato l’ulteriore principio, anch’esso rilevantee qui ribadito, in base al quale «ai fini della sussistenza della circostanza aggravante comune consistente nell’avere agito con crudeltà verso le persone, non Ł necessario che l’azione del colpevole sia diretta contro la vittima, essendo sufficiente che essa sia indirizzata verso una o piø persone, anche diverse dalla vittima, purchØ si concreti in un “quid pluris” rispetto all’esplicazione ordinaria dell’attività necessaria per la consumazione del reato, in quanto proprio la gratuità dei patimenti cagionati rende particolarmente riprovevole la condotta del reo, rivelandone l’indole malvagia e l’insensibilità a ogni richiamo umanitario» (Sez. 1, n. 20185 del 20/12/2017, dep. 2018, Q., Rv. 272828 – 01).
Ineccepibile, pertanto, anche il passaggio della motivazione in cui Ł stata data rilevanza alla presenza del figlio delle vittima, trattandosi di argomento fattuale che non ha comportato l’adozione di una motivazione fondata sulla «cattiveria d’autore» o su tratti caratteriali dell’imputato estranei ai fatti.
4. La censura sollevata con il terzo motivo Ł inammissibile in quanto generica e, comunque, confutativa.
Va ribadito che «il sindacato del giudice di legittimità sulla motivazione del
provvedimento impugnato deve essere volto a verificare che quest’ultima: a) sia “effettiva”, ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia “manifestamente illogica”, perchØ sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente “contraddittoria”, ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente “incompatibile” con “altri atti del processo” (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso) in misura tale da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico» (Sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011, COGNOME, Rv. 251516; Sez. 6, n. 10951 del 15/03/2006; COGNOME, Rv. 233708).
Giova, altresì, ricordare quanto affermato da Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601 con la quale Ł stato enunciato il principio per cui «in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito».
Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747; Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, O., Rv. 262965 hanno, altresì, chiarito che «in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicchØ sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento».
Essendosi in presenza, come segnalato, di una doppia sentenza conforme, va ulteriormente precisata un’ulteriore circostanza in ordine ai motivi aventi ad oggetto il percorso motivazionale seguito dal giudice di merito.
¨ costante il principio per cui, «ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, ricorre la cd. “doppia conforme” quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale». (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218, e altre conformi).
I giudici di merito, in punto di diniego della mitigazione del trattamento sanzionatorio hanno valorizzato il comportamento complessivamente mistificatore del ricorrente, la strumentalità della confessione, l’assenza di una qualsiasi forma di resipiscenza, la natura complessiva della condotta (indicativa di un’indole particolarmente violenta), il contesto in cui Ł maturata e, infine, la sua collocazione al culmine di una complessiva azione prevaricatrice e violenta dell’imputato.
Hanno segnalato anche l’irrilevanza della scelta processuale di consenso all’acquisizione dei documenti.
Si tratta di ragioni a fronte delle quali il ricorrente ha opposto, in termini parziali, ulteriori argomenti confutativi, denunciando una incompleta disamina di quelli rilevanti, con
particolare riguardo allo stress emozionale e alla penosa condizione familiare e sentimentale.
Al netto della mancata specificazione della effettiva devoluzione di tali temi (strettamente afferenti alla valutazione di merito) alla cognizione del giudice di appello, va ribadito che «al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicchØ anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente» (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549 – 02).
A ciò si aggiunga che «l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche non costituisce un diritto conseguente all’assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle stesse» (Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, COGNOME, Rv. 281590; S ez. 1, n. 3529 del 22/09/1993, COGNOME, Rv. 195339).
Nel caso di specie, disattendendo la correlata censura, i giudici del gravame si sono soffermati sugli elementi negativi ai quali, con motivazione congrua e priva di vizi evidenti, hanno ritenuto di assegnare prevalenza.
Dunque, essendosi la Corte bolognese attenuta ai principi che governano la materia e tenuto conto della natura rivalutativa delle (peraltro, generiche) censure formulate dal ricorrente, il motivo in esame Ł inammissibile.
Il quarto motivo Ł, in parte, inammissibile, in parte infondato.
