Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 817 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 817 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 10/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato ad Omegna il 15/04/1974; avverso la sentenza del 28/03/2024 della Corte di appello di Torino; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona de: Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata; udito il difensore, avv. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 28 marzo 2024, la Corte di appello di Torino ha confermato la sentenza del Tribunale di Verbania del 10 marzo 2022, con la quale, riconosciuta la recidiva ai sensi dell’art. 99, commi primo e secondo, n. 1), cod. pen., l’imputato era stato condannato alla pena di mesi 1 e giorni 15 di reclusione ed C 375,00 di multa, in ordine a! reato di cui all’art. 2, comma 1-bis, del d.l. n.
463 del 12 settembre 1983, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 638 dell’Il novembre 1983, a lui ascritto per avere, quale datore di lavoro, legale rappresentante della ditta “RAGIONE_SOCIALE, omesso di versare all’INPS le ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti per l’anno 2016, per un importo pari ad C 15.515,00.
Avverso la sentenza, l’imputato, tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. Con un primo motivo di doglianza, si propone, innanzitutto, eccezione di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma 1-bis, del dl. n. 463 del 1983, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 638 dell’Il novembre 1983, e 420bis, comma 4, cod. proc. pen., per violazione degli artt. 2, 3, 13, 24, 25, 27, 111, 112, 117 Cost. e 6 e 7 CEDU, altresì censurando la violazione dell’art. 2, comma 1-bis, del d.l. n. 463 del 1983 e dell’art. 415-bis cod. proc. pen. ed il relativo vizio di motivazione, con riguardo all’omessa notifica all’imputato dell’avviso di accertamento da parte dell’INPS.
Nel caso in esame, difetterebje la condizione di punibilità, sul rilievo che, né alla società RAGIONE_SOCIALE né al legale rapp-esentante Incognito NOME, sarebbe mai stata effettuata, con le regole proprie della notifica degli atti civili ed amministrativi di cui all’art. 140 cod. proc. civ., alcuna notifica dell’avviso di accertamento previsto dall’art. 2, comma 1-bis, del d.l. n. 463 del 1983. Né la predetta comunicazione sarebbe stata effettuata con raccomandata con avviso di ricevimento del deposito in giacenza della contestazione, non risultando agli atti la ricevuta di ritorno della notificazione né presso la nuova sede della società né presso la nuova residenza dell’imputato; con la conseguenza che il ricorrente non avrebbe potuto essere condannato con decreto penale di condanna e l’esercizio dell’azione penale non avrebbe potuto essere effettuato prima del compimento del procedimento amministrativo presupposto.
Secondo la difesa, il Tribunale di Verbania, applicando la teoria del reato a formazione progressiva, avrebbe erroneamente ritenuto il decreto di citazione a giudizio immediato, conseguente all’opposizione al decreto penale di condanna, equipollente alla notifica dell’avviso di acce;tamento dell’autorità amministrativa, la cui omissione, all’opposto, non avrebbe fatto maturare il termine di tre mesi entro i quali il datore di lavoro avrebbe potuto versare il dovuto. Non essendo ancora maturato tale termine, pertanto, non si sarebbe ve: -ificata la condizione di procedibilità, presupposto per l’esercizio stesso della successiva azione penale. Tale modalità avrebbe dunque violato il diritto di difesa dell’imputato, oltre che le garanzie a questo garantite dall’art. 415-bis cod. proc. pen., in ordine alla scelta di un rito diverso.
Nella specie, peraltro, il procedimento si sarebbe svolto in assenza dell’imputato, con la conseguenza che costui non sarebbe stato posto personalmente a conoscenza della possibilità avvalers della causa di non punibilità, con conseguente violazione del principio di legalità di cui all’art. 7 CEDU. Mancando, dunque, la conoscenza da parte dell’imputato dell’avviso di accertamento e delle diffide inoltrate dall’INPS in data anteriore all’esercizio dell’azione penale, difetterebbe in capo al ricorrente, l’elemento soggettivo del reato. Secondo la prospettazione difensiva, del resto, nessuna prova certa della conoscenza dell’informazione da parte dell’imputato potrebbe derivarsi dalla circostanza che la difesa, come primo atto del processo, abbia eccepito la nullità della notifica del predetto avviso di accertamento, non potendo i fatti negativi conosciuti dal difensore essere riferiti de plano all’imputato assente; di talché il Tribunale non avrebbe nemmeno potuto applicare al caso in esame – come pure ha erroneamente fatto – la sentenza dela Corte di cassazione, Sez. 3, n. 29825 del 24 settembre 2020, Rv. 280283, dato che l’imputato non è mai stato posto a conoscenza effettiva ed aliunde del periodo di omesso versamento dell’importo dovuto e del luogo ove effettuare il pagamento, nonché della stessa possibilità in concreto di poter fruire della causa di non punibilità. Né, del resto, i giudici di merito avrebbero precisato da quali atti l’imputato assente sarebbe venuto a conoscenza aliunde delle informazioni necessarie e propedeutiche all’avvalimento della causa di non punibilità in esame.
