Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 4200 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 3 Num. 4200 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/11/2024
TERZA SEZIONE PENALE
Composta da
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
Presidente –
Sent. n. sez. 1904/2024
UP – 18/11/2024
Relatore –
R.G.N. 21309/2024
ha pronunciato la seguente
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME COGNOME nato a MONTEMILETTO il 06/06/1967
avverso la sentenza del 26/01/2024 della Corte d’appello di Napoli
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per lÕinammissibilitˆ del ricorso;
letta la memoria del difensore, Avv. NOME COGNOME che ha replicato alla richiesta del PG e ha concluso insistendo per lÕaccoglimento del ricorso.
Ricorso trattato in forma cartolare.
1.NOME COGNOME ricorre per lÕannullamento della sentenza del 26 gennaio 2024 della Corte di appello di Napoli che, in parziale riforma della sentenza del 4 aprile 2022 del Tribunale di Avellino, pronunciata a seguito di giudizio abbreviato e da lui impugnata, ha dichiarato non doversi procedere nei suoi confronti per il reato di cui allÕart. 2, comma 1bis, d.l. n. 463 del 1983, convertito con modificazioni dalla legge n. 638 del 1983, relativo alle ritenute operate a titolo previdenziale ed assistenziale sulle retribuzioni corrisposte ai lavoratori dipendenti nel periodo gennaio 2015-settembre 2015 e non versate, perchŽ estinto per prescrizione, ha confermato nel resto la condanna per gli omessi versamenti delle ritenute operate a medesimo titolo sulle retribuzioni corrisposte nei periodi dicembre 2016-novembre 2017 (euro 55.019), dicembre 2017-novembre 2018 (euro 47.971), e ha rideterminato la pena nella misura di tre mesi e dieci giorni di reclusione e 367 euro di multa.
1.1.Con il primo motivo deduce la violazione dellÕart. 2, d.l. n. 463 del 1983, in relazione alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato, con particolare riferimento al pagamento delle retribuzioni e della trattenuta delle quote contributive a carico del lavoratore dipendente, nonchŽ la mancanza, la contraddittorietˆ e la manifesta illogicitˆ della motivazione in ordine alla valutazione della prova sia della effettiva corresponsione delle retribuzioni, che del trattenimento della quota contributiva (elementi strutturali e concorrenti del reato, non potendosi escludere – afferma – la corresponsione delle retribuzioni al lordo della quota contributiva a carico del lavoratore dipendente o, in alternativa, la corresponsione delle retribuzioni al netto della quota contributiva tuttavia non trattenuta per ragioni di cassa) e lÕomessa motivazione in relazione a puntuali censure della difesa sul punto. Osserva, in estrema sintesi, che non vÕè prova che egli abbia effettivamente operato la trattenuta della quota contributiva non versata, non potendosi ci˜ desumere dal sol fatto della corresponsione delle retribuzioni, nŽ dalla produzione dei soli modelli DM10, sulla cui natura ed efficacia probatoria della effettiva corresponsione delle retribuzioni e della trattenuta della quota contributiva è legittimo – sostiene – nutrire dubbi. In ogni modo, è comunque necessaria la produzione in giudizio del modello DM10, non essendo sufficienti le attestazioni dellÕINPS, oltretutto prive di sottoscrizione, di avvenuta ricezione degli stessi.
1.2.Con il secondo motivo deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta regolaritˆ della notificazione dellÕavviso di accertamento e alla contestazione del reato per i fatti commessi tra il mese di dicembre 2016 e il mese di novembre 2017, notificazione della quale manca la prova che non è onere del ricorrente fornire, trattandosi di prova negativa, e che
costituisce condizione di procedibilitˆ dellÕazione in assenza della quale, aggiunge, non decorre nemmeno il termine di tre mesi concesso al datore di lavoro per il pagamento delle ritenute non versate (termine nel caso di specie non decorso perchŽ il decreto di citazione a giudizio non conteneva alcun avviso in tal senso). Manca, precisa, persino la prova dellÕinoltro della raccomandata prima ancora della prova della sua ricezione.
1.3.Con il terzo motivo deduce lÕinosservanza o lÕerronea applicazione degli artt. 62bis e 133 cod. pen. e la mancanza, contraddittorietˆ e manifesta illogicitˆ della motivazione in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
2.Con memoria trasmessa il 12 novembre 2024 il difensore del ricorrente, Avv. NOME COGNOME ha replicato alla richiesta del Procuratore generale di inammissibilitˆ del ricorso insistendo per il suo accoglimento.