La censura ha ad oggetto le aggravanti della convivenza (art. 577, n. 1 cod. pen.) e della commissione dell’omicidio in occasione del delitto di maltrattamenti (art. 576, comma primo, n. 5), cod. pen.).
5.2. In base alla ricostruzione in fatto, tra COGNOME e la COGNOME vi era una convivenza che durava da circa due anni; in tempi recenti rispetto all’omicidio, vi erano stati due allontanamenti (nei mesi di marzo e giugno 2022) quando la donna si era temporaneamente trasferita dai genitori a Roma allo scopo di essere aiutata nella gestione del bambino.
Si trattava, nella ricostruzione della sentenza, di allontanamenti provvisori, senza un effettivo trasferimento del domicilio e del centro dei propri interessi.
Sul punto, per motivare la circostanza e il fatto che fra i due vi era una relazione di coppia nell’ambito di un contesto familiare, pur caratterizzato da episodi di incomprensione e difficoltà, i giudici di merito hanno richiamato plurime testimonianze rese dalla madre dell’imputato, da una vicina di casa, dal proprietario dell’immobile, da due amiche della COGNOME, da una sua ex collega di lavoro e dalla madre della vittima.
Fra le altre circostanze, Ł stato richiamato il fatto che COGNOME, ai colleghi di lavoro, anche in epoca recente (22 giugno 2022), alludendo alla vittima, parlava di compagna ; negli stessi termini si sono espressi una vicina di casa della coppia e una ex collega di lavoro della donna .
Fra le altre circostanze, la madre dell’imputato ha dichiarato che, tra i due, vi era una progettualità che aveva incluso anche la possibilità di un comune trasferimento del Lazio, nel caso in cui l’uomo avesse trovato lavoro in quella Regione.
Sul punto la sentenza si Ł ampiamente soffermata alle pagg. 25 – 27.
In sostanza, i rapporti tra l’imputato e la vittima sono stati sempre mantenuti e non rileva (contrariamente a quanto sostenuto in ricorso) se ciò sia avvenuto per affetto personale o per consentire il mantenimento del rapporto del bambino con il padre rimasto a Rimini.
NØ può dirsi emersa una frattura relazionale tale da ritenere l’interruzione della relazione di convivenza; anche su tale punto le generiche allegazioni difensive sono strutturate secondo una istanza di rilettura delle prove orali, per come illustrata della motivazione della sentenza impugnata.
Quella relazione costituisce il solo presupposto al quale Ł subordinata la configurabilità dell’aggravante in esame per la quale, per effetto delle modifiche apportate all’art. 577, comma primo, n. 1), cod. pen. dall’art. 11, comma 1, lett. a), legge 19 luglio 2019, n. 69, non Ł piø indispensabile la condizione cumulativa dell’esistenza anche di una relazione affettiva.
Possono dirsi, dunque, adeguatamente illustrati in fatto i presupposti per la sussistenza dell’aggravante, da intendersi come riferita a quelle forme di comunanza di vita che non possono dirsi venute meno per effetto di temporanee interruzioni o episodici trasferimenti determinati da esigenze transitorie che non hanno, peraltro, determinato una significativa frattura relazionale o, addirittura, la definitiva interruzione dei rapporti tra le parti.
5.2. E’, sostanzialmente infondata la censura relativa alla configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 576, comma primo, n. 5), cod. pen. che ha ad oggetto l’avere commesso l’omicidio in occasione della commissione, fra l’altro, del delitto di maltrattamenti di cui all’art. 572 cod. pen.
Sulla sussistenza, nella fattispecie, del delitto di maltrattamenti la sentenza ha reso un’ampia a puntuale motivazione che si rinviene da pag. 28 a pag. 38.
Oltre ad avere operato un rinvio specifico all’analogo passaggio contenuto nella sentenza di primo grado (pagg. 24 – 37), i giudici dell’appello hanno ripercorso i dati istruttori che sono emersi, con particolare riferimento a deposizioni testimoniali, ai messaggi rinvenuti sui telefoni cellulari della vittima e dell’imputato che hanno restituito un quadro dei rapporti tra COGNOME e la COGNOME caratterizzato dall’utilizzo, da parte del primo verso la seconda, di espressioni volgari e di disprezzo, da percosse i cui esiti sono stati fotografati e trovati fra le immagini presenti nell’apparecchio cellulare della vittima.