Nessun rilievo, a questi fini, avrebbe, inoltre, il disposto dell’art. 420-bis, comma 4, cod. proc. pen. dal momento che l’imputato, anche alla luce della Direttiva n. 2016/343/UE, ha diritto ad essere personalmente informato per iscritto delle facoltà e dei diritti riconosciuti dalla legge a sua difesa prima e durante il giudizio; con la conseguenza che tale omissione comporterebbe una nullità assoluta rilevabile in ogni stato e grado del processo. Laddove, all’opposto, si ritenesse di avallare la tesi accusatoria, secondo la quale l’imputato che sceglie consapevolmente di non partecipare al giudizio ed è dichiarato assente è rappresentato dal difensore e non ha diritto ad alcuna comunicazione, atteso che ha conoscenza di tutte le attività cne si svolgono nel giudizio proprio tramite il difensore, a parere del ricorrente, si fornirebbe un’interpretazione incostituzionale degli artt. 420-bis, comma 4, cod. proc. pen., e 2, comma 1-bis, del d.l. n. 463 del 1983, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 638 dell’il novembre 1983, giacché violativi degli artt. 2, 3, 13, 24, 25, 27, 111, 112, 117 Cost. e 6 e 7 CEDU: in primo luogo, perché l’equiparazione della conoscenza da parte del difensore a quella della parte imputata contrasta con il principio della personalità della responsabilità penale; in secondo luogo, in quanto la parte non può subire un
effetto ad essa penalmente pregiudizievole per la condotta altrui, né per una conoscenza riferibile ad altri.
Sotto altro profilo, lamenta, infine, il ricorrente che, nel caso di specie, sarebbe stato altresì leso il suo diritto di scegliere un rito alternativo, una volta integrati aliunde i requisiti del reato a formazione progressiva nel corso del giudizio, così determinandosi – anche alla luce di molteplici pronunce della Corte costituzionale – un’ingiustificata disparità di trattamento, oltre che la già censurata lesione del diritto di difesa. Da qui, l’ulteriore profilo di illegittimità costituzionale dell fattispecie di reato a formazione progressiva, per contrasto sia con i principi relativi all’azione penale ex art. 112 Cost., sia con i principi sul giusto processo, ai sensi degli artt. 111 Cost. e 6 e 7 CEDU.
2.2. Con un secondo motivo di doglianza, si lamentano la violazione degli artt. 2, comma 1-bis, del dl. n. 463 del 1983, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 638 dell’Il novembre 1983, 125, comma 3, 187, 192, comma 2, 533, comma 1, 546, comma 1, lettera e), e 415-bis cod. proc. pen., nonché vizi della motivazione.
Riprendendo parzialmente le argomentazioni già spese nell’ambito del primo motivo di ricorso e richiamando integralmente (alle pagg. 21-27) i motivi di appello, la difesa denuncia il travisamento della prova, sia con riguardo alla conoscenza personale dell’imputato, oltre che di tutti gli elementi contenuti nell’avviso di accertamento, della possibilità di avvalersi, entro tre mesi, della causa di non punibilità, sia relativamente all’effettivo pagamento o meno delle retribuzioni. Da un lato, infatti, il ricorrenIe non sarebbe mai venuto a conoscenza dell’esistenza della comunicazione INPS e dei dati di cui all’avviso di accertamento non recapitato, non potendosi ritenere prova certa di tale effettiva conoscenza la circostanza che il difensore in primo e secondo grado avesse eccepito la nullità della notifica dell’avviso di accertamento ed il mancato perfezionamento della fattispecie. Dall’altro lato, difetterebbe il compiuto accertamento del pagamento delle retribuzioni dei dipendenti e, dunque, la prova della penale responsabilità dell’imputato, tenuto conto che costui non avrebbe versato le somme dovute per forza maggiore. A parere della difesa, del resto, il modello DM10, unitamente alle denunce mensili rappresentate dai flussi Uniemens, non potrebbe costituire una presunzione grave, precisa e concordante degli avvenuti pagamenti delle retribuzioni, essendo risultato dall’istruttoria dibattimentale che l’INPS non aveva effettuato i dovuti accertamenti.