1.Il ricorso è infondato.
2.Il primo motivo è manifestamente infondato poichŽ postula una interpretazione della fattispecie incriminatrice in palese contrasto con la lettera della norma.
2.1.Il delitto di cui allÕart. 2, comma 1bis, d.l. n. 463 del 1983, convertito con modificazioni dalla legge n. 638 del 1983, ha natura omissiva (consistente in un non facere ) e ha ad oggetto le ritenute operate a titolo previdenzialeassistenziale sulle retribuzioni effettivamente erogate ai lavoratori dipendenti.
2.2.Il reato non è materialmente configurabile in assenza dellÕeffettivo esborso delle relative somme dovute al dipendente a titolo di retribuzione, posto che il riferimento letterale alle “ritenute operate” sulla retribuzione deve essere interpretato nel senso che non pu˜ essere operata una ritenuta senza il pagamento della somma dovuta al creditore (Sez. U, n. 27641 del 28/05/2003, COGNOME, Rv. 224609 – 01; Sez. 3, n. 42378 del 19/09/2003, COGNOME, Rv. 226551 – 01; Sez. 3, n. 35498 del 30/05/2003, COGNOME, Rv. 225552 – 01).
2.3.Come successivamente ribadito da Sez. U, n. 10424 del 18/01/2018, COGNOME non mass. sul punto, ÇlÕintenzione del legislatore è sostanzialmente quella di reprimere, non tanto il fatto omissivo del mancato versamento dei contributi, quanto, piuttosto, il più grave fatto commissivo dell’indebita appropriazione, da parte del datore di lavoro, di somme prelevate dalla retribuzione dei lavoratori dipendenti, con la conseguenza che l’obbligo di versare le ritenute nasce solo al momento della effettiva corresponsione della retribuzione, sulla quale le ritenute
stesse debbono essere operate, non rilevando, peraltro, le vicende finanziarie dell’azienda (Sez. 3, n. 26712 del 14/04/2015, COGNOME, Rv. 264306; Sez. 3, n. 19574 del 21/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259741; Sez. 3, n. 29616 del 14/06/2011, Vescovi, Rv. 250529; Sez. 3, n. 38269 del 25/09/2007, COGNOME, Rv. 237827)È
̀
2.4.Ci˜ nondimeno, se il debito previdenziale sorge a seguito della corresponsione delle retribuzioni, al termine di ogni mensilitˆ , è altrettanto vero che la condotta del mancato versamento assume penale rilevanza solo con lÕinutile spirare del termine di scadenza indicato dalla legge (il giorno 16 del mese successivo a quello di erogazione delle retribuzioni) e solo quando lÕentitˆ del debito previdenziale non onorato supera, nellÕanno solare, dal 16 gennaio (per le retribuzioni del precedente mese dicembre) al 16 dicembre (per le retribuzioni corrisposte nel mese di novembre) (Sez. U, COGNOME, cit.), la soglia di 10.000 euro (nel senso che il delitto di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali, di cui all’art. 2, comma 1-bis, d.l. 12 settembre 1983, n. 483, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983, n. 638, modificato dall’art. 3, comma 6, d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 8, che ha introdotto la soglia di punibilitˆ di euro diecimila annui, si configura come fattispecie connotata da progressione criminosa, nel cui ambito, superato il limite di legge, le ulteriori omissioni consumate nel corso del medesimo anno si atteggiano a momenti esecutivi di un reato unitario a consumazione prolungata, la cui definitiva cessazione coincide con la scadenza del termine previsto per il versamento dell’ultima mensilitˆ, ossia con la data del 16 gennaio dell’anno successivo, cfr. Sez. 3, n. 9196 del 09/01/2024, COGNOME, Rv. 286019 – 01; Sez. 3, n. 649 del 20/10/2016, dep. 2017, Messina, Rv. 268813 – 01; Sez. 3, n. 37232 del 11/05/2016, COGNOME, Rv. 268308 – 01).
2.5.Non vÕè dubbio, di conseguenza, che lÕerogazione delle retribuzioni al lordo degli oneri contributivi di spettanza del lavoratore esclude la sussistenza del reato e che gravi sul Pubblico ministero lÕonere di provare la materiale corresponsione delle retribuzioni al netto delle ritenute effettivamente operate a titolo previdenziale; ma questa considerazione, di natura processual-probatoria, non trasforma il reato da omissivo a commissivo.
