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Omesso versamento ritenute: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna di un datore di lavoro per l’omesso versamento delle ritenute previdenziali. La sentenza chiarisce che il reato è di natura omissiva e che la prova del pagamento degli stipendi (presupposto del reato) può essere desunta dai modelli DM10, i quali costituiscono una confessione stragiudiziale. La Corte ha inoltre ritenuto legittimo il diniego delle attenuanti generiche a fronte della sistematicità e gravità della condotta, sottolineando che non sono un diritto dell’imputato.

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Pubblicato il 5 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Omesso versamento ritenute: la Cassazione fa il punto su prova e attenuanti

L’omesso versamento ritenute previdenziali è una delle fattispecie penali più comuni per imprenditori e datori di lavoro. Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione torna su questo tema cruciale, offrendo chiarimenti fondamentali sulla natura del reato, sugli strumenti di prova e sui criteri per la concessione delle attenuanti generiche. La decisione ribadisce principi consolidati e fornisce una guida preziosa per comprendere gli obblighi e i rischi legati alla gestione dei contributi dei dipendenti.

I Fatti del Caso

Un imprenditore veniva condannato in primo e secondo grado per l’omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni dei suoi dipendenti per diversi periodi. In particolare, la Corte d’Appello aveva parzialmente riformato la prima sentenza, dichiarando prescritta una parte delle omissioni ma confermando la condanna per i periodi più recenti, rideterminando la pena in tre mesi e dieci giorni di reclusione oltre a una multa.

L’imprenditore decideva quindi di ricorrere in Cassazione, affidandosi a tre motivi principali:
1. Violazione di legge sulla prova del reato: Sosteneva che non vi fosse prova dell’effettiva corresponsione delle retribuzioni e, soprattutto, dell’avvenuta ‘trattenuta’ delle quote contributive, ritenendo insufficienti i soli modelli DM10 prodotti in giudizio.
2. Irregolarità della notifica: Lamentava la mancata prova della notifica dell’avviso di accertamento, atto che, a suo dire, costituisce una condizione di procedibilità dell’azione penale e fa decorrere il termine di tre mesi per sanare la posizione ed evitare la condanna.
3. Errata applicazione delle attenuanti: Contestava il diniego delle circostanze attenuanti generiche, ritenendolo immotivato.

L’analisi della Cassazione sull’omesso versamento ritenute

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, definendo i motivi infondati e, in alcuni casi, manifestamente infondati. La sentenza offre un’analisi dettagliata e chiara dei tre punti sollevati dalla difesa.

La natura del reato e il valore probatorio dei modelli DM10

Il punto centrale della decisione riguarda la natura stessa del reato di omesso versamento ritenute. La Cassazione ribadisce che si tratta di un reato omissivo, che si perfeziona con il semplice mancato versamento delle somme dovute all’ente previdenziale entro il termine di legge (il 16 del mese successivo), una volta che sia stata corrisposta la retribuzione netta al lavoratore.

La Corte chiarisce un equivoco di fondo del ricorrente: la ‘ritenuta’ non è un’azione fisica di apprensione di denaro, ma una mera operazione contabile. Il denaro corrispondente alla quota contributiva del lavoratore non esce mai dalla disponibilità patrimoniale del datore di lavoro. Quest’ultimo, erogando lo stipendio netto, diventa debitore verso l’ente previdenziale per l’intero importo dei contributi (quota propria e quota del lavoratore).

Di conseguenza, la prova del reato richiede di dimostrare due elementi:
1. L’effettiva corresponsione della retribuzione al dipendente.
2. Il mancato versamento dei contributi all’INPS.

Su questo, la Cassazione è categorica: la presentazione dei modelli DM10 (oggi parte del flusso UNIEMENS) da parte del datore di lavoro costituisce piena prova della corresponsione delle retribuzioni. Tali modelli, infatti, hanno natura ricognitiva del debito e valore di confessione stragiudiziale. Spetta quindi all’imputato, se mai, fornire la prova contraria, dimostrando che i dati in essi contenuti non sono veritieri, cosa che nel caso di specie non era avvenuta.