2.3. Con un terzo motivo di ricorso, ci si duole della violazione degli artt. 81, secondo comma, 131-bis e 101 cod pen., 125, comma 3, 533, comma 1, e 546, comma 1, lettera e), cod. prcc. pen., oltre che del:’omessa motivazione,
relativamente alla mancata configurazione della continuaz one e della particolare tenuità del fatto.
Posta la compatibilità con la recidiva specifica contestata, il Tribunale avrebbe dovuto applicare l’istituto della continuazione tra i reati di cui alle precedenti condanne – intervenute il 17 ottobre 2013 ed il 23 dicembre 2013 – e quello per il quale si procede, sussistendo sia una violazione della stessa indole sia l’unicità del disegno criminoso, nonché un breve :asso temporale intercorso, non potendo la disciplina di cui all’art. 81 cod. pen. comunque impedire l’applicabilità dell’art. 131-bis cod. pen. e non potendo neppure configurarsi l’abitualità in capo al ricorrente, trattandosi di mera continuazione tra reati.
2.4. Con una quarta censura, si deducono, invece, la violazione degli artt. 62bis, 133, 163, 175 cod. pen., 533, comma 1, e 546, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., ed il connesso difetto motivazionale.
Ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, non si sarebbero considerati i congrui elementi positivi forniti dalla difesa e, segnatamente, l’intervenuto accordo di rottamazione stipulato tra l’imputato e l’Agenzia delle Entrate in data 14 giugno 2019, riguardante il pagamento di C 1.807,00, quale quota contributi non versati e risalente al mese di dicembre 2015, di cui risulta il pagamento alla data del marzo 2020. La non gravità del fatto e del danno, anche in conseguenza della mancata notifica dell’avviso di accertamento che rende invalida la procedura sia amministrativa che penale. Inoltre, si giustificherebbe la concessione della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, non ostando al riconoscimento di tali benefici le precedenti condanne, laddove considerate in continuazione e nell’ottica del medesimo disegno crminoso. Eccessivo e sproporzionato risulterebbe, in ogni caso, il trattamento sanzionatorio.
2.5. Con un ultimo motivo di impugnazione, si invoca, infine, l’applicazione dell’art. 129 cod. proc. pen., per rottarnazione del debito, intervenuta in data antecedente alla sentenza di appello, a seguito di definizione bonaria con l’Agenzia delle Entrate delle pendenze contributive INPS relative all’anno 2016.
3. In sede di discussione orale, la difesa ha eccepito l’intervenuta prescrizione del reato in esame sul rilievo che, essendosi i precedenti reati estinti per intervenuta definizione del debito con l’Agenzia delle Entrate, la contestata recidiva dovrebbe escludersi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. Il primo motivo di censura – con il quale si propone questione di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma 1-bis, del d.l. n. 463 del 1983, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 638 dell’Il novembre 1983, e 420bis, comma 4, cod. proc. pen., per violazione degli artt. 2, 3, 13, 24, 25, 27, 111, 112, 117 Cost. e 6 e 7 CEDU, e si lamentano la violazione dell’art. 2, comma 1bis, del d.l. n. 463 del 1983 e dell’art. 415-bis cod. proc. pen. ed il relativo vizio di motivazione, con riguardo all’omessa notifica all’imputato dell’avviso di accertamento da parte dell’INPS – è manifestamente infondato.
Dall’esame degli atti – consentito a questa Corte in ragione della natura processuale della questione – emerge infatti che, nel caso di specie, con riguardo alla notifica dell’accertamento Inps, la stessa risulta essersi perfezionata attraverso la compiuta giacenza.
Ed invero, per costante indirizzo di questa Corte, le modalità di comunicazione dell’avviso in oggetto non sono soggette a particolari formalità, non applicandosi il regime delle notificazioni previsto per i sol illeciti di natura amministrativa dalla legge n. 689 del 24 novembre 1981, né queno delle notificazioni previsto dal codice di procedura penale; la notificazione ben può essere, pertanto, anche effettuata a mezzo del servizio postale mediante raccomandata inviata o presso il domicilio del datore di lavoro o presso la sede dell’azienda (Sez. U., n. 1855 del 24/11/2011, Rv. 251268; Sez. 3, n. 26054 del 14/02/2007, Rv. 237202; Sez. 3, n. 9518 del 22/02/2005, Rv. 230985).
Anche in caso di compiuta giacenza della relativa raccomandata di invio, dunque, la comunicazione della contestazione deve ritenersi validamente perfezionata proprio in virtù della presunzione appena ricordata, come costantemente affermato, del resto, dalle Sezioni civili di questa Corte (Sez. U., n. 321 del 12/06/1999, Rv. 527332; Sez. 2, n. 1188 del 13/12/2013, dep. 2014, non massimata; Sez. L., n. 6527 dei 24/04/2003, Rv. 562463) e, sempre con riguardo alla fattispecie della comunicazione dell’avviso Inps, di contestazione, da questa stessa sezione (Sez. 3, n. 45451 del 18/07/2014, non massimata). Sicché, in altri termini, in caso di impiego del mezzo postale, la comunicazione si perfeziona per il notificante nel momenw in cui il piego è depositato all’ufficio postale e, per il destinatario, nel momento in cui il medesimo piego sia dallo stesso ritirato ovvero, appunto, con il decorso della compiuta giacenza qualora la raccomandata non gli venga consegnata per assenza sua e di altra persona abilitata a riceverla.
Né, d’altra parte, risulta che, nella spezie, il ricorrente abbia allegato alcuna circostanza atta a dimostrare di essere stato, senza colpa, nell’impossibilità di avere avuto notizia dell’atto, potendo la predetta presunzione essere superata mediante la prova di un fatto o di una situazione che spezzi od interrompa in modo
duraturo il collegamento tra il destinatario e il luogo di destinazione della comunicazione e che tale situazione sia incolpevole, ovvero non superabile con l’uso dell’ordinaria diligenza (Sez. 2, n. 20482 del 06/10/2011, Rv. 619861; Sezione L., n. 25824 del 2013, non massimata).
1.1. Per le ragioni che precedono, deve dunque ritenersi irrilevante – prima ancora che manifestamente infondata – la questione di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma 1 -bis, del dl. n. 463 del 1983, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 638 dell’Il novembre 1983, e 420-bis, comma 4, cod. proc. pen., per violazione degli artt. 2, 3, 13, 24, 25, 27, 111, 112, 117 Cost. e 6 e 7 CEDU, nella parte in cui configurano nel corso del processo, in assenza dell’imputato, una fattispecie di reato a formazione progressiva a danno dell’imputato medesimo, che si presume a conoscenza sostanziale ed effettiva della possibilità di avvalersi della causa di non punibilità di cui all’art. 2, comma 1 -bis, del dl. n. 463 del 1983, per effetto della semplice conoscenza da parte del difensore. La prospettazione difensiva presuppone, infatti, la mancata notificazione della comunicazione all’imputato, smentita dagli atti.
1.2. La seconda doglianza – riferita alla violazione degli artt. 2, comma 1 – bis, del d.l. n. 463 del 1983, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 638 dell’Il novembre 1983, 125, comma 3, 187, 192, comma 2, 533, comma 1, 546, comma 1, lettera e), e 4I5-bis cod. proc. pen., a vizi della motivazione ed al travisamento della prova – è anch’essa infondata.
Il rilievo mosso dal ricorrente ruota intorno a due differenti aspetti, entrambi afferenti al censurato travisamento della prova: in primo luogo, quello della conoscenza personale, da parte dell’imputato, oltre che di tutti gli elementi contenuti nell’avviso di accertamento, della possibilità di avvalersi, entro tre mesi, della causa di non punibilità; in secondo luogo, quello dell’effettivo pagamento o meno delle retribuzioni.
Quanto al primo aspetto, si rimanda alle considerazioni svolte sub 1.1., da intendersi integralmente richiamate.
Quanto, invece, al secondo profilo – relativo al presunto difetto di prova della penale responsabilità dell’imputato, conseguente al mancato accertamento dell’effettività o meno del pagamento deile retribuzioni, sull’assunto che non potrebbero ritenersi sufficienti, a tal fine, né il modello DM10, né le denunce mensili rappresentate dai flussi Uniemens – deve osservarsi che, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, è principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello secondo cui, in tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali operate dal datore di lavoro, i modelli DM10, formati secondo il sistema informatico Uniemens, possono essere valutati come piena prova della effettiva corresponsione delle retribuzioni, trat:andosi di dichiarazioni
che, seppure generate dal sistema informatico dell’INPS, sono formate esclusivamente sulla base dei dati risultanti dalle denunce individuali e dalla denuncia aziendale fornite dallo stesso contribuente (Sez. 3, n. 28672 del 24/09/2020, Rv. 280089). Gli appositi modelli attestanti le retribuzioni corrisposte ai dipendenti e gli obblighi contributivi verso l’istituto previdenziale hanno, infatti, natura ricognitiva della situazione debitoria del datore di lavoro e fanno piena prova ai sensi dell’art. 2709 cod. civ. a carico dell’imprenditore; il che fa sì che la loro presentazione equivalga all’attestazione di aver corrisposto, fino a prova contraria, le retribuzioni in relazione alle quali è stato omesso il versamento dei contributi (Sez. 3, n. 37145 del 10/04/2013, Rv. 256957; Sez.3, n. 46451 del 07/10/2009, Rv.245610; Sez.3, n. 26064 del 14/02/2007, Rv.237203; Sez.3, n. 32848 del 08/07/2005, Rv.232393). Né, del resto, l’imputato, nel caso di specie, ha contrastato, in alcun modo, tale quadro probatorio, nonostante gravasse su di lui l’onere di provare, in difformità dalla situazione rappresentata nelle denunce retributive inoltrate, l’assenza del materiale esborso delle somme (Sez. 3, n. 7772 del 05/12/2013, dep. 2014, Rv. 258851).
1.3. Il terzo motivo di ricorso, afferente alla violazione di legge ed al difetto di motivazione, relativamente alla mancata configurazione della continuazione e della particolare tenuità del fatto, deve, invece, dichiararsi inammissibile per genericità. Pur correttamente rilevando la mancata incompatibilità tra l’istituto della recidiva e quello della continuazione, il ricorrente non precisa né la natura e la gravità dei reati che verrebbero in considerazione né le ragioni per cui vi sarebbe identità di disegno criminoso con i: delitto oggetto del presente procedimento, non essendo sufficiente il mero richiamo a precedenti condanne.
Peraltro, anche a prescindere da ciò, occorre ribadire che, in tema di particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis cod. pen. – cui risulta di fatto protesa l’invocata applicazione dell’art. 81 cod. pen. – pur non essendo ostativa, in astratto, la presenza di più reati legati dal vincolo della zontinuazione, giacché quest’ultima non si identifica autonomamente con l’abitualità nel reato (Sez. 4, n. 36534 del 15/09/2021, Rv. 281922), il presupposto ostativo del comportamento abituale -valorizzato dai giudici di merito – ricorre quando l’autore, anche successivamente al reato per cui si procede, abbia commesso almeno altri due reati della stessa indole (ex multis, Sez. 6, n. 6551 del 09/01/2020, Rv. 278347; Sez. U., n. 13681 del 25/02/2016, Rv. 266591). Di talché, in maniera del tutto corretta, la Corte di appello ne ha escluso la astratta configurabilità, risultando il ricorrente, per sua stessa ammissione, già condannato per il medesimo reato con pronunce divenute irrevocabili in data 17 ottobre 2013 e 23 dicembre 2013, sicché evidente risulta l’abitualità della condotta criminosa, come tale preclusiva rispetto al riconoscimento della predetta causa di esclusione della punibilità.