2.6.La quota contributiva di spettanza del lavoratore, infatti, poichŽ a questi non corrisposta (in quanto, appunto, ÒritenutaÓ), resta nella materiale disponibilitˆ del datore di lavoro dal cui patrimonio non esce e con il quale si confonde; tale quota costituisce solo lÕunitˆ di misura dellÕobbligo contributivo che deve essere adempiuto entro il giorno 16 del mese successivo a quello dellÕerogazione della retribuzione. Altrimenti ragionando il datore di lavoro non dovrebbe rispondere di alcun reato, nemmeno del diverso reato di appropriazione indebita di cui allÕart. 646, cod. pen., escluso da questa Suprema Corte in situazioni non dissimili e
invece erroneamente posto dal ricorrente a base del proprio ragionamento (Sez. U, n. 1327 del 27/10/2004, Li COGNOME, Rv. 229634, in tema di mancato versamento alla Cassa edile delle somme “trattenute” dal datore di lavoro sulla retribuzione del dipendente per ferie, gratifiche natalizie e festivitˆ; Sez. U, n. 37954 del 25/05/2011, Orlando, Rv. 250974, in tema di cessione di quota della retribuzione da parte del lavoratore, non versata dal datore di lavoro al cessionario). Come giˆ spiegato dalla Corte di cassazione, Çla somma “trattenuta” o “ritenuta” rimane sempre nella esclusiva disponibilitˆ del “possessore”, non soltanto perchŽ non è mai materialmente versata al lavoratore, ma soprattutto in quanto mai potrebbe esserlo, avendo il dipendente soltanto il diritto di percepire la retribuzione al netto delle trattenute effettuate alla fonte dal datore di lavoro. Le “trattenute”, quindi, si risolvono a ben vedere in una operazione meramente contabile diretta a determinare l’importo della somma che il datore di lavoro è obbligato a versare, in base ad una norma di legge o avente forza di legge, alla scadenza pattuita in conseguenza della corresponsione della retribuzioneÈ (Sez. U, n. 1327 del 2004, cit.). Il titolare del rapporto contributivo, infatti, non è il lavoratore (cui la prestazione previdenziale-assistenziale è di norma sempre dovuta; cfr. art. 2116, cod. civ.), ma il datore di lavoro, che è responsabile del versamento del contributo anche per la parte a carico del prestatore, Çsalvo il diritto di rivalsaÈ (artt. 2115, comma 2, cod. civ. e 19, legge 4 aprile 1952, n. 218). Attraverso la ÒtrattenutaÓ il datore di lavoro aziona e rende concreto il suo diritto di rivalsa mediante lÕideale costituzione della provvista finanziaria necessaria a far fronte Ð pro-quota lavoratore dipendente -alla sua obbligazione nei confronti dellÕINPS, stabilita, in percentuale, sull’ammontare della retribuzione lorda del lavoratore, e determinata in base alle vigenti disposizioni ai fini del calcolo dei contributi dovuti per gli assegni familiari (artt. 17, comma 1, e 19, comma 2, legge 218 del 1952, cit.). Ma ci˜ non toglie che unico obbligato nei confronti degli enti previdenzialiassistenziali sia il datore di lavoro che risponde con il suo patrimonio, anche per la quota parte del lavoratore.
2.7.é dunque errato sostenere che il reato presuppone il trattenimento ÒfisicoÓ della quota contributiva a carico del lavoratore dipendente perchŽ, in realtˆ, la somma a questi non corrisposta non esce mai dal patrimonio del datore di lavoro. EÕ giˆ stato al riguardo spiegato che, ai fini della configurabilitˆ del reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate dal datore di lavoro (art. 2 della legge 11 novembre 1983, n. 638), è necessario e sufficiente il materiale esborso degli emolumenti dovuti ai lavoratori dipendenti a titolo di retribuzione, non anche della fisica esistenza delle corrispondenti somme trattenute e non versate (Sez. 3, n. 18503 del 10/12/2014, dep. 2015, Previati, Rv. 263740 – 01).
2.8.La questione posta con il primo motivo riguarda, piuttosto, la prova dellÕeffettiva corresponsione delle retribuzioni al netto della quota contributiva a carico del lavoratore dipendente nei cui confronti il datore di lavoro esercita il diritto di rivalsa.