La notifica dell’accertamento non è condizione di procedibilità

Anche il secondo motivo di ricorso viene respinto. La Corte, richiamando una consolidata giurisprudenza (incluse le Sezioni Unite), afferma che la notifica dell’avviso di accertamento da parte dell’ente previdenziale non è una condizione di procedibilità dell’azione penale. Il reato si perfeziona con l’omissione, a prescindere da tale comunicazione.
La notifica serve piuttosto a informare l’indagato della possibilità di estinguere il reato avvalendosi della causa di non punibilità, ovvero pagando il dovuto entro tre mesi. Tuttavia, la conoscenza di questa facoltà può essere acquisita in qualsiasi forma, anche durante il processo. Se l’imputato dimostra di essere consapevole di questa possibilità (come nel caso di specie, avendola menzionata nei motivi d’appello), non può lamentarsi di non aver ricevuto una comunicazione formale.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione fonda la propria decisione su un’interpretazione rigorosa e sistematica della normativa. Il reato di omesso versamento ritenute è posto a tutela dell’interesse pubblico al corretto finanziamento del sistema previdenziale. La condotta penalmente rilevante è il mancato adempimento di un’obbligazione pecuniaria verso lo Stato, che sorge nel momento in cui il datore di lavoro paga lo stipendio al lavoratore.
Il diniego delle attenuanti generiche è stato ritenuto correttamente motivato dalla Corte d’Appello. I giudici di merito avevano evidenziato la sistematicità delle condotte, l’ingente quantità dei contributi non versati, l’assenza di segnali di resipiscenza e una condotta processuale non collaborativa. La Cassazione ricorda che le attenuanti generiche non sono un diritto e il loro riconoscimento richiede la presenza di elementi positivi meritevoli di considerazione. L’incensuratezza, da sola, non è più sufficiente, e il giudice non è tenuto a esaminare ogni singolo elemento favorevole se ne individua altri, di segno contrario, ritenuti decisivi, come la gravità del fatto.

Conclusioni

La sentenza in esame consolida alcuni principi cardine in materia di omesso versamento ritenute previdenziali. In sintesi:
1. Il reato ha natura omissiva e si consuma con il mancato pagamento entro i termini, dopo aver corrisposto la retribuzione netta.
2. I modelli DM10/UNIEMENS sono prova sufficiente del pagamento degli stipendi e, quindi, del presupposto del reato.
3. La notifica dell’accertamento non è necessaria per l’avvio del procedimento penale.
4. Le attenuanti generiche possono essere negate sulla base della gravità e sistematicità della condotta, essendo la loro concessione una facoltà discrezionale del giudice e non un diritto dell’imputato.
Questa pronuncia rappresenta un monito per i datori di lavoro sull’importanza del puntuale adempimento degli obblighi contributivi, sottolineando come le difficoltà economiche dell’impresa non possano essere scaricate sul sistema previdenziale, finanziato con risorse che hanno una precisa destinazione pubblica.

Come si prova il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali?
La prova che il datore di lavoro ha corrisposto le retribuzioni, presupposto del reato, può essere validamente fornita attraverso la produzione dei modelli DM10 (o flussi UNIEMENS). Questi documenti, compilati e trasmessi dallo stesso datore di lavoro, hanno valore di confessione e attestano l’esistenza del debito contributivo.

È necessario che il datore di lavoro prelevi ‘fisicamente’ i soldi dalla busta paga del dipendente per commettere il reato?
No. La ‘ritenuta’ è un’operazione puramente contabile. Il reato non consiste nell’appropriarsi di somme del lavoratore, ma nel non versare all’ente previdenziale le somme dovute entro la scadenza, dopo aver pagato al dipendente la sua retribuzione netta. Il denaro rimane sempre nel patrimonio dell’azienda.

Il diniego delle attenuanti generiche è legittimo se l’imputato è incensurato?
Sì. La Cassazione ribadisce che le attenuanti generiche non sono un diritto. Il giudice può negarle motivando la sua decisione sulla base di elementi concreti, come la gravità del fatto (ad esempio, l’ingente importo non versato), la sistematicità della condotta e l’assenza di segnali di pentimento, anche a fronte di un imputato senza precedenti penali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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