Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 30798 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 30798 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 30/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a BAISO il 22/08/1961
avverso la sentenza del 13/06/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che COGNOME NOME – condannato in primo e secondo grado per il reato di cui all’art. 2, comma 1-bis, del d.l. n. 463 del 1983 – ha proposto ricorso per cassazione, lamentando, con un unico motivo di ricorso, vizi della motivazione in ordine alla responsabilità penale dell’imputato, dal momento che la Corte si sarebbe limitata a recepire quanto deciso dal giudice di primo grado, senza evidenziare le ragioni per cui la sentenza meritasse conferma e senza soffermarsi sulle istanze assolutorie contenute nell’atto di gravame;
che la Corte non avrebbe altresì tenuto in considerazione l’assenza di coscienza e volontà da parte dell’imputato di realizzare la condotta illecita contestata, alla quale sarebbe stato costretto a causa della situazione di crisi in cui versava l’impresa.
Considerato che il ricorso è inammissibile, perché diretto a sollecitare una rivalutazione del quadro istruttorio sulla base di una rilettura di fatto preclusa al sindacato di questa Corte, non confrontandosi in modo puntuale con le argomentazioni poste a fondamento della decisione impugnata;
che la Corte di appello correttamente valorizza la circostanza che lo stato di insolvenza non libera il soggetto sostituto, dovendo questi adempiere al proprio obbligo di corrispondere le ritenute all’INPS, così come adempiere a quello di pagare le retribuzioni di cui le ritenute stesse sono parte; né il sopravvenuto fallimento dell’agente può ritenersi causa sufficiente a scriminare il precedente omesso versamento delle ritenute, essendo obbligo del sostituto quello di ripartire le risorse esistenti all’atto della corresponsione delle retribuzioni in modo da poter adempiere al proprio obbligo, anche se ciò dovesse comportare l’impossibilità di pagare compensi nel loro intero ammontare;
che la censura riferita all’insufficienza della motivazione che la Corte avrebbe fornito relativamente allo stato di crisi in cui versava l’impresa è inammissibile, in quanto, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, essa può essere invocata, per escludere la colpevolezza, o, meglio, l’esigibilità della condotta, solo ove si dimostri che la stessa non dipenda dalla scelta di non far debitamente fronte alla esigenza predetta (ex multis, Sez. 3, n. 37528 del 12/06/2013, Rv. 257683);
che vi è la necessità che siano assolti, sul punto, precisi oneri di allegazione che, per quanto attiene alla crisi di liquidità, devono investire non solo l’aspetto relativo alla non imputabilità al sostituto di imposta della crisi economica, che improvvisamente avrebbe interessato l’impresa, ma anche che detta crisi non possa essere stata adeguatamente fronteggiata tramite il ricorso, da parte dell’imprenditore, ad idonee misure da valutarsi in concreto (ex multis, Sez. 3, n. 20266 del 08/04/2014, Rv. 259190).
che il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali non può essere scriminato, ai sensi dell’art. 51 cod. pen., dalla scelta del datore
di lavoro, in presenza di una situazione di difficoltà economica, di destinare le somme disponibili al pagamento delle retribuzioni, perché, nel conflitto tra il diritto
del lavoratore a ricevere i versamenti previdenziali e quello alla retribuzione, va privilegiato il primo in quanto è il solo a ricevere, secondo una scelta del legislatore
non irragionevole, tutela penalistica per mezzo della previsione di una fattispecie incriminatrice
(ex plurimis,
Sez. 3, n. 36421 del 16/05/2019, Rv. 276683).
che, tenuto conto della sentenza del 13 giugno 2000, n. 86, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere
che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima
consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa
delle ammende, equitativamente fissata in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 30 maggio 2025.