2.9.Al riguardo va ribadito che: a) la prova della materiale corresponsione delle retribuzioni ai lavoratori dipendenti pu˜ essere validamente tratta dalla presentazione degli appositi modelli attestanti le retribuzioni corrisposte ai dipendenti e gli obblighi contributivi verso l’istituto previdenziale (cosiddetti modelli DM 10) i quali hanno natura ricognitiva della situazione debitoria del datore di lavoro, sicchŽ la loro presentazione equivale all’attestazione di aver corrisposto le retribuzioni in relazione alle quali è stato omesso il versamento dei contributi (Sez. 3, n. 6934 del 23/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272120 – 01; Sez. 3, n. 37145 del 10/04/2013, COGNOME, Rv. 256957); è stato più recentemente affermato che i modelli DM 10, formati secondo il sistema informatico RAGIONE_SOCIALE, possono essere valutati come piena prova della effettiva corresponsione delle retribuzioni, trattandosi di dichiarazioni che, seppure generate dal sistema informatico dell’INPS, sono formate esclusivamente sulla base dei dati risultanti dalle denunce individuali e dalla denuncia aziendale fornite dallo stesso contribuente (Sez. 3, n. 28672 del 24/09/2020, COGNOME, Rv. 280089 – 01; Sez. 3, n. 42715 del 28/06/2016, COGNOME, Rv. 267781 – 01); b) i DM10, infatti, costituiscono, anche secondo la costante giurisprudenza delle sezioni civili della Corte di cassazione, confessione stragiudiziale della pretesa dellÕINPS (Sez. L, n. 11273 del 16/05/2007, Rv. 596912 – 01; Sez. L, n. 19334 del 17/12/2003, Rv. 569003 – 01; Sez. L, n. 14826 del 18/10/2002, Rv. 557983 – 01; Sez. L., n. 6795 del 20/01/1998, non mass.; Sez. L., n. 1466 del 02/02/2012, non mass.) sicchŽ, in sede penale, è onere dellÕimputato dimostrare eventuali difformitˆ rispetto alla situazione in essi rappresentata (Sez. 3, n. 32848 del 08/07/2005, Smedile, Rv. 232393; Sez. 3, n. 7772 del 05/12/2013, COGNOME, Rv. 258851).
2.10.Non risulta dalla sentenza impugnata, nŽ dallÕodierno ricorso, che il ricorrente abbia mai fornito, nei processi relativi ai precedenti gradi di giudizio, la prova contraria a quella derivante dalla produzione dei DM10 nŽ che avesse mai eccepito la non corrispondenza a vero dei dati in essi riportati.
2.11.Sotto altro profilo la testimonianza del dipendente dellÕente previdenziale pu˜ costituire valido argomento di prova circa lÕinvio, da parte del datore di lavoro, dei modelli DM10, fonte di conoscenza del debito contributivo rimasto inadempiuto, non essendone necessaria la produzione documentale se lÕimputato, come nel caso in esame, non ne contesti il mancato invio (Sez. 3, n. 43602 del 09/09/2015, COGNOME, Rv. 265272 – 01).
4.Il secondo motivo è infondato.
4.1.Deve essere definitivamente escluso che il decorso del termine di tre mesi per provvedere alla regolarizzazione, previsto dall’art. 2, comma primo bis e primo ter del D.L. 12 settembre 1983, n. 463 (conv. con modd. in L. 11 Novembre 1983, n. 638), rappresenti una condizione di procedibilitˆ dell’azione penale; ne consegue che l’omissione di tempestiva contestazione o notificazione delle violazioni non preclude all’imputato di estinguere il delitto e di usufruire della speciale causa di non punibilitˆ prevista dall’art. 3, comma primo bis, della suddetta legge (Sez. 3, n. 38501 del 25/09/2007, COGNOME, Rv. 237949 – 01; Sez. 3, n. 27258 del 16/05/2007, COGNOME, Rv. 237228 – 01; Sez. 3, n. 41277 del 28/09/2004, COGNOME, Rv. 230316 – 01).