Le minacce e le percosse sono state poste in essere anche quando la donna era incinta e dopo la nascita del figlio; la COGNOME Ł stata costretta a limitare le proprie frequentazioni con le amiche venendo ridotta, in sostanza, ad unacondizione di vita avvilente e mortificante che Ł proseguita fino all’episodio omicidiario.
Sul punto, la Corte di assise di appello ha compiuto un’accurata disamina delle fonti probatorie, fra le quali anche le conversazioni tra la vittima e l’operatrice del centro antiviolenza di Monterotondo nel marzo 2022; operatrice che l’ha avvisata dei rischi che avrebbe corso se avesse acconsentito di tornare a vivere con l’imputato.
E’ emerso, fra le altre numerose circostanze indicative dei maltrattamenti, come la donna temesse per la propria vita e per quella del bambino e, ciò nonostante, si sia risolta a fare rientro a Rimini (una seconda volta dopo l’episodio di marzo 2022) nel giugno 2022 proprio per dare un’altra possibilità al padre di suo figlio di mantenere una relazione effettiva, non solo telefonica, con il bambino.
Peraltro, anche in tale ultimo periodo, Ł continuato l’atteggiamento maltrattante dell’imputato se solo si considera che la vittima, parlando con la madre, pochi giorni prima dell’omicidio le ha detto che la condotta dell’uomo non era, in alcun modo, cambiata.
La motivazione viene resistita in ricorso con argomenti, in parte, fattuali e, dunque, tendenti a rileggere, inammissibilmente, il compendio istruttorio offrendone un’interpretazione alternativa e sollecitando la riconduzione delle azioni indicative di una situazione «conflittuale» ma non idonea ad integrare la fattispecie di cui all’art. 572 cod. pen.
Il ricorrente lamenta, altresì, la mancata emersione di un nesso funzionale o di
«occasionalità funzionale » tra il delitto di maltrattamenti e quello di omicidio.
Ebbene, si tratta di argomento infondato siccome smentito alla luce della interpretazione fornita dalla giurisprudenza di questa Corte.
Infatti, in tal senso proprio la sentenza delle Sezioni Unite che ha risolto la questione di diritto in tema di «se, in caso di omicidio commesso dopo l’esecuzione di condotte persecutorie poste in essere dall’agente nei confronti della medesima persona offesa, i reati di atti persecutori e di omicidio aggravato ai sensi dell’art. 576, comma primo, n. 5.1 cod. pen. concorrano tra loro o sia invece ravvisabile un reato complesso, ai sensi dell’art. 84, comma primo, cod. pen.».
Nella motivazione si legge che «se (…) si tiene conto della presenza, fra le caratteristiche generali del reato complesso, dell’unitarietà del fatto in termini finalistici oltre che contestuali, il riferimento letterale contenuto nell’art. 576 n. 5 alla sola contestualità acquisisce un significato non solo diverso, ma addirittura opposto a quello attribuitogli nell’argomentazione in discussione. E’ in tal senso significativo quanto osservato dalla giurisprudenza di legittimità formatasi sulla norma in esame, allorchØ ha da tempo sottolineato che il concorso dell’omicidio con uno degli altri reati ivi indicati Ł escluso «senza che neppure sia richiesta alcuna connessione di tipo finalistico fra i due delitti» (Sez. 1, n. 12680 del 29/01/2008, Giorni, Rv. 239365; Sez. 1, n. 4690 del 10/02/1992, COGNOME, Rv. 189872). PerchØ nel delitto di omicidio sia assorbito il diverso reato in occasione del quale il primo Ł commesso, Ł in altre parole sufficiente la mera contestualità dei reati, mentre non Ł necessaria la sussistenza di un rapporto di connessione tra i fatti. Non occorre in particolare l’inserimento dei fatti nella stessa ottica finalistica, che costituisce il presupposto sostanziale per la configurabilità del reato complesso. Ne segue che, nei casi in cui l’omicidio venga commesso contestualmente a reati di maltrattamenti, lesioni deformanti, prostituzione e pornografia minorile e violenza sessuale, la legge prevede sostanzialmente una “soglia” di configurabilità del reato complesso diversa e di livello inferiore rispetto a quella generalmente richiesta per tale figura, in quanto limitata per l’appunto a tale contestualità spazio-temporale tra i fatti. E’ del resto coerente con questa scelta legislativa la mancata previsione per l’aggravante di cui al n. 5, a differenza di quella di cui alla questione rimessa, dell’identità della persona offesa dell’omicidio e degli altri reati» (Sez. U, n. 38402 del 15/07/2021, Pg, Rv. 281973 – 01, massimata sulla questione di diritto ad essa devoluta).