A ciò si aggiunga che, nel caso di specie, lo scostamento di euro 5.515,00 rispetto alla soglia di punibilità fissata dal legislatore in euro 10.000,00 non può certamente ritenersi esiguo (essendo superiore al 50%); il che esclude a priori la possibilità di considerare il fatto di particolare tenuità. Deve infatti ribadirsi che la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis cod. pen., è applicabile soltanto all’omissione per un ammontare vicinissimo alla soglia di punibilità, in considerazione dei fatto che il grado di offensività che dà luogo a reato è già stato valutato dal legislatore nella determinazione della soglia stessa (ex plurimis, Sez. 3, n. 58442 del 02/10/2018, Rv. 275458; Sez. 3, n. 13218 del 20/11/2015, Rv. 266570).
1.4. Il quarto motivo di impugnazione, con cui si deducono la violazione degli artt. 62-bis, 133, 163′ 175 cod. pen., 533, comma 1, e 546, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., ed il connesso difetto motivazionale, è parimenti inammissibile, poiché riguarda elementi di valutazione del sottratti al sindacato di legittimità, in quanto forniti di un adeguato apparato argomentativo.
Per quanto concerne, in primo luogo, le circostanze attenuanti generiche, contrariamente a quanto prospettato dal ricorrente, la decisione del giudice di secondo grado ben rappresenta e giustifica le ragioni per le quali il giudice dell’appello ha ritenuto di negare il riconoscimento dell’invocato beneficio di cui all’art. 62-bis cod. pen. all’imputato, esprimendo una valutazione priva di vizi logici e coerente con le emergenze processuali, in quanto tale iisindacabile in sede di legittimità (Sez. 3, n. 1913 del 20/12/2018, Rv. 275509-03; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Rv. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Rv. 248244; Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Rv. 242419), riferita, nello specifico, non solo alla molteplicità dei precedenti penali a carico del ricorrente, ma anche al carattere solo minimale del pagamento effettuato dall’imputato a seguito di parziale accordo con l’Agenzia delle Entrate, non sussistendo, nel caso di specie, ulteriori e diversi elementi di segno contrario, invero non prospettati nemmeno dalla difesa.
Analogamente, si ritiene che i giudici di merito abbiano correttamente negato ex lege i benefici di cui agli artt. 163 e 175 cod. pen., trattandosi di istituti fondati, in entrambi i casi, su un giudizio prognostico di ravvedimento dell’imputato, evidentemente incompatibile con !a contestata recidiva specifica.
A ciò si aggiunga che non è consentita, in sede di legittimità, la censura che miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragicnamento illogico e sia sostenuta, come nella specie, da adeguata e logica motivazione, facente riferimento, non solo alla contestata recidiva, ma anche all’evidente intensità dell’elemento soggettivo ed alla gravità della condotta, tenuto altresì conto che la pena irrogata è molto prossima al minimo edittale.
1.5. La quinta censura – relativa alla presunta estinzione del reato per intervenuta rottamazione del debito, a seguito di definizione bonaria con l’Agenzia delle Entrate delle pendenze contributive INPS relative all’anno 2016 – è inammissibile, giacché manifestamente infondata.
Come correttamente rilevato dai giudici di merito, infatti, trattasi di accordo di rottamazione stipulato con l’Agenzia delle Entrate con riferimento ad una sola cartella di pagamento, relativa all’importo – minimale, se rapportato all’ammontare del debito, pari ad C 15.515,00 – di C 1.807,00 quale quota contributi non versata e risalente al mese di dicembre 2015, come tale, dunque, insufficiente a fondare l’invocata estinzione del reato ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen.
1.6. Infine, deve essere ritenuto inammissibile il rilievo, proposto dalla difesa dell’imputato, in ordine alla presunta estinzione del reato per prescrizione. La censura infatti – oltre a essere manifestamente infondata, perché non tiene conto della valenza della recidiva quanto al termine complessivo applicabile – è preclusa, poiché è stata sollevata dal ricorrente esclusivamente in sede di trattazione orale e non con il ricorso per cassazione. E, in generale, l’inammissibilità del ricorso preclude anche il rilievo d’ufficio della prescrizione (ex plurimis, Sez. U., n. 6903 del 27/05/2016, dep. 2017, Rv. 268966; Sez. 2, n. 53663 del 20/11/2014, Rv. 261616; Sez. 2, n. 28848 del 08/05/2013, Rv. 256463; Sez. U., n. 19601 del 28/02/2008, Rv. 239400; Sez. U., n 23428 del 02/03/2005, Rv. 231164; Sez. U., n. 32 del 22/10/2000, Rv. 217266).
Per questi motivi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 10/10/2024.