4.2.La questione è stata definitivamente risolta da Sez. U, n. 1855 del 24/11/2011, Sodde, Rv. 251268 – 01, secondo cui, in tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali, ai fini della causa di non punibilitˆ del pagamento tempestivo di quanto dovuto, il decreto di citazione a giudizio è equivalente alla notifica dell’avviso di accertamento solo se, al pari di qualsiasi altro atto processuale indirizzato all’imputato, contenga gli elementi essenziali del predetto avviso, costituiti dall’indicazione del periodo di omesso versamento e dell’importo, la indicazione della sede dell’ente presso cui effettuare il versamento entro il termine di tre mesi concesso dalla legge e l’avviso che il pagamento consente di fruire della causa di non punibilitˆ. Spiegano, in motivazione, le Sezioni Unite che Çl’art. 2, comma 1-ter, d.l. n. 463 del 1983 non subordina affatto l’esercizio dell’azione penale alla contestazione della violazione ovvero alla notifica del relativo accertamento da parte dellÕente previdenziale ed al decorso del termine di tre mesi concesso al datore di lavoro per adempiere. Al contrario, l’art. 2, comma 1-bis, prevede esclusivamente la non punibilitˆ del reato, pertanto giˆ perfezionatosi, per effetto di una condotta successiva in certa misura ripristinatoria del danno subito dall’ente pubblico, che la norma intende favorire, e, quindi, prevede una tipica causa di non punibilitˆ, non dissimile da altre frequentemente previste dal codice penale, destinate ad operare solo sul piano sostanziale (a titolo di esempio: artt. 308; 387, comma secondo; 463 cod. pen.). SicchŽ la qualificazione dei citati elementi come condizione di procedibilitˆ dell’azione penale è frutto esclusivo di un’elaborazione interpretativa che trova solo un vago aggancio nel dato normativo (obbligo per l’ente previdenziale di trasmettere senza ritardo la notitia criminis una volta avvenuto il pagamento o decorsi i tre mesi per adempiervi), ma non trova riscontro nella lettera della norma, nŽ giustificazione nella individuazione di un interesse pubblico prevalente rispetto a quello della punizione del colpevole di un reato, che possa giustificare la deroga al principio dell’obbligatorietˆ dell’esercizio dell’azione penale stabilito dall’art. 112 della Costituzione. L’interesse pubblico prevalente sull’esigenza di punire il colpevole del reato non pu˜ essere certamente ravvisato in quello economico dell’ente
previdenziale ad una definizione amministrativa del contesto o in quello più generale ad una deflazione del contenzioso penale. Deve essere, pertanto, escluso che la notifica dell’accertamento della violazione ed il decorso del termine di tre mesi costituiscano una condizione di procedibilitˆ del reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali, ponendosi una tale configurazione in contrasto con la chiara lettera della norma e dovendosi configurare rilevanti dubbi di costituzionalitˆ della norma medesima nella interpretazione che attribuisce ad essi tale naturaÈ.
4.3.Il ricorrente lamenta poi che non vÕè prova non solo della notifica dellÕinvito al versamento delle ritenute relative al periodo dicembre 2016novembre 2017, ma anche dellÕinvio di tale diffida con conseguente impossibilitˆ di adempiere il debito contributivo e fruire della causa di non punibilitˆ di cui allÕart. 2, comma 1-bis, d.l. n. 463 del 1983.
4.4.La deduzione è infondata.
4.5. !” assorbente il rilievo che il termine di tre mesi per corrispondere l’importo dovuto ai fini della integrazione della causa di non punibilit # del reato decorre dal momento in cui l’indagato o imputato, oltre ad essere informato del periodo di omesso versamento, dell’importo dovuto e del luogo ove effettuare il pagamento, risulti anche posto compiutamente a conoscenza della possibilit # di usufruire della speciale causa di non punibilitˆ in caso di esecuzione dellÕobbligazione nel termine legale di comporto, ma la consapevolezza di tale facolt # pu $ essere acquisita in qualunque forma, non presupponendo la comunicazione di un avviso formale in ordine ai benefici conseguibili per effetto del pagamento nel trimestre. Ne consegue che, aldil # della possibile non conoscenza della diffida, l ” imputato che – come nel caso di specie – con i motivi di appello dimostri di essere consapevole di poter fruire della causa di non punibilit # non pu $ dolersi di non averne potuto fruire perch % avrebbe potuto sanare la posizione anche nel corso del giudizio (Sez. 3, n. 46169 del 18/07/2014, COGNOME, Rv. 260912; nello stesso senso, Sez. 3, n. 29825 del 24/09/2020, COGNOME, Rv. 280283 – 01; cfr. altres & , Sez. 3, n. 23914 del 14/05/2014, Cibin, Rv. 261510, secondo cui qualora non risulti ritualmente effettuata la comunicazione dell’avviso di accertamento della violazione e il decreto di citazione non contenga l’indicazione di tutti gli elementi propri di detto avviso, deve essere ritenuto tempestivo, al fine del verificarsi della causa di non punibilit # di cui all’art. 2, comma primo-bis, D.L.
n. 463 del 1983, conv. in legge n. 638 del 1983, il versamento delle ritenute previdenziali effettuato dall’imputato nel corso del giudizio).
5.LÕultimo motivo è manifestamente infondato.
5.1.LÕapplicazione delle circostanze attenuanti generiche non costituisce oggetto di un diritto con il cui mancato riconoscimento il giudice di merito si deve misurare poichŽ, non diversamente da quelle ÒtipizzateÓ, la loro attitudine ad attenuare la pena si deve fondare su fatti concreti. Il loro diniego pu˜ pertanto essere legittimamente giustificato con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la modifica dell’art. 62 bis, disposta con il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente non è più sufficiente lo stato di incensuratezza dellÕimputato (Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, COGNOME, Rv. 270986; Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, COGNOME, Rv. 260610; Sez. 1, n. 3529 del 22/09/2013, COGNOME, Rv. 195339).
5.2.Peraltro, giˆ prima della suddetta modifica normativa, la Corte di cassazione, aveva affermato il principio di diritto secondo il quale, in tema di attenuanti generiche, posto che la ragion d’essere della relativa previsione normativa è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all’imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile, ne deriva che la meritevolezza di detto adeguamento non pu˜ mai essere data per scontata o per presunta, s’ da dar luogo all’obbligo, per il giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo, l’affermata insussistenza. Al contrario, è la suindicata meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l’esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio; trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell’imputato volta all’ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che ci˜ comporti tuttavia la stretta necessitˆ della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda (Sez. 1, n. 11361 del 19/10/1992, COGNOME, Rv. 192381; nello stesso senso, più recentemente Sez. 3, n. 11539 del 08/01/2014, COGNOME, Rv. 258696, che ha ribadito il principio secondo cui il giudice di merito non è tenuto a riconoscere le circostanze attenuanti generiche, nŽ è obbligato a motivarne il diniego, qualora in sede di conclusioni non sia stata formulata specifica istanza).
5.3.Ne consegue che lÕobbligo di motivazione non sussiste tanto se la richiesta manca, quanto in caso di richiesta generica che non alleghi gli specifici indicatori
di una possibile attenuazione della pena (sulla necessitˆ della specificitˆ della richiesta, oltre le pronunce giˆ citate, anche Sez. 3, n. 23055 del 23/04/2013, Banic, Rv. 256172; Sez. 1, n. 5917 del 12/03/1990, COGNOME, Rv. 184129; Sez. 2, n. 2344 del 13/07/1987, COGNOME, Rv. 177678). La presunzione di non meritevolezza, in ultima analisi, non impone al giudice di spiegare le ragioni della mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche in mancanza di richiesta dellÕimputato o in caso di richiesta generica (Sez. 3, n. 54179 del 17/07/2018, Rv. 275440; Sez. 3, n. 9836 del 17/11/2015, Rv. 266460).
5.4.Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244; Sez. 2, n. 2285 del 11/10/2004, Alba, Rv. 230691; Sez. 1, n. 12496 del 21/09/1999, COGNOME, Rv. 214570). Si tratta di un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimitˆ, purchŽ sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dellÕesclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269).
5.5.Nel caso di specie, la Corte di appello ha negato le circostanze attenuanti generiche stigmatizzando la condotta del ricorrente, per nulla collaborativa, la mancanza di segnali di resipiscenza, la sistematicitˆ delle condotte in uno con la valutazione di adeguatezza della pena, che si sottraggono al sindacato di legittimitˆ considerato che lÕingente quantitˆ dei contributi non versati costituisce indice di gravitˆ del delitto che non pu˜ essere giustificato nŽ dalle dimensioni dellÕimpresa, nŽ dallÕesigenza di autofinanziare lÕimpresa stessa in costanza di crisi, non potendo il rischio di impresa essere fronteggiato con risorse altrui e mediante la commissione di delitti.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Cos’ deciso in Roma, il 18/11/2024.
Il Consigliere estensore
Il Presidente
NOME COGNOME
NOME COGNOME