Peraltro, il principio di diritto applicabile alla fattispecie Ł stato, in seguito, già ribadito da questa stessa Corte (Sez. 1, n. 25964 del 02/03/2023, H., Rv. 28433) secondo cui «l’assorbimento nel delitto di omicidio aggravato dall’essere stato commesso in occasione di maltrattamenti contro familiari o conviventi dell’ulteriore delitto di cui all’art. 572 cod. pen. Ł subordinato alla sola contestualità spazio-temporale tra i fatti, non essendo necessario un rapporto di connessione tra gli stessi».
Da quanto esposto discende che la censura sul punto in esame deve essere respinta, essendo stata adeguatamente illustrata la circostanza che i maltrattamenti siano proseguiti in danno della COGNOME anche dopo il rientro a Rimini nel giugno 2022.
NØ Ł dato ravvisare alcuna forma di travisamento o «fallace interpretazione delle risultanze dibattimentali» di qualche rilievo, non essendo stata illustrata la decisività della circostanze sulle quali dovrebbe essersi determinato il vizio eccepito.
Tanto illustrato, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali, oltre che alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla parte civile NOME
La relativa quantificazione deve essere rimessa al giudice di merito in base al principio
per cui, «in tema di liquidazione, nel giudizio di legittimità, delle spese sostenute dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, compete alla Corte di cassazione, ai sensi degli artt. 541 cod. proc. pen. e 110 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, pronunciare condanna generica dell’imputato al pagamento di tali spese in favore dell’Erario, mentre Ł rimessa al giudice del rinvio, o a quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato, la liquidazione delle stesse mediante l’emissione del decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 del citato d.P.R.» (Sez. U, n. 5464 del 26/09/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 277760).
Non possono essere liquidate le spese sostenute dalla parte civile COGNOME COGNOME come rappresentato dal curatore speciale, in quanto non sono state presentate conclusioni scritte e, dunque, non Ł stata avanzata alcuna esplicita istanza di condanna alla rifusione.
Va assicurata continuità all’orientamento per cui «in tema di spese processuali, la parte civile ha diritto ad ottenerne la liquidazione qualora abbia formulato domanda di condanna della controparte alla rifusione, non essendo anche necessario che abbia presentato apposita nota spese ai sensi dell’art. 153 disp. att. cod. proc. pen.» (Sez. 6, n. 19271 del 05/04/2022, COGNOME, Rv. 283379 – 01).
Si tratta di arresto che si pone in continuità con l’insegnamento delle Sezioni Unite in base al quale «in tema di spese relative all’azione civile, poichØ l’art. 153 disp. att. cod. proc. pen. non commina alcuna sanzione di nullità o inammissibilità per l’inosservanza del dovere della parte civile di produrre l’apposita nota, la mancanza di questa, ove la domanda di rifusione sia stata tempestivamente proposta, non ne preclude la liquidazione in favore della stessa parte civile sulla base della tariffa professionale vigente, con esclusione del rimborso delle spese vive in relazione alle quali, viceversa, Ł necessaria la specificazione e l’allegazione di adeguata documentazione probatoria» (Sez. U, n. 20 del 27/10/1999, COGNOME, Rv. 214641 – 01).
La natura delle questioni trattate impone che debbano essere omesse le generalità e gli altri dati identificativi, ai sensi dell’art. 52 d.gs. 196 del 2003.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile NOME NOME ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di assise di appello di Bologna con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 d.p.r. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato.
IN CASO DI DIFFUSIONE DEL PRESENTE PROVVEDIMENTO OMETTERE LE GENERALITA’ E GLI ALTRI DATI IDENTIFICATIVI A NORMA DELL’ART. 52 D.LGS.
196/03 E SS.MM.
Così Ł deciso, 11/07